[CONCLUSA] Esistenze Congiunte, Volume 6: La Fine di Un Mondo

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    Capitolo 21 - In viaggio.... Di nuovo

    Di quanto era accaduto la sera precedente nessuna delle due aveva più parlato. Forse non era nemmeno necessario farlo. Satomi avvertiva perfettamente la ritrovata e nuova leggerezza di Kuniko, senza più tutta quell'insicurezza (che spesso riusciva a mascherare molto bene) e quel risentimento verso se stessa e verso il mondo. Viceversa, Kuniko percepiva un maggiore senso di sicurezza in Satomi. E per questo non era necessaria alcuna empatia: era evidente. Nel modo di camminare, di rivolgersi a lei, di parlare, di prendere le decisioni. Era stata lei a decidere di mettersi in viaggio la mattina seguente, senza perdere tempo, attratta da quella fiamma, quell'emozione tanto forte che aveva avvertito la sera prima. E Kuniko, ora, aveva deciso di tenere sempre attiva la texture, che pareva funzionare senza alcun sforzo fisico da parte sua. I capelli castani, molto scuri, e gli occhi color nocciola affascinavano moltissimo Satomi. Oltre al fatto che quel fisico tonico ma non eccessivamente muscoloso gli donava moltissimo. Si stavano godendo gli ultimi chilometri in macchina, consapevoli che avrebbero dovuto lasciarla non appena avrebbero raggiunto i confini della capitale verso cui erano dirette.
    “Manterrai questo tuo nome comunque?” Chiese all'improvviso la ragazza, rompendo il silenzio che era calato fra loro due. Kuniko rimase un attimo stupita da quella domanda inaspettata, soprattutto perché non aveva mai pensato di cambiare nome. Lei era Kuniko. Anzi. Forse sarebbe stato meglio dire, lui era Kuniko. E quel nome aveva significato tanto per lui. Sofferenza, cambiamento, la forza che aveva trovato di andare avanti sempre da sola. “Non ci ho mai pensato se devo essere sincero, ma penso proprio che per ora lo manterrò! In fin dei conti non basta il nome a definire chi sono, l'importante è che io sia il corpo e l'identità che più di tutti mi fanno stare bene... Giusto?” Rispose Kuniko, allegro.
    Raggiante e felice, la risposta di Satomi non si fece attendere: “beh sì, hai proprio ragione! In effetti questa risposta è proprio da te! Sai, è bello vederti più rilassato e meno scorbutico.... Kuniko” concluse, sottolineando il nome con un sorriso.
    Stavano ormai viaggiando da qualche ora e finalmente il confine iniziava a intravedersi in lontananza. Dopo qualche minuto scesero dalla macchina, per cambiare il loro mezzo di trasporto. Era così strano, stavano per incontrare e intraprendere uno stile di vita totalmente differente, a loro ormai sconosciuto. Furono costrette ad abbandonare tutti gli oggetti che avevano con loro, nella capitale non potevano introdurne alcuno: la tecnologia era proibita. Per fortuna nessuno poteva notare la texture di Kuniko o il network nella mente di Satomi. Furono costrette anche a cambiare abiti, per indossare qualcosa di più “sobrio” rispetto a ciò che avevano addosso. Concluse quelle operazioni alquanto noiose, entrambe si avviarono verso la capitale.
    Mentre camminavano, fu Kuniko a rivolgere per primo una domanda: “Si può sapere perché siamo venuti in questi posto? È piuttosto lontano come modi di vivere rispetto a quanto siamo abituati nella nostra città... E non credo di avere le stesse intenzioni che avevo quando siamo partiti, portare la mia tecnologia qui sembra impossibile” disse guardandosi attorno, stupita del modo di vivere di quelle persone. Le case erano molto semplici, le strade non presentavano alcun mezzo di trasporto se non alcune carrozze. Tutti viaggiavano a piedi.
    Satomi rispose dopo qualche istante, indicando con una mano una costruzione su una collina, circondata da quello che pareva essere un bosco: “siamo venuti qui per quello!”. Kuniko, stranito, fissò prima il punto indicato e poi la ragazza. “Un concentrato di emozioni potentissimo risiede li dentro, nemmeno il tuo network riesce a tenerle a bada e a separarle... Mi sta venendo un gran mal di testa, ma sento che qualcosa le imprigiona. È come se... è come se fossero tutti intrappolati all’interno di enorme rete, come se questa li stesse trattenendo: ma non solo loro, anche le loro emozioni, i loro pensieri.... è come se non riuscissero a lasciar andare ciò che provano e sentono dentro di loro” disse la ragazza, con voce quasi spezzata dal peso di ciò che proveniva da quell’enorme costruzione. “In mezzo a tutti loro, però, più di tutti, c'è una persona che possiede un concentrato di odio gigantesco, sproporzionato...” spiegò Satomi, massaggiandosi le tempie.
    “Non credi dovremmo stare alla larga da quella persona?” Chiese Kuniko, cercando di suonare sorpreso. Ingannare una ragazza empatica era impossibile, ma forse tutto quel misto di emozioni poteva fare da copertura in qualche modo.
    “Assolutamente no, lui è la causa per cui tutte le altre emozioni sono imprigionate in quell'edificio... L'unico problema è che non si trova lì al momento”. Satomi improvvisamente si fermò, chiudendo gli occhi. Riuscì a isolare in poco tempo tutte le varie emozioni che percepiva in quell'enorme città. Il che era alquanto strano... In genere non era mai riuscita a fare una cosa del genere, anche perché nella capitale da cui provenivano lei e Kuniko la quantità di persone era tale da rendere quel tipo di esercizio impossibile. Qui, però, le differenze erano principalmente due: la minor quantità di persone l'una vicina all'altra, data la grande estensione territoriale di quel posto, e il fatto che tutti i cittadini e gli esseri umani lì presenti stavano trattenendo ciò che sentivano/provavano davvero. Come se avessero delle catene che li tenevano imprigionati. O meglio, come se ciascuno di loro fosse avvolto da un involucro che non solo impediva alle emozioni di uscire, ma anche, da quanto aveva potuto percepire Satomi, di entrare. Tutti tranne un piccolo gruppo di persone, tutte riunite in uno stesso posto. Rabbia, furia, stupore, rimorso, vendetta, sete di sangue, amore. Non aveva mai sentito un così alto concentrato di emozioni in così pochi individui. E nemmeno così tanto forti. “Dobbiamo muoverci in quella direzione, sono sicura che la fonte del mio mal di testa sia da quella parte! In questo modo potremo aiutare tutte le persone intrappolate in quella struttura lassù” disse, muovendo già alcuni passi mentre stava ancora parlando.
    Kuniko la prese per il braccio, bloccandola. Fino a quel momento non aveva parlato più di tanto, ma aveva un bruttissimo presentimento e non serviva certo l'empatia della sua compagna di viaggio per capire che quello che stavano per fare era molto pericoloso. Innanzitutto, Satomi non si era accorta degli sguardi delle persone che circolavano intorno a loro. Sebbene i loro abiti fossero semplici, permaneva ancora una traccia molto evidente della loro provenienza da una città del tutto opposta a quella in cui si trovavano in quel momento. Alcuni guardavano alla coppia con occhi sospetti, altri addirittura di sdegno. I capelli di Satomi non erano certo passati inosservati e nemmeno i loro modi. Kuniko si era accorto di quel loro modo di osservarli quando aveva preso la ragazza per mano. Aveva sentito svariate storie sulla rigida morale di quel posto, ma arrivava addirittura a quei livelli? O forse c'era qualcos'altro...
    “Senti, mi fa molto piacere che tu abbia trovato la strada, ma procedere con gli occhi chiusi in un posto simile non è affatto una buona idea! Sei diventata incosciente all'improvviso?” disse lui, con tono di rimprovero. Lasciò andare il suo braccio, mentre i passanti continuavano a lanciare occhiate pensando che nessuno si accorgesse della loro insistenza. “Dobbiamo procedere con cautela, l'empatia ti farà vedere le emozioni delle persone, ma non leggi nei loro pensieri ne sai cosa potrebbero fare, tieni gli occhi aperti anche quando sei concentrata” concluse, mentre iniziava anche lui a muovere i primi passi.
    “Oh... Hai ragione, scusa, non ci avevo pensato” rispose Satomi, imbarazzata. Da quando era in grado di controllare il suo dono si faceva prendere la mano spesso e volentieri, senza pensare alle conseguenze che avrebbe potuto avere usarlo in quel modo e in un posto che non conosceva affatto. Raggiunse Kuniko, camminando di fianco a lui. Sentì chiaramente l'impulso di lui di prenderle la mano, ma a quanto pare si stava trattenendo per evitare di attirare troppo l'attenzione. In che città erano mai capitati?
    Nel frattempo, nella stanza al fondo del corridoio più buio e nascosto di Heaven's Feel, il Lupo e Cenerentola stavano continuando la loro conversazione. Vladimir aveva finito di leggere la lettera di Lucy, ma aspettò a intervenire per non interrompere la discussione fra i due.
    “Mi stai forse dicendo che la ragazza che mi ha portato qui fa parte dello stesso mondo da cui proveniamo io e te?” Chiese il Lupo. Aveva incrociato le braccia a livello dell'addome, per poi portare la mano sinistra sotto il mento. I suoi occhi erano socchiusi, era evidente il fatto che stesse meditando su qualcosa. “Sì, è proprio così – io l'ho sempre saputo, come so anche che... Un'altra cosa, ecco.” Aggiunse Cenerentola, dubbiosa. Avrebbe fatto bene a confessare a quella creatura anche l'altra parte della storia che conosceva?
    “Che altro sai?” Chiese l'altra, sollevando il capo.
    “Niente, niente, in fin dei conti non credo sia...”
    “Fiuto una bugia a chilometri di distanza, se sai altro ti conviene dirmelo, non pensare che io non possa arrabbiarmi solo perché prendo tutto alla leggera” insistette l'altra. Sia Cenerentola che Vladimir rimasero in silenzio a fissarla per qualche istante. Entrambi avevano percepito il cambiamento d'umore del Lupo, che ora era diventato più minaccioso. Il suo istinto stava forse prendendo il sopravvento? Oppure c'era qualcos'altro sotto?
    “Ecco... Da quel che so, e a giudicare dalle fonti è una certezza, Lucy è legata ad uno dei personaggi che sono venuti in questo mondo... Lei è la figlia del cacciatore!” disse tutto d'un fiato Cenerentola, ormai conscia del fatto che trattenere ancora quella verità fosse del tutto inutile. Se aveva la possibilità di avere un'alleata e uscire da quel posto, tanto valeva sfruttarla.
    “Ma guarda, ecco perché non la sopporto! È figlia del mio peggior nemico!” fu la risposta del Lupo, che si era abbandonato a una risata forte e rumorosa. “Non mi spiego perché l'abbia abbandonata qui da sola, in questo posto maledetto!” aggiunse poi, ripensando alla scena del natale e del fantasma. Quelle lapidi cosa potevano significare? Che il tanto odiato cacciatore era morto? Eppure erano due... Che entrambi i genitori fossero.... ?
    “Perché non poteva fare altrimenti, lui aveva le mani legate e non poteva tenerla con sé”
    “Scuse, non vedo il motivo per cui abbia voluto abbandonare la sua stessa figlia!” ribatté il Lupo alzando la voce. Perché si stava scaldando tanto se ripensava al dolore provato da quella ragazzina? Eppure non si era mai interessato di quelle cose... Oppure era davvero come diceva Cenerentola? Che loro avevano sempre giocato e agito nei ruoli che altri facevano fare loro, quando raccontavano le storie? Non si era mai soffermato a pensare a quest'eventualità negli ultimi minuti dopo aver scoperto la verità, figurarsi in passato.
    La donna lasciò passare qualche istante, prima di continuare. Non sapeva come avrebbe potuto reagire alla prossima notizia. In ogni caso ormai era in ballo e doveva ballare, quindi aggiunse: “era in pericolo, Lupo! In quel periodo il cacciatore non stava attraversando un periodo facile, le persone come lui rischiano parecchio in questo posto, come in tanti altri... Vedi, aveva commesso un errore molto grave, qualcosa di cui si sarebbe pentito per tutta la vita, si era innamorato dell'uomo che lo ha portato fuori da quel libro, lo stesso che ha portato qui me”.
    Il Lupo inclinò la testa da un lato, come faceva sempre quando sentiva qualcosa che riteneva molto banale. Nel frattempo, Cenerentola proseguì con la storia: “vissero felici, per un periodo. Loro due e la piccola Lucy, nella casa di Albert e all'epoca Heaven's Feel non esisteva, anzi non ne esisteva nemmeno l'idea. Ma il pericolo, si sa, è sempre dietro l'angolo. Presto infatti le persone iniziarono a fare domande, a interessarsi di quei due uomini che vivevano soli con una bambina” e quando iniziò a pronunciare queste parole, Vladimir si irrigidì. Si tirò su dal letto, come se fosse un modo per sentire meglio quanto stava per accadere nel racconto. Le sue mani stringevano il pezzo di carta, ormai accartocciato, con forza, con disperazione. “Una sera, mentre Albert tornava a casa venne aggredito da un gruppo di persone e picchiato violentemente” il cuore di Vlad batteva molto più forte ora, mentre il respiro si faceva più affannato – “fu il cacciatore, Jacob, a ritrovarlo e a condurlo a casa. A quell'episodio ne seguirono altri, senza contare che la famiglia di Albert aveva voltato loro le spalle, lasciandoli completamente soli”. Cenerentola fece una pausa, voltandosi verso il ragazzo seduto sul letto, conscia del fatto che quella storia lo avesse sconvolto, molti ricordi stavano riaffiorando nella sua mente.
    Il Lupo invece sembrava sempre più stupefatto. Ma prima che Cenerentola potesse intervenire, disse: “non capirò mai voi umani, nemmeno mettendomi d'impegno... Vedete il male in ogni luogo, anche e soprattutto dove non c'è... Siete troppo preoccupati di stabilire regole per gli altri da perdere di vista il buonsenso!” disse ormai furiosa, dopo aver sentito quella storia.
    “Ma le cose peggiorarono, perché Albert ormai iniziava a dare i primi segni di cedimento. Rifiutava Jacob, Lucy, la vita nella loro casa... Iniziò a vaneggiare di spiritualità, a predicare in un modo totalmente differente dal precedente, spariva per giornate intere, finché non sparirono anche i suoi genitori... Jacob sapeva chi era il colpevole, ma non fece in tempo a fermarlo... E da allora il suo unico scopo è stato costruire e governare questo posto, rinchiudendo quelli come Vladimir e come lui stesso, nascondendoli agli occhi del mondo e cercando di cambiarli, per farli sparire, forse per sparire lui stesso... Sua moglie...” aggiunse Cenerentola, ma il Lupo non la fece finire.
    “Quindi mi state dicendo che siamo nelle mani di un pazzo? Ho sentito abbastanza” disse, avviandosi verso la porta con passo deciso. “Dove stai andando? Io...” Iniziò a dire la donna, ma venne nuovamente interrotta dalla creatura, che si fermò un attimo, voltandosi verso di loro per dire: “porterò Lucy via da questa maledetta città, non ho intenzione di farla vivere assieme a un branco di matti del genere! Per quanto mi scocci, dovrò fare in modo che sappia la verità e che riveda entrambi i suoi genitori, in un modo o nell'altro... Se questo mondo non sarà pronto ad accettarli, li riporterò nel mio” sentenziò con voce bassa e tremante.
    In quel momento Vladimir si alzò dal letto. Cenerentola e il Lupo lo guardarono stupiti. Ancora un po' dolorante, disse: “se vuoi aiutare Lucy, verrò con te! Posso dire che lei sia l'unica che io possa considerare amica... E poi voglio andare via da questo posto orribile, portami con te, ti prego!”. Riusciva a reggersi in piedi, anche se un po' a fatica. Il Lupo lo osservò per un attimo, senza dire nulla. Ad un certo punto, però, disse: “bene, andate nella camera di Lucy e fatela uscire, io vi raggiungerò all'ingresso di questo inferno”. Si voltò, uscendo dalla porta.
    “Dove hai intenzione di andare?” Urlò Cenerentola, spaventata da quel che sarebbe potuto accadere. “Non preoccuparti, ho una faccenda da sbrigare” e così dicendo sparì nel buio del corridoio, senza lasciare alcuna traccia.


    Capitolo 22 - Rivelazioni

    La donna volpe stava al centro della stanza, con un altro pugnale nella mano sinistra. Sembrava rilassata ma in realtà era pronta a scattare, aspettava il primo movimento falso da parte dell'uomo vestito di nero. L'esperienza fatta nell'eliminare una persona dopo l'altra per sopravvivere, per soddisfare la sua fame, per crescere e soprattutto per diventare se stessa e scoprire chi era davvero le permettevano di fronteggiare senza alcun timore qualunque avversario si trovasse davanti. Albert la fissava incredulo, spostando lo sguardo da lei alla sua mano sanguinante. Non solo aveva bloccato il suo colpo, ma era riuscita anche a ferirlo centrandolo perfettamente. Jacob sapeva che quello stupore sarebbe durato poco e mise in guardia Anne: “attenta, non sottovalutare mai una persona completamente folle come lui”.
    Lei gli rivolse uno sguardo sarcastico, prima di rispondere: “non è di certo il primo sbruffone che mi trovo davanti! Sei tu quello in pericolo, non io”. Il cacciatore non poté fare a meno di farsi scappare un sorriso, gli scambi di battute fra lui e quella donna lo rallegravano sempre, oltre a stimolarlo parecchio. Pareva quasi che si conoscessero da una vita... Come se in lui vivesse un suo ricordo, lontano ma allo stesso tempo felice. Per Anne Redfox era lo stesso: quando si trovava in compagnia di Jacob era come stare con un membro della sua famiglia, con qualcuno che conosceva da moltissimo tempo. Entrambi, però, non riuscivano a riconoscersi. O almeno, per il momento.
    Albert colse quell'attimo di distrazione per scagliarsi verso la donna. Era incredibilmente veloce, ma non sapeva che i sensi e i movimenti di Anne erano decisamente superiori ai suoi: in un lungo e sinuoso movimento, la donna scansò il colpo diretto al suo volto, spostandosi leggermente sotto al braccio dell'uomo. Roteò su se stessa, mentre Albert avanzava tentando di rallentare quella corsa verso il suo obiettivo. Anne Redfox alzò le mani, afferrò il braccio di quell'uomo e lo tiro in avanti, facendo leva con la spalla destra. Questi si ritrovò a terra dopo un rapido capitombolo che lo fece finire pancia all'aria a qualche metro di distanza. La donna mosse il pugnale scagliandosi verso di lui. Un suono tagliente, affilato trapassò l'aria mentre l'arma si muoveva verso il collo indifeso di Albert. All'ultimo secondo, però, l’uomo fu in grado di spostarsi rotolando su se stesso, mentre il pugnale si conficcava nel pavimento fatto di assi di legno della locanda.
    L'uomo si rialzò in fretta, ma Anne Redfox continuava a pressarlo. Mentre lui tentava di pararsi, lei riuscì a colpirlo in diversi punti: al fianco destro, al ginocchio e sopra la spalla. Barcollante, Albert si appoggiò al muro. Jacob osservava la scena. Per quanto odiasse quell'uomo, era incapace di intervenire. In qualche modo i ricordi lo legavano ancora a lui, per quanto spregevole si fosse rivelato. Mosse un leggero passo verso la zona dello scontro, ma si bloccò. Sollevò leggermente la mano, ma si fermò nuovamente. Qualcosa lo tratteneva, era allo stesso tempo terrorizzato e felice di vedere quell'uomo che pagava per quello che aveva fatto. E allora perché non interveniva? Aveva addirittura cercato di ucciderlo.
    La danza fra la volpe e l'uomo vestito di nero stava per giungere alla sua conclusione. Lei assestava un colpo dopo l'altro, evitando quelli di Albert e mettendolo sempre più alle strette. Di nuovo spalle al muro. Alla sua destra, la porta della locanda. Anne si rese conto del piano di quell'uomo: voleva fuggire. Estrasse un altro pugnale, fulminea. Lo scagliò verso il suo obiettivo, ma l'uomo aveva sfruttato quel secondo di tempo per aprire la porta e uscire all'esterno. La lama tagliò la spalla di Albert, che riuscì comunque a fuggire, chiudendo la porta dietro di sé. Il pugnale rimase conficcato nel muro, un rivolo di sangue che scorreva dalla lama lungo la parete, arrivando poco per volta fino al pavimento. “Tsk, è riuscito a cavarsela, è più intelligente di quanto pensassi... Temo di essermi fatta prendere troppo la mano in ogni caso, avrei dovuto farlo fuori immediatamente” disse Anne, mentre andava a recuperare la sua arma. Non ottenne risposta dal cacciatore, che fissava il punto da cui Albert era uscito. Gli si avvicinò, dopo aver ripreso l'ultimo pugnale, quello conficcato nelle assi del pavimento. Jacob riuscì finalmente a parlare: “scusa io... Io non sono riuscito a intervenire, non sapevo... Non sapevo cosa fare...”.
    “Non importa, ha preso una bella batosta, per un po' non si farà vedere... È strano, era quasi come se il mio istinto mi dicesse di eliminarlo per qualche motivo, a prescindere dal tuo rapporto con lui” fu la risposta della donna, che stava fissando oltre la spalla di Jacob, attraverso la finestra, in direzione di Heaven's Feel. Il cacciatore si mosse in direzione del bancone, dove poggiò entrambe le mani. Rovesciò la testa all'indietro, traendo un profondo respiro. Espirò mentre l'abbassava. Che anche lei facesse parte del loro mondo? Se sì, come? Era un sospetto che aveva da un po': le orecchie, la coda, il suo aspetto, quella sensazione di famigliarità che provava ogni volta che si trovava in sua presenza. Ma forse era meglio evitare di parlarne, almeno per il momento.
    “Molte persone lo odiano, altrettante lo vorrebbero morto, non c'è da meravigliarsi che per te sia lo stesso” rispose lui, con voce bassa e profonda. Proprio in quell'istante, però, la porta della locanda si aprì. Sia Jacob che Anne Redfox si voltarono di scatto, convinti che Albert Blackthorn fosse già di ritorno, pronto a vendicarsi. Ma al suo posto comparvero un ragazzo e una ragazza, dallo sguardo un po' confuso e, agli occhi del cacciatore, palesemente di un'altra città. Lei aveva lunghi capelli azzurri, lui con capelli castani e il fisico leggermente in risalto grazie agli abiti che indossava, che parevano risaltare le forme del corpo come fanno i vestiti di una taglia inferiore a quella dovuta. Entrarono nel salone principale, dove stavano la volpe e il cacciatore, attoniti.
    La ragazza fu la prima a parlare, dicendo una cosa alquanto strana: “certo che c'è stato un bel trambusto, anche se devo ammettere che il tuo istinto omicida mi ha un po' spaventata”. Mentre parlava guardava Anne e camminava verso di loro. La volpe iniziò a rispondere, ma venne completamente ignorata. La giovane ragazza si avvicinò al cacciatore, prendendo le mani di lui fra le sue. Dopo averlo fissato per qualche istante, disse: “tu sei ancora innamorato, posso sentirlo chiaramente; ma hai anche tanta paura, e penso sia comprensibile. Credo che l'unica cosa che tu possa fare ora sia lasciare andare tutto questo, l'odio di quell'uomo non potrà che farti del male, soprattutto se continuerai ancora a cercarlo... Potrebbe addirittura ucciderti”. Jacob, sconvolto, non seppe cosa dire. Come poteva quella ragazzina sconosciuta capire quello che stava provando? Lo capiva dallo sguardo, dai suoi occhi, dal tono con cui lo diceva. Lei sapeva esattamente quali erano i suoi sentimenti verso Albert.
    Kuniko si avvicinò, schiarendosi la voce per attirare l'attenzione. “Innanzitutto vi chiedo scusa, Satomi si dimentica spesso come ci si comporta e si lascia prendere dall'entusiasmo. Io sono Kuniko” e mentre diceva il suo nome notò gli sguardi straniti dei suoi due nuovi interlocutori – spazientito, decise di tagliare corto: “lunga storia! Lasciate perdere... Devo dirvi che lei è empatica, so benissimo che alle volte questa sua qualità possa essere piuttosto fastidiosa, vi chiedo scusa per questo!”.
    Satomi arrossì, scusandosi a sua volta. Anne e Jacob si guardarono, ma fu lei fra i due la prima a rispondere: “credo che serva un po' di più che un paio di parole per spiegare questo vostro arrivo – empatia? Quindi sente tutto ciò che proviamo?”
    “Sì, tutto quanto. E non solo ciò che provate voi due, ma anche quello che provano tutte le altre persone di questa città. Ho avvertito questo posto da molto lontano, qui c'è un vero e proprio conglomerato di emozioni rinchiuse e represse, come se qualcosa o qualcuno le tenesse bloccate...” iniziò a spiegare Satomi, indicando con il dito Heaven's Feel, per la seconda volta in quella giornata. “Lì c'è la più alta concentrazione di sofferenza, e so che quell'uomo si sta dirigendo proprio in quella costruzione, avverto la sua furia.”. Jacob si riprese dallo stupore e fu in grado di rispondere a quanto appena detto: “dobbiamo fermarlo...”. Sapeva benissimo cosa stava per accadere, ora che tutti i ricordi erano tornati a galla e lo avevano ferito nel suo orgoglio.
    La ragazza gli rivolse un sorriso, e continuò, questa volta rivolta ad Anne Redfox: “sento che tu sei collegata a quell'uomo misterioso, sento la forza che ti attrae a lui, la voglia di eliminarlo, come se ti volessi vendicare di qualcosa, senza sapere esattamente di cosa si tratti...” - mentre parlava, la ragazza chiuse gli occhi, come se stesse cercando di sentire meglio. Lungi dall'essere intimidita da tale commento, Anne rispose con il solito tono tagliente: “non stai dicendo niente di nuovo, ma concordo con il mio amico qui presente, quell'uomo va fermato”. Satomi fece per replicare, ma a un certo punto si voltò verso il punto dove prima stava Kuniko. Il ragazzo era sparito. “Cosa – io non... Com'è possibile che io non l'abbia sentito uscire?”. Un istante dopo, la vista della giovane ragazza iniziò ad annebbiarsi. Jacob la prese prontamente, mentre si accasciava a terra svenuta. Strano, così all'improvviso. Anne Redfox, svelta di testa quanto nel muovere le sue armi, disse al cacciatore: “Rimani qui con lei, ho un brutto presentimento su questa storia... Seguirò quel ragazzo, anche se penso di sapere dove si stia dirigendo”. In cuor suo, sperava che tutte quelle seccature potessero trasformarsi in qualcosa di buono.
    Ma Jacob non aveva alcuna intenzione di fare quanto gli era appena stato detto - “Non ci penso proprio, se vai a Heaven's Feel io vengo con te! Sai che devo farlo, non puoi lasciarmi qui”. La donna capì che discutere era del tutto inutile, avrebbe solo fatto perdere tempo a entrambi. Per cui una volta sistemata la ragazza in una stanza al sicuro e aver chiuso la locanda, i due si avviarono di tutta fretta verso l'orfanotrofio.


    Capitolo 23 - Furia

    La tempesta che si era scatenata quella sera aveva spaventato parecchio Lucy. Non aveva mai visto un tempaccio simile, i vetri della sua stanza tremavano, scossi da tale violenza. Acqua, vento, pioggia. Eppure, ad un certo punto e così com'era iniziato all'improvviso, il temporale era sparito. La quiete era poi ritornata, lasciando spazio a gocce d'acqua fitte ma non eccessive, che con il passare dei minuti cessarono di ricadere sul parco del tutto. Lucy aveva abbandonato il suo amato libro di favole sul letto per andare a controllare la situazione al di fuori. Fra la pioggia scorse una figura scura. Si muoveva verso Heaven's Feel, con passi svelti, nervosi. Quella persona sembrava davvero furiosa, chiunque essa fosse. Quei modi le ricordarono il Signor Blackthorn, ma a causa della lontananza non riusciva a distinguere bene di chi si trattasse.
    All'improvviso la porta si aprì. Lucy si voltò di scatto, spaventata da quella visita improvvisa. Era Celestine, ma la ragazza si accorse subito che non era sola: con lei stava un ragazzo che non aveva mai visto primo. Prima ancora che la donna riuscisse a parlare, il giovane si fece avanti, presentandosi: “ciao! Ecco.... Ecco io, mi chiamo Vladimir e.... Sono quello che ti ha mandato la lettera”. Il suo imbarazzo era evidente e Lucy non poté fare a meno di sorridere. “Piacere di conoscerti! Mi chiamo Lucy, anche se credo che Celestine ti abbia già parlato di me!” rispose lei, abbracciandolo. Lui contraccambiò, era da tanto tempo che non riceveva l'affetto di qualcuno e la sensazione gli parve parecchio strana. Ma per qualche istante si lasciò invadere dal calore derivante da quell'abbraccio, senza sapere che anche Lucy stava provando lo stesso. Nemmeno lei era troppo abituata a gesti affettuosi e, diciamocelo, il Lupo non era certo famoso per gli abbracci, anzi!
    Celestine li lasciò tranquilli per qualche attimo, evitando di interromperli e dividerli. Tuttavia il tempo stringeva, non aveva la minima idea di cosa avesse intenzione di fare il Lupo, ma sapeva che la sua mossa successiva sarebbe stata portare la ragazza via da quell'orfanotrofio e lei non poteva farsi scappare un'occasione del genere. Fece un passo avanti, per dire con tono gentile: “mi spiace mettervi fretta, ma credo sia giunto il momento di andare... Lucy, preparati, credo che presto andremo via da Heaven's Feel”. Quelle parole colpirono la ragazza in modo inaspettato, lasciandola stupita. Andarsene dall'orfanotrofio? Lei? Per andare dove? La prima domanda che pose, però, riguardava qualcuno di cui aveva notato l'assenza: “dov'è finito il Lupo?”. Nonostante all'inizio lo avesse respinto e lo avesse anche addirittura odiato, dopo quella convivenza ristretta e l'episodio di Natale, sentiva che il loro legame era cresciuto. Tanto da farla sentire quasi incompleta senza quella bizzarra e arrogante creatura, come se una parte di sé fosse sparita all’improvviso.
    “Ci raggiungerà presto, non temere. Ci ha detto che aveva alcune faccende da sbrigare. Non ti preoccupare cara, ti spiegheremo lungo le scale, ma dobbiamo fare presto!” disse Celestine, che aveva nuovamente assunto la sua seconda identità. Come avrebbe fatto a raccontare tutto quanto a quella ragazza? Vladimir, vedendo l'indecisione di Lucy, la prese per mano, cercando di rassicurarla. Quel suo sorriso e quel piccolo gesto spazzarono via almeno in parte i dubbi che l'attanagliavano. Si guardò intorno, ma si rese conto di non avere nulla da prendere. Non aveva mai avuto nulla all'interno di Heaven's Feel, perché tutto ciò che le serviva le veniva fornito direttamente dai Signori Blackthorn. Tutto apparteneva a loro in quell'edificio, e pareva fosse così anche per le loro stesse vite.
    “Io sono rimasto rinchiuso qua dentro per molto meno tempo di te, senza vedere nessuno, in una stanza buia, e già non vedo l'ora di andarmene e tornare alla mia vita normale! Al tuo posto farei i salti di gioia sapendo che potrei lasciare per sempre questo luogo orribile” le disse Vladimir. Ma nessuno dei due capiva il vero problema. La sua esitazione non era tanto relativa al voler lasciare Heaven's Feel oppure no, su quello non aveva il minimo dubbio. Era da tanto tempo che desiderava vedere il mondo, ciò che stava al di fuori di quel vetro, voleva vedere altro, altre possibilità, voleva scoprire cosa significava vivere davvero e soprattutto cosa volesse dire vivere in base alle proprie decisioni. “Io... Io cosa farò fuori di qui? Non ho mai... Mai vissuto da sola, non so cosa ci sia la fuori...”.
    Questa volta fu Celestine a parlare, gentile ma decisa. Si avvicinò a lei e a Vladimir, ancora l'uno accanto all'altra, dopo di che disse: “Non sarai sola, mia cara. Ci saremo noi! E vedrai, il mondo fuori da qui è enorme! E ci sarà qualcuno di molto speciale assieme a te, puoi starne certa! Credo sia giunto il momento di ritrovare la tua famiglia”. Non riuscì a trattenersi, non era giusto mentirle ancora. E in ogni caso aveva già raccontato tutto al Lupo, lei lo avrebbe scoperto di lì a poco. Vide gli occhi della fanciulla illuminarsi, a metà fra stupore e gioia. Incredula, chiese a Celestine di ripetere quanto aveva appena detto. Una volta che lei ebbe confermato l'effettiva presenza ed esistenza della sua famiglia, la giovane non seppe cosa dire. Ma quel momento di felicità non era destinato a durare a lungo. Un fortissimo rumore, quasi simile a un'esplosione, interruppe la loro conversazione. Il pavimento tremò dopo quel colpo. Tutti e tre si guardarono stupiti, ma solo Celestine capì cos'era stato: il Lupo era entrato in azione. “Forza! Non c'è tempo da perdere! Avviamoci verso l'uscita!” Disse mostrando la via ai due giovani. Ma quando loro uscirono dalla stanza, decise di trattenersi un istante in più. Raggiunse il letto e prese il libro. Lo stesso volume che aveva regalato a Lucy tempo prima.
    Corsero per le scale, mentre tutte le porte del dormitorio femminile si aprivano e le varie ragazze si affacciavano nei corridoi per capire cosa fosse quel trambusto. Ci vollero alcuni minuti prima di giungere al fondo delle scale, ma quando arrivarono al piano in cui si trovava la stanza dei Signori Blackthorn videro la causa del rumore che avevano sentito poco prima. La porta di legno massiccio che nessun abitante di Heaven's Feel aveva mai osato varcare era stata abbattuta. C'erano schegge di legno dappertutto, mentre parte del muro su cui stavano i cardini di quel portone erano incrinati, anch'essi danneggiati dal colpo subito. Un altro colpo simile al precedente e di nuovo l'orfanotrofio tremò. Cosa – o chi – poteva essere la causa di quei danni?
    Lucy ebbe un forte presentimento. Conosceva solo una creatura in grado di causare tanti guai, e soprattutto che avesse una forza simile. Perché il Lupo si era scatenato in questo modo? La ragazza si mise a correre, entrando velocemente nella stanza ormai quasi del tutto distrutta. Celestine e Vladimir provarono a fermarla, ma non furono abbastanza veloci. Quando entrò, Lucy vide due persone l'una di fronte all'altra. Il Lupo stava fronteggiando niente meno che Elizabeth Blackthorn. La creatura stava al centro delle macerie e di quanto rimaneva di quella grossa libreria. Pagine e carta erano sparse ovunque. Ma il Lupo sentì arrivare la ragazza, motivo per il quale si rivolse subito a lei: “vedo che ce l'hai fatta a uscire da quel buco finalmente! Quanto volevi aspettare ancora? Per fortuna ci sono io, do una sistemata a questa simpaticona e vi raggiungo, non preoccuparti...”. Non riuscì a finire la frase, perché la giovane gli era corsa incontro, per abbracciarla.
    “Certo che sei proprio sciocca, cosa ti viene in mente?”
    “Credevo che mi avessi abbandonata! O che fossi in pericolo!” disse Lucy, quasi piangendo.
    “Pfffft! Ci vuole ben altro per farmi fuori! Per chi mi hai presa, scusa?” Rispose il Lupo spavaldo.
    Nel frattempo, però, Elizabeth Blackthorn si era ripresa dall'assalto a sorpresa di quella creatura dalle orecchie da Lupo. Il colpo che aveva subito era stato parecchio forte. Mentre si rialzava, la sua avversaria la guardò stupita: “ti sei rialzata così facilmente? Sei un osso duro allora!”. Ma qualcosa nello sguardo di lei la mise in guardia. In pochi istanti la mano destra della donna si era trasformata in un'arma da fuoco. Il Lupo, rapido, prese in braccio Lucy scattando all'indietro. Balzando a destra e a sinistra riuscì a evitare la scarica di proiettili. Un colpo più pericoloso, però, esplose poco vicino a loro, mentre erano ancora in aria e stavano per atterrare. Colta di sorpresa, il Lupo si voltò per proteggere la fanciulla con il proprio corpo e vennero entrambe sbalzate via. Atterrarono con svariati capitomboli al centro dell'ingresso di Heaven's Feel.
    Vladimir e Celestine, spaventati, accorsero per aiutarli. Il Lupo aveva tenuta stretta a se Lucy, che non aveva riportato alcun danno da quell'attacco. Entrambe si rialzarono, ma la creatura strinse i denti mentre si massaggiava il braccio sinistro. Aveva diverse ferite e l'arto probabilmente spezzato. “Tsk! Da dove ha tirato fuori tutte quelle armi quella?”. Mentre il gruppo si riuniva e cercava di aiutarla a riprendersi, Elizabeth Blackthorn era giunta al centro sulla scalinata che conduceva alle macerie della stanza che aveva condiviso fino a quel giorno con Albert. I suoi occhi erano spalancati, pieni di rabbia. I suoi arti ancora trasformati in armi. “Ti ammazzo!” urlò, puntandole di nuovo verso il gruppo. Quella scena era, per tutti e quattro, orripilante. Davanti a loro non stava un essere umano, ma qualcosa di completamente diverso e di molto più pericoloso: era a metà fra un androide e un’umana.
    Il Lupo si mise davanti agli altri, il braccio che pendeva inerme sul fianco. Vladimir, Lucy e Celestine erano le une abbracciate all'altro, come per proteggersi. O meglio, per trattenere la giovane che a tutti i costi sembrava avere intenzione di aiutare il Lupo. Sentirono di nuovo uno strano rumore, le armi erano cariche. La donna urlava verso di loro parole che ormai erano diventate incomprensibili. Qualcosa a proposito di un suo piano, che lei aveva mandato a monte e che non avrebbe potuto mai perdonarli, proprio ora che era a un passo dalla realizzazione della sua vendetta. Il Lupo scattò in avanti, era piuttosto veloce, con la sua forza sarebbe bastato un singolo colpo per mettere fuori gioco completamente la sua avversaria. I danni subiti, però, la rallentavano parecchio. Non avrebbe mai fatto in tempo, ma tanto valeva provare. Nella sua mente si affacciò il volto di Lucy, sorridente. Un secondo scatto. Era troppo tardi ormai.
    entre tentava di vincere quella corsa contro il tempo, accadde qualcosa. E non si trattava della pioggia di proiettili che si aspettava di ricevere. Elizabeth Blackthorn iniziò a contorcersi, come avesse subito gli effetti di una potente scossa. Ancora. E ancora. Dopo di che rimase immobile, il capo reclinato in avanti, le braccia lungo i fianchi. Senza muoversi. Senza parlare. Il Lupo si bloccò, senza proseguire, atterrando ai piedi della scalinata. Scioccata, non capì cosa stesse succedendo, e lo stesso valeva per i tre dietro di lei.
    Nessuno di loro si era accorto che il portone principale si era aperto e che da lì era entrato un ragazzo, sconosciuto e mai visto prima. In mano aveva un dispositivo, i suoi vestiti erano bagnati a causa della pioggia. Respirava a fatica, probabilmente aveva corso per arrivare fino lì. Tutto ciò che i quattro già presenti nell'ingresso di Heaven's Feel sapevano era che era stato lui a bloccare quella donna e a salvare loro la vita, o almeno era quanto avevano immaginato. “A quanto pare sono arrivato giusto in tempo e prima di lui” disse Kuniko, fra un respiro affannato e l'altro. Il Lupo, che si era bloccato a metà strada e ormai pronto a combattere, rimase sull'attenti, indeciso se quello che aveva davanti fosse qualcuno di cui potersi fidare o un nuovo nemico.
    Il portone di Heaven's Feel si aprì di più. Ormai era spalancato. Albert Blackthorn era tornato. Mosse alcuni passi nell'enorme ingresso, il cui suono rimbombò lungo le pareti e l’enorme salone. Incredulo, guardò la sua stanza distrutta e quel gruppo di persone. La sua collera era senza precedenti, ma dentro di lui un nuovo sentimento stava prendendo piede in fretta: la paura. La vista della moglie immobile, però, suscitò in lui una strana sensazione: chi era quel ragazzo sconosciuto? Cosa stava accadendo nel suo orfanotrofio? Nel suo regno?


    Capitolo 24 - Crollo e rinascita

    Albert Blackthorn mosse alcuni passi incerti nel salone d'ingresso di Heaven's Feel, spostando il suo sguardo più volte dalle macerie di quella che una volta era stata la sua ex stanza, a sua moglie immobile sopra le scale, al gruppo al centro di esso che lo guardava. Barcollava, l'abito era sporco di sangue da un lato, anche se la maggior parte era stato lavato via dalla pioggia. Il Lupo si fece avanti, mettendosi accanto a Lucy. “Proprio te cercavo, tua moglie era un vero osso duro sai?” disse lei, con fare ironico. “A questo punto credo proprio che tu sia in debito con noi, anzi, con questo ragazzo qui presente... Quella donna ti avrebbe fatto fuori in meno di due secondi, anzi credo stesse programmando la tua morte da un bel po' di tempo mister prediche sulla morale” concluse, sempre tenendo il braccio ferito con l'altra mano. Il dolore non accennava a diminuire.
    Lucy non sapeva cosa dire, sapeva solo che in quel momento non aveva alcuna paura del Signor Blachthorn. Il Lupo era con lei. Vladimir era con lei e c'era anche Celestine. Se ne sarebbe andata da quel luogo, non avrebbe potuto impedirlo. Sulle scale, una folla di ragazzi, ragazze e domestici si stava radunando per sapere cos'era accaduto. Videro la Signora Blackthorn immobile, la stanza distrutta, le macerie e le rovine sparse in giro per il salone. Il Signor Blackthorn sanguinante e quel gruppo alquanto bizzarro di persone riunite lì al centro. Si guardarono tutti, per alcuni istanti. Alcuni si presero per mano, altri si strinsero l'uno all'altro, o l'una all'altro o ancora l'una all'altra. Una delle vetrate dell'ingresso si era distrutta durante i colpi sferrati dal Lupo. Attraverso i vetri spaccati, piccoli e sottili raggi di sole filtravano nell'orfanotrofio. Il temporale era finito. Questa volta, per sempre.
    Iniziarono a correre, tutti assieme, saltando i resti della porta, le parti di muro crollate a terra, i vetri. Evitando la Signora Blackthorn, che non disse nulla. Immobile, continuava a fissare il pavimento. Si accalcarono uno/a dopo l'altro/a, correndo per raggiungere l'uscita, per raggiungere quel portone ormai aperto e impossibile da chiudere. Non c'era più niente e nessuno a trattenerli. Albert Blackthorn li vide correre di fianco a lui, superarlo, un fiume in piena di persone che sfuggivano alla sua presa. Al suo sogno. Al suo controllo. Così come quel flusso di persone scorreva intorno a lui, le lacrime scendevano – per la prima volta dopo tanto tempo – sulle sue guance. In breve tempo l'ingresso rimase vuoto.
    Con gran sorpresa di tutti, fu Celestine a parlare per prima. “Albert, credo sia ora di lasciar andare tutto questo, una volta per tutte... Tutto questo odio non può continuare, tutta questa repressione... Guarda quel ragazzo, Albert” disse indicando Vladimir, impaurito di fronte all'uomo che lo aveva tenuto rinchiuso per così tanto tempo in quella stanza buia. “Cosa ti spaventa così tanto di lui? Perché ti spaventa? Sei un uomo pieno di paura, non solo di rancore e di odio, so benissimo cosa ti è accaduto, ma è successo anche a lui, l'unica differenza è che tu hai rifiutato l'aiuto delle persone che ti amavano”. Lucy continuava a guardarlo, quell'uomo ormai aveva perso tutto. Se l'era meritato? Eppure lei non riusciva a odiarlo pienamente, non riusciva a essere del tutto felice per quella sua sconfitta, per quella sua perdita e distruzione della prigione che opprimeva tutti quanti i ragazzi e tutte le ragazze rinchiusi/e a Heaven's Feel.
    Celestine si voltò, questa volta intenzionata a liberarsi una volta per tutte della sua seconda identità. Scambiò uno sguardo d'intesa con il Lupo, che capì subito cosa stava per accadere. “Lucy, credo sia giunto il tempo di confessarti la mia vera identità... Vedi, io ti ho dato quel libro non a caso, il Lupo non è uscito da lì per caso, e c'è un motivo se la tua famiglia non ha potuto raggiungerti qui e venire a recuperarti...”. La ragazza trattenne il respiro. Cosa stava dicendo? Anzi, cosa stava per rivelarle di tanto importante? Chi era la sua famiglia? Improvvisamente le vennero in mente le due lapidi che aveva visto durante il suo viaggio con il fantasma. Mentre pensava al peggio, sentì che qualcuno le prendeva la mano sinistra. Il Lupo era accanto a lei. Un istante dopo, qualcun altro le prese la mano destra, stringendola forte. Anche Vladimir non aveva intenzione di abbandonarla. Lucy sentì chiaramente che il ragazzo stava tremando, essere di fronte a quell'uomo, sentire e ricordare quanto gli era accaduto doveva spaventarlo molto. La ragazza ricambiò, stringendo quelle due mani amiche con altrettanta forza.
    “Il mio vero nome è Cenerentola, e provengo dallo stesso mondo del Lupo” disse a quel punto la donna. Incredula, Lucy si voltò verso la creatura al suo fianco, che annuì prima di aggiungere: “è una lunga storia, ma è così, ho avuto modo di accertarmi personalmente della verità di quanto sta dicendo. Siamo un po' cambiati rispetto alle descrizioni, ma proveniamo entrambi dallo stesso mondo, quelle delle favole, delle fiabe, da cui le persone hanno sempre attinto per raccontare le nostre (e le loro) storie”. La guardava fissa negli occhi, ma fu Cenerentola a parlare di nuovo, continuando quel racconto: “la tua famiglia non è sparita, è uscita da quello stesso mondo, con noi.... Il che vuol dire che...”
    “Anche tu sei parte di quel luogo, così lontano ma così reale, da cui tutti noi proveniamo”. Qualcuno aveva interrotto la donna, finendo la frase al posto suo. Lucy si voltò, verso il portone aperto di Heaven's Feel. Lì stava un uomo, in piedi, vestito con una camicia a quadri, con una folta barba e alti stivali. La guardava, quasi piangendo. Dietro di lui stava una donna con... Le orecchie da volpe? Guardò prima lei e poi il Lupo. Che anche lei...?
    “Sì, anche Anne proviene dallo stesso luogo da cui arrivo io” concluse Jacob, che aveva avuto modo di raccontare tutta la storia alla volpe durante il loro viaggio dalla locanda ad Heaven's Feel. Poco per volta, i ricordi della donna erano ritornati a galla, ricordava perfettamente di come, nella sua vita da volpe, fosse stata molto legata al cacciatore. Visitava la sua casa ogni giorno, erano molto amici, a differenza del Lupo. E si ricordava anche, finalmente, della stupenda bambina con cui viveva. E anche di quell'uomo, lo stesso che ora stava al centro dell'ingresso dell'orfanotrofio, lo stesso che aveva provato a uccidere il cacciatore, che aveva rinchiuso quella bambina all'interno di quel mostruoso edificio. Lui era il responsabile del cambiamento della sua storia. Lui l'aveva portata in quel mondo, assieme a Jacob, a Cenerentola. Ecco perché sentiva quel legame profondo con lui, perché sentiva di essere legata ad Albert Blackthorn. Il suo istinto, ancora una volta, aveva avuto ragione. Quell'uomo era il responsabile di quanto era accaduto e di tutti i cambiamenti che aveva subito la sua storia.
    Jacob si avvicinò con ampi passi verso Lucy. L'abbracciò. Non erano necessarie altre parole, lei aveva capito di chi si trattava. La sua famiglia era arrivata, e in quel momento, tutti quegli anni di abbandono, tutte le paure e la tristezza che aveva provato, sparirono in quel lungo abbraccio. Piansero, entrambi. E pianse anche il Lupo, nonostante il suo tentativo di nascondere le lacrime. La creatura si avvicinò a loro, dopo un po' di tempo: “Sappi che comunque ti odio, mio caro cacciatore, ti farò fuori appena ne avrò l'occasione”. L'uomo scoppiò in una fragorosa risata. Lo stesso fecero Lucy, Cenerentola e Vladimir.
    Albert Blackthorn li guardò. Senza saper cosa dire, senza proferire alcuna parola: lo stupore era tale da non permettergli di commentare ciò che stava vedendo. Ascoltò Jacob raccontare la loro storia. Di nuovo. Rivisse in quelle parole quanto aveva vissuto anni prima. Vide quella giovane ragazza guardarlo, spaventata. Lui era il suo papà. Tanto quanto lo era Jacob. Ma le cose terribili che aveva fatto non potevano essere cancellate. In alcun modo. Per la prima volta, Albert sentì il peso di tutti quegli anni, come se tutto Heaven’s Feel pesasse sulle sue spalle, schiacciandolo sempre di più al suolo. Lo sguardo di Lucy, nel quale rivedeva quello della sua innocente bambina, era forse ancora più pesante da sopportare. Il dolore al braccio sanguinante era sparito del tutto – o meglio, non lo avvertiva più. L’orfanotrofio era vuoto, il gruppo di persone continuava a guardarlo. Kuniko, estraneo a quei volti, fissò colui che aveva ritenuto il suo acerrimo nemico, l’ostacolo al progresso che aveva da sempre immaginato e sognato. Colui che non avrebbe mai tollerato la sua texture, che non aveva permesso l’evoluzione di centinaia di persone in quella città e nei paesi vicini. Guardò poi il gruppo con la ragazza dai capelli rosa, il Lupo, la Volpe e gli altri/e – in mezzo a loro, incrociò lo sguardo del ragazzo che stava con loro: capì, da quella singola occhiata, che il loro passato aveva parecchio in comune. Che forse, anche nella sua tanto sognata e desiderata città del futuro e del progresso, della tecnologia avanzata, storie come le loro non avessero del tutto cessato di esistere? C’era davvero differenza fra Albert Blackthorn e i tecnocrati che governavano la sua città? Kuniko sorrise, pensando a Satomi. Decise di spezzare il telecomando con il quale poteva controllare l’impianto del network e grazie al quale l’aveva spento: non avrebbe più impostato e controllato nessun’altra vita d’ora in avanti.
    Un fruscio improvviso. Una brezza leggera avvolse le persone nella stanza, avvolgendo il gruppo e Albert Blackthorn: fu così che il libro si aprì ancora una volta. Le sue pagine girarono una dopo l'altra, con un fruscio familiare a tutti quanti loro. La loro storia non si era conclusa, non ancora. Ma non avevano altro da fare in quel mondo fatto di dolore, fra quelle mura. Era tempo di tornare a casa, di lasciare quella sofferenza e di vivere tutti assieme, felici, in quel mondo in cui avrebbero proseguito e ripreso in mano la loro versione della loro storia. Ritornarono, quindi, di nuovo: Anne, Jacob, Lucy, il Lupo e Cenerentola. Tutti quanti loro potevano finalomente tornare a casa, alla loro grande famiglia, che ora si era senz’altro allargata ancora di più, si era fatta più numerosa e probabilmente più strana e felice. Lucy teneva stretta la mano del cacciatore: aveva così tanto da recuperare ora, così tanto da riscoprire e ritrovare. Ma una cosa era certa: aveva una famiglia, e per quanto distante, lontana e divisa dalla cattiveria e dai pregiudizi altrui, questa era riuscita a ritrovarla. Perché una vera famiglia non si perde mai, non si fa assoggettare a quanto gli altri dicono o pensano – è e sarà sempre vera per coloro che la vivono. E questo, è più che sufficiente a renderla tale. Sì, era giunto il momento di abbandonare Heaven's Feel una volta per tutte. Vladimir guardò quelle mura sparire, poco per volta, così come il volto dell’uomo che tanto lo aveva fatto soffrire e quello del ragazzo appena conosciuto. Ripensò per un istante al ricordo di Bryan e di quella notte: quel dolore sarebbe rimasto per sempre, come una serie di rovi spinosi che avvolgevano il suo cuore. Ma ora, era tempo di provare a trasformare quelle spine dolorose in fiori. Il vento avvolse tutta la stanza, diventando sempre più forte, per poi scemare poco a poco e placarsi.
    Quando Albert Blackthorn si alzò in piedi non c'era più nessuno. Heaven's Feel era vuoto. Camminò nell'ingresso. Da solo. Kuniko decise di lasciare lì la Signora Blackthorn – l’androide che aveva creato dal corpo della vera donna, morta in seguito ad un incidente anni e anni prima. Era stata l’occasione perfetta per eliminare il suo nemico: perfettamente umana, perfettamente macchina, perfettamente letale. No, doveva assolutamente tornare da Satomi, non poteva abbandonarla in quella locanda da sola. Aveva molte cose da dirle, da raccontarle – era sicuro che si fosse già svegliata e che, come al solito, avesse già trovato la strada per raggiungerlo. Non avrebbero trascorso un momento di più in quel luogo: era giunta l’ora, anche per loro, di trovare il posto giusto.
    Guardò quell'uomo: non provava disprezzo per lui, lo conosceva molto bene, l’androide che aveva creato e aveva messo al suo fianco era servito al suo scopo: studiare quella città, lui, portare la tecnologia in quel luogo arretrato, conservando i ricordi e la mente di un essere umano – era quanto di più reale avesse potuto creare, oltre ad averle ridonato la vita. Ma ora se n’era reso conto anche lui, il mondo era diverso. Lui era diverso. Manipolare non era il modo giusto per vivere. Kuniko lasciò quel luogo che iniziava a scricchiolare pericolosamente. Alcuni pezzi di intonaco si stavano staccando dal soffitto, cadendo rumorosamente sul pavimento. Heaven's Feel stava crollando. Quando Kuniko chiuse il cancello di quel parco dietro di sé, di quel luogo di prigionia non restavano altro che macerie e un enorme polverone. Di Albert Blackthorn non c’era più alcuna traccia. Si era salvato? O aveva deciso di morire schiacciato dal peso del dolore provato e inferto durante tutta la sua vita? Poco prima di allontanarsi, però, Kuniko intravide qualcosa tra gli alberi: una specie di sprazzo di luce rossa. Che fosse dovuto al crollo delle macerie? Forse. O forse no. Lui, quel luogo, e tantissime altre persone erano ora libere: nessuno poteva più minacciare le loro esistenze. Esistenze che, in qualche modo, erano e saranno sempre tutte legate, congiunte, l’una all’altra. Perché il dolore e le esperienze che viviamo potranno sempre essere condivise con gli altri, per imparare, per raccontare, per (ri)unire.
    Quando Satomi riaprì gli occhi, accanto a lei vide Kuniko. Il sogno che aveva fatto era stato terribile. La testa le girava, si sentiva debole. Non riusciva a distinguere fra sogno e realtà. Sentiva solo una cosa. Il senso di colpa. Per cosa? Le ci vollero alcuni istanti per realizzare che non si trattava del suo. Non stava sentendo quello che provava lei, ma quello che sentiva una persona vicina: Kuniko. “Ehi” le disse, mentre Satomi si alzava dal letto. Un'esplosione di emozioni, ecco cos'era accaduto durante quel sogno. Guardò fuori dalla finestra della locanda. Si alzò, per andare ad aprirla. Guardò in direzione di Heaven's Feel. L'orfanotrofio non c'era più. Tutte le emozioni si erano liberate, una volta per tutte. Nessuna prigionia. Una nuova e grande quantità di emozioni e di piccole vite correva intorno a lei. Le avvertiva chiaramente ora, non poteva evitarlo, era impossibile. Quell'esplosione di vitalità era impareggiabile. Finalmente quell'incubo era finito. Una volta per tutte.


    FINE.

     
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    Che dire? È stata una lunga e piacevole lettura, tanto che una volta giunta alla sua fine non si sa bene cosa provare. Una vicenda che parte da personaggi sparsi tra terre diverse e lontani tra loro, ma le cui storie inizialmente separate si vanno a intrecciare, fino a diventare autentiche «esistenze congiunte». Il finale è liberatorio, lieto, ma rimane quel senso di malinconia, di "non è tutto a posto" per quella figura che fino alla fine non riesce ad accettare sé stesso e che pertanto rimane un'esistenza solitaria, incapace di ricongiungersi agli altri, di unirsi a loro nella felicità. Unico neo: ho trovato qualche personaggio un po' sacrificato nel finale, come Elizabeth Blackthorn, ma anche Anne Redfox.
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