[CONCLUSA][Privata] Esistenze Congiunte

Arco narrativo: Lucy W, Satomi R.

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    Dal luogo in cui si fondono perfettamente Luce ed Oscurità

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    Narrazione privata, arco narrativo relativo al PNG Lucy Wolfheart
    La narrazione riprenderà anche alcune vecchie one shots, in particolare i contest, integrandoli con nuove aggiunte per chiarire la storia

    "Finalmente ho ottenuto una stanza qui al liceo Hakoniwa, dopo tutto quello che è successo ho trovato una sistemazione che spero sia più o meno permanente e stabile. E' molto diversa dall'orfanotrofio dove sono cresciuta, ma posso subito dire che la vita qui sembra molto più entusiasmante!
    Parlo in prima persona perché ho deciso che questo sarà il mio diario. O meglio, questo sarà il resoconto della mia storia fino a qui, fino a questo momento. Molto spesso ci dimentichiamo chi siamo, come siamo diventati ciò che siamo, il nostro vissuto. Le esperienze che abbiamo affrontato spesso si confondono l'una con l'altra, a volte non riusciamo più a distinguerle, soprattutto con il passare degli anni. Non voglio che accada questo. E soprattutto, voglio che anche altre persone possano leggere la mia storia: i miei amici, se mai ne avrò. Per ora mi bastano quelli che ho già, e che ho trovato con grandi fatiche: il Lupo, Satomi e, anche se ormai non è più con noi, Vladimir. Ho ricevuto recentemente notizie da Satomi del ritorno del ragazzo, qui, fra noi. Non l'ho ancora incontrata, quindi non so i dettagli, ma sarà un racconto alquanto triste. Anche lei mi ha detto di essere molto molto cambiata da quando ci siamo viste l'ultima volta. Non vedo l'ora! Ha detto che mi porterà in giro per la città, è tutto così nuovo per me...
    Bene, ora caro 'diario', voglio iniziare a raccontarti una prima parte della mia.... No, perché mia? Siamo in tanti a partecipare a questo lungo racconto, e voglio parlare di tutti loro
    Ecco, la nostra storia inizia in questo modo:"

    PROLOGO


    Quella sera l'aria era fredda, forse anche più del solito. Gelida. Quella zona del mondo si trovava all'estremo nord, lontana dalle altre due grandi capitali assieme alle quali rappresentava i centri principali del mondo conosciuto, e lì non esistevano le stagioni così come noi le conosciamo. L'autunno e la primavera erano quasi inesistenti. L'inverno durava per la quasi totalità dell'anno. A prescindere dal mese attraversato, la neve cadeva copiosa sui tetti delle case e sui rami della vegetazione priva di foglie. L'unica differenza era l'intensità con cui i fiocchi ricadevano sul paesaggio circostante. Va da sé che in un clima simile, ambiente e paesaggio avessero aspetti ben diversi da quello a cui le altre due grandi città, con i rispettivi villaggi e paesi circostanti, erano abituate. Le peculiarità tipiche di questa zona la rendevano isolata dal resto del mondo, assieme ai suoi abitanti e creature.
    Gli alberi, privi di vegetazione e di colore nero, emergevano dal terreno bianco e gelato come se fossero degli arti. A volte, sembrava che da sotto il terreno gli artigli di strane e dannate creature cercassero di catturare il mondo che viveva sopra il loro, per trascinarlo nell'oscurità sottostante. Appuntiti, affusolati, tesi verso il cielo. Chiunque posasse il suo sguardo sul quell'ambiente poteva notare immediatamente come la vegetazione avesse caratteristiche sconosciute nelle altre zone climatiche. Gli arbusti che crescevano ai piedi dei grandi alberi erano privi di parti verdi allo stesso modo delle loro controparti più grandi. Sembravano piuttosto una lunga rete di rami sottili e spinosi fatta per tenere al di fuori (e contenere all'interno) qualunque essere vivente. Che la natura avesse ideato una trappola naturale per tutti coloro che erano nati lì o malauguratamente venivano accolti? O forse una barriera naturale per difenderli? Le opinioni erano discordanti.
    In un ambiente tanto rigido, anche le strutture e gli edifici in cui vivevano gli abitanti della capitale del nord erano adatte alla sopravvivenza. Come gli alberi, schiere e file di caseggiati, villette, grandi o piccole che fossero, si susseguivano tutte uguali. Sempre nel medesimo ordine, riempiendo lo spazio in cui venivano costruite come se qualcuno le avesse clonate. L'una identica all'altra. Oppure come se si fossero riprodotte separandosi dall'abitazione a fianco, per svilupparsi in una nuova struttura esattamente identica a quella di partenza, esattamente come se fossero delle cellule. Erano disposte in modo da rendere le strade lineari, come se stessero costruendo una scacchiera. Non esistevano vie di mezzo, che interrompessero gli ordinati e ben disposti quadrati che si creavano dall'intersecazione delle varie strade. La diagonale non era contemplata, l'unica via era una linea retta che non curvava mai.
    La maggior parte delle persone, anzi, tutte le persone che vivevano in quella zona risiedevano nella capitale. A differenza delle altre due popolazioni qui non esistevano paesi circostanti, ma tutti gli abitanti si radunavano nell'unica città disponibile. Ciò spiega la notevole estensione della superficie di quell'enorme cittadina, superiore a quelle delle altre due capitali prese singolarmente. Al centro della complessa scacchiera, stavano le abitazioni di chi governava e di chi era più ricco. Le periferie, che ogni anno si spostavano con la costruzione di nuove case, non sfuggivano affatto all'influenza esercitata dal centro. Sia fisicamente che ideologicamente, la zona era una centrifuga che attirava tutto verso il centro di sé. Gli arbusti e gli alberi non erano solo una barriera figurata, ma impedivano spesso il passaggio a chi era in viaggio, unitamente alla neve costante. Per contro, nessuna notizia trapelava oltre quella linea. E chi lasciava la città non riportava alcuna informazione in merito a essa. Anche se le strutture stavano rapidamente consumando ed occupando lo spazio naturalmente creatosi all'interno di quella vegetazione, la costruzione procedeva inesorabile. Il che pareva strano a molti, essendo una zona così difficilmente raggiungibile.
    Chi entrava, a causa del clima rigido, doveva adattarsi in fretta agli usi e ai costumi delle persone locali, soprattutto per quanto riguarda il vestiario. Gli uomini e le donne indossavano poche tipologie di abiti, adatti alla sopravvivenza al freddo e al gelo di quella zona. Vestiti uguali per tutti, ma diversi per l'uomo e per la donna. Non esistevano colori nel mezzo, ma semplicemente nero da un lato e bianco dall'altro. Non si mischiavano quasi mai, aggiungendo forse altro nero quando si trattava di copri abiti o cappotti. Un mattino, però, un branco di cani – abituati e addestrati a muoversi nella neve e a inseguire le loro prede anche nelle peggiori condizioni ambientali possibili – ululava senza sosta. Erano partiti da una casa posta in una zona quasi periferica, mediamente lontana dal centro. La casa era stata ispezionata quel mattino stesso, dopo che alcune voci sospette erano state riferite dai vicini di casa. Una tale struttura degli spazi era progettata per far risaltare immediatamente qualunque tipo di diversità. E proprio questa era, di solito, oggetto di attenzione da parte degli abitanti, che difficilmente le vedevano di buon occhio. Anzi, ad essere sinceri praticamente mai.
    La famiglia che una volta abitava in quell'edificio era composta da una coppia, marito e moglie, con il loro figlio ormai adolescente. A causa di uno spiacevole incidente, i genitori perirono nella precedente abitazione, mentre il loro unico figlio si trasferì da solo in un'altra zona. Pare si sia trattato di un incendio scoppiato casualmente, a causa di una svista, anche se nessuno ha ancora scoperto se questa sia la verità oppure no. Il giovane riuscì a trovare un lavoro nella zona centrale poco dopo il tragico evento, in modo da poter sopravvivere. Aveva sempre condotto una vita alquanto isolata, tranquilla e silenziosa, tanto da essere ignorato da tutti i vicini di casa – sia precedenti che attuali. Tuttavia, la loro attenzione verso la sua nuova causa fu attirata da una serie di strani movimenti che avvenivano in quell'abitazione. Dovete sapere che non esiste miglior detective di chi, imperterrito, persiste nel cercare ciò che più disprezza o di cui ha paura. E, quasi sempre, lo riesce a trovare. Ma soprattutto, cercherà sempre e comunque di allontanarlo.
    Da svariati giorni, un gruppo composto da quattro ragazzi entrava e usciva, a orari alterni, da quella casa. Se inizialmente nessuno vi fece caso, a un certo punto l'insistenza delle visite destò i primi sospetti nelle persone che occupavano le case circostanti. Le finestre erano diventate ormai come occhi. Bulbi oculari che spiavano ventiquattro ore su ventiquattro tutto ciò che accadeva intorno, scambiando informazioni con la casa vicina, e quella ancora vicina, e quella accanto, e così via. L'indizio che cercavano? Penso che tutti lo sappiano, ciò che non si rispecchia in quello che quegli stessi occhi reputano normale. Una pioggia di domande iniziò ad affollare le piccole menti che spiavano attraverso i vetri: chi saranno mai? Cosa fanno tutti quei ragazzi chiusi in quella casa? Quei tre non sono della nostra zona, arrivano da altri quartieri... Cosa ci faranno mai con quel ragazzo?. Un giorno accadde una cosa curiosa. Due dei tre visitatori non si fecero più vedere in quella zona. Di punto in bianco, la loro presenza svanì nel nulla, come se non fossero mai esistiti. Di loro non si seppe più nulla.
    L'ultimo ragazzo rimasto continuava a visitare con assidua frequenza il giovane che viveva in quella casa uguale a tutte le altre, nello stesso quartiere identico a tutti gli altri quartieri di quella città tutta uguale. Tanto che, un giorno, nessuno lo vide più allontanarsi. Fu così che le domande iniziarono a trasformarsi nelle prime lamentele da parte delle case vicine: quei due farebbero meglio a tornare ognuno nella propria casa! La decenza, ormai, sembra non essere più di moda in questo paese! Ma cosa faranno mai due ragazzi, soli, senza alcuna compagnia, chiusi in quella casa, insieme? Ma le semplici lamentele e le curiosità di chi stava al di fuori di quella casa, e che pretendeva di scrutare al suo interno, si trasformarono in pretesa. Di cosa direte voi? Ovviamente di amministrare il modo in cui i veri abitanti avrebbero dovuto vivere, proprio come se ci vivessero loro stessi.
    Quegli occhi squadrati, apparentemente immobili e fatti di vetro, cercavano con insistenza di penetrare gli unici di loro che non scrutavano e parevano essere imperscrutabili. E questi tentativi si trasformarono in vera e propria intrusione, tant'è che ovunque i due ragazzi camminassero o si incontrassero – che fosse al ritorno da lavoro, lungo la strada, o addirittura in casa – la presenza di sguardi che li fissavano si faceva sempre più costante. E in un luogo dove le case erano tutte uguali, le strade identiche e gli abitanti tutti i medesimi, anche le voci correvano uniformandosi, diventando una sola: quei due ragazzi vivono insieme! Quale scempio e quale sciagura! Insostenibile, impossibile, indicibile.... Ma per chi? E per cosa? Di certo gli alberi affusolati e appuntiti non se ne lamentavano, così come le altre creature che abitavano quel mondo.
    Un giorno, mentre camminava di ritorno da una lunga e pesante giornata, Vladimir si accorse che non erano solo finestre a seguirlo e spiarlo. Erano persone – proprio così, le uniche creature che si opponevano – vere e proprie. Più di una. Agitato, decise di affrettare il passo. Il suo compagno, Bryan, non era con lui. Avevano orari molto diversi, perché lui era uno scrittore e poteva lavorare direttamente da casa. O almeno ci provava, vista la tenera età e il poco successo dei suoi scritti, forse un po' troppo provocatori per il luogo in cui viveva. Era ciò che aveva sempre ammirato di quel ragazzo, era lui il cervello della coppia, quello che poteva leggergli storie e raccontargli di cose che altrimenti non avrebbe potuto conoscere. E in fin dei conti a Vlad andava bene così: quel poco che guadagnavano era sufficiente per offrire loro una vita decente e felice.
    Nell'oscurità della sera, i passi del ragazzo non erano gli unici che rimbombavano per le strade. Altri si aggiunsero alle sue ampie falcate volte a seminare i suoi inseguitori. Ma ovunque si voltasse, ne trovava di nuovi. Dalle finestre. Dalle porte. Dietro di lui. In poco tempo raggiunse la sua casa, il suo rifugio. Una volta entrato, trovò Bryan seduto al tavolo in salotto intento a scrivere, come al solito. Agitato, corse in mezzo a quella stanza, tirando tutte le tende. Mentre lo faceva, scorse delle ombre correre via dal loro giardino. “Dobbiamo andarcene via da questo stramaledetto posto!” Sbottò, ormai incapace di trattenersi oltre. L'altro ragazzo sollevò lo sguardo, preoccupato dal tono della sua voce “Cosa?”.
    “Hai capito benissimo, non possiamo rimanere qui... Mi stavano inseguendo capisci!” Ormai era in preda al panico. Non riusciva più a contenere la sua voce e le mani tremavano incontrollate. “Chi ti inseguiva?” Chiese Bryan, alzandosi dal tavolo per raggiungerlo. Tentò di raggiungere le mani del ragazzo, per tentare di tranquillizzarlo. Scrollandosi di dosso le mani di lui, Vladimir si spostò, raggiungendo l'altro lato della stanza. “Siamo in pericolo qui, e tu lo sai... Voglio andare via...”. Il tono della sua voce lasciava trasparire non solo disperazione, ma anche paura. Fra i due, Bryan era sempre stato quello più riflessivo e non esitò oltre: lo raggiunse, visibilmente preoccupato per la sua paura e, senza dire nulla, lo baciò con passione, come non aveva mai fatto prima. E per quei lunghi secondi, tutti gli inseguitori, gli occhi indiscreti, le casette tutte uguali e identiche, sparirono in un vortice che spazzò via tutto quanto. Non esistevano più. Esisteva solo la forza di quel bacio che per quel momento divenne eterno.
    “Hai ragione... Non volevo dirtelo per evitare che ti preoccupassi troppo, ma oggi hanno bussato alla porta svariate volte, con insistenza. Non volevo aprire ma quando mi sono avvicinato sono fuggiti... E... E qualcuno ha sfondato la finestra della nostra camere, con un sasso o qualcosa di simile....” Confessò Bryan, ormai incapace di trattenere e di nascondere quanto era accaduto.
    Perché?
    I due si fissarono a lungo. Ma nonostante quello sguardo pieno di paura, dopo poche ore, nel pieno della notte, decisero di fuggire. Lasciarono la loro casa attraversando quelle strade invase dalla neve. L'oscurità era la loro migliore alleata, a quanto pare non solo quella volta. Gli occhi non potevano arrivare a loro se non potevano vederli. Ma a quanto pare, l'occhio umano ostinato riesce a trovare l'oggetto del suo odio anche al buio. E fu così che, durante la fuga, i due sentirono alle loro spalle un branco di cani che ululava. Erano già sulle loro tracce,
    Perché?
    La neve era altissima, correre era quasi del tutto impossibile. Avevano portato con loro solo poche cose, lo stretto necessario e nulla di più. Eppure, l'ambiente circostante non rendeva facile quella fuga. La natura e le intemperie non risparmiavano nessuno, inseguitori compresi. I mastini, però, erano allenati ad affrontarlo ed erano sempre più vicini. La distanza fra loro e il branco si riduceva sempre di più e sempre più in fretta. Il tempo a loro disposizione stava per finire. Vladimir strinse la mano di Bryan, correndo avevano raggiunto il limite di una collina il cui lato era estremamente ripido e scosceso. Con così tanta neve sarebbe stato pericoloso per chiunque scendere.
    Perché?
    Un altro bacio. Poi Vladimir si sentì cadere, giù per la collina. Mentre rotolava in mezzo alla neve le pietre e i massi lo ferivano. Non riusciva a vedere chiaramente, tutto vorticava, rapidamente, tutto era confuso e la neve e il vento non aiutavano per niente. Solo una cosa era chiara: Bryan era sempre più lontano, in cima alla collina. Era rimasto lassù, lo aveva spinto e dopo un ultimo sguardo, si era voltato. Una lacrima scivolò sulla sua guancia per perdersi nella neve. I cani sempre più vicini.
    Perché?
    Gli alberi e gli arbusti, tutti uguali e identici, insuperabili.


    CAPITOLO 1 - C'era una volta


    C'era una volta, in un paese lontano che si trovava vicino a un fitto bosco, una giovane e piccola fanciulla, che tutti chiamavano Cappuccetto Rosso. Ora, vi starete sicuramente chiedendo come mai. Bé, la risposta è assai facile: perché indossava sempre un mantello con un cappuccio, tutto rosso. Un giorno la bambina decise di addentrarsi nel bosco vicino casa per raggiungere la nonna. "Preparerò un cesto con i fiori che ho raccolto per la nonna, e le porterò qualcosa di buono da mangiare!" E così dicendo si incamminò. Cammina cammina, la piccola Cappuccetto Rosso raccolse svariati fiori che mise nel suo cestino, sempre ben attenta a non smarrire la strada principale per evitare di perdersi nel bosco. Ben si ricordava, infatti, delle raccomandazioni che le faceva sempre la nonna. Nonostante tanta attenzione, però, non si era accorta che qualcuno la stava seguendo. Quel qualcuno aveva in mente un piano diabolico, e di gran fretta si mise a correre verso la casa della nonna di Cappuccetto Rosso, per riuscire ad arrivare prima e aspettarla lì. Fu così che il lupo aprì la porta della casetta e sgattaiolò al suo interno...
    Frosh. Frosh. Frosh. Lucy iniziò a sfogliare le pagine, troppo curiosa per fermarsi alla prima storia, troppo presa da quel suo nuovo libro per limitarsi a leggere un racconto per volta. La donna di servizio che preferiva, quella che in un modo o nell'altro si prendeva sempre cura di lei, era riuscita a regalarle (anche se di nascosto) un grosso libro di favole. La rilegatura era pesante, sembrava un po' uno di quei libroni creati secoli fa, e che racchiudevano tantissimi anni di storia al loro interno. Aveva tutta l'aria di essere prezioso. E lo era, perché alla donna era costato molta fatica: non era di certo facile nascondere un tale tomo e trascinarlo su per tutte le scale fino alla stanza della fanciulla. La sola copertina sembrava pesare una tonnellata. Ma eccolo lì, fra le sue mani.
    Perché (sembra essere la domanda ricorrente ormai) tanta foga di nascondere un semplice libro di favole? Che domande... Ad Heaven's Feel i libri erano proibiti. O meglio, quelli che non passavano il controllo del Signor Blackthorn. E in genere gli unici che ottenevano il via libera erano noiosi libracci tutti consumati, che lui costringeva tutti loro a studiare. Oppure una copia di quello che lui chiamava "il libro con la L maiuscola" (qualunque cosa potesse voler dire). Lucy aveva provato a leggerne qualche pagina, ma le sembrava tutto troppo difficile, a partire dalle età dei personaggi. E il racconto di come Dio avesse inondato l'intera terra l'aveva inquietata. Ma erano proprio questi i racconti che lui preferiva insegnare e che davano un'aria tanto lugubre alle sue lezioni.
    "Io... Non... Cos'è?"
    "Questo é un regalo per te mia cara! Mi raccomando trattalo bene, portartelo mi è costato molta fatica”
    “Ma non possiamo leggere cose di questo tipo...”
    “Per questo motivo dovrai fare molta attenzione a non farti scoprire! Sta a te ora conservare questo nostro piccolo segreto, mi raccomando!”
    “Grazie di cuore... Io...”
    Ma prima ancora che Lucy riuscisse a finire la frase, la donna era già sparita. Una cosa che non riusciva a spiegarsi era quella sua strana capacità di apparire e scomparire nel nulla, quasi come se fosse un fantasma. Senza porsi troppo domande, la giovane chiuse la porta della sua stanza con la chiave – perché non si potevano lasciare aperte, soprattutto di notte, infatti ogni stanza doveva essere chiusa a chiave prima di andare a dormire – e si diresse verso la comoda poltroncina accanto al camino. Aveva sempre amato leggere, e quel libro la attirava. Non riusciva a staccare gli occhi dalla rilegatura, che sfiorava con le sue mani ancora e ancora, dall'alto verso il basso. Da destra a sinistra. Era vellutata, quasi fosse una stoffa pregiata. Ma allo stesso tempo era talmente rigida da non poter essere piegata in alcun modo.
    Il cuore le batteva a mille mentre lo apriva, non si era nemmeno accorta che stava trattenendo il fiato per la paura. O era eccitazione? Non sapeva bene quale delle due fosse, ma era certo che non vedesse l'ora di iniziare a leggere.
    Le pagine erano spesse e ingiallite, sembravano quasi.... Sì, quel materiale antico su cui scrivevano le persone secoli fa... “Sembra quasi una pergamena” disse sottovoce, senza quasi rendersi conto di aver pronunciato davvero quelle parole. Quando le sfogliava emettevano uno strano fruscio, e sembrava che qualcuno le avesse scritte a mano. La particolare conformazione delle lettere e la calligrafia erano completamente diverse dai caratteri stampati, ormai comuni alla maggior parte dei libri che provenivano dalla capitale più avanzata fra le tre. Lucy portò il libro vicino al volto, per annusarlo. Sentiva chiaramente l'odore della carta, dell'inchiostro. Ma anche uno strano profumo. Lieve. Leggero. Quasi impercettibile. Decise che il giorno dopo avrebbe ringraziato la donna che gliel'aveva regalato. “Ora che ci penso non so nulla di lei, so solo il suo nome... Celestine!” disse fra sé e sé, dopo aver appoggiato il libro sulle gambe. Il fuoco nel caminetto scoppiettava allegro, per un bel po' non avrebbe dovuto aggiungere legna. Aveva tutto il tempo per leggere, avrebbe pensato a Celestine l'indomani.
    Fu così che iniziò dalla prima pagina, leggendo la storia di Cappuccetto Rosso. Anzi, il desiderio di conoscere ciò che era scritto in quel volume era tale che iniziò a leggere svariati pezzi della storia. Ad essere sinceri non sapeva nemmeno il vero significato della parola “favola”, ma l'aveva sempre affascinata. Trovava il suono di alcune parole meraviglioso: favola, fiocco, filantropo. Molte iniziavano con la “f”. Spesso si divertiva a pronunciarle in modo particolare, enfatizzando alcune lettere, come le due “c” della parola “fiocco”. Per quanto strano anche le parole come “rosso” e “sangue” erano fra le sue preferite, e spesso componeva filastrocche giocate sulle parole “rosso sangue” e “sangue rosso”, dove invertiva l'ordine più e più volte. Ma ora davanti a lei aveva un nuovo ed enorme mondo di parole da cui trarre ispirazione, dove trovarne di nuove, forse dai suoni ancor più interessanti. E quale favola migliore da cui iniziare, se non Cappuccetto “Rosso”?
    La curiosità, è risaputo, conduce spesso in luoghi imprevisti, ci spinge a conoscere cose che non vorremmo sapere. Ma ci mette anche molta fretta. Per questo dopo alcune righe, la nostra cara Lucy voltò pagina. Frosh. Frosh. Frosh. Quel rumore la incantava tanto quanto il suono delle parole. Pianse a dirotto per la povera Biancaneve e l'amore che lei provava per il principe. E che paura la strega cattiva di Hänsel e Gretel, ancora non riusciva a credere che qualcuno potesse tentare di mangiare due bambini tanto innocenti come loro. Ma nulla la intrigava di più della favola dell'uccello d'oro, a tutti i costi voleva sapere chi fosse quella volpe e da dove provenissero tutte quelle cose fatte di puro oro. Ora che ci pensava, lei non sapeva nemmeno come fosse l'oro, non lo aveva mai visto. Perché dovete sapere che ad Heaven's Feel l'oro era proibito. Il lusso non era fatto per i suoi abitanti: oro, argento, oggetti preziosi, vestiti costosi. Niente di tutto questo era permesso. “Un'esistenza semplice rimarrà sempre la migliore delle esistenze” ripeteva spesso il Signor Blackthorn. Il motivo, però, nessuno riusciva a comprenderlo. Forse perché non era mai diventato ricco, come aveva suggerito una compagna di classe, Sophie. Ma subito dopo aveva abbassato gli occhi, per paura che qualcuno la sentisse dire certe cose. Le punizioni erano frequenti, e quando arrivavano lasciavano il segno.
    Notò una cosa strana, a un certo punto del libro: in una delle favole mancava una parola. Ogni volta che la incontrava, al suo posto trovava uno spazio bianco. Nessuno aveva scritto il nome della protagonista. Eppure ciò non ridusse la rabbia e l'indignazione di Lucy nel vedere come le due sorellastre trattavano la povera “...”. Come poteva chiamarla? Doveva darle un nome, ma decise che ci avrebbe pensato il giorno dopo. Ora che ci pensava, anche nella favola di Cappuccetto Rosso mancava un nome. Chi aveva aiutato la nonna e la bambina a fuggire dal lupo? Troppi interrogativi, ma questi non facevano altro che aumentare la voglia, già molto forte tra l'altro, di scoprire tutto di quel libro.
    Fuori il cielo era grigio. Le nuvole erano cariche di pioggia e da qualche ora stavano riversando quello che pareva essere un fiume d'acqua sulle case, le strade, gli alberi, il parco. Dall'alto della collina Lucy poteva vedere la città con le sue strade solo in lontananza, oltre la marea di alberi. La pioggia era così intensa che una fitta nebbia, quasi che fosse vapore, si era sollevata dal terreno rendendo confusa anche l'immagine della strada che da Heaven's Feel conduceva all'uscita del parco. Lo scroscio della pioggia contro i vetri della sua stanza era molto simile a quello delle pagine del suo libro. Si mise in ascolto. Chiuse gli occhi. Scroooosh. Un rumore continuo. E poi qualcos'altro. Ogni tanto, lieve e appena percettibile, si sentiva un altro rumore. Ploc. Ploc. Cosa poteva essere? Forse delle gocce più grosse delle altre, più pesanti. Il volume era ormai chiuso ma, rimanendo sempre con gli occhi chiusi, Lucy lo portò davanti a sé reggendolo con la mano sinistra, le pagine rivolte verso l'alto. Tenendo la mano destra su un lato della rilegatura, fece scorrere le pagine con il pollice, in rapida successione. Quella carta così ingiallita, dura e rigida, produsse un rumore forte. Continuo. Ed ecco che il fruscio si mischiava all'acqua. Come un unico, lungo e interminabile suono che pareva dovesse spazzare via tutto. “Fa che sparisca tutto... Così come queste pagine che scorrono fra le mie dita, fa che quest'acqua porti via tutto” pensò Lucy. Ploc. Frosh. Scroooosh. Un tutt'uno. Un suono non si poteva distinguere dall'altro. Così come nella realtà quei suoni erano diventati una cosa sola, anche nella sua mente ormai le storie erano tutte legate l'una all'altra, un'esperienza unica da esplorare, conoscere e da cui imparare.
    Le finestre che esplodevano. I muri che si scioglievano. Il tetto che ricadeva all'interno ormai privo di sostegno. E acqua. Tanta, tantissima acqua. Una vera e propria cascata che spazzava via tutto, che cadeva dall'alto inondando tutti i piani, le stanze, le scale, l'ingresso. Una volta a terra ormai non vi era più alcuna traccia dei muri, il tetto era in mille pezzi mentre il fiume trascinava via tutto: poltrone, sedie, mattoni, porte di legno. Prima che sparisse sott'acqua Lucy riuscì a scorgere la copertina nera della testo sacro del Signor Blackthorn. Galleggiò per qualche istante, quel libro che lui forzava ogni giorno nelle loro menti. Ma come tutto il resto, affondò inesorabilmente travolto da quell'enorme massa d'acqua.
    Toc. Toc. Toc. Tre colpi alla porta. Secchi. Decisi. Lucy riaprì gli occhi, facendo cadere il libro per il sussulto provocato dall'interruzione. Toc. Toc. Toc. “A... Arrivo!” Doveva nasconderlo, subito. Non poteva permettere che qualcuno lo vedesse, gliel'avrebbero portato via. In tutta fretta lo nascose sotto il letto, si sistemò i capelli per essere presentabile e andò ad aprire la porta. Era iniziata la ronda giornaliera della Signora Blackthorn. Quando Lucy aprì la porta, le si presentò davanti la solita figura. Una donna dalla pelle bianchissima, vestita con un lungo abito bianco che arrivava fino ai piedi. Gli occhi erano scuri, con profonde occhiaie che risaltavano sul pallore che la contraddistingueva. In mano aveva una lanterna, con una piccola fiammella accesa che illuminava il lungo corridoio con le stanze del dormitorio. La Signora Blackthorn non parlava quasi mai, e quando lo faceva era come se sussurrasse. La sua voce era debole, forse a causa del suo fisico e della sua salute precaria. Spesso infatti si assentava per giornate intere, e tutti si chiedevano il motivo di queste sue frequenti sparizioni. Presto voci sulla sua infermità iniziarono a circolare: pareva avesse una strana malattia che la costringeva a letto, del tutto immobile.
    Come se Lucy non esistesse nemmeno, si sporse nella stanza, allungando la lanterna davanti a sé, quasi sfiorando la fanciulla. “É... É tutto in ordine, Signora Blackthorn?” chiese lei, intimorita come sempre dai modi della donna. Questa le rivolse un solo sguardo, ruotando gli occhi verso di lei. Uno sguardo che sembrò durare un'eternità. Dopo di che, con un semplice cenno della testa, ritrasse la sua fonte di luce e si allontanò, tornando nel corridoio buio. Lucy chiuse la porta di scatto, girando la chiave. Respirava affannosamente.
    Per oggi, il suo segreto era salvo.


    CAPITOLO 2 - Heaven's Feel


    Circondato da un immenso parco così fitto di alberi da sembrare immerso in un bosco, sulla punta di una lieve collina al centro della recinzione che racchiudeva al suo interno l'intera area verde, ecco Heaven's Feel. L'antico orfanotrofio – costruito moltissimi anni prima della nostra storia – dominava, dalla posizione rialzata che occupava, l'enorme appezzamento di terra in cui si trovava. La parte centrale, a cui si poteva accedere da un'enorme, massiccio e pesantissimo portone di legno, era più bassa delle due torri presenti su entrambi i lati della costruzione. In queste erano situati i dormitori, dentro i quali venivano ospitati i ragazzi e le ragazze abbandonati o che avevano bisogno di un riparo o una casa in cui fermarsi. Spesso capitava che i proprietari trovassero all'ingresso bambini e bambine abbandonati dai genitori, per i motivi più disparati. Il loro compito era prendersene cura. O almeno, in teoria quello era l'obiettivo che veniva professato da chi lo aveva costruito. Le due torri erano chiaramente divise in stanze, ognuna delle quali presentava una singola finestra che si affacciava sull'immensa zona verde.
    Con il passare degli anni, l'edificio di Heaven's Feel ha assunto varie e diverse funzioni: scuola, orfanotrofio, carcere e addirittura istituto religioso. Oggi tutte queste funzioni si confondevano l'una con l'altra, dato che i nuovi proprietari non mantenevano una rigida divisione fra di esse. Tuttavia, era chiaro che l'ultima di queste funzioni era quella predominante. Il Signore e la Signora Blackthorn accoglievano all'interno del loro istituto chiunque, a prescindere dalla provenienza. Capitava, spesso e volentieri, che i ragazzi e le ragazze venissero condotti in quel luogo anzi che essere puniti dalla giustizia (anche se questo era, per i due coniugi Blackthorn, un concetto molto astratto in cui non credevano, specie quando si trattava della giustizia umana in senso stretto). La realtà dei fatti era ben diversa: in molti casi si trattava di giovani che compivano furti o che erano costretti a vivere per strada. Una volta presi in custodia, venivano condotti a Heaven's Feel. Questo era l'edificio centrale della capitale a sud, che ne rappresentava la cultura e il modo di condurre la politica o gestire la città. Era collegata ai numerosi villaggi e città vicine tramite un sistema di offerte e scambio di lavoro, che assicurava manodopera e risorse a tutti i vari nuclei costruito intorno a questo grande centro. Ultimamente, però, il numero di persone prive di una casa, un lavoro e che vivevano in condizioni critiche ai margini della città cresceva sempre di più. Che fosse sintomo di un arretrato sistema ormai incapace di soddisfare i bisogni dei propri cittadini? Nel microcosmo di Heaven's Feel raramente si discutevano le condizioni economiche e fisiche di chi viveva in quella zona.
    Dopo la dipartita dei precedenti proprietari per cause sconosciute, i coniugi Blackthorn decisero di imporre un severo regime religioso all'interno del loro nuovo istituto. Nessuno sa esattamente dove avessero trovato i soldi necessari ad acquistare un edificio di tali dimensioni. Molte ipotesi, nessuna certezza. Stesse incertezze si avevano sul loro matrimonio e sulle due famiglie. Voci circolavano per la città su un oscuro passato del Signor Blackthorn, spesso taciute dall'enorme influenza che l'uomo ormai esercitava sulla città. In possesso dell'edificio e del terreno più grandi della capitale, era riuscito facilmente a entrare nell'ambiente politico, assumendone quasi il controllo. L'enorme barriera naturale fatta di alberi e la recinzione attorno al parco, rendevano la sua base praticamente inavvicinabile dall'esterno, se non alle persone autorizzate.
    Le lezioni, condotte all'interno dell'edificio, spesso insegnavano come mantenere una certa moralità, mentre marito e moglie si dividevano gli allievi. Il primo si occupava principalmente dei ragazzi e del loro dormitorio. Tuttavia spesso decideva anche di impartire lezioni alle fanciulle, sostituendo la moglie. Quest'ultima, che vantava un certo grado di conoscenza, insegnava alle giovani ragazze a leggere, a scrivere e a svolgere tutta una serie di mansioni pratiche: cucire, cucinare e tutto ciò che una donna avrebbe dovuto svolgere in casa. Capitava spesso che il marito si occupasse delle ore dedicate allo studio dei testi religiosi e alla cultura, soprattutto nei giorni in cui la Signora Blackthorn si ritirava a causa dei suoi problemi di salute. Le giornate si ripetevano l'una uguale all'altra e, mentre il mondo all'esterno andava avanti, il tempo ad Heaven's Feel pareva essersi fermato del tutto. Gli ospiti (o almeno così venivano chiamati dai proprietari i giovani presenti nell'istituto) non conoscevano nulla di ciò che accadeva al di fuori della grande recinzione e non avevano contatti con nessuno a parte i Blackthorn e il personale (alquanto limitato) dell'orfanotrofio. Una tenuta così grande, tuttavia, richiedeva un altrettanto imponente quantità di lavoratori. Giardinieri e manovali si occupavano dell'esterno e del grande parco, anche se a nessuno di loro era permesso superare il portone di legno dell'ingresso. Le uniche ammesse a scorrazzare per le stanze erano le domestiche, che correvano avanti e indietro lavorando senza sosta.
    Se normalmente Heaven's Feel era isolato dal mondo esterno, ciò era particolarmente vero durante i periodi di intense nevicate invernali che ricoprivano interamente il parco nel quale si trovava. Ma fu proprio durante una di queste intense giornate di neve, freddo e vento che accadde un evento particolare e insolito per quel periodo.
    Qualcuno bussò alla porta di Heaven's Feel, in piena notte. Una delle domestiche, a cui era stato affidato il compito di badare a eventuali visite durante l'orario notturno, si avvicinò con fare sospetto alla porta. Chi poteva essere a quell'ora della notte e con quel tempo? Il vento infuriava e la neve continuava a cadere senza sosta. Tutt'intorno ad Heaven's Feel non si vedeva altro che bianco, come se qualcuno avesse posato una coperta su tutto il parco per nasconderlo alla vista degli sguardi indiscreti dei passanti.
    Con passo tremante e reggendo una lanterna la donna raggiunse la porta, dove erano stati battuti diversi colpi, con insistenza. Il rumore rimbombava per tutto l'ingresso, facendo da eco ai passi incerti della domestica. Proprio quando toccò il gigantesco portone di legno, cessarono. Una volta spostati i due travi che servivano a sbarrare la porta durante la notte, la donna la aprì leggermente. Il cigolio risuonò per tutto l'ingresso, mentre uno spicchio di luce illuminò la neve sulla scalinata, mostrando una serie di impronte che si fermava poco prima dell'ingresso. Spostando la lanterna e scostando la porta, la donna vide chiaramente un'altra fila andare nella direzione opposta. Un movimento catturò la sua attenzione e, sollevando lo sguardo, vide un passeggino sul lato dell'ultimo gradino. Aprendo gradualmente la porta, la luce della lanterna accesa lo illuminò: era avvolto da una coperta rossa e si muoveva come se ci fosse qualcosa (o qualcuno) al suo interno. Il vento soffiava e la neve si stava già posando su quel rosso scarlatto, ma per qualche strana ragione non sembrava in grado di spegnere quel colore che pareva un fuoco acceso. Un leggero pianto proveniva da sotto la coperta, appena udibile a causa del rumore causato da quella bufera.
    La domestica decise di uscire. Recuperò il passeggino e rientrò, chiudendo la porta. Nessuna lettera. Nessuna foto. Nemmeno un nome. Dopo aver scostato la coperta, comparve il volto di una bambina. A giudicare dall'aspetto doveva avere si e no tre o quattro anni, ma una cosa era piuttosto sconcertante: i suoi capelli. La donna prese in braccio la piccola, facendo attenzione a mantenerla avvolta nelle soffici lenzuola che la riscaldavano. Passò le mani fra i capelli della bambina, stupefatta da quel colore.
    I coniugi Blackthorn erano immersi in un sonno profondo quando la domestica bussò ripetutamente alla porta della loro camera. Al fondo del salone d'ingresso si trovava una grande scala che procedeva fino a un pianerottolo, dal quale partivano altre due rampe di scale, rispettivamente a destra e a sinistra. Al centro, come se fosse stata costruita lì per dividere le due direzioni, stava un'altra enorme stanza: l'appartamento privato dei proprietari di Heaven's Feel. Era vietato entrare a tutti gli studenti e alle studentesse, mentre solo ad alcune delle domestiche veniva garantito l'accesso per le pulizie giornaliere, anche se per un periodo di tempo piuttosto limitato. La donna in questione non aveva mai varcato quella soglia.
    Dopo una decina di minuti, tra l'incessante bussare e i pianti della bimba, la porta si aprì. Una donna dai lunghi capelli neri che ricadevano sul corpo e sulla schiena, con una lunga vestaglia da notte bianca, si affacciò. Reggeva in mano una lanterna, sul viso pallido e scarno erano visibili le solite occhiaie molto profonde. La Signora Blackthorn sollevò la mano nella quale stringeva l'unica fonte di luce in quel luogo immenso e buio. Fissò prima la donna e poi la bambina. "Cosa ci fai con questa creatura in braccio?" Disse ispezionandola a fondo. "È stata.... Qualcuno ha bussato alla porta, signora. Quando sono uscita ho... Ho trovato lei" disse la domestica, con voce tremante. Dal profondo della stanza la voce del Signor Blackthorn chiedeva cosa stesse succedendo. Profonda e forte, metteva inquietudine al solo sentirla. "Cosa... Cosa possiamo fare con lei, Signora?"
    La donna guardò di nuovo la bambina, e questa volta il dettaglio non le sfuggì. Per un attimo sbarrò gli occhi, avvicinando ancora di più la lanterna al volto della piccola. Quest'ultima, infastidita dalla luce, si voltò di lato nascondendo il viso nel braccio della domestica. La mano della Signora Blackthorn tremava leggermente, e si voltò indietro al suono della voce del marito. "Quale diavoleria è questa? Questo colore è inconcepibile! Lava i suoi capelli, cerca di levarglielo o di coprirlo! Domani ne riparleremo!" E così dicendo, senza dare all'altra il tempo di rispondere, chiuse la porta per tornare a dormire. La domestica fece marcia indietro, con la bimba fra le braccia. "Shh... Non piangere, vedrai che troveremo una soluzione" disse rivolta alla giovane.
    Una volta raggiunto il dormitorio femminile, la donna fece scendere dell'acqua calda, in modo da poter fare il bagno alla bambina dai capelli rosa. La piccola le rivolse un sorriso raggiante mentre la poggiava delicatamente nell'acqua, e solo allora notò i suoi occhi azzurri. Non poté fare a meno di dire, sorridendo: "Sei davvero una bambina speciale, vero?". Per tutta risposta, la bimba iniziò ad agitare le braccia nell'acqua, continuando a sorridere. Per quanto ci provasse, il colore dei capelli non cambiava. Nemmeno di una tonalità. Quel rosa acceso non voleva sparire. La domestica sapeva benissimo che i Signori Blackthorn non lo avrebbero tollerato.
    Per ora, però, non si poteva far altro che mettere la piccola a dormire, dopo averla asciugata e fornita di vestiti e coperte nuove. Fu così che la piccola Lucy fece il suo ingresso a Heaven's Feel, il luogo in cui avrebbe iniziato a scrivere la sua storia.


    CAPITOLO 3 - Lettere di solitudine


    Provare a sollevare il braccio gli provocava ancora un dolore lancinante. Una fitta molto forte attraversava il suo corpo a partire dal gomito, per arrivare fino alla spalla. Inoltre i movimenti che poteva compiere erano molto, molto limitati. Provò a socchiudere gli occhi, finalmente riusciva ad aprirli senza fatica. Destra e sinistra erano confuse, era immobile da così tanto tempo che non capiva più nemmeno quale braccio o quale gambe stesse provando a muovere. Per non parlare del dolore alla testa. Era come se qualcuno dall'interno continuasse a colpire con un martello.
    Era nella più completa e totale oscurità. Da un numero di giorni (o di mesi?) indefinito. Tutto ciò che riusciva a percepire era il cambiamento del tempo, fra un sonno e l'altro. Per qualche strano motivo, ogni volta che l'infermiera (anche se non era affatto sicuro che lo fosse, ma era l'unica identità che era riuscito a darle) veniva a portargli la sua medicina sprofondava in un lungo e profondo sonno, popolato da incubi che non riusciva poi a ricordare se non vagamente. Aveva intuito dalla voce che si trattava di una donna. E per lo meno era gentile con lui.
    Oggi la pioggia si abbatteva incessante contro quella che pareva essere una finestra. Anche se provava a voltarsi verso il punto da cui proveniva il rumore, non poteva scorgere con chiarezza cosa ci fosse al di fuori, perché le tende erano sempre e costantemente tirate. “Di questo passo i miei occhi non sapranno più nemmeno cosa significhi vedere” pensò. Da quanto tempo era in quello stato? Ma mentre pensava il sonno sopraggiunse di nuovo. Incalzante. Forte. Così potente da non poter essere sconfitto in alcun modo. E fu così che perse di nuovo coscienza, sprofondando in buio infinite volte più oscuro di quello che permeava la stanza in cui si trovava. Un'oscurità popolata da mostri. I peggiori che avesse mai incontrato.
    Celestine entrò nella stanza evitando di far rumore. Era solita entrare quando sapeva che il giovane ragazzo dormiva. Era arrivato da poco, e come sempre i compiti di accoglierlo, prendersene cura e soprattutto tenerlo in vita spettavano a lei. I Signori Blackthorn avevano predisposto una stanza all'ultimo piano dell'ala maschile dell'edificio. Gli ordini erano di segretezza e sorveglianza, fintanto che non si fosse ripreso del tutto.
    La donna lo aveva trovato moribondo e morente in una delle stanze appartenenti alla taverna della città. All'insaputa dei due coniugi, Celestine aveva stretti rapporti con il proprietario di quel luogo. Era un uomo alto, robusto e, a giudicare dalle pieghe degli abiti, parecchio muscoloso – probabilmente per l'abitudine ai lavori pesanti. A completare il quadro: una folta barba e capelli sempre arruffati. Si vestiva spesso con larghe camice a quadri, stivaloni e berretti improponibili, ma tutto sommato aveva un cuore d'oro e tutti lo amavano. Era capace di far tornare il sorriso sul volto di chiunque. Durante un giorno di sole, Celestine si era diretta in città assieme ad altre due domestiche di Heaven's Feel in cerca di cibo, bevande, materiali e ingredienti vari.
    Mentre camminava lungo la strada che passava davanti alla taverna sentì un fischio provenire dalla finestra. Una. Due. Tre volte. Celestine, che prima aveva tentato di ignorarlo, si voltò verso il luogo da cui proveniva il suono. E lì lo vide. Il proprietario, con le sue guance rosse, uno dei suoi soliti berretti (questa volta rosso) e una camicia dello stesso colore. Nella mano sinistra reggeva una grossa ciotola con dentro della farina e sventolava con la mano destra una bottiglia, probabilmente di olio.
    “Mia adorata Celestine! Venite vi prego, devo mostrarvi una cosa!” Disse l'uomo, con un tono basso e agitato.
    “Mi dispiace, ma temo di non potermi fermare! Ho poco tempo e moltissimi acquisti da fare! Se non mi sbrigo, i signori non me lo perdoneranno di certo!” Rispose la donna, rimanendo ferma nel punto da cui aveva avvertito il richiamo dell'uomo, prima di voltarsi.
    “Vi chiedo scusa per la mia insistenza, ma si tratta di una cosa seria!” Insistette lui.
    Combattuta fra la fretta e la curiosità, Celestine cedette alla seconda. Nell'avvicinarsi alla finestra aggiunse “Badate di non farmi perdere tempo! Che sia una cosa veloce!”. Ma la donna ancora non sapeva a cosa stesse andando incontro. “E com'è che ancora non conosco il vostro nome? Ci vediamo spesso, ma pare che nessuno oltre a voi sia a conoscenza della vostra identità!”
    “Vede mia signora, le persone importanti come me devono mantenere un certo grado di riservatezza!” Rispose lui con una delle sue fragorose risate.
    “Sarà! Ma stia attento, la notorietà – così come l'eccessiva riservatezza – attirano spesso e volentieri sguardi pericolosi!” Lo mise in guardia Celestine.
    Mentre parlavano attraversarono diverse stanze, una dopo l'altra. Man mano il volto dell'uomo si faceva sempre più cupo e diventava sempre più silenzioso. Si fermò all'improvviso di fronte a un'ultima porta, chiusa. “Ecco, si trova qui” disse girando la chiave. Quando entrarono, ciò che Celestine vide di fronte ai suoi occhi la lasciò a bocca aperta. Un giovane ragazzo giaceva sull'unico letto presente in quella stanza. Uno dei due occhi era gonfio e violaceo. Del sangue secco era rimasto ai bordi del labbro inferiore, che pareva ancora pulsare per il gonfiore. Era immobile, sotto le coperte. Ma respirava.
    “Dove lo avete trovato? E come ha fatto a ridursi così?”
    “Non ne ho la minima idea, l'ho trovato di fronte alla mia porta questa mattina... Parlava un misto fra la nostra e un'altra lingua. Credo provenga da uno dei paesi freddi del nord”
    “Povera creatura... Chissà per quale motivo è stato picchiato in questo modo”
    “Esistono ragioni, mia cara signora, che mai immaginerebbe. Gli esseri umani sono difficili da comprendere, ma ancora più difficile da capire è la violenza... La violenza a cui a volte si abbandonano...” Disse cupo l'uomo, fissando il pavimento in un punto imprecisato vicino ai suoi piedi.
    “Violenza o no, non possiamo lasciarlo così! Lo porteremo dai Signori Blackthorn!”
    “Cosa?! Non lo accetteranno mai!”
    “E perché mai? É un ragazzo in difficoltà, è ciò che loro fanno! Per quanto io ne discuta i metodi loro non...”
    Ma prima di poter finire la frase fu interrotta dal suo interlocutore, che aggiunse con voce profonda: “Questo ragazzo ne ha passate tante, fa parte di... Di un gruppo di persone che... Che non viene ben vista, al nord come da noi, per quanto nessuno di noi qui si lascerebbe andare a simili atti animaleschi... O almeno credo”
    “Un gruppo.... Non mi intendo di gruppi, mi intendo di persone in difficoltà! E questo ragazzo lo è di certo! Qualunque segreto lui abbia, finché non sarà in grado di parlare rimarrà tale. Per lo meno avrà un tetto sotto cui ripararsi e delle cure adeguate” si affrettò a dire Celestine, per poi continuare: “Heaven's Feel non sarà il migliore dei posti di questo mondo, ma se non altro dispone di molti domestici e di cure mediche... Tanto vale fare un tentativo!”
    E fu così che, fra l'incertezza del proprietario della taverna e l'apprensione di Celestine, il giovane venne portato a Heaven's Feel per ricevere le giuste cure, medicare le sue ferite e riprendersi. I giorni passarono, e se all'inizio non dava alcun segno di miglioramento, poco per volta riuscì a rimettersi in sesto. Fu un processo lungo. Impiegò un paio di mesi e nel frattempo, al di fuori di quella piccola stanza in cui il tempo pareva essersi fermato, il mondo era andato avanti. L'autunno era giunto e con esso tutti i cambiamenti che portava con sé. Proprio in un giorno di autunno grigio e piovoso, il ragazzo riuscì a muovere i primi passi fuori dal suo letto, sotto la sorveglianza vigile e attenta di Celestine. La donna non lo aveva mai mollato un secondo per tutto quel lungo periodo, con la speranza che si riprendesse il prima possibile.
    “Vedo che ti sei rimesso in sesto!”
    “Sì... Ed è tutto merito vostro, vi ringrazio!” rispose il giovane
    “Non ringraziarmi, ragazzo! Anche se non nascondo che in cambio mi piacerebbe conoscere il tuo nome” disse Celestine, incuriosita.
    “Se per questo nemmeno io conosco il vostro nome” fu la riposta, provocatoria ma prudente.
    “Non devi far altro che chiedere, sai? Il mio nome è Celestine, e ti trovi ad Heaven's Feel, l'orfanotrofio dei Signori Blackthorn!”
    “Oh... Ho... Ho un vago ricordo... Ricordo il mio viaggio alla ricerca di questo posto... E che... Correvo!” Una fitta alla testa fece venire meno la forza al ragazzo, che si accasciò contro la libreria di legno sul lato della stanza in cui si trovava in quel momento. Fu costretto ad appoggiarsi e a chiudere gli occhi, massaggiando le tempie con le mani per far diminuire il dolore. Celestine lo raggiunse in tutta fretta, aiutandolo a tornare a letto. “Tentare di ricordare non ti fa ancora bene! Datti tempo, ricorderai! Ma il tuo corpo e la tua mente hanno bisogno di altro riposo!” Furono le dolci parole della donna.
    “Quanto tempo è passato?”
    “Due mesi almeno, forse qualche giorno in più”
    “...”
    Il giovane non rispose più. Si voltò verso la finestra, osservando la pioggia che batteva sul vetro. Le gocce di pioggia scivolavano poco per volta lungo quella superficie liscia, lasciando su di esso una piccola striscia d'acqua, come un piccolo fiume in miniatura che si univa agli altri e veniva colpito dalle gocce che cadevano incessanti e si univano a loro volta. Un fiume in piena che scorreva lungo quel vetro per abbattersi poi sul davanzale e infine a terra. Il giovane chiese a Celestine di passargli il calamaio e la carta. In quei giorni cupi e bui, di quasi totale immobilità, l'unica sua confidente e amica era la scrittura. Aveva iniziato a scrivere una lettera, indirizzata a chiunque volesse leggerla. Per qualche strano motivo non gli era permesso uscire dalla stanza e nessuno a parte la donna che si occupava di lui poteva entrare. E quando chiedeva a Celestine il motivo di tale imposizione, lei rispondeva con un semplice e generico: “Hai ancora bisogno di riposo”.
    “Potresti consegnarla a qualcuno?” Le chiese una volta conclusa la lettera.
    “A qualcuno?” Fu la domanda stupita della donna. “Non penso di poterla consegnare... Tu... Tu non dovresti uscire da qui!”
    “Ma non sarò io a uscire! Saranno le mie parole... Ti prego, ho bisogno... Ho bisogno di parlare con qualcuno!” Le disse implorante, porgendo la lettera ripiegata alla donna.
    Esitò per il primo istante. Poi allungò la mano e prese il foglio di carta, senza aprirlo ne leggerlo. Sapeva che non avrebbe voluto che fosse lei a leggerla per prima. Ma allo stesso tempo non conosceva nessun in quell'immensa struttura. “Va bene, cercherò di farla avere a.... Qualcuno!” Disse incerta, ancora dubbiosa sul perché di quella richiesta tanto strana. Il ragazzo la ringraziò, con voce debole. Dopo di che si coricò, chiudendo gli occhi.
    Celestine lasciò la stanza. Chiuse la porta dietro di sé a chiave, nascondendo la lettera nella tasca del grembiule che portava. Trasse un profondo respiro, per poi dirigersi di tutta fretta al dormitorio femminile a svolgere le sue faccende.


    CAPITOLO 4 - Via di fuga


    Finalmente un pomeriggio libero. Aveva finito le letture e i compiti per il giorno dopo, oltre ad aver sistemato a dovere la camera per la solita ispezione della Signora Blackthorn. Fingendosi malata, era riuscita a evitare la lezione pomeridiana di cucito in cui rischiava sempre di addormentarsi. Erano ovviamente inevitabili – le assenze non erano concepite come possibili in quel posto – e le altre studentesse cercavano di fare del loro meglio per seguire le istruzioni. Lucy, però, non riusciva proprio a concentrarsi. Anche se il giorno prima aveva avvertito una certa somiglianza con la Bella Addormentata (con l'unica differenza che lei non si era addormentata e nessuno era venuto a prenderla per portarla lontano da quelle mura sempre più strette e opprimenti).
    Unico sollievo? Ad attenderla nella sua camera ora c'era il libro che le aveva regalato Celestine. E non solo, assieme a quell'oggetto dal valore inestimabile c'erano tutti i personaggi e le vite di cui ancora doveva leggere, che voleva conoscere e che necessitava di approfondire. Era ormai qualcosa di cui non poteva più fare a meno, come se il desiderio di conoscere e vedere altre vite al di fuori di quelle che vedeva tutti i giorni fosse diventato incontenibile. La domestica si era convinta (o perlomeno aveva fatto semplicemente finta di credere a ciò che Lucy le aveva detto) che la ragazza stesse davvero male – qualche linea di febbre, un po' di influenza, insomma cose che capitano. In ogni caso aveva provveduto a comunicarlo alla Signora Blackthorn. Una volta chiusa la porta a chiave, ed essersi immersa nello spazio segreto della sua stanza, si mise a leggere, tenendo il libro davanti a sé.
    Era talmente coinvolta in ciò che stava facendo, che senza accorgersene aveva iniziato a leggere distrattamente pezzi differenti delle varie favole. E soprattutto aveva iniziato di nuovo quella di Cappuccetto Rosso, che per qualche strano motivo continuava a stuzzicare la sua attenzione. Sentiva il desiderio irrefrenabile di esplorare quel bosco, di uscire e di conoscere quella natura a lei sconosciuta. Con i suoi occhi, con i suoi passi. Voleva toccare con mano un albero, sentire l'erba, annusare l'odore dei fiori, delle foglie, della corteccia. Improvvisamente le venne voglia di rompere il vetro della finestra. Quel velo trasparente, rigido che teneva gli alberi lontani da lei. Era così fragile, eppure per lei era quasi indistruttibile.
    Poco per volta la pioggia, o meglio, il diluvio che sembrava durare da giorni si arrestò. Il grigiore dell'autunno, con le case dai contorni confusi per la nebbia e gli alberi che sembravano quasi figure evanescenti, sparì, lasciando spazio ad un bosco rigoglioso, con alberi dalle chiome variopinte per il cambiamento di stagione. Il folto tappeto d'erba si stava lentamente ricoprendo di foglie dalle mille sfumature: rosse, arancioni, gialle. Dall'albero accanto alla sua finestra vide staccarsene una. Lentamente la osservò mentre cadeva verso il suolo. Leggera. Disegnando piccole spirali che via via si allargavano, per trasformarsi in una discesa irregolare. Quei secondi parvero interminabili, ma durante quell'eternità racchiusa in pochi istanti la foglia toccò il terreno. Non fece nessun rumore. Il silenzio, come sempre, regnava ad Heaven's Feel. Eppure per Lucy fu come se a cadere fosse stato un masso enorme, come il rumore di un tuono che segue il fulmine. “Un momento... Come fa una foglia a fare tutto quel rumore?” chiese ad alta voce, sbarrando gli occhi.
    Improvvisamente non si trovava più nella sua comoda e calda poltrona, ma su un grande sasso, in un bosco. La luce del sole filtrava fra le foglie e le riscaldava a tratti il corpo. Il libro era scomparso, assieme alla sua stanza, assieme ai muri e al tanto odiato vetro che, illudendola, le lasciava scorgere la realtà tenendola distante. Quella pietra era vera. Lucy la toccò, avvertendone la consistenza. Era liscia, fredda. Ora, sfiorando la parte illuminata dal sole, si accorse di quanto fosse calda. "Ma... Dove... Dove sono finita? Come ho fatto a uscire nel parco?" Si chiese la piccola Lucy, guardandosi intorno.
    D'istinto portò le mani alle ginocchia, ma ciò che stava cercando era sparito, non si trovava più dove lo teneva fino a un momento prima. "Il... Il libro è sparito...." Scese dal masso, lentamente, guardandosi attorno. Una volta che fu a terra si inginocchiò sull'erba. Toccandola. Annusandola. Ne assaggiò addirittura un filo. Che strana, nuova e meravigliosa sensazione. Subito sollevò la testa, osservando le fitte chiome degli alberi che coprivano il cielo. Accanto a lei la stessa foglia rossa che aveva osservato cadere poco prima.
    "Ma cos'ho... Sulla schiena?" Esclamò toccandosi le spalle con le mani, avvertendo uno strano tessuto che ricadeva sulle sue braccia. Non era abituata a certe stoffe, né tanto meno a certi abbigliamenti. Ad Heaven's Feel tutti erano vestiti uguali. Per mantenere la loro uguaglianza di fronte ai Signori Blackthorn e di fronte a qualcuno che vegliava sempre su di loro, o almeno così dicevano. Lucy iniziava a pensare che il motivo reale fosse un altro. Continuò a tastare quel tessuto spesso e vellutato. Si accorse così di avere un mantello sulla schiena e, dopo averne afferrato un lembo per osservarlo meglio, si accorse che era rosso. Rosso. Ma proprio rosso rosso, quasi scarlatto. Non solo uno dei colori che la attiravano di più in assoluto, ma anche rosso come il mantello di... Di... Quel colore era inconfondibile.
    "Niente panico, niente panico, niente panico... Ricorda cosa dice sempre Celestine, quando sei presa dall'ansia e dalla paura... Respira!" Disse sotto voce, chiudendo gli occhi e facendo profondi respiri. Cosa poteva essere successo? Aveva semplicemente letto le storie. Aveva immaginato di essere fuori, nel parco. Aveva seguito la foglia che cadeva a terra con lo sguardo. Ascoltato il fruscio delle pagine ancora e ancora, come la prima volta. Eppure continuava a non capire come aveva fatto ad uscire dalla sua stanza e a ritrovarsi nel parco. “Non sono nemmeno sicura che questo sia ancora Heaven's Feel” Disse ad alta voce guardandosi attorno, del tutto spaesata.
    Si voltò verso il punto in cui poco prima si trovava la foglia scivolata a terra, ma con sua enorme sorpresa era sparita. Al suo posto, ora, si trovava un cestino il cui contenuto era coperto da quello che pareva essere una tovaglia a quadretti rossi e bianchi. In condizioni normali Lucy avrebbe gioito di una tale visione, non aveva mai avuto occasione di mangiare all'aperto, anche se Celestine le aveva raccontato qualche volta di come le persone erano solite riunirsi per consumare insieme i pranzi che avevano preparato con cura. Che quello fosse un picnic organizzato in gran segreto per lei? "Ne dubito...." Disse sospirando sconsolata.
    Lucy decise a questo punto di alzarsi dal prato, risoluta ormai nel voler trovare una soluzione. Dopo essersi alzata in piedi si voltò verso il masso su cui si era ritrovata seduta, e lo toccò di nuovo. Aveva una strana consistenza. “Che strano... Poco fa era diverso” pensò fra sé e sé. Non sembrava nemmeno più solido come una roccia... Era più.... Soffice.... E poi, ora che ci pensava, cosa ci faceva un masso di quelle dimensioni in un bosco? E soprattutto, nel bel mezzo di quella che sembrava una piccola prateria? Si chiese la giovane guardandosi attorno ormai sempre più sconvolta.
    La consistenza faceva quasi venire voglia di... Assaggiarlo! "Non ho mai visto una pietra così grande! Eppure nessuno mi ha mai detto che i massi di queste dimensioni avessero una consistenza simile... E nemmeno un profumo come questo... É più buono anche di quello del cibo che ci danno nella mensa tutti i giorni e tutte le sere!" Decise di affondare la mano destra e staccare un pezzetto di quella strana sostanza, familiare nonostante tutto. Contò fino a tre e lo mangiò, tutto in un sol boccone. Era.... Era..... BUONISSIMO! Conosceva quel gusto! Era marzapane! Celestine era riuscita a portarle un pezzo di quel dolce in gran segreto, senza farsi scoprire dai Signori Blackthorn.
    "Ho sempre desiderato poterlo assaggiare di nuovo!" Disse mentre continuava a mangiarne un pezzo dopo l'altro. Mentre gustava questa prelibatezza si accorse di un dettaglio particolare, tutt'altro che insignificante a dire il vero. Marzapane. In un bosco. Nello stesso identico bosco, o almeno così le sembrava, dove Cappuccetto Rosso si era avventurata. E lo dimostrava il mantello rosso che portava sulle spalle, perché nessuno aveva mai indossato un mantello del genere (che lei sapesse) fuorché la piccola fanciulla che si era avventurata nel bosco in cerca della nonna. Ma allora cosa ci faceva li quel masso di marzapane? Ripensò rapidamente a tutte le storie che aveva letto e subito le vennero in mente Hänsel e Gretel! “La strega viveva in una casa di marzapane! O comunque fatta con i dolci!” In quel momento non si ricordava molto bene tutta la storia o ciò che aveva letto. Subito si pentì di aver mangiato quel sasso (anche se la frase risuonò strana nella sua mente). E se la strega fosse stata ancora lì in agguato? In fin dei conti lei non sapeva com'era andata a finire, poteva essere ancora viva! “Perché non ho letto fino alla fine? Che faccio ora?” Aggiunse in preda al panico.
    Mentre rifletteva vide un sentiero che si inoltrava nel bosco. Questo di certo non fece diminuire la sua paura, ma iniziava a pensare di non essere affatto nel parco di Heaven's Feel. Forse avrebbe dovuto davvero percorrere quel sentiero ed incontrare il lupo. Esattamente come aveva fatto Cappuccetto Rosso nella storia di cui era protagonista. Oppure rimanere ferma in quel punto sperando nell'aiuto di qualcuno e incontrare la strega. Lupo o strega? “Beh... Che sia un animale feroce o qualcuno che ha poteri magici, probabilmente dovrò affrontarli entrambi. Tanto vale provare a muoversi lungo questa strada...”. E così dicendo raccolse il cestino da terra e lasciò il masso di marzapane per avventurarsi nella fitta boscaglia. Fu come entrare in una caverna, senza luce alcuna. Il sole non riusciva a passare fra quelle fitte fronde e aveva la strana sensazione che qualcosa la stesse osservando. O meglio, qualcuno.
    A un paio di metri di distanza dalla fine di quella radura e l'inizio del bosco ebbe un momento di esitazione. Si voltò indietro, ma sapeva benissimo che la sicurezza di quel masso non le avrebbe garantito alcun aiuto. Motivo per il quale si decise a entrare fra gli alberi, facendosi largo fra rami, foglie e rovi per continuare sul sentiero.


    Edited by AlexMatteh - 22/7/2018, 12:12
     
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    Beh, per iniziare la valutazione ti dico, come prima cosa... complimenti.
    Con questa role non stai solo svelando il background di Lucy e altri personaggi, ma approfondisci e delinei in modo più sistematico l'ambientazione introdotta a partire, se non sbaglio, dai Giorni di un futuro passato e che hai continuato ad arricchire, tassello dopo tassello, role dopo role.
    Il prologo direi che è la parte più forte, quel "perché?" ripetuto ti entra nel cuore e lo strazia.
    Per tutto questo ti meriti 19 Exp.
     
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