[CONCLUSA] Prima della scatola: Transistoria

Narrazione privata

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    Dopo aver bevuto, obbedienti, il caffè, Hiroshi, Kasumi e Haiiro si disposero per ascoltare un'altra storia. I tre avevano decisi, spinti da motivazioni che neanche loro ben comprendevano, di raccontarsi una storia a vicenda. Stavolta, dopo il racconto di Kasumi, toccava a Hiroshi. Ma la prima a prendere parola, con un tono piano da cui traspariva comunque una certa insidia, fu Kasumi.
    Spero che, con la scusa che tu non agisci mai in prima persona nelle vicende, non cerchi di rifilarci una storia banale o in cui non compari nemmeno. Come hai detto tu stesso, il racconto deve riguardare una vicenda vissuta in prima persona. Immagino che tu non voglia trasgredire le regole da te stesso decise...
    Ehi Kasumi, mia dolce sorellina, quando mai io ho tradito la parola data? Con un sorriso sornione e per nulla intimorito dalle parole della sorella, Hiroshi espose le sue argomentazioni. Non ti preoccupare, narrerò solo ciò che ho vissuto sulla mia pelle... solo, non è detto che io sia il protagonista di tale storia.
    E ti pareva se non se ne usciva con un sofisma del genere!
    Era facile aspettarselo, Kasumi. Intervenne Haiiro. Sai com'è fatto...
    Esatto Haiiro! Piuttosto che essere protagonista, preferisco impersonare un qualche comprimario qualsiasi. Tra l'altro, non è raro che nei sondaggi di popolarità un personaggio secondario superi il protagonista.
    Uff...
    Comunque, Kasumi, non hai del tutto torto, perché l'introduzione con cui partirò non riguarda me, ma solo il personaggio che è l'autentico protagonista di questa storia. Non posso narrarvi la sua vicenda senza svelare la sua anormalità, ma visto che ho il suo permesso, non dovrebbe essere un problema. In quanto al suo nome, visto che abbiamo deciso di mascherarlo sotto uno pseudonimo, in questa storia lo denominerò... il Merovingio, sì!
    Il mero... che?!
    Il Merovingio. Sembra fosse il cognome di un'antica dinastia regale europea, ma il motivo per cui l'ho scelto è un altro. È una specie di citazione, che è collegata a quanto l'anormale da me conosciuto poteva fare, ma allo stesso tempo è abbastanza lontana da non apparire automatica.
    Ma ora bando alle cianche e cominciamo! Per introdurre la mia introduzione, dire che non c'è niente di meglio di una bella domanda.
    Haiiro, Kasumi, ditemi... voi sapete cos'è una porta?
     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    Come per lo scorso capitolo di "Prima della scatola", il racconto è qui compiuto da Hiroshi in prima persona. Eventuali commenti al racconto da parte di Kasumi e/o Haiiro saranno riportati tra parentesti quadre [esempio]

    Voi... sapete cos'è una porta?

    Ovviamente lo sapete. Ogni persona ha incontrato nella sua vita un numero immenso di porte.
    Di legno, di plastica, d'acciaio, di vetro, laminate, blindate, laccate... e poi porte d'esterno, d'interno, d'emergenza, di servizio... Insomma, a contarle non si finisce più.

    Eppure tutte queste vengono chiamate 'porte'.

    Cos'è che le accomuna?

    Facile, come dice il nome, le porte 'portano' da qualche parte.
    In pratica, sono luoghi di transizione, da un posto all'altra.

    Dopo aver attraversato una porta, ci si trova in un posto diverso.
    Superata la porta del bagno ci si trova in bagno, mentre prima si era in corridoio.

    Ma ecco che sorge una nuova caratteristica: le porte sono luoghi di demarcazione.
    Delimitano lo spazio e lo distinguono: prima della porta corridoio, dopo la porta bagno.

    Ma delimitare e demarcare significano dividere.
    Le porte dividono lo spazio fisico; di più, creano un diverso ordine spaziale.

    Prendi una stanza, unita, unica. Mettici una porta a dividerla. Lo spazio unico non esiste più: ora hai due stanze distinte.
    Ciò che prima era uno, adesso è due. L'uno si è quindi scisso in due?

    La risposta è no, l'uno è svanito, non c'è più, come se non fosse mai esistito. Una persona che non ha mai visto le due stanze prima che mettessero la porta, non immaginerà mai che una volta fossero state una.
    Lo spazio fisico è cambiato, mutato, è diverso.
    L'ordine del reale non è più lo stesso.

    Ma cosa collega ora le due stanze?

    È forse la vicinanza?

    Oppure la compresenza nella medesima struttura?

    Entrambe le risposte sono sbagliate.

    Ciò che collega quei due diversi spazi fisici, che non hanno niente se non una cosa in comune, non è altro che la porta.

    Senza la porta, le due stanze non avrebbero nulla in comune. Sarebbero due spazi separati, distinti, inconciliabile, totalmente altri. Solo perché esiste quel luogo di transizione chiamato porta, essi sono collegati l'uno con l'altro.



    Ma facciamo un passo indietro.

    C'è un'altra caratteristica, anzi due, che uniscono molte porte.

    Una serratura e una chiave.

    *Click*



    Per aprire e per chiudere, le porte possono essere dotate di serratura e chiave.

    Ovviamente, esistono un'infinità di porte che non hanno serratura e chiave. Però allo stesso tempo esistono un'infinità di porte che ne dispongono.

    Questa storia parla appunto di questa seconda categoria di porte.

    *Clack*



    Se la porta è il tramite per passare da un luogo ad un altro, la serratura è il modo per sigillare tale passaggio e la chiave è ciò regola questo passaggio.
    Chi possiede la chiave può decidere se permettere il passaggio.

    *Click*



    In pratica, la chiave rende padroni della porta e la porta rende padroni del punto di transizione tra gli spazi diversi.

    Ma una chiave può aprire una e una sola serratura. Può aver potere solo su quell'unico luogo di transizione.

    È così che l'equilibrio tra lo spazio viene mantenuto.

    *Clack*



    Ma a forzare questo equilibrio c'è lui.

    *Click*



    Lui che, sbilanciando i piatti della bilancia, dà alle chiavi un potere che a esse non è concesso. Il potere della supremazia sulle serrature.

    Ogni chiave da lui posseduta può essere inserita in ogni buco della serratura e aprirlo.

    Forme, dimensione, materiale... niente di questo conta. Potrebbe inserire il Keyblade di Sora nella porta rimpicciolita di Alice e girarlo senza alcun problema.

    *Clack*



    Può aprire ogni serratura con ogni tipo di chiave. Questo è il suo potere.

    Un potere perfetto per un ladro, direte voi? Oppure lo considererete un potere sostanzialmente inutile, di fronte a molti altri più appariscenti?

    Sbagliato, perché ancora non avete visto la vera natura della sua anormalità.

    *Click*



    Lui forza l'equilibrio tra serratura e chiave a favore della chiave.

    Ma lo forza troppo.

    *Clack*



    Se la porta è il luogo di transizione tra due luoghi che, a parte la porta, non hanno nulla in comune, se la serratura è ciò che controlla la porta e se la chiave prende il sopravvento sulla serratura, allora cosa succede?

    *Click*



    Già, la porta non conduce più al suo normale luogo di transizione.

    La porta ora conduce al luogo che la chiave schiude.

    *Clack*



    La porta stessa perde ogni importanza, è solo la chiave a contare.

    La chiave di casa, girata su qualsiasi porta, condurrà alla soglia di casa.

    La distanza non conta nulla, cento metri come mille chilometri, non fa differenza.

    Può essere dall'altra parte del mondo, ma se ha in mano la chiave giusta, può tornare in un attimo.

    Ogni porta si inchina alla chiave che lui impugna e devia la sua traiettoria, per connettere diversi spazi di transizione.

    Questo è il suo Hidden Lock, Tenere in mano la chiave per ogni dove.

    Questo è il suo potere.

    *Click*



    Ma dare supremazia alle chiave significa dipendere dalle chiavi.

    Distruggendo il potere della serratura è rimasto schiavo delle chiavi, poiché solo esse dischiudono il suo potere.

    *Clack*



    Eppure a lui non importa.

    Perché per lui contano solo quegli strani oggetti, tutti simili eppure diversi per forma e dimensione, capaci di dare accesso ai luoghi di transizione del mondo.

    *Click*



    Questa è la sua storia
    È una storia di chiavi, porte e serrature.
    È una storia di passaggio e transizione da un luogo all'altro, sempre tenendo in mano quelle piccole forme.
    Questa, è la sua transistoria.

    *Clack*



    Edited by Tabris_17 - 26/6/2015, 01:55
     
    Top
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    Ma andiamo un po' per ordine, ripartendo dall'inizio.
    Lo incontrai la prima volta quando frequentavo il secondo anno, il primo semestre se non sbaglio. Anzi, non sbaglio: più o meno verso l'inizio del secondo semestre ebbi in gestione il locale dove ci troviamo ora. Poiché questo incontro avvenne prima, doveva essere il primo semestre.
    Dunque, frequentavo il primo semestre del secondo anno e, quando non dovevo lavorare o non avevo altro da fare, andavo anche a scuola. Di solito, non per frequentare le lezioni. Anche in questo caso stavo gironzolando per i corridori della scuola senza nessuna meta, quando fui chiamato da un altro studente.
    Ehi, scusa tu, potresti darmi una mano?
    Il tizio in questione reggeva non so quale ingombrante strumento chimico tra le braccia e sembrava trasportarlo con difficoltà. Attingendo alla mia innata e pressoché inestinguibile bontà d'animo [potresti saltare queste chiacchiere?], mi risolsi ad aiutarlo. Insieme portammo quello strumento e molti altri dentro una stanza. Al termine l'aula di chimica da cui provenivano le strumentazioni era praticamente svuotata, mentre l'altra stanza era piena: io mi sentivo come se avessi dato una mano a compiere un trasloco.

    Grazie, senza di te non so come avrei fatto. Pesavano un sacco quegli oggetti... Posso fare qualcosa per ricompensarti? Tipo offrirti un caffè. [Uh, era proprio una persona gentile disse Haiiro. Kasumi si limitò a guardarlo seccata]
    Grazie, ma non è necessario. Però in effetti c'è una cosa che vorrei tu facessi per me...
    Mi guardò, lievemente perplesso, ma rispose senza esitazioni, come se fosse la cosa più normale al mondo.
    Certo, cosa vuoi?
    Semplicemente che tu risponda a una domanda. La stanza in cui abbiamo stipato tutti quegli oggetti, da dove salta fuori?
    Lasciate che vi spieghi ora il motivo di quella mia domanda. Dovete sapere che la stanza dove avevamo portato tutti quei strumenti, era piuttosto anormale. O meglio, in sé sarebbe stata una normale stanza, lo strano però era se la si vedeva nell'insieme. Infatti il suo pavimento e le sue pareti erano del tutto diverse da quelle del corridoio della scuola da cui ci si accedeva e non somigliava affatto a un'aula scolastica. Dava piuttosto l'impressione che qualcuno avesse preso quella stanza da un altro edificio e l'avesse collocata là all'Hakoniwa, senza nessuna attenzione alla coerenza d'insieme. Quella mia prima impressione, come scoprii di lì a poco, non era del tutto sbagliata, ma non colpiva nemmeno nel segno.

    Ah, quindi l'hai notato... Mah, forse sarebbe stato strano pretendere il contrario. Però sei sicuro di volerlo sapere? Potrebbe scuotere la tua idea del mondo per come l'hai sempre concepito, fino a farti dubitare della tua sanità mentale.
    Diceva quelle parole con una singolare tranquillità, un po' come annunciare la fine del mondo con lo stesso tono con cui si parla del tempo che cambia. Mi fece una buffa impressione.
    Certo, perché no? È una cosa che mi interessa, quindi vorrei saperla.
    D'accordo. È molto semplice in realtà. Questa stanza si trova a circa 200 chilometri da dove siamo noi e normalmente non è collegata in nessun modo all'Hakoniwa. Vuoi sapere come ho fatto a raggiungerla? Nonostante l'avviso di poco fa di non chiedere altro, ora sembrava impaziente di rivelarmi tutto. Io non chiedevo di meglio.
    Sì, sono curioso di saperlo.
    Allora guarda.
    Chiuse la porta e tirò fuori la chiave.
    Ho fatto così: ho messo dentro la chiave – inserì la chiave che aveva appena tolto nella toppa della porta – e l'ho girata. Senza nessuno sforzo, fece girare la chiave nella serratura.
    Poi ho aperto la porta ed eccomi qui.
    Aprì la porta e, effettivamente, c'era di nuovo la stanza che avevo visto prima.
    Soddisfatto?
    In pratica, per "dimostrarmi" che la porta si trovava a 200 chilometri da lì, si era limitato a chiudere e aprire di nuovo la porta. Una persona normale probabilmente avrebbe pensato che, nonostante l'apparente incoerenza, quella stanza doveva davvero far parte della scuola e che quel tizio, coi suoi discorsi sui 200 chilometri di distanza, lo stava o prendendo in giro o era pazzo. A me invece sembrava ci fosse una certa soddisfazione nel suo mostrarsi così evidentemente, e artificiosamente, assurdo. Beh, ripensandoci lui faceva qualcosa di simile a quanto io faccio col mio locale: sbatto in faccia alla gente il fatto che i giocattoli sono vivi in modo così evidente che quelli non possono non pensare che io stia solo scherzando.
    Ma proprio perché è qualcosa che anch'io farei, non ci cascai come voleva lui.

    Non ancora. Potresti far provare a me?
    Una smorfia di disappunto attraversò il viso del mio interlocutore, ma come immaginavo non poteva rifiutare a quel punto.
    Certo. Chiuse la porta, girò la chiave e me la diede.
    Io provai a infilarla nella toppa, ma con mia più o meno grande sorpresa, quella non entrò nemmeno. Anzi, confrontando la chiave con la serratura era semplice verificare che erano dissimili sia per forma sia per dimensione.
    Non entra. Avete mai riflettuto su quanto sia bello constatare l'ovvio?
    Bisogna saperla fare entrare. Mi rispose in modo fin troppo lapidario, quasi seccato, come se volesse (e il congiuntivo qua è solo un educato eufemismo) evitare il discorso.
    Davvero? Prima però vorrei provare un'altra cosa.
    Senza provare a inserire la chiave o a girarla, aprii la porta. Quella si schiuse mostrando una normale aula scolastica, del tutto diverso dalla stanza che c'era prima.
    Che strano...
    Non è strano.
    A me sembra strano.
    Perché tu non comprendi.
    E allora spiegami.
    Ci vorrà un po' di tempo.
    Ne ho in abbondanza.
    Non devi andare a lezione?
    Non se non voglio.
    ...In che sezione sei?
    Tredicesima.

    Terminando quello strano botta-e-risposta, ci fissammo vicendevolmente ancora per qualche secondo, ma stavolta in silenzio.
    …Allora immagino che qualsiasi cosa ti dica, non ti sconvolgerà.
    E il Merovingio cominciò a parlarmi del suo potere.
     
    Top
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    Mi spiegò un po' quello che vi ho spiegato io prima, quando vi ho detto del suo potere. Solo che lo fece in modo assai diverso. Per darmi dimostrazioni del suo potere, spesso apriva una porta e mi portava a miglia di distanza. A volte ci trovavamo anche in altri continenti (era un assiduo viaggiatore e si portava a casa sempre qualche chiave come souvenir) e il cambio di fuso orario mi confondeva (non è così facile come appare passare con un passo da mezzogiorno a sera). Inoltre intervallava le sue spiegazioni con continui aneddoti dei suoi viaggi. Nel complesso era una persona di buona compagnia, per quanto fosse molto più bravo a parlare che ad ascoltare.
    Mi spiegò anche la teoria che stava alla base del suo potere: per lui le porte non collegano spazi vicini; le porte collegano e basta, sono punti di congiunzione slegati da qualsiasi vincolo spaziale, assoggettati solo al dominio delle chiavi. Trovava assurdo che le altre persone la pensassero diversamente e che non fossero capaci di fare quello che faceva lui. Secondo il suo punto di vista non era lui a poter fare qualcosa di straordinario, ma erano gli altri ad essere incapaci di fare qualcosa di ovvio.

    Finita la conversazione ci salutammo e ci separammo, non senza esserci prima scambiati i numeri di cellulare (per quanto, mi disse, lui non amasse quel mezzo di comunicazione). In seguito ci trovammo altre volte. Una volta venne anche al mio locale, quando l'avevo già avuto in gestione, durante il secondo semestre. Gli chiesi come facesse a procurarsi tutte quelle chiavi. Mi disse che aveva imparato a fare dei duplicati, anche se ci voleva del tempo. Così poteva ottenere copie di chiavi dei vari alberghi in cui risiedeva.
    E quando non hai il tempo necessario?
    Ricorro ad altri metodi. Si limitò a rispondere.
    Più tardi, quando lasciò il locale, scoprii che una delle chiavi era scomparsa. Così compresi qual era l'altro metodo di cui parlava. Da allora disponiamo di una sola chiave per accedere all'interno e all'appartamento di sopra[Allora è per questo! Altro che persa!].

    Ma, senza soffermarci su dettagli di poca importanza [Poca importanza un ca...], passiamo a quello che costituisce il fulcro di questa narrazione. Era una normale sera di chiusura al locale, tutti i clienti se n'erano andati, quando sentii una voce che arrivava non dall'ingresso, ma dalla porta che da accesso alle scale per il piano superiore. Pensai che fosse Kasumi, anzi mi sembrava che potesse essere solo lei, e invece no: mi ero dimenticato di lui, del suo potere e della chiave rubata. Annunciato da un tintinnio metallico, il Merovingio era lì.

    Ehi, salve Hiroshi! Come vanno gli affari?
    Scusi, potrebbe evitare di parlarmi così amichevolmente e stare quieto mentre chiamo la polizia? Gli replicai piuttosto freddamente.
    La polizia? Per un furto di chiavi?
    *E* per violazione di domicilio.
    Ma se questo è un locale pubblico!
    Ma è già stato chiuso. Inoltre la porta in cui lei si è intrufolato è quella che dà agli appartamenti di me e di mia sorella, quindi al nostro domicilio.
    Puoi smetterla con il “lei”? È fastidioso.
    Ok, va bene. Per cosa sei venuto qua? Ah, vuoi un caffè? Però devi pagare, te l'ho già offerto la volta scorsa.
    Va... va bene, lo pago da me.
    Mi guardò un attimo, studiando la mia espressione per capire quanto fossi serio.
    Certo che sei veloce a cambiare atteggiamento.
    Sono semplicemente scostante, mi stanco presto di uno scherzo del genere. E poi visto che paghi il caffè ti devo trattare alla stregua di un cliente, anche se saremmo già oltre l'orario di chiusura.
    Etica professionale?
    Qualcosa del genere.

    Gli portai i caffè (ne avevo preparato uno anche per me) e bevemmo in silenzio allo stesso tavolo. Lui ogni tanto giocherellava con i pupazzi, ma lo faceva distrattamente, come stesse pensando ad altro.
    Posata la tazzina ormai vuota, mi guardò (io stavo ancora bevendo la mia) e cominciò a parlare.
    Hiroshi... se sono venuto qua non è per bere il tuo, per altro discreto, caffè...
    Solo discreto?! L'onore del mio caffè mi imponeva una simile esternazione.
    Avendo viaggiato molto, ti posso assicurare che avere un discreto caffè è un risultato più che ottimo e bastante a farti risaltare sopra la maggior parte degli altri bar. Ma ti voglio parlare di un'altra cosa. Una faccenda in cui vorrei che tu mi aiutassi... anzi che mi assistessi.
    Già, il Merovingio con quella precisazione aveva colto nel segno. Dal mio punto di vista io più che aiutare assisto le persone, nel duplice significato del termine.
    Dimmi pure, se posso ti assisterò.
    Riguarda il mio potere...
    Fece una lunga pausa, tirando fuori allo stesso momento un mazzo di chiavi che si mise a... beh, il verbo giusto, per quanto appaia strano riferito a un mazzo di chiavi, è accarezzare. Accarezzava le sue chiavi, passando con amore, ma anche con evidente turbamento, le sue dita su quei suoi adorati pezzi di metallo.
    Mi serve la tua assistenza...
    L'aveva già detto, ma non commentai: in simili situazioni le persone hanno bisogno di tempo.
    Il mio potere... non riesco più a usare il mio potere come un tempo. Io... credo di aver paura della soglia.
     
    Top
    .
  5.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    La soglia. Andando a cercare questa parola nel dizionario, il primo significato è quello di “lastra di pietra, striscia di cemento o, più raramente, di legno che unisce al livello del pavimento gli stipiti di una porta o di altri vani d’ingresso”. Da qui è facile intuire come si sia sviluppato un ulteriore significato di “porta, entrata e ingresso”. Uscendo dal campo edilizio, la soglia ha assunto valore simbolico in espressioni come “soglia del dolore” oppure in ambito scientifico e tecnico “valori soglia”.
    La soglia, sia da punto di vista fisico che figurale, assurge a punto di ingresso, superato il quale si entra in un diverso campo. La soglia è un elemento di passaggio, anzi è l'ingresso, l'inizio, di questo passaggio, necessario da superare per raggiungere un certo traguardo. È l'inizio della transizione, il passo da compiere entro cui non si è più dove si era prima e si raggiunge un nuovo dove. Però il problema del Merovingio non riguardava l'inizio, lo “stare sulla soglia”, ma il suo attraversarla.
    Ma le sue parole, usate in quel frangente, sapranno meglio spiegare delle mie il motivo della sua afflizione.


    Paura della soglia... cosa intendi di preciso? Intendi che dopo aver attivato il tuo potere hai paura di varcare la porta?
    No, la paura non riguarda il momento prima di varcare la soglia, né quello dopo averla varcata. Riguarda il momento stesso in cui la sto attraversando, dopo essere partito, ma prima di esser arrivato. Quel momento di attraversamento, di transizione, in cui io non sono, propriamente, in nessun luogo.
    Sospirò tra sé con volto contrito : sembrava che qualcuno gli avesse prosciugato ogni enebluee [Perché mi guardi a quel modo?!]. Aveva comunque abbastanza presenza di spirito rimasta da accorgersi con un'occhiata alla mia faccia dubbiosa che io non avevo ancora compreso bene la suablueione.
    Facciamo un esempio pratico: un tuo cliente sta per entrare in questo locale. Prima di attraversare la porta, lui si trova all'esterno, dopo si trova all'interno. La domanda allora è: dove si trova quando sta ancora attraversando la porta? Quando si è già staccato dall'esterno, ma non è ancora giunto all'interno?
    Senza darmi tempo di rispondere, continuò il suo discorso, rispondendosi da solo. Una fatica in meno per me, suppongo.
    La realtà è che si trova in uno stato di passaggio, di transizione, in cui non è davvero in nessun luogo. E quello è il momento dov'è più vulnerabile. Per le persone normali, che ancorano il passaggio da un luogo all'altro alla vicinanza fisica, può non essere così. Limitando la loro possibilità di transizione ai luoghi contigui, esse si assicurano la sicurezza del passaggio. Ma per me, che riesco a intuire l'essenza delle porte e trascenderla, non è così facile. Ora, ogni volta che transito da un luogo all'altro, rischio di essere trascinato giù, in un non-luogo, senza poter giungere a destinazione, né tornare indietro.
    Uhm, credo di comprendere, almeno in parte.
    La cosa infatti aveva il suo senso, o meglio l'aveva se si considerava dal punto di vista del Merovingio, ma c'era un dettaglio che non mi tornava.
    Hai detto che *ora* temi la soglia e sei vulnerabile. E in passato? Perché era diverso? Era perché non avevi mai pensato al pericolo della soglia o è cambiato qualcos'altro in te?
    Hai toccato il punto giusto, Hiroshi. Sono sempre stato consapevole della condizione di non-luogo della transizione, ma non è mai stato un pericolo per me: era solo una momentanea fase per giungere alla destinazione. Questo, almeno, fino a due settimane fa.
    Da una delle sue tasche estrasse una chiave e la posò sul tavolo in bella vista.
    Guarda questa: l'ho trovata due settimane fa, per strada. Non so di chi fosse o verso che luogo portasse, ma... beh, mi conosci: l'ho subito presa su. Del resto vedi anche tu che aspetto particolare ha: è grossa, di metallo pesante, forse ferro o piombo. Più che una delle chiavi che usano oggigiorno, sembra quella di un antico maniero. Inoltre qua – mi indicò la barra metallica da cui si propagavano i denti della chiave – c'è una scritta. È piccola, ma sono riuscito a capire cosa c'è scritto: “attraverso la soglia”.
    Io fissai la chiave, cercando di imprimermi la sua forma nella mia mente.
    All'inizio non ne compresi bene il senso, ma volli provare a vedere dove conduceva. L'inserii in una toppa e girai la chiave. Ma, per la prima volta da che io abbia ricordi, la chiave non si girò. Non solo: provai un brivido freddo lungo il corpo, non so se fosse una mia reazione inconscia o qualcosa di diverso. Ma quel che so con sicurezza è che, quando provai col mio potere ad attraversare un'altra porta, con un'altra chiave, nel momento di transizione mi sentii come se qualcuno mi stesse afferrando la caviglia spingendomi giù, verso un baratro oscuro. E quella sensazione, da quando ho questa chiave, non ha fatto che aumentare.
    Sconsolato abbassò la testa, avvilito dal modo in cui non riusciva più a padroneggiare il suo potere. Io intanto riflettevo.
    Hai detto che non ti è mai capitato di non esser riuscito a girare una chiave, giusto? Ma cosa succede se la chiave non porta da nessuna parte? Se non è una vera chiave o se la serratura a cui era collegata non esiste più?
    In quel caso non riesco nemmeno a inserire la chiave – o presunta tale, giacché una chiave che non apre una serratura per me non è una chiave – nella serratura. Questa chiave, invece, sono riuscito a inserirla, ma non a girarla, come se non volesse aprirsi.
    Immagino che avrai già provato a disfarti di quella chiave, no?
    Lui mi fissò per un po', muto, prima di mormorare.
    No.
    No, e non ho intenzione di farlo. Se io, che collego le diverse porte attraverso le chiavi, ne abbandonassi una, è come se dessi le spalle a tutto ciò in cui ho creduto finora. Tradirei insieme le chiavi, il mio potere e me stesso. Non posso farlo, anche se tenerla significa rischiare di sprofondare nel nulla a ogni transizione.

    Capisco. Allora dobbiamo trovare un'altra via.
    Restammo per un certo periodo di tempo in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri.
    Tu quando apri un passaggio puoi far passare anche le altre persone per quella porta, giusto?
    Certo – disse quasi stupito dell'ingenuità della mia domanda – Tu stesso hai oltrepassato la soglia molte volte insieme a me, non ricordi?
    Già, giusto. Allora se io passassi una porta da te aperta proverei la tua stessa sensazione al passaggio tra la soglia?
    Non so, dovremmo provare...
    E allora facciamolo.


    E così facemmo. Il Merovingio estrasse una chiave dalle sue molte tasche e la fece girare sulla porta che dava all'esterno. Ma quando aprì la porta, questa non conduceva all'usuale esterno, ma in un altro luogo che pure mi era famigliare.
    Questa è l'Hakoniwa, giusto? Più precisamente la Babele fantasma.
    Esatto. Visto che è all'Hakoniwa che ci siamo incontrati la prima volta, non mi sembrava sbagliato.
    Detto questo attraversò la soglia. Dal mio punto di vista non successe nulla di strano, ma vidi che, dopo averla attraversava, traballava un po' sui suoi piedi. Senza perdermi d'animo, anch'io feci il passo che mi avrebbe portato all'Hakoniwa.
    La sensazione che provai, mentre mi trovavo in bilico tra il locale e la Babele fantasma, non è facile da descrivere. Provai un freddo che sembrava congelarmi le ossa ed ebbi la sensazione di trovarmi sospeso, quasi in una sensazione di stasi, tra due diversi mondi. Era come se tra i due luoghi non ci fosse solo la distanza della porta, ma si fosse spalancato un enorme abisso che voleva risucchiarmi a sé. Questo sperimentai, pur sapendo bene che dal punto di vista fisico non c'era nessun abisso.
    L'hai provato anche tu, vero?
    La voce del Merovingio mi raggiunse. Con sorpresa constatai che avevo oltrepassato la porta e mi trovavo all'Hakoniwa. Mi rilassai, ma qualcosa di quella spiacevole sensazione permaneva in me.
    Sì, l'ho provato anch'io... non è stato facile.
    Lui annuì, comprensivo.
    Lo so, è così da due settimane e diventa sempre peggio, man mano che cresce la mia riluttanza a usare il mio potere. Ormai non so che fare... Hiroshi, tu non hai qualcosa da suggerirmi?
    Il suo tono non era tanto di chi fa una domanda, ma di chi supplica. Ma io non sono certo un dio che può esaudire le suppliche dei suoi fedeli.
    Prima vorrei chiederti una cosa. Perché ti sei rivolto a me? Dovresti conoscere altre persone che sono in grado di aiutarti. Certi potrebbero anche avere delle anormalità in grado di darti maggiori informazioni o di intervenire in qualche modo. E allora perché proprio io? Oppure hai già chiesto aiuto a qualcun altro?
    Tu sei il primo, ma in effetti anch'io avevo pensato di rivolgermi ad altri. Le ragioni perché ho scelto te sono due: primo, credo che tu sia una persona ragionevole e di buon senso, in grado di analizzare la situazione in modo efficiente. Certo, trattandosi di anormalità, una cosa simile poteva non bastare...
    E la seconda?
    È semplice: a differenza di altri, tu non chiederesti mai nulla in cambio della tua assistenza.

    Aveva colto nel segno con entrambe le affermazioni. Soprattutto la seconda.
    Nel caso tu non potessi aiutarmi mi rivolgerei ad altre persone.
    Ok, allora un'ultima questione preliminare da affrontare. Hai detto che io sono una persona di buon senso, ma se lo fossi dovresti già sapere cosa ti suggerirei. “Smetti di usare il tuo potere. In tal modo non correresti più nessun pericolo. Si può vivere anche senza transitare tra le diverse porte in quel modo, anzi questo è ciò che fatto tutti all'infuori di te”.

    Lui mi guardò, immobile, soppesando le mie parole e il mio atteggiamento.
    Hiroshi, ho detto che sei una persona di buon senso, non una di senso comune. Sai bene che questo per me è impossibile e che preferirei precipitare nel nulla piuttosto. Inoltre, a differenza di altre persone, accetti questa come una mia decisione, senza darmi dello stupido dentro di te.
    A quel punto qualcosa nel suo sguardo cambiò, facendosi tagliente.
    Quindi smettila di tergiversare e dimmi ciò che mi devi dire!
    Prima ho detto che al Merovingio piaceva più parlare che ascoltare, ed era vero, ma ciò non significava che non fosse un attento osservatore. Anzi, in quell'occasione aveva colto giusto nel segno.
    D'accordo, ma dovevo almeno verificare la tua decisione prima di proseguire. Allora te lo dirò.
    Hai detto che la chiave che hai trovato due settimane fa è pesante, di foggia antica e con una scritta incisa sopra.

    Stavolta lo sguardo del Merovingio era perplesso.
    Esatto, proprio così. Guarda – tirò di nuovo fuori la chiave – puoi vederlo anche tu.
    Io guardai, di nuovo, e vidi ciò che avevo visto prima. La stessa identica cosa.
    Allora, come mi hai chiesto te lo dirò. Ciò che vedo io, non è una chiave antica. Io vedo una chiave come mille altre, di quelle moderne, di metallo leggero, piccola e senza nessuna scritta sopra. Una chiave anonima di qualche porta probabilmente altrettanto anonima.
    Questo, è ciò che si riflette nel mio sguardo. Di ciò che mi hai descritto tu... non c'è alcuna traccia.
     
    Top
    .
  6.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    Come il ragazzo che scopriva di essere l'unico a scorgere la lumaca. Come la ragazza quando capì che il serpente bianco non era altro che il suo riflesso, creato per autoinganno. Tale era l'espressione del Merovingio. Un misto di vacuo stupore e ostinata incredulità. Il desiderio di negare quanto sentito, la volontà di non accettare quelle parole e insieme il dubbio che strisciante avanzava.
    Che... che stai dicendo Hiroshi? Questo è...
    Io ti ho descritto ciò che vedo io, senza mentire. Può essere che sia io quello che vede male, questo è qualcosa che dobbiamo verificare.
    Mi guardò un attimo, ancora confuso, prima di annuire.
    Hai ragione. Comunque il fatto che vediamo due cose diverse è indiscutibile. Probabilmente si tratta di qualche anormalità, anche se è difficile capire di che tipo... Ma forse un modo c'è. Hiroshi, puoi provare a prendere la chiave?
    Certo.
    Afferrai la chiave e la sollevai, mostrando l'azione al Merovingio. Quello sbatté le palpebre e si strofinò gli occhi, come se vedesse qualcosa di strano.
    Ho un'idea, Hiroshi. Te la senti di attraversare un'altra porta?
    Ovviamente “attraversare un'altra porta” in quel contesto significava usare un passaggio aperto dal Merovingio e riprovare l'orribile sensazione di prima.
    Ho detto che ti assisterò e lo farò. Quindi sì, non c'è problema.
    Sorridendomi grato, tirò fuori un'altra chiave (ne portava sempre un sacco con sé, tanto che quando camminava potevi sentire il tintinnio metallico delle chiavi che sbattevano) e la girò. Oltrepassata la soglia (tacciò per brevità la sensazione già descritta che provai a quella transizione) ci trovammo in una stanza piena di fogli volanti, strumenti per disegnare e attrezzi da fabbro.

    Questa è una delle stanze in cui tengo gli strumenti per duplicare le chiavi. Ma quello che voglio fare ora è molto più semplice... Mi porse un foglio e una matita per disegno.
    Per ora basta che ricalchi la forma della chiave su quel foglio. Poi magari dovrò chiederti altre informazioni, ma intanto limitati a questo.
    Hai intenzione di ricreare la chiave che io vedo?
    Questa sarebbe l'idea. Se la chiave che tu vedi è quella reale, dopo averla ricreata dovrei poterla usare. Se invece la chiave non entra in una porta, vuol dire che quanto vedi non è reale.
    Chiedere ad altre persone cosa vedessero era troppo semplice?
    Anche se l'avessi fatto, non avrebbe risolto nulla. L'anormalità che c'è sopra potrebbe mostrare una falsa immagine a tutti tranne che a me. Inoltre, fabbricando una chiave, posso usarla col mio potere per spostarmi. Se funziona, ovviamente.
    Beh, non hai del tutto torto...
    Non lo dissi, ma sembrava che il Merovingio desse per scontato che c'entrasse un'anormalità. Ma se non lo dissi, fu perché anch'io lo pensavo: sembrava l'unica cosa logica. E invece le cose erano un po' diverse...
    Ricalcai la chiave e la consegnai al Merovingio. Pensavo che si sarebbe subito messo all'opera, ma dopo averla osservata rimase a lungo lì, fermo impalato, con espressione corrucciata. Anzi, più che corrucciata sembrava quasi spaventata.
    Alla fine, quando si riebbe, mi guardò dritto negli occhi. La sua faccia era più composta, ma conservava una preoccupazione nascosta.
    Hiroshi, sai dirmi se per caso l'impugnatura della chiave è scheggiata, con un graffio che va dall'alto va giù verso destra?
    Ora che me lo fai notare è così... ma tu come fai a saperlo?
    Mi sorrise, ma non c'era nulla di allegro nella sua espressione.
    Sono stato io a fare quel graffio, tanto tempo fa, quando ero ancora bambino. Allora non mi sbagliavo, l'ho pensato appena ho visto il tuo ricalco, ma ora ne sono sicuro. Questa è la chiave della casa dove vivevo coi miei genitori, prima che divorziassero.
    E hai capito perché la vedi in un'altra maniera?
    Forse... forse sì. Comunque, ti ringrazio per l'aiuto che mi hai dato.
    Non ho fatto nulla – e in effetti era vero – qualsiasi persona avrebbe potuto fare ciò che ho fatto.
    Forse, ma non è stato un altro, ma tu. Quindi ti voglio ringraziare.
    E ora, ti riporto a casa.

    Lo guardai, un po' confuso.
    Mi riporti a casa? Non hai più bisogno di assistenza? Non so cosa centri quella chiave, ma dubito che il tuo problema si sia risolto...
    Quello che hai fatto è più che sufficiente.
    Lo disse in tono composto, ma insieme inflessibile. Voleva dire di non immischiarsi oltre.
    Come vuoi tu.
    Aprì la porta, usando la chiave del mio locale e per una terza volta affrontammo il passaggio.

    Bene, credo sia giunto il momento di salutarci... Ora che aveva capito qualcosa, sembrava impaziente di andarsene. Eppure allo stesso tempo avevo l'impressione che fosse riluttante e sconfortato, come se la scoperta gli avesse tolto le forze: qualsiasi cosa avesse intuito, non lo metteva di buonumore.
    Aspetta, prima c'è una cosa che devo darti.
    Mi guardò interrogativo.
    Di cosa stai parlando?
    Ecco qua. Un buon caffè. Offro io.
    Sorrise, gli angoli della bocca che tremolavano titubanti.
    Non mi avevi detto che non mi avresti più offerto un altro caffè?
    L'avevo detto, ma se un mio amico fa una faccia del genere, non posso certo rimanere indifferente.
    Mi guardò un attimo, come per dire qualcosa, chiedermi che faccia stavo facendo, ma poi scosse la testa e accettò il caffè.
    Sapeva che non gli avrei chiesto nulla, ma sapeva anche che avrei ascoltato tutto quello che aveva da dire, se avesse parlato. E alla fine parlò. Ma il soggetto era diverso da quanto ci si potrebbe aspettare.
    Tu conosci Utada Hikaru?
    Certo, è una cantante. Ha cantato anche Beautiful World, la sigla finale dei primi due film del Rebuild of Evangelion. Non sono tipo da comprare album, ma da quanto ho avuto modo di ascoltare ha davvero una bella voce.
    Sai che dovrebbe sposarsi con un barman italiano?
    Davvero? Non ne sapevo nulla... Allora il Latin Lover è qualcosa che tira ancora?
    Ma chissà, io avevo l'impressione che un simile stereotipo stesse svanendo. A proposito di stereotipi, sai come la gente in giro per il mondo vede noi giapponesi?
    Da lì seguì un discorso casuale sui diversi argomenti. Era piacevole conversare così, senza preoccuparsi troppo di altro. Lo dovette pensare anche il Merovingio, che quando si alzò dal tavolo, finito il caffè, aveva un'espressione più rilassata e sembrava aver preso una decisione.
    Come immaginavo, niente più di una conversazione riesce a calmare e chiarire le idee. Hiroshi, domani è un giorno festivo e non devi lavorare, giusto?
    Esatto, è così.
    Ripensandoci, di certo aveva scelto quel giorno apposta, immaginando che le cose potessero andare per le lunghe e non volendo che ciò avesse ripercussioni sul mio lavoro. Anche se poteva non sembrare, era una persona che si preoccupava per gli altri.
    Allora che ne dici di dimenticare le mie parole di poco fa e di farti un giretto lungo una notte con me? Ti parlerò di tutto quello che devi sapere. Servirà anche a me, per comprendere meglio quello che devo fare. Non hai paura di passare una notte in bianco, vero?
    Sorrisi a quelle parole, ripensando a te, Haiiro. No, sapendo cosa devi affrontare tu, una notte in bianco non mi può spaventare.
    Cercherò di sopravvivere in qualche modo. Allora iniziamo?
    Certo. Preparati Hiroshi – disse estraendo un tintinnante mazzo di chiavi da una tasca della giacca – sta iniziando il nostro giro del mondo in diciotto chiavi.


    Edited by Tabris_17 - 19/7/2015, 17:42
     
    Top
    .
  7.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    Sono sicuro che il Merovingio parlò di diciotto chiavi, ma se furono davvero diciotto i luoghi che visitammo, questo non ve lo so dire. A un certo punto del viaggio mi accorsi di aver perso il conto dei luoghi attraverso cui eravamo passati. Del resto, se a volte il Merovingio si metteva a parlare della storia del luogo in cui ci trovavamo, così come delle abitudini dei suoi abitanti o altro ancora, altre mi lasciava totalmente all'oscuro di dove ci trovavamo. Inoltre, vuoi per la stanchezza accumulata, vuoi perché di solito a quell'ora io dormo, o forse per lo sballottamento dato dai continui cambi di fuso orario, non saprei darvi un quadro dettagliato del mio viaggio di quella notte, ma solo qualche impressione sparsa.

    Ricordo che la nostra prima meta fu una città dell'India: rimasi confuso dalla confusione di persone e di aromi diversi del bazar in cui spuntammo. Passeggiammo tra le strade trafficate del bazar, godendoci le urla della gente, la vivacità dei colori dei vestiti e gli aromi che si accavallavano tra di loro [ma come si fa a godersi strade affollate – pensò Haiiro – io non lo capirò mai], ma non comprammo nulla. Lì c'era ancora il sole, mentre in Giappone era già tramontato. Ma lo sapete che l'India ha un fuso orario particolare, quattro ore e mezza indietro rispetto a Tokyo?

    Il Merovingio girò un'altra chiave e ci trovammo in un villaggio tra le steppe della Russia. Faceva freddo lì e non ci fermammo molto. Però ricordo lo splendido paesaggio che vidi là, desolato e selvaggio, almeno all'apparenza. Ma so che anche in quella terra tanto dura piante, animali e uomini ce la mettono tutta per vivere.

    Camminammo per una città sulle rive del Mar Caspio (io ovviamente non avrei saputo dire che mare era, ma così mi riferì il Merovingio) e arrivammo al punto di toglierci le scarpe e muovere dei passi al di là del bagnasciuga. Ma l'acqua era fredda e desistemmo presto.

    Mi ricordo lo splendore dei minareti e delle cupole sopra le moschee. E fu uno spettacolo, inaspettato persino per il Merovingio, quando da esse un religioso (non conosco il termine esatto per indicarlo) chiamò i fedeli alla preghiera ed essi si inginocchiarono simultaneamente. Ma sotto sotto provai emozioni contrastanti.

    Fu poi la volta dell'Est Europa (non ricordo il nome dello stato, o forse il Merovingio non me l'ha neppure detto). Stavolta non ci fermammo in un solo luogo, ma ci spostammo, su uno scalcinato autobus, per il paese. Ci fermammo anche in un locale a mangiare, poiché il nostro viaggio durava già da parecchio e sentivamo i primi morsi della fame. Ordinai del coniglio. Quando l'ebbi mangiato, il Merovingio mi chiese se il gatto mi era piaciuto. Non so se stesse scherzando o fosse serio. Spero la prima, ma pensandoci razionalmente non ci sarebbe nulla di strano in un popolo che mangia i gatti.

    Eravamo in Africa: partimmo da una città per giungere a villaggi eretti con argilla e rami. Non ho mai visto bambini sorridere così tanto come laggiù. A noi, stranieri dall'aspetto tanto strano, ci offrirono una ciotola di riso. Ero pieno e volevo rifiutare, ma con un sorriso il Merovingio accettò la loro offerta. Era buono.

    All'ombra di antiche mura medievali ci sedemmo sui tavolini di un bar all'aperto. Accanto a noi c'erano nugoli di altre persone, la maggior parte giovani della nostra stessa età, che parlottavano nella loro lingua (non so quale fosse, ma non era inglese), talvolta gettandoci occhiate curiose. Il Merovingio ordinò una bevanda del posto, chiamata “sprizt”. Solo dopo averla portata alle labbra scoprii che era alcoolica. Sul momento non ero sicuro che mi piacesse, ma adesso vorrei assaggiarla di nuovo. Però non è molto fattibile come cosa.

    Forse fu a quel punto del viaggio che mi accorsi di una cosa strana, o almeno curiosa. Da noi era notte, ma lì c'era ancora il sole. Di più, avevo l'impressione che dall'inizio del viaggio fosse rimasto sempre più o meno nello stesso tragitto, senza alzarsi o calare troppo. Compresi allora (o forse era più tardi, non ricordo) che il Merovingio mi stava facendo viaggiare sempre verso ovest, impedendo che per noi il sole calasse. Ma se il suo fosse solo un capriccio o celasse altro, questo davvero non so.

    Eravamo in Inghilterra, o almeno credo, poiché parlavano in inglese. Come so che non fossimo in America? Semplice, altrimenti il sole sarebbe stato in una posizione diversa. Camminare per quella città affollata (non era Londra, ma era vicino a Londra. Questo mi ricordo disse il Merovingio), ascoltando i rumori della città e le voci della gente. È strano, per me l'inglese è una lingua straniera, ma anche la mia conoscenza elementare mi trasmetteva una certa famigliarità con le modulazioni di quella lingua, mentre negli altri luoghi mi ero sentito come se fossi sordo e muto. Lì, per la prima volta da che lasciammo il Giappone, non mi sentivo totalmente estraneo.

    Ci trovavamo in Spagna e avevamo di nuovo fame. Visto che ero ancora turbato dal piatto mangiato prima, quello che non sapevo se era coniglio o gatto, chiesi al Merovingio di ordinare al mio posto. Scelse per me un piatto chiamato “bolas de toro”. Solo dopo averlo mangiato mi diede la traduzione. Il piatto in sé non era agrodolce, ma la sensazione che mi diede, dopo aver saputo l'ingrediente, lo fu di sicuro.

    La prossima meta fu le Azzorre, prima di fare il grande salto verso le Americhe. Non parlammo molto là, ma camminammo in silenzio in riva al mare, anzi all'oceano. Credo che ricorderò per sempre l'azzurro chiaro di quelle acque.

    Recife, in Brasile. Per una volta ricordo bene il nome della città. Il Merovingio me ne parlò a lungo: mi disse di come sia la capitale di uno degli stati federali che compongono il Brasile, che è considerata la Venezia del Brasile per la moltitudine di fiumi e ponti che l'attraversano e mi parlò dei suoi monumenti. Non furono le sue solo parole, perché mentre passeggiavamo tra essa mi indicava i luoghi e me li spiegava.

    Si sente parlare spesso di baraccopoli, ma finché non le hai davanti agli occhi, non puoi capire. Né nel bene, né nel male. Perché in quei luoghi dove la miseria è la normalità e la legalità per come la intendiamo noi solo un miraggio, anche in quei luoghi i bambini parlano, giocano e sorridono. E muoiono. Come dappertutto.

    Dall'America Meridionale a quella Settentrionale. Una metropoli, con alti grattacieli di vetro e acciaio. Non che in Giappone manchino simile strutture, ciò che manca è piuttosto la varietà di persone, facce ed etnie che si muovono in essa. Lì non mi sentii uno straniero. Ma forse sarebbe più corretto dire che mi sentivo uno straniero tra stranieri.

    Sembra che i conquistadores distrussero la maggior parte delle città autoctone che si erano sviluppate prima del loro arrivo. Anch'essa fu devastato, ma nello stesso luogo risorse: antica capitale dell'impero azteco, è ora, sia pure con un altro nome, la capitale dello stato di cui porta il nome. Ma del lago che una volta la cingeva, ormai non rimane quasi nulla.

    Seattle fu la nostra ultima meta prima della fine del nostro viaggio. Otto ore la separano dal Giappone. Lì il sole si apprestava a tramontare, ma se avessimo attraversato la porta che ci conduceva a casa (e col Merovingio qualsiasi porta, con la giusta chiave, portava a casa), saremmo tornati nel momento in cui si leva il sole. Lì io e il Merovingio finimmo la nostra chiacchierata, la chiacchierata che tra mille interruzioni avevamo portato avanti per tutti quei luoghi. Una chiacchierata lunga quanto una notte. Forse per questo, non saprei dirvi nulla della città, se non il colore delle panchine in cui ci sedemmo. Non ricordo altro di quel luogo.

    [Hiroshi tacque, lo guardarono in silenzio Haiiro e Kasumi, senza a loro volta fiatare. Poi riprese il discorso]

    Diciotto chiavi, il Merovingio asserì. Dunque diciotto passaggi da affrontare. Più uno, quello per il ritorno. Ma per ora questo possiamo lasciarlo da parte. Avrei dovuto affrontare diciotto volte la stessa sensazione che avevo provato durante la transizione, quel momento di sospensione in cui rischiavo di cadere nel vuoto. Ma così non fu. O meglio, fu diverso. Passare per le porte mi diede la sensazione di camminare nel fango limaccioso: spiacevole, viscido, ma non pericoloso. Ma oltre a ciò ebbi un'altra impressione: che tutto fosse in attesa. Ora che il Merovingio aveva capito il suo problema, era come se il vuoto della transizione che tanto l'aveva fatto tribolare stesse attendendo la sua risposta, prima di aprirsi in un baratro o di saldarsi in un passaggio sicuro. E io ero là, ad ascoltare la sua storia, in preparazione alla risposta che doveva dare.
    Il discorso che mi fece è simile a quello con cui mi spiegò il suo potere. Come quello era frammisto da mille chiacchiere, silenzi e interruzioni, mentre il nostro viaggio proseguiva. Per questo non posso riportarvelo così come lui me lo disse. Sarebbe troppo lungo e, cosa peggiore, di sicuro ricorderei male e sbaglierei qualche passaggio. Ciò che vi dirò è un'astrazione che a mio parere racchiude il succo del suo discorso. Quindi ascoltate con attenzione e sappiate: questa è la storia del Merovingio così come io, Hiroshi Natsui, l'ho intesa.
     
    Top
    .
  8.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    A casa dei miei zii c'era una soffitta. Ci si accedeva attraverso una pesante e vecchia porta di legno. I miei zii, pur desiderandolo, non avevano figli quindi ogni volta che io, loro nipote, andavo a trovarli, mi viziavano. Mi dicevano che potevo andare da loro quando volevo. E io cercavo sempre di andarci il più spesso possibile. Il motivo non erano né i dolci né i giocattoli che trovavo da loro, ma quella loro soffitta piena di meravigliose cianfrusaglie. Mi piaceva così tanto che li convinsi a darmi le chiavi. Non che servisse a molto, visto che ancora non avevo sviluppato il mio potere.
    A questo punto potresti pensare che sia quella prima chiave ad aver provocato la nascita della mia anormalità, ma non è così. Ero solo un normale bambino che in modo normale adorava la soffitta degli zii e custodiva con normale gelosia la chiave che gli avevano dato. L'evento che portò alla nascita della mia anormalità è un altro.
    Quando avevo otto o forse nove anni, i miei genitori cominciarono a litigare quotidianamente. Odiavo quei litigi e per non sentirli mi chiudevo nella mia cameretta e mi coprivo gli occhi. Ma, anche così, non potevo negare i litigi che avvenivano. Quando andavo nella soffitta dei miei zii, allora le cose erano diverse. Con le altre persone i miei genitori cercavano di comportarsi come al solito e anche in caso di discussioni mi bastava chiudermi in quella soffitta, dietro quella pesante e spessa porta di legno, per non sentire niente.

    Lo interruppi: volevo assicurarmi di una cosa.
    Sei sicuro di voler continuare a parlarmene? Mi sembra una cosa molto privata mi sembra e io...
    Non ti preoccupare, ho fiducia in te. Proprio per questo te ne sto parlando. Anzi, nel tuo caso, se anche parlassi di questa storia con altre persone che ritieni fidate, non mi importerebbe.
    Guarda che potrei farlo sul serio...
    E qual'è il problema?
    Così, in una terra selvaggia, ottenni il suo permesso a parlarvi della sua storia. Se non l'avessi, non ve ne avrei fatto parola.

    Cominciai a desiderare di trovarmi sempre là, ma sapevo che una cosa simile era impossibile: per quanto bene i miei zii mi volessero non potevo certo trasferirmi da loro. Allora pensai che non serviva essere sempre là, ma bastava che, in caso di litigio, potessi arrivare subito là. A differenza della prima, questa seconda azione non era impossibile. E perché avrebbe dovuto esserlo: l'unica cosa a separare me dalla soffitta dei miei zii era una porta. Una porta: e io avevo la chiave per accedervi. Non mi serviva altro. Fu quella la prima volta che usai il mio potere.
    A questo punto della storia ricordo che il Merovingio si fermò un attimo e guardò verso il sole, il sole che illuminava un continente che non era il nostro. Riprese il suo discorso solo dopo che attraversammo un'altra porta.

    Presi a muovermi dalla mia casa alla soffitta dei miei zii ogni volta che scoppiava un litigio. I miei zii mi accolsero all'inizio con sorpresa e stupore, senza capire come fossi capitato lì e chiamando i miei genitori. Man mano che continuavo a spostarmi lo stupore si trasformò in sgomento e poi in paura. Il sorriso gioioso con cui un tempo mi accoglievano si trasformò in una smorfia terrorizzata. Alla fine compresi che non potevo più andare da loro. Ma non per questo mi fermai. Se aveva funzionato con una chiave, perché non poteva farlo con le altre? Fu a quel tempo che presi a collezionare chiavi e a spostarmi tra i diversi luoghi. Ma il desiderio da cui tutto era partito rimase lo stesso: fuggire dalla casa dei miei genitori. Ormai non importava più neppure se litigavano oppure no. Per allontanarmi da loro girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi, girai le chiavi.
    A fermare questa sua litania fu il tocco della mia mano sul suo braccio. Si girò verso di me, guardandomi confuso e un istante dopo mi chiese scusa. Accanto a noi una persona ci guardò stranita. Ma non so se avesse capito che il Merovingio stava ripetendo la stessa frase: per chi non conosce una lingua, ogni vocabolo suona come un “bar bar”.

    Alla fine i miei divorziarono. Mio padre trovò un altro appartamento, ma anche mia madre, dopo qualche mese, lasciò la casa in cui avevamo vissuto insieme e tornò dai suoi genitori, piuttosto vecchi, per accudirli. Quella casa restò lì, disabitata e vuota. Nonostante abbia girato migliaia di chiavi, quella chiave dall'impugnatura scheggiata non lo mai girata... ma non l'ho mai neppure abbandonata.
    Il luccichio di quella chiave che tanti problemi aveva dato al Merovingio balenò tra i raggi del sole e le onde del mare. Lui rimase a guardarla trasognante per un po'. Non lo disturbai.

    Circa due settimane fa i miei genitori mi dissero che la casa sarebbe stata demolita. Era solo un inutile costo e in più era parecchio vecchia. Non diedi importanza a quella notizia, o così credetti, tanto che finché non mi hai disegnato il calco della chiave me l'ero dimenticato. Ma è evidente che sotto sotto la notizia mi ha colpito, tanto da farmi immaginare una falsa chiave al posto di quella vera. La chiave che non ho mai girato e la porta da cui sono sempre fuggito, mai entrato...
    E ora che l'hai capito, cosa intendi fare?
    Mi guardò, un'espressione sconsolata in viso.
    Non lo so.

    Muovendosi tra la miseria delle città umane, ti sembra che i tuoi problemi si facciano insignificanti. Ma la verità è che per quanto ti possano apparire piccoli, essi rimangono da affrontare.
    Se sei indeciso, forse il punto da cui partire è questo: tu, che cosa desideri fare?
    Il vento, sollevatosi in quel tardo pomeriggio afoso, fu a lungo la mia sola risposta. E poi...
    Voglio girare chiavi. Voglio viaggiare tra le porte. Voglio andare in più luoghi possibili. Non mi importa se tutto questo è nato solo dal mio desiderio di fuggire, ora per me è tutto.
    Eppure, non posso lasciare questa materia irrisolta. Per continuare a muovermi devo girare quella chiave che non ho mai avuto i coraggio di impugnare. Prima che quell'edificio e la sua porta vengano abbattuti e che la sua chiave perda ogni funzione.

    Detta così, la tua strada sembrerebbe chiara.
    Hai ragione... *sembra* chiara.
    Quante volte sappiamo cosa fare eppure esitiamo, incapaci di compierlo? Così era il Merovingio. Lui considerava suo compito, sua missione, girare quante più chiavi possibili. Per questo, non poteva sfuggire dalla responsabilità di girare una chiave tanto importante per lui prima che fosse troppo tardi. Ma allo stesso tempo la sua anormalità era nata proprio per sfuggire da quella casa, non per entrarvi. Questo generava una contraddizione in lui: se avesse girato la chiave e fosse tornato in quella casa avrebbe negato l'origine della sua anormalità. Se non l'avesse fatto avrebbe consapevolmente girato le spalle alla missione che lui stesso si era assegnato. Era questa aporia a ostacolare il suo passaggio.

    Forse... io non so darti certezze, ma posso suggerirti delle strade da percorrere. Ma se la strada è praticabile o no, questo non lo so.
    Allora indicami la strada. Se seguirla o no lo sceglierò io, se è praticabile o no, sarò io a provarlo.
    Intuendo la mia incertezza, il Merovingio mi stava spingendo a continuare, prendendo per sé la responsabilità di quanto sarebbe accaduto. Voleva fare in modo che non sentissi il peso della scelta che gli proponevo, ma visto che io l'avevo capito, la sua gentilezza mi sembrava ancora più pesante. Ma non potevo tacere.
    Quella casa è il luogo da cui hai voluto fuggire. O meglio, tu volevi fuggire dai tuoi genitori e dai loro litigi. E così forse volevano fare anche i tuoi genitori: non hai forse detto che dopo il divorzio quella casa è stata abbandonata da tutti?
    Sì, è così.
    Credo che... è solo un'ipotesi, ma forse dovresti fare in modo di riappacificarti col tuo passato. E non te solo. La tua anormalità ti permette di aprire le porte, ma non solo per te: tutte le persone possono attraversare le porte da te aperte e accompagnarti. Per questo credo che, se desideri risolvere il problema alla radice, non devi essere solo tu a girare la chiave. Devi farlo insieme ai tuoi genitori, dovete riappropriarvi di quel luogo da cui siete fuggiti, per potergli dire addio come si deve e poter andare avanti.
    Cercai di sorridergli, incerto.
    So che è più facile da dire che da fare, ma...
    Ma se voglio continuare è la strada da prendere, è questo quello che mi stai dicendo, vero?
    Ricorda però che anche fuggire è una scelta e io non la giudicherò inferiore.
    Ma io sì. Già una volta sono fuggito. Dovrei fuggire di nuovo? Anzi, dovrei continuare a fuggire, reiterando quella mia prima fuga?
    Perché fuggire dovrebbe essere sbagliato? Se non fossi fuggito, non avresti sviluppato la tua anormalità e non saresti quello che sei oggi.
    Però, come hai detto tu, per voltare pagina devo affrontare il passato... anche se immagino che dalla tua prospettiva, si possa dire che anche voltare pagina o no sia una scelta equamente possibile e non giudicabile.
    Immagini bene.
    Prima ho detto che il mio sorriso era incerto, ma quello che gli feci allora doveva essere tormentato. Almeno, così io lo sentii, anche se non so come il Merovingio lo vide.
    Puoi voltare pagina o no, puoi pentirti della tua decisione o no... però non hai altra scelta che scegliere cosa fare. E devi essere tu a scegliere.
    E se scegliessi di non pensare al problema e di ignorare tutto senza nemmeno scegliere? Anche quella sarebbe una scelta?
    Certo: sceglieresti di non scegliere. Però non credo che tu sia tipo da fare una scelta simile... né uno che di norma si perde in certe sottigliezze filosofiche, per quanto ti piaccia parlare e divagare.
    Ah! Mi hai beccato! Adoro divagare su altri temi, ma hai ragioni: certi discorsi non fanno per me. Quindi – tirò fuori una chiave dalla tasca, una chiave che ben conoscevo: era quella del mio locale – immagino sia giunto il tempo di tornare e fare una scelta.
     
    Top
    .
  9.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Master
    Posts
    1,267
    Anormalità
    +10

    Status
    Casa dolce casa. Una notte e la circonferenza della terra mi avevano separato da lei e ora ero di nuovo lì. Ero partito che il sole era tramontato e tornavo che albeggiava. Ma la notte per me e il Merovingio era passata senza che l'oscurità ci sfiorasse, mentre sfidavamo il sole nella sua corsa. Sentivo qualcosa di meraviglioso in tutto questo. Quel qualcosa aveva come coperto la sensazione di disagio che in quelle transazioni aveva accompagnato i nostri passaggi. L'ultima transazione, quella per casa, aveva avuto la stessa piacevolezza del saltare in piscina in una giornata afosa d'estate.

    E così siamo tornati... che ne dici di un altro caffè?
    Dipende. Offri tu?
    Dopo che tu mi hai pagato tutti i vari pasti e le bevande, è il minimo.
    In silenzio, un piacevole silenzio, preparai due caffè, uno per me e uno per lui. Li bevemmo parlottando tra noi, anche se non ricordo l'argomento della conversazione. Di nuovo, doveva essere qualcosa di casuale e ordinario.
    Finito il caffè era giunto il momento di salutarci e di dividere le nostre strade.
    Allora? Hai deciso cosa fare?
    Chissà... ho ancora diversi dubbi. Se scegliessi di percorrere la strada da te indicatami... dovrei parlare coi miei genitori a cuore aperto, non le solite discussioni tanto per parlare...
    Se hai dei dubbi da questo lato, puoi sempre chiedere aiuto ad altre persone.
    Altre persone, eh? In effetti posso farlo, anche se... Non importa, in ogni caso so cosa fare in questo momento.
    E cosa?
    Senza esitare il Merovingio mise una mano in tasca e tirò fuori un tintinnante oggetto metallico.
    Ma è ovvio, no? Intendo girare le chiavi.

    L'ho incontrato anche in seguito. Non abbiamo più parlato di quanto mi disse quella notte (anche se chiamarla notte, visto che per noi trascorse alla luce del sole, mi fa sempre uno strano effetto), né gli ho chiesto se ha risolto i suoi problemi. Non so se ha girato quella chiave dall'impugnatura scheggiata, né se si è rincontrato in quel luogo con i suoi genitori.
    Ma una cosa la so per certo. Ancora adesso lui continua a viaggiare, alla ricerca di quei piccoli oggetti scintillanti, tutti diversi per forma e uguali per funzione. E continua a girarli sulle porte, senza mai fermarsi, senza mai smettere.
    Anche adesso sarà da qualche parte nel mondo e, impugnando una qualche chiave, lui aprirà un altro passaggio...

    *Click*





    Quindi questa è la tua storia per la nostra serata... e meglio di quanto mi immaginassi.
    Dai Kasumi, se dici così sembra che tu non abbia alcuna fiducia verso tuo fratello!
    E dove sarebbe il problema?
    Senza reagire alle punzecchiature della sorella, Hiroshi si rivolse verso il suo fratellino.
    Haiiro, tu che ne pensi?
    Io? Io... stavo pensando al modo in cui nascono le anormalità.
    Lo disse così, quasi sovrappensiero, ma a quelle parole sia Hiroshi che Kasumi si fecero più attenti.
    Secondo quel tipo, il Merovingio, la sua è nata perché voleva scappare... basta una cosa simile perché si sviluppi?
    Chissà? Non credo che il Merovingio sia l'unico a essersi trovato in una situazione simile, con i suoi genitori intendo, ma è l'unico ad aver dato vita a una simile anormalità.
    Non so se esiste una certa predisposizione naturale a diventare anormali, ma da quanto ho visto le anormalità non nascono a caso. Una certa visione del mondo, un desiderio, una credenza, un trauma, una fissazione... tutto questo può dar vita a un'anormalità.

    Questo... include anche le nostre, vero?
    Hiroshi guardò Kasumi con quella che si sarebbe potuto definire una sorta di tristezza mista a rassegnazione.
    Sì, immagino di sì.
    Il silenzio, asfissiante più che pesante, si propagò per la stanza. La domanda non posta era “perché ci troviamo coi poteri che abbiamo”. La risposta si poteva trovare solo al prezzo di mettere a nudo il proprio animo. Non era facile.
    Io... la mia anormalità... credo di aver visto qualcosa che possa spiegarla. Anche nel mio caso è legata al passato. Eppure...
    Il ragazzo si fermò, senza riuscire a proseguire.
    Haiiro, quando ti sentirai pronto a parlarne, io sarò qui ad ascoltarti e...
    E quando sarai tu a parlare?
    La voce sferzante e carica di sentimenti finora inespressi di Kasumi scuoté Hiroshi, che stupito si girò verso Kasumi, senza però riuscire a replicare.
    Tu ascolti i problemi e le preoccupazioni degli altri, ma non parli mai dei tuoi. Credi di non averne o che non valga la pena parlarne? Oppure pensi che noi non siamo degni di sentirle?
    Kasumi...
    No, lasciami parlare! Mi credi forse ancora una bambina, capace di pensare solo a sé e di non accorgermi di quanto mi circonda? Credi che non possa aiutarti in alcun modo?! Ma che considerazione hai di me! Io... io... voglio smetterla di essere solo aiutata. Per una volta... anche una sola volta... vorrei essere io a poter sostenere le altre persone!
    Ora che era riuscita a dire quello che a lungo covava, la ragazza lasciava cadere liberamente le sue lacrime. Haiiro si mosse verso di lei e le cinse le spalle con un braccio, tenendola vicino a sé.
    Hai ragione – ammise candidamente. – Mi sono sempre tenuto tutto dentro, pensando che in confronto alle vostre sofferenza, quello che provavo io non era nullo. Ma il mio era un atteggiamento ingenuo. Vi prometto che ve ne parlerò. Quando me ne sentirò in grado, voi sarete i primi a cui mi confiderò.
    E così, con una svolta inaspettata e una tenue promessa, finì quella serata. Con la sensazione di aver inavvertitamente sollevato il coperchio del vaso di Pandora, i tre si salutarono. Ma sapevano che gli strascichi di quando detto non li avrebbero lasciati e che la questione più importante era stata appena sfiorata.


    Fine

     
    Top
    .
  10.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    «Water is the best!»

    





    Group
    Admin
    Posts
    23,876
    Anormalità
    +31
    Location
    ...

    Status
    CITAZIONE
    Bene bene, eccoci finalmente qua. Mi scuso per il ritardo ma, come si dice meglio tardi che tardi! [cit.] Altra ottima narrazione, con uno stile molto "particolare", se così vogliamo dire :asd: Ci sono un sacco di dettagli e piccolezze che sono ben pensati e danno alla storia una sensazione reale. Inoltre sono curioso di sentire i problemi di Hiroshi v.v

    EXP: 19
     
    Top
    .
9 replies since 23/6/2015, 20:03   83 views
  Share  
.
Top