[Contest] Dead Man Walking: Eva

Sakurai Tetsuya

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    Eva

    Correre. Non faccio altro da giorni. Continuo a correre incessantemente senza una meta precisa, girovagando per le strade di una città ormai in rovina con l’unico pensiero di sopravvivere un giorno di più. Nessuno avrebbe mai potuto anche solo immaginare a una simile evenienza, nessuno poteva davvero ritenere possibile quel che infine è successo davvero… I corpi dei morti hanno improvvisamente ripreso a rialzarsi, mossi da qualcosa che oramai non era più vita.
    So che da qualche parte deve esserci il “Soggetto Zero”, colui da cui tutto è partito, il primo a morire per poi rinascere in una forma di non-vita a cui non so dare altro nome se non “zombie”, ma non ho idea di chi sia costui né cosa possa causare la “rinascita” di coloro che vengono morsi dagli infetti.
    Un paio di volte sono andato io stesso vicino al morire, ma la mia anormalità mi ha salvato nelle situazione più disperate, permettendomi la fuga. Ho il desiderio di trovare altri sopravvissuti, non parlo con qualcuno dal giorno in cui tutto è iniziato, davvero tanto tempo fa per ricordare quanto esattamente. Le uniche cosa che ho con me sono gli stessi vestiti che indossavo quel fatidico giorno, un po’ di cibo rubato in u supermercato e una torica rinvenuta sul cadavere di un poliziotto. Non sembrava fosse stato morso e la pistola che ancora stringeva nella mano destra lasciava presupporre al suicidio. Io non sono ancora arrivato a quel punto, la mia voglia di sopravvivere è superiore a quanto avessi previsto, eppure mi rimane il desiderio di poter parlare con qualcuno…
    Non so se da qualche parte ci siano davvero dei sopravvissuti, forse sono l’ultima persona rimasta su questo mondo, forse sono condannato alla solitudine finché io stesso non morirò, ma non arrendo e continuo per la mia strada, covando in fondo al cuore quella piccola luce chiamata speranza che muove ogni mio passo.
    Ho iniziato anche a riconoscere le strade della città semplicemente osservando la disposizione delle macchine, immutata sin dall’inizio di tutto quello, zone che prima di quel giorno non sapevo neanche esistessero non hanno più segreti per me. So dove rimediare cibo e acqua e ho iniziato a capire come evitare quei mostri, quegli “zombie”. Sembra siano completamente ciechi, ne ho visti alcuni andare a sbattere contro muri o porte chiuse prima di cambiare direzione, e pare che solo rumori forti o la presenza di sangue riesca ad attirarli. Sfruttando ciò si è in grado di distrarli, ma questa loro debolezza è compensata da incredibili prestazioni fisiche, di certo superiori a quelle di un normale umano. Ho potuto anche constatare come ignorino del tutto gli animali e come alcuni abbiano mantenuto le loro anormalità. Ciò costituisce un grande problema, per chiunque, e soprattutto per quei sopravvissuti che non ne posseggono.
    Continuo la mia routine quotidiana facendo scorte di ogni genere e infilando tutto in uno zainetto, anch’esso preso da un supermercato, ma senza esagerare e procedendo per diversi bar e locali. Non ho intenzione di far finire le scorte e potrebbero tornare utili nel caso ci sia da qualche parte… Un sopravvissuto!
    La prima persona viva che vedo da giorni, una bambina nascosta dietro una macchina, gli occhi terrorizzati che guardano il lento e insensato procedere dei morti. Scorgo una vera e propria paura in quelle iridi verdi, la stessa che sono sicuro debba aver preso possesso del mio cuore il primo giorno di quella che ormai è a tutti gli effetti la fine del mondo. Grazie a diversi fattori alla fine sono riuscito a cavarmela, ma non sono troppo certo che se lasciata a sé quella bambina possa avere altrettanta fortuna.
    Il problema è raggiungerla. Si trova dall’altro lato della strada, immobile come una statua, e solo un lieve tremore delle gambe, sintomo della paura che doveva provare, fa intendere che sia una vera e propria persona. Devo però sbattere un paio di volte le palpebre dietro le lenti incrinate degli occhiali per essere certo che non sia una mera illusione generata dal mio cervello per tirarmi qualche brutto scherzo. No, sono convinto sia reale e ha bisogno del mio aiuto. I morti al momento sembrano ignorarla, non sta producendo alcun rumore e non vi sono tracce di sangue sui suoi abiti, dunque forse c’è una possibilità. Un’altra cosa che ho infatti è scoperto, è quanto i morti soffrano la luce artificiale; finché si tratta di quella solare possono resistere bene, non guardando direttamente il cielo, ma puntando loro una qualsiasi forte luce artificiale, come quella di una torcia, indietreggiano coprendosi il viso. Non fa veramente danno a quegli esseri, ma gli occhi oramai ciechi devono averli debilitati sotto quel punto di vista.
    Avanzo di macchina in macchina utilizzando la mia anormalità per trovare il percorso più breve e sicuro. Posso scorgere tutto intorno a me, la posizione degli ostacoli, il percorso degli zombie in quell’area, niente di tutto questo mi è estraneo e risolvendo una semplice equazione matematica scopro quale sia l’itinerario al contempo più breve e sicuro per raggiungere la bambina. Quest’ultima non pare mi abbia notato, la sua attenzione è unicamente rivolta agli zombie e ciò gioca a mio favore, meglio non sappia della mia presenza o potrebbe fare rumori involontari, attirando così i morti.
    Decido di agire dopo una manciata di secondi, attendendo che lo zombie più vicino a me si allontani abbastanza da non rappresentare una minaccia nell’immediato, facendomi rimanere fuori dalla portata delle sue braccia, che ho scoperto sono insieme ai denti le armi mortali di quegli esseri. Scatto continuando a tenere attivo il mio Falcon Eye e tenendo d’occhio tutti i morti che mi sono vicini. Questi sembrano accorgersi di me e cominciano l’inseguimento, ma ho già attuato il mio piano. Prendo la torcia infilata nella cintura e la accendo putandola contro qualsiasi essere mi si avvicini. Posso vederli coprirsi il viso e indietreggiare, sofferenti, ma so che non è abbastanza per tenere a bada l’intera orda e le batteria stanno per scaricarsi. Ho fatto solo metà della strada quando infine la luce si spenge, lasciandomi in balia di quelle creature, ma ho previsto anche questo così senza esitazione lancio la torcia contro la macchina ove stavo nascosto poco prima. Canestro da tre punti! L’oggetto infrange il parabrezza, facendo scattare l’antifurto e attirando l’attenzione dei morti lontano, in modo tale da permettermi di continuare a correre per raggiungere la bambina, che solo in quel momento sembra accorgersi di me, guardandomi con occhi stralunati, come se nonostante io sia davanti a lei non riesca a vedermi per davvero. Forse è solo spaventata, e non posso darle torto, dunque smetto di farmi quelle domande e la prendo in braccio, allontanandomi il più velocemente possibile prima che l’antifurto smetta di suonare. Con molta probabilità, tra l’auto e il ringhio di quegli esseri, ho attirato l’attenzione di tutti i morti del quartiere, perciò devo sbrigarmi a trovare un posto dove nascondermi. Smetto di correre solo nel trovare un piccolo bar che fa angolo tra due strade, una sola entrare e quattro vetrine, due per strada, mentre la porta è situata proprio in corrispondenza dell’incrocio tre le vie. Sembra abbastanza difendibile, e se non facciamo rumore potremo ance passare inosservati. Avrei anche bisogno di qualche arma, forse, ma sebbene abbia potuto constare come i morti che per un motivo o per un altro rimanevano senza testa smettevano di muoversi non ne ho mai saputa usare una e temo di poter risultare un pericolo più per me stesso che per quegli zombie. Ciò però mi ha dato l’utile indizio che effettivamente quegli esseri siano in qualche modo “vivi” anche se comunemente potrebbero essere da considerare “morti” in quanto si comportano proprio come gli zombie dei film horror. A ben pensarci non ho infatti mai visto un vero morto rialzarsi, anche quel poliziotto che s’è suicidato non è tornato come zombie, così come non lo sono tornati tutti quei morti divenuti il pasto di quelle creature. Ciò significa che qualunque sia il virus che ha attaccato queste persone, esse abbiano ancora un cervello funzionante che invia impulsi al loro corpo, così come a rigor di logica dovrebbe funzionare il loro cuore; ma a questo proposito ho nei primi giorni trafitto uno di quei mostri al cuore utilizzando una sbarra di metallo, e quello è rimasto immobile solo per un paio di secondi prima di riprendere l’attacco. Allo stesso modo ho notato come queste creature non sanguinino quando ferite… Mi sembra di impazzire!
    Cerco di calmarmi, sistemando scaffali, tavoli e sedie davanti alle finestre e bloccando la porta del bar grazie al piccolo bancone, aiutato dalla bambina. Non so quanto questo possa aiutare ma spero ci faccia guadagnare un po’ di tempo. Per quanto riguarda la piccola che ora sta con me, non ha detto ancora una parola, ma sembra in qualche modo essersi rasserenata, dunque credo sia giunto il momento di passare alle presentazioni.
    «Sono Tetsuya.» Il fatto che non parlo da giorni e giorni lo si deduce chiaramente dal tono di voce leggermente rauco seguito da un due colpi di tosse. Da tempo aspetto di poter parlare di nuovo con qualcuno, e non mi lascerò sfuggire questa occasione. «Tu come ti chiami?» le chiedo infine cercando di apparire il più rassicurante possibile. Vorrei che si fidasse di me, che capisse di essere al sicuro, ma a parte cominciare con le presentazione non so proprio come fare.
    «Eva.» L’accento della bambina è giapponese, il nome no, ma quello che più mi colpisce di quella semplice parola è il tono con cui è pronunciato. Non perché abbia qualcosa di particolare, è la semplice voce flebile di una bambina che apparentemente non può avere più di dieci anni, però rimane la prima voce estranea alla mia che sento dal giorno in cui tutto è cominciato. Faccio mie quelle tre semplice lettere, sorridendo come non riesco a fare da troppo tempo e mettendo una mano sulla spalla della piccola Eva, che forse è appena riuscita a ridarmi la speranza per il futuro. «Con me sei al sicuro» le dico, per poi alzarmi e ispezionare il bar. Ovviamente so che non troverò nulla come cornetti o simili, o se ci dovessero essere sarebbero andati a male da tempo, ma almeno noto dei pacchi di patatine immacolati. Ne prendo uno, aprendolo e sedendomi a terra, vicino a Eva che già s’era accomodata. Mi guarda con occhi curiosi, forse anche io per lei sono la prima persona che incontra o forse quello sguardo incuriosito me lo sono solo immaginato; ormai dubito persino della mia sanità mentale.
    «Sei da sola? O da qualche parte ci sono altri sopravvissuti?» le chiedo offrendole il pacchetto aperto, ma lei rifiuta con un cenno della testa e continua a fissarmi senza dire alcunché. Che non si fidi ancora? Vi è anche questa possibilità ma cerco di non pensarci mentre sgranocchio qualche patatina, attendendo una risposta che forse non arriverà mai.
    «Tu sei la prima persona che incontro.» E invece mi sbaglio. Come prima, la voce di Eva mi pare la cosa più bella che abbia mai udito in vita mia.
    Annuisco con fare rassegnato. Speravo davvero che da qualche parte ci fossero altri che erano riusciti a scamparla, ma forse la mia era solo un’illusione; la presenza di Eva, comunque, mi ha risollevato dal baratro della disperazione dove stavo cadendo. Non sono dunque l’ultimo essere umano sulla faccia della Terra, e la cosa mi ha rincuorato.
    Non parliamo più. Eva se ne rimane in disparte, osservandomi mentre cerco di rendere più sicuro quel bar e studio eventuali vie di fuga nel caso i morti dovessero attaccarci. Ogni tanto mi si avvicina come a volermi aiutare, ma con breve cenni della mano le faccio intendere che non ce ne è bisogno. Il bancone era troppo pesante da spostare da solo, però fintanto che si tratta di lavoretti posso cavarmela benissimo e non voglio che lei si forzi più del necessario. È pur sempre solo una bambina.
    Con l’arrivo della notte tiro fuori dallo zainetto alcuni panini, offrendone uno a Eva, che però non tocca. Non capisco se non ha fame o sia ancora diffidente, ma il mio stomaco brontolante mi rimuove quei pensieri dalla mente, facendomi divorare la mia cena e stendere a terra, sperando di riuscire ad addormentarmi. Mi è sempre più difficile prendere sonno. La paura di essere attaccato è fin troppo radicata in me e ciò mi porta a girarmi svariate volte su un lato o sull’altro sperando di trovare la posizione più comoda per cadere tra le braccia di Morfeo. Solo la vista di Eva, rannicchiata accanto a me con ancora il panino accanto, riesce a tranquillizzarmi. Sembra dorma profondamente, il respiro è regolare e gli occhi sono chiusi. Con il cuore ora in pace chiudo anch’io i miei.
    Quando mi sveglio, il sole è già alto nel cielo, lo si intravede da un piccolo spiraglio di una delle vetrine che lascia passare la luce. Quando mi giro, non vedo più né Eva né il panino che ha lasciato ieri. Mi alzo di scatto, voltandomi per cercarla con lo sguardo, il battito cardiaco accelerato, ma devo ritrovare la calma quando noto la sua piccola ed esile figura seduta in un angolo del bar che mi fissa con quel suo solito sguardo incuriosito.
    Tiro un sospiro di sollievo, alzandomi e salutandola con un biascicato “buongiorno” sorridendole, mentre cerco di svegliarmi del tutto. Ieri ho già esplorato il bar nel quale ci siamo rintanati, senza trovare alcuna informazione su dove possano trovarsi coloro che ci lavoravano, ma sono certo di non aver rinvenuto né cadaveri né zombie, e la cosa non può che farmi piacere.
    Con passo lento, ancora un po’ assonnato, mi dirigo nel bagno per sciacquarmi la faccia e prepararmi a un’altra giornata, ma questa volta non sarò da solo.
    I giorni grazie a Eva trascorrono più sereni e felice, almeno del mio punto di vista. Durante le ore diurne esco per controllare la zona, raccogliere provviste e assicurarmi che non ci siano pericoli in agguato, tornando solo per l’ora di pranzo in modo tale che Eva possa mangiare. Riguardo a questo punto però la bambina sembra non avere mai fame quando le offro la mia “refurtiva”, sebbene al mio ritorno non trovo più il cibo, che di conseguenza deve aver mangiato. Non so ancora perché non voglia mangiare in mia presenza, ma cerco di non pensarci. Alla sera la situazione del cibo rimane uguale, non mangia finché non mi addormento, ma almeno abbiamo iniziato a parlare un poco, o quantomeno io parlo e lei ascolta in silenzio, ogni tanto facendomi qualche domanda per avere delle spiegazioni. Sembra particolarmente interessata a quanto io abbia da dirle, eppure non le racconto niente di particolare, limitandomi a farle il resoconto della mia giornata, o ultimamente ho iniziato a raccontarle di quando giocavo a basket, di Misato e… Della mia anormalità. Oramai non ci trovo nulla di strano a rivelarle del mio potere, in un mondo dove ci sono esseri simili avere delle anormalità non dovrebbe più apparire così anomalo. Però la questione sembra interessarle più di quanto potevo immaginare, così come ho scoperto le piaccia ascoltarmi mentre la racconto di determinati eventi del mio passato, per esempio i riassunti su alcune partite di basket. Ciò sembra aver rafforzato il nostro rapporto, e ogni tanto ho anche il piacere di vederla ridere nel raccontarle qualche aneddoto divertente. La sua risata a un suono così armonioso che riesca a scaldarmi il cuore!
    Una volta le ho anche chiesto qualcosa su di lei, ma si è subito rabbuiata e quando mi sono scusato per essere stato forse troppo invadente mi ha semplicemente detto di essere cresciuta in un orfanotrofio oramai distrutto da quei mostri e di non avere altri familiari o amici. Questo ha rafforzato la mia volontà nel volerla proteggere.
    Sono già passate due settimane da quando ho incontrato Eva e posso dire con assoluta certezza che il nostro rapporto si è assai rafforzato, rendendo quella bambina la sorellina che non ho mai avuto. Sotto certi punti di vista non posso negare che sia strana, ma sentirla parlare e ridere è un qualcosa di cui non riuscirei più a fare a meno.
    Con gli zombie fuori dal bar non abbiamo più avuto problemi, neanche hanno osato avvicinarsi al bar e noi tendiamo a non fare rumore per evitare di attirarli. Come mio solito anche oggi sono uscito in perlustrazione, per poco non mi facevo scoprire ma per fortuna è andata bene e sono riuscito a evitare l’essere, dunque sono tornato a quella che per il momento è la nostra “casa” con lo zaino pieno delle solite provviste. Sedutomi accanto a Eva per la cena, come di consueto la bambina rifiuta il panino, guardandomi mentre invece io mangio il mio.
    «Che cos’è la Bibbia?» La domanda di Eva mi sorprende, per la prima volta è lei a iniziare un discorso, e con un quesito del tutto inusuale quanto dal mio punto di vista completamente casuale.
    Dopo un colpo di tosse dovuto a un pezzo di pane che mi è andato di traverso, mi accingo a risponderle. «Vediamo…» Cerco le parole adatte per farlo capire anche a una bambina. «È il testo sacro dei cristiani. Una raccolta di diversi libri dove si parla della storia di questo mondo, a cominciare dalla sua creazione fino ad arrivare alla nascita di Gesù e anche oltre. C’è anche un libro che parla dell’Apocalisse, ovvero come il nostro mondo finirà.» Ho cercato di essere il più chiaro e sintetico possibile, senza usare paroloni e probabilmente omettendo svariati dettagli e altre informazioni utili, ma del resto sono convinto che la mia breve e concisa spiegazione sia bastata a rispondere alla sua domanda.
    La bambina mi guarda con occhi che le luccicano di una luce che non ho mai notato prima. «E come è stato creato il mondo?»
    Non penso sia il caso di parlare a una bambina di appena dieci anni di Big Bang e simili, quindi decido di riferire solo quanto scritto nella Bibbia, essendo la domanda nata in seguito all’aver chiesto cosa sia. «Secondo la Bibbia, Dio impiegò sei giorni a creare il mondo, riposandosi il settimo. Separò il cielo dalla terra, il giorno dalla notte, fece piovere per generare gli oceani e i mari, e solo per ultimo diede vita agli esseri umani. Inizialmente era solo un uomo, Adamo, ma in seguito da una costola di Adamo stesso formò la donna, Ev…» Mi interrompo, guardando la bambina che continua a fissarmi con quegli occhi curiosi. “Adamo” ed “Eva” i nomi dei primi due umani secondo la Bibbia, Eva proprio come la bambina che mi sta di fronte. È la prima volta che me ne accorgo.
    Mi alzo con un semplice “scusa ma devo andare in bagno”, cosa che effettivamente faccio aprendo d’istinto il secchio posto accanto alla porta. Fino a oggi la carta del mangiare le buttavo sempre quando uscivo e quel piccolo secchio non lo aveva ancora mai aperto. La prima cosa che notai fu un mucchio di cartacce, al cui interno erano avvolti panini e altra roba da mangiare, tutto quel che fino a quel giorno avevo dato alla bambina.
    «Eva… La prima donna… Il Soggetto Zero» dico voltandomi. L’ultima cosa che riesco a vedere prima del buio più totale è Eva che mi salta addosso.
     
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