[Contest] Un incubo che non tornerà: Cheria Kamishiro

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    AF's Master of the End
    La Luce

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    Era davanti allo specchio, cercava qualche brufolo da schiacciare ma come al solito non ne trovò, era bello avere una pelle così liscia ed uniforme. Acconciarsi i capelli le portava via sempre molto tempo, ma se voleva avere un bell'aspetto era una piccola fatica che non poteva non fare.
    « Tatsuya! Dammi una mano. »
    Non le rispose nessuno.
    Aveva in mano una fetta biscottata con la marmellata, stava facendo colazione mentre guardava il notiziario della mattina. Il bel conduttore parlava con enfasi, sembrava dire qualcosa di molto importante, il volume però era troppo basso e non si sentiva nulla.
    Il telecomando non c'era. Poco male, non le interessava cosa aveva a dire.
    Salutò Sophie ed uscì, doveva andare a scuola e non poteva fare tardi altrimenti Unzen l'avrebbe rapita e segregata in un armadio, come era successo all'ultima che aveva tardato di cinque minuti.
    Camminava in una piazza del centro, lastricata di piccoli mattoncini rossi che riflettevano e quasi accecavano. Cheria non riusciva a vedere bene, la vista era annebbiata. Continuava a stropicciarsi gli occhi ma vedeva sempre di meno. Doveva attraversare la strada ma aveva paura, se fosse passata un'auto non l'avrebbe vista.
    Marta ed Angela la raggiunsero, la presero sotto braccio e la aiutarono ad attraversare la strada.
    C'era un'altra piazza, come la prima, gremita di persone. Erano tutti immobili, guardavano in alto con la bocca spalancata. Cheria alzò lo sguardo ma non c'era nulla, solo un cielo sereno.
    Abbassò gli occhi, la piazza era vuota. Anche Marta ed Angela erano scomparse. Ma loro due chi erano?
    Passò davanti ad una chiesa, tutte le persone si erano radunate lì dentro. Curiosa, con la vista che era tornata, cercò di entrare. Nella calca intravide qualcosa sull'altare, un ciuffo di capelli neri. Cercò di farsi largo per vedere meglio, ma la fermarono e la costrinsero ad uscire spingendola in malo modo. Chiuse gli occhi mentre cadeva senza riuscire a muovere le braccia.
    Gli riaprì, era seduta ad un banco di scuola. Di fianco a lei erano tutti bambini piccoli, era di nuovo alle elementari.
    Un bambino dai capelli blu stava tenendo una presentazione, di fianco alla lavagna c'era un armadio dal quale stava prendendo vari fogli di carta; sopra campeggiavano tre striscioni di grandezza diversa.
    “It's”
    “All”
    “Fiction”
    Il bambino parlava, la voce stridula era fastidiosa come il rumore delle unghie sulla lavagna.
    « Io ogni giorno realizzo sogni. Questo è quello che faccio. Vivo quello che sogno, scrivo quello che vivo. »
    Cheria lo fissava, lo odiava anche se non lo aveva mai visto. Gli lanciò un libro che aveva davanti. Gli attraversò il corpo. La guardò ridendo.
    « Questo è quello che faccio. Ho smesso di sognare. »
    Sulla lavagna aveva disegnato una croce.
    Cheria corse via, i bambini la fissavano e la indicavano.
    Era di nuovo nella piazza, davanti la chiesa, questa volta era vuota.
    Entrò assicurandosi di non essere seguita.
    Attorno all'altare c'erano Sophie e Bianca, sopra, disteso, c'era un corpo dai capelli neri. Cheria crollò a terra: era suo fratello. Reprimendo le lacrime, si rialzò, si avvicinò e gli mise una mano sotto la schiena: cercò di dargli degli impulsi elettrici per riavviargli il cuore ma non succedeva niente.
    Guardò Bianca.
    « È tutta colpa tua! Perché gli hai fatto questo!?! »
    Bianca non le rispose.
    « Dovevi essere tu al suo posto! »
    Bianca non rispose.
    Cheria guardò di nuovo il corpo di Tatsuya ma non era più disteso: si era seduto ed era vivo.
    « Non è colpa sua. È colpa mia. »
    Tatsuya si immobilizzò, la sua pelle divenne di bronzo. Lo toccò, il corpo dondolò alcune volte e poi cadde, frantumandosi.
    Con orrore alzò lo sguardo: era in una classe, attorno a lei c'erano dei studenti più giovani. Era alle medie. Nella mano stringeva il cellulare, sullo schermo una macchia gialla che ritraeva Bianca. Lei era in quel cellulare, in qualche modo quella era la sua stessa vita.
    Alla lavagna, un ragazzino faceva una presentazione.
    « Questo è quello che ho smesso di fare. Una volta ho visto un arco e l'ho salutato. »
    Cheria corse verso il ragazzino, voleva colpirlo, gli lanciò il telefono ma lo mancò. Il cellulare precipitò da una finestra. Cheria si affaccio: erano in cima al campanile di una chiesa, ad un'altezza di almeno trenta metri; sulla strada c'era il corpo esanime di Bianca, di fianco a lei c'era il fratello che alzò gli occhi verso Cheria. Tutta la gente nella piazza alzò lo sguardo verso di lei.
    « Perché? Perché l'hai fatto? »
    Cheria indietreggiò, era spaventata.
    « Non volevo. Io non volevo. Io. Volevo. »
    Inciampò e finì a terra.
    Fissava un soffitto bianco, asettico. Di fianco a lei c'era Sophie, le teneva la mano ma non sentiva nulla. Non riusciva a muoversi. Tutto il suo corpo era paralizzato, poteva solo roteare gli occhi.
    Cercò con lo sguardo il fratello, ma non c'era.
    Aveva addosso lo sguardo di decine di persone, era distesa su un altare e tutti la fissavano ripugnati.
    Piangeva.
    Girò lo sguardo e vide una lavagna: sopra c'era disegnata una freccia che puntava verso l'alto. La seguì con lo sguardo e trovò uno specchio.
    Cheria era in piedi, si stava guardando nello specchio e cercava qualche brufolo da schiacciare ma come al solito non ne trovò, era bello avere una pelle così liscia ed uniforme.
    Acconciarsi i capelli le portava via sempre molto tempo, quella mattina non lo avrebbe fatto.
    Doveva andare a scuola e doveva sbrigarsi, ma qualcosa la tratteneva.
    Delle mani la afferravano ovunque e la trascinavano. Alle sue spalle si apriva una grande finestra, fuori si vedeva una immensa piazza deserta. Chiamò a gran voce.
    « Mammaaa! »
    Non le rispose nessuno.
    « Papààà!!” »
    Non le rispose nessuno.
    La finestra si avvicinava, le mani la trascinavano senza che lei potesse fare resistenza.
    « Tatsuyaaa!!! »
    Urlò con disperazione l'unico nome che voleva davvero chiamare, ma non rispose nessuno.
    « Fratelloneeeee!! »
    Il pavimento era finito. Guardò in alto e vide un meraviglioso cielo azzurro.
    Precipitò dal campanile con le campane che suonavano a festa.
    Si svegliò. Era buio. Davanti a sé vedeva nella penombra un letto scoperto. Sulle lenzuola una chiazza di uno strano liquido argenteo che si raccoglieva e prendeva la forma di un crostaceo.
    Si sentirono delle voci, sembravano preoccupate. Cheria non poteva vedere chi fosse, non sapeva dovi si trovavano, ma poteva sentirle.
    « Non preoccuparti, si sta riformando. Speriamo riprenda il suo aspetto. »
    Cheria si svegliò di soprassalto, era completamente sudata ed il respiro era corto. Guardò alla sua sinistra, la radiosveglia segnava le 2.45.
    Riconobbe il posto: era a casa sua, nella sua stanza, nel suo gelido letto. Aveva mal di testa.
    Per alcuni minuti rimase a fissare il vuoto, voleva andarsene il prima possibile, tornare a scuola e rivedere tutti.
    Senza di lui, quei sogni erano ancora più brutti.
     
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