[CONCLUSA] Esistenze Congiunte, volume 3

Parte 3

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    Dal luogo in cui si fondono perfettamente Luce ed Oscurità

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    Continuazione delle altre due narrazioni, con lo stesso titolo: Esistenza Congiunte. Si consiglia la lettura delle due parti precedenti per capire il senso della storia


    Capitolo 7 - Arriva il lupo cattivo... Forse


    E cosa mai poteva voler dire quel consiglio? Aveva più l’aspetto di un indovinello! Per quanto fosse sempre stata brava nell’usare e nel capire le parole, in quella situazione non riusciva proprio a pensare a niente. Alla povera Lucy non restava che riprendere a vagare per il bosco, in cerca di qualche indizio. Dopo un po' iniziò a sentire un cinguettio. Lieve, allegro. "Che siano gli uccellini di cui parlava la volpe?”. Corse subito nella direzione di quel dolce suono, raggiungendo in breve tempo un'altra via. Accanto alla strada ritrovò il cestino che aveva abbandonato quando si era diretta verso i nani e.... Un uccellino! Completamente d'oro!

    "Ma tu sei... L'uccello d'oro della favola!! Ok... Ma quante cose ho letto? Se non ricordo male, però, dovrebbero essere tutte qui, non ne ho lette altre per fortuna". E mentre ripensava a quanto aveva letto prima di entrare in quel mondo tanto lontano (beh, lontano almeno all’inizio, dato che ora sembrava essere diventata parte di quegli stessi luoghi), in parte pentita di essere stata così tanto impaziente da leggere tutte quelle pagine diverse, e in parte felice di averlo fatto – senza quel suo momento di curiosità, infatti, non avrebbe scoperto cosa c’era al di fuori delle quattro mura in cui aveva vissuto fino ad ora – iniziò a muoversi verso il piccolo animale. Non appena la vide avvicinarsi, la creatura spiccò il volo a gran velocità. "No no no no! Ehi aspetta! Ma non ti eri messo d'accordo con la volpe?! Su datemi una mano! Non posso fare tutto da sola!" Urlò mentre correva verso il punto in cui si trovava prima di fuggire. Disperata iniziò a guardarsi intorno.... Il cestino era li.... La creaturina era volata sull'albero e stava andando via...

    A un tratto le venne in mente il consiglio della volpe: guardare a terra... A terra, a terra.... Una piuma d'oro! La giovane fanciulla la raccolse e la mise nel suo cestino. Probabilmente l’aveva persa mentre volava via. Ma come poteva esserle utile per raggiungere la casa della nonna? Sentì il cinguettio dell'uccello d'oro, ma la volpe si era raccomandata di non seguire il cielo. E aveva ragione! Delle briciole di pane lungo il sentiero... Lucy sorrise e pianse commossa... "Grazie Hänsel, e grazie anche a te Gretel... Spero che anche voi possiate ritrovare la strada di casa come sto facendo io ora.... Sono sicura che le vostre briciole aiuteranno voi come hanno aiutato me" E così dicendo si avviò lungo il sentiero.

    Cammina, cammina, cammina, cammina (ormai aveva percorso tantissima strada). Dopo un po' di tempo giunse ad una piccola casetta. "Nonna!" Disse correndo verso la casa. "Aspetta.... Nonna? Ma io non sono Cappuccetto Rosso! Non devo farmi coinvolgere troppo da questa situazione, non voglio rimanerci invischiata più di quanto io non lo sia già...” Disse subito dopo. Aprì la porta, chiamando la nonna a gran voce. Tuttavia c'era una gran brutta sorpresa ad attenderla, proprio al centro della stanza, assieme alla nonna: di fianco all’anziana signora, immobilizzata sulla poltrona, si trovava proprio.... Il... Lupo?!

    Una figura femminile, con i capelli grigi e lunghi fino alle spalle ed un abito nero si ergeva di fronte a lei. Gli occhi erano azzurri, anche se tendenti al grigio, e le orecchie erano quelle di un lupo. Inoltre indossava alti stivali con il tacco che le arrivavano fino alle ginocchia, e una gonna molto corta e ridotta al minimo nella parte anteriore che però arrivava fin quasi a metà gamba nella parte posteriore. Il tutto, senza alcuna ombra di dubbio, era molto provocante – o almeno, così pensava Lucy. Era la prima volta che vedeva un abito del genere. E di certo, quello era tutt'altro che un lupo convenzionale.

    "Benvenuta ragazzina! Ce ne hai messo di tempo!"

    "E tu saresti?"

    "Il lupo, la strega, la matrigna, tutte e tre... Massi quello che ti pare! Dammi il cestino e smettila di fare tutte queste domande, non ti sopporto proprio! Facciamola finita in fretta, perché avrei degli impegni!" Fu la risposta arrogante del nuovo personaggio, mentre muoveva la mano destra con fare annoiato.

    "Ma!"

    "Niente ma! Tanto sai che posso farti a pezzettini in men che non si dica! Se proprio devo essere sincera la storia di Cappuccetto era così noiosa! Per non parlare di quel lupo... Del tutto privo di stile e di cervello! Perdeva sempre! E diciamoci la verità, ho sempre voluto un paio di orecchie di questo tipo" concluse accarezzando le orecchie da lupo con le mani.

    "Non vincerai nemmeno questa volta!” Disse Lucy, guardandosi attorno e sperando che arrivasse il tanto atteso cacciatore. Aveva letto molte parti di altrettante storie, questo è vero, ma quella parte della storia di Cappuccetto Rosso le era rimasta bene impressa nella mente. Dov'era dunque il suo salvatore? Che se lo fosse mangiato questo nuovo lupo? Ma poi era davvero sicura che una creatura simile mangiasse gli esseri umani?

    "Oh ma davvero? Mi fermerai tu? Dai, lo so che sotto sotto mi ammiri e non puoi fare a meno di desiderarmi” Disse la sua avversaria lasciandosi andare a un ampio ghigno malvagio, per poi continuare: “Stai sperando nell'arrivo del cacciatore? Intendi forse quel bel tipo che arriva sempre alla fine di questa noiosa storia per dare il colpo di grazia al lupo e liberare te e la tua adorata nonnina? Mi sono assicurata che non fosse nei paraggi! Non c'è più traccia di lui!”.

    "Ma..." Lucy era senza parole, quella storia era del tutto sconvolta ormai. Che fare?

    "Peccato però! A quel che ho sentito era molto carino, avrebbe potuto essere interessante!" Proseguì mantenendo il suo tono provocatorio, anche se qualcosa di più malizioso e sinistro brillò nei suoi occhi per un istante.

    "Ma... Dai però così non vale!"

    "Lo dici tu"

    "No, la storia non era così!"

    "Non fare la maestrina adesso! L'hai sconvolta tu, non certo io!"

    "Però..."

    "Suvvia, niente però! Dammi il cestino, fatti divorare e facciamola finita, come ti dicevo ho un'agenda piena di impegni oggi"

    "Non l'avrai vinta"

    "Ancora?" Chiese il lupo, sollevando gli occhi al cielo. In un istante le balzò addosso, inchiodandola a terra. La sua forza era mostruosa, e la giovane urlò per il dolore. Le stava bloccando il braccio destro. "Ripeto: ora fatti divorare e facciamola finita, stupida bimbetta!"
    Un rombo assordante. Pochi istanti dopo qualcosa distrusse la parete della casetta della nonna. Era la.... Carrozza di Cenerentola! Evidentemente aveva smarrito la strada, e data la mancanza di un conducente si era scontrata in pieno con la casetta. Il lupo fece appena in tempo ad alzarsi ed a colpirla con un poderoso calcio. La carrozza fu scagliata indietro, volando per parecchi metri. Come se niente fosse, il veicolo riprese la sua strada cambiando direzione, più veloce di prima. Una volta che si fu occupata di quell’ennesima distrazione, il lupo si fermò per un istante a guardarla, aggiungendo soddisfatta "Hai visto? Nemmeno questo piccolo imprevisto ti è stato d'aiuto! Ora, torniamo a noi". E mentre il lupo si muoveva verso di lei a passi lenti e sinuosi, la giovane Lucy riuscì ad infilare la mano nel cestino. Il lupo prese velocità, stava tornando alla carica per attaccarla con un pugno. Un istante prima di essere colpita, la giovane riuscì a frapporre la piuma d'oro fra il suo volto e le nocche dell'altra. Il pugno nemico si fermò a circa mezzo centimetro dall'oggetto.

    "Oh! Ma cosa vedono i miei occhi!"

    "...." Che fosse riuscita a catturare la sua attenzione? Per il momento Lucy non sapeva nemmeno cosa dire.

    "Come l'hai avuta?"

    "Lunga storia" Disse la ragazza rialzandosi dopo essersela scrollata di dosso.

    Il lupo aveva gli occhi a cuoricino di fronte alla bellezza e alla luminosità dell'oggetto.

    "Dammelo!"

    "No!"

    "Si!"

    "Dovrai darmi qualcosa in cambio anche tu!"

    ".... Come sei noiosa..."

    "Funziona così! Voglio tornarmene a casa! Ne ho abbastanza di tutta questa storia!"

    "..... Ma io volevo mangiarti..."

    "Fallo e io distruggerò questa allora..."

    "No! No! Fermati!"

    "Ecco.... Ora vedo che parliamo la stessa lingua! Libera la nonna!"

    "Ma.... Ma..."

    "Subito!"

    "Uffa.... E va bene! Libererò la vecchietta!" Disse il lupo poco prima di dirigersi verso la sedia a cui era legata l'anziana signora, sconvolta tanto quanto Lucy dal comportamento del lupo. Inutile dire che il suo sguardo era un misto di gioia, disperazione e incredulità. Senza contare il fatto che la sua amata casetta era completamente distrutta!

    "Brava, ancora una cosa.... Devi promettere che lascerai in pace la nonna e Cappuccetto Rosso per sempre!"

    "Va bene.... Posso tenermi il cacciatore nel caso lo ritrovassi?"

    Lucy esitò un attimo prima di rispondere, ma poi aggiunse "Si, va bene, lui è tuo"

    "E la piuma"

    "Anche questa sì" Disse la ragazza lanciandogliela. "Devo ricredermi ragazzina.... Sei più furba di quanto pensassi! Mi piaci!” Esclamò la bizzarra creatura, colpendola delicatamente con la mano sulla testa, per poi aggiungere: “Bene, ora è giunta l'ora di andare per me! Il grande e magnifico lupo se ne deve andare! Esco definitivamente di scena!" Urlò mentre saltava via a gran velocità per tornare nel bosco.

    Lucy era sconvolta dalla stranezza di quell'essere... Aveva creato un vero mostro! O forse semplicemente qualcosa di fuori dal comune ed estremamente interessante? Doveva ammettere di sentire un certo grado di orgoglio nell'aver visto all'opera qualcosa scaturito da quella che poteva essere la sua fantasia. Per la prima volta aveva sentito chiaramente di aver in pugno la sua vita e le sue capacità, che non dipendevano più (almeno in quel mondo) dalle costanti regole dettate da qualcun altro che lei percepiva come un estraneo. “Un giorno creerò anche io le mie storie, oppure tornerò qui per crearne altre!” Concluse, fissando il lupo mentre scompariva fra i cespugli. Una parte di lei desiderava quella personalità, quel modo di fare, quella forza. Che forse Cappuccetto Rosso desiderasse essere libera e temuta come lo era il lupo? Probabile, non tutte le fanciulle sono inermi di fronte al lupo.

    La ragazza aiutò la povera nonna ad alzarsi e si scusò con lei per il disastro che aveva fatto. Ma lei era contenta di essere stata salvata e di aver conosciuto una giovane donna così perbene. Assomigliava tanto alla sua amata nipotina. "Mia cara Lucy, ti ringrazio.... Però non so come ricondurti a casa... Mi dispiace molto" Disse mentre andava dall'altra parte della casetta, vicino ad una libreria.

    "Però voglio farti un regalo.... Ecco, io non l'ho mai letto e perciò non so che farmene. Non mi piace molto leggere, anche perché ogni volta che mi metto a letto e lo faccio arriva il lupo a disturbarmi!". Mentre l'anziana signora pronunciava queste parole, Lucy a stento riuscì a trattenere una risata: povera nonna! Tuttavia, una volta preso il presunto regalo dalle mani della nonna, non poté fare a meno di stupirsi. Quell'avventura non smetteva mai di stupirla: era il suo libro di favole! Quello che aveva letto prima di entrare in quel mondo.

    "Grazie grazie grazie nonna! Ora posso tornare a casa!" Esclamò la ragazza al colmo della felicità. Quello era il segno che stava cercando da quando si era risvegliata sul masso di marzapane in mezzo al bosco: qualcosa per tornare indietro! E quale miglior modo di farlo se non attraverso lo stesso libro da cui era entrata?

    "E come potrai mai fare una cosa simile? C'è forse una mappa in questo libro?" Chiese la nonna ignara di quello che era accaduto fino a quel momento alla fanciulla con cui stava parlando.

    "Posso grazie a questo libro!" Le rispose la giovane sorridendo. Quello era il suo portale! La sua via d'uscita! Una volta che lo ebbe fra le mani iniziò a sfogliarlo. In men che non si dica il mondo intorno a lei iniziò a vorticare. Sempre più forte. I colori si fusero, la nonna sparì. In lontananza avvertì la voce di Cappuccetto Rosso, la vera protagonista della storia, domandare stupita cosa fosse accaduto alla casa.

    E un istante dopo si ritrovò nella sua stanza. La solita vecchia stanza. Con le solite tende, la solita finestra. La solita poltroncina. Che strana sensazione: aveva vissuto le storie che tanto aveva amato quando le aveva lette. Era ancora seduta nello stesso punto; la sensazione che provava era strana, come se avesse dormito per molto, moltissimo tempo. Che tutto quello che aveva vissuto fosse stato un semplice, lungo sogno? Eppure qualcosa dentro di lei diceva il contrario. Si alzò dalla poltrona. Sentiva qualcosa di strano, e poco dopo iniziò a sentire un gran mal di testa. Mentre camminava verso la libreria della sua stanza per posare – anzi, nascondere – il volume, sentì qualcuno parlare.

    "Bentornata!" Eppure, non c'era nessuno. Lucy si guardò attorno, allo stesso tempo incuriosita e spaventata. La stanza era vuota. Per sicurezza andò a controllare la porta, ancora chiusa a chiave. Poi la finestra. Sotto al letto. Dietro la poltrona.

    "Anzi... Sarebbe meglio dire ben arrivata, a me soprattutto!" Ripeté la sconosciuta. Una donna? Ma dov'era? Qualcuno la stava spiando? Eppure quella voce non le era affatto nuova, l'aveva già sentita da qualche parte. Quel tono arrogante, provocatorio... Era... Possibile?

    "Ebbene sì mia cara! Sono proprio io! Il tuo fidato lupo! O la tua fidata regina, vedila un po' come vuoi" esclamò la voce.

    "Cosa?!"

    "Sono passata da questa parte! Ti sta bene! Hai fatto un gran disastro e ora eccomi qua! La prossima volta impari a non guastare la mia storia!”

    "Non è possibile.... Io..." Il lupo era passato nel mondo di Lucy. Era entrato dentro Lucy. Come aveva fatto a uscire dalla sua storia? Dal libro? E ora? Che quel suo desiderio di essere il lupo della sua stessa storia si fosse tradotto in realtà? Fissò il vetro, nella speranza di vedere il suo riflesso. Qualcosa era cambiato in lei. Sì. Qualcosa di grande, e non era di certo la presenza del lupo. Si avvicinò a piccoli passi, per appoggiare la mano sulla superficie fredda e trasparente, fissando sé stessa negli occhi. Le dita si aggrapparono al vetro, come per graffiarlo. Quella debole barriera non l'avrebbe trattenuta ancora a lungo.


    Capitolo 8 - Cenere


    La libreria di suo marito, Albert Blackthorn, era a dir poco immensa. La cosa stupefacente era che molti di quegli stessi volumi, che riempivano le infinite file di spazi che da terra giungeva fino al soffitto, erano stati scritti da lui personalmente. Analisi di testi religiosi. Trascrizioni di lezioni da lui tenute in quello stesso orfanotrofio. Non usciva mai. Chiunque volesse seguire i suoi insegnamenti era costretto a entrare a Heaven's Feel, sempre se la richiesta veniva accettata – visionava personalmente ogni domanda di ingresso in quella sua dimora. Per quanto riguardava gli studenti e sua moglie, invece, potevano (o dovevano?) seguirle giornalmente senza nemmeno avere la possibilità di chiedere.

    C'era qualcosa di estremamente inquietante e allo stesso tempo convincente – e forse era proprio questo a inquietare molte persone – in tutto quello che diceva e scriveva. La sua passione, così viva in quelle pagine e in quelle parole scritte su quell’immensa distesa di carta e pergamene, rea ancora più evidente nei suoi discorsi. Era quasi come fosse una ragnatela che si tesseva poco alla volta, parola per parola, e che calava su chi leggeva, avvolgendolo o avvolgendola, fino ad impedirne la fuga. Inutile dire che si rafforzava quando si veniva esposti al suo zelo per giorni e giorni. Senza alcuna pausa. Senza interruzione alcuna - frecce che colpivano direttamente il cuore e la mente di chi ascoltava. La sua voce era forte, tonante. Quando raggiungeva frasi o parti importanti si alzava, risoluta e fiera, quasi quanto quella di un tenore. Se ciò che diceva aveva toni cupi, allora, quasi sussurrava. Poco per volta il suo tono scendeva, si abbassava, diventava impercettibile. A volte pareva quasi che sibilasse come un serpente. Forte o debole che fosse la sua voce, questa risuonava nel grande salone dedicato ai suoi sermoni, che teneva dall'alto di uno scrittoio in legno, sollevato rispetto alle lunghe file di panchine costruite con lo stesso materiale. Si dice che anche tutto l'arredamento provenisse dal legno degli alberi del parco di Heaven's Feel, prontamente ripiantati dopo essere stati abbattuti. L'autosufficienza era fondamentale per Albert Blackthorn.

    Quella domenica era stato indetto un incontro speciale, in occasione degli ultimi avvenimenti - o meglio l’unico degno di nota (che gli abitanti sapessero per lo meno): l'arrivo del giovane ragazzo. In qualche modo quanto era accaduto aveva destato il Signor Blackthorn, che aveva ritenuto necessario tenere una “lezione supplementare” in merito a “certi comportamenti dell'essere umano” che tutti dovevano rispettare e osservare. Le fanciulle e i fanciulli e tutti coloro che ne erano a conoscenza, come Elizabeth Blackthorn (la moglie del proprietario di Heaven's Feel), si erano stupiti della sua decisione di non cacciarlo via. Alla donna, però, furono subito chiare le intenzioni del marito: ciò che voleva dare era un esempio. Una dimostrazione.

    Sfiorò con la punta delle dita i libri perfettamente incastonati negli scomparti dell'enorme biblioteca, i cui scaffali giungevano fino al soffitto. Per poter raggiungere i piani più alti era necessario utilizzare una scala. Albert Blackthorn aveva riservato quei punti così irraggiungibili per i libri che lui riteneva “maggiormente ispirati dalla volontà del divino”. Non una singola traccia di polvere. L'uomo aveva dato precise disposizioni affinché un gruppo di domestici fosse affidato alla sola gestione della biblioteca per tenerla in ordine, pulita e per salvaguardare il buono stato di ogni singolo libro lì presente. Quell'oceano di carta e di inchiostro era il tesoro di Heaven's Feel, e solo pochi eletti avevano il permesso avvicinarsi. Un sorriso sfiorò le labbra di Elizabeth Blackthorn. Si voltò, tornando sui suoi passi, raggiungendo l'uscita. Salì i pochi gradini che conducevano alla loro stanza, separata dai dormitori. Dopo aver aperto la porta che serviva a nascondere il corridoio che conduceva alla biblioteca, si ritrovò direttamente nella camera da letto. Estrasse dall'armadio uno dei suoi vestiti neri e lo indossò, pettinandosi a dovere. L'incontro di quella mattina, essendo particolarmente importante, richiedeva una certa eleganza. Nella sua semplicità, quel vestito le donava un aspetto austero seppur fosse troppo largo per il suo fisico. Con una fascia raccolse i suoi lunghi capelli, in modo che non ricadessero sull'abito. Così, una volta pronta, si preparò a uscire dal suo ambiente privato per dirigersi verso la sala comune.

    Mentre passava dalla zona in cui era situato il loro letto a quella dove in genere spendevano il resto della giornata, Elizabeth incontrò il grande scrittore Albert Blackthorn in persona. Era seduto alla sua scrivania, intento a fissare sulla pergamena il flusso costante e prezioso dei suoi pensieri. Quando sentì la moglie avvicinarsi non distolse lo sguardo dalla sua occupazione, ma chiese con la sua voce profonda: “hai detto alle ragazze di venire nella sala comune?”.

    “Non pensavo avessi riunito maschi e femmine, Albert” rispose lei stupita, “credevo avresti tenuto due discorsi separati, com’è di tua abitudine fare”. Nell'udire tale risposta, l'uomo posò la piuma accanto al foglio di pergamena che stava utilizzando. Il silenzio era tale che anche un rumore così sordo, provocato da un oggetto tanto leggero, parve risuonare e rimbalzare tutta la stanza. Elizabeth rimase immobile mentre lui strisciava la sedia all'indietro per alzarsi, voltandosi verso di lei. Il movimento di Albert fu così lento, che parve durare un’infinità. La raggiunse con passi lunghi e misurati, incrociando le braccia dietro la schiena. Lo sguardo fisso negli occhi di lei. Serio e irremovibile. “Quante volte ti devo dire che i miei non sono semplici discorsi? I discorsi sono solo parole vuote, i miei sono insegnamenti. E queste sono lezioni” fu il rimprovero di Albert, che fece una pausa prima di continuare: “eppure ti ho già spiegato molte volte qual è il compito dei pochi di noi scelti per trasmettere i suoi insegnamenti, no? Ti risulta così difficile capirlo?”.

    Fece ancora un passo verso la donna, continuando a fissarla e dal suo sguardo traspariva pienamente quanto lo irritasse l'incompetenza. E coloro che ignoravano i precetti fondamentali su cui si basava la vita, o peggio, chi rifiutava di impararli del tutto, lo disgustavano. Eppure Elizabeth non distoglieva lo sguardo. Mai. Quegli occhi continuavano a fissarlo senza il minimo accenno di emozione al loro interno. Né rabbia. Né paura. Né gioia. Erano lì, irremovibili eppure distanti, del tutto irraggiungibili per lui.

    “Muoviti e va a dire loro di prepararsi, non ho alcuna intenzione di iniziare in ritardo per colpa vostra” concluse. Mentre pronunciava quest'ultima frase, superò la moglie e, quando fu dietro di lei, sfiorò la sua schiena aggiungendo: “non credo io debba ricordarti cosa accadrebbe in caso contrario”. Elizabeth, contrariamente alle aspettative dell’uomo, non inarcò la schiena nemmeno di un millimetro. Compì un solo, semplice e rapido movimento. Con la sua mano, afferrò quella di lui interrompendo quel contatto all’istante. Sorpreso, Albert Blackthorn uscì dalla stanza senza aggiungere nient’altro, con i soliti passi pesanti che ne annunciavano l'arrivo o l'allontanarsi. La donna si voltò, sollevando leggermente la lunga gonna per impedire che finisse sotto ai suoi piedi mentre camminava.

    L'ala destra di Heaven's Feel, il dormitorio femminile, era, se possibile, ancora più freddo e privo di arredamenti dell'altra parte. I libri erano nel corridoio, dove una lunga serie di scaffali costellava tutta la parete. Lì, il personale dell'edificio li contava ripetutamente e si occupava di gestire le richieste di lettura delle ragazze, consigliando o sconsigliando di volta in volta i testi in base ai loro contenuti. Inutile dire che alcuni erano ormai sepolti dalla polvere dato che nessuno li aveva mai spostati. Così vicini eppure così inaccessibili.

    Una volta salite le scale, Elizabeth comunicò gli ordini ai vari membri del personale che si sparpagliarono per quella parte dell'edificio dicendo alle ragazze di radunarsi nella sala comune. Lei si occupò di quel piano. Stanza per stanza disse a ognuna di indossare il loro abito migliore, di recarsi nel luogo prestabilito e una volta giunte sul posto di occupare la parte destra, senza mischiarsi con le altre persone all'interno. E soprattutto, di mantenere un atteggiamento decoroso e riservato. Quando bussò all'ultima porta, quella di Lucy, dovette attendere un paio di minuti prima che la ragazza si presentasse alla porta. “Prepara l'abito migliore, vestiti e raggiungi la sala comune fra circa quindici minuti. Segui le altre ragazze e sii buona, evita di dare troppo nell'occhio e non indugiare in discussioni con gli altri che troverai” fu l'ordine, che ormai conosceva a memoria dopo averlo sentito decine di volte. Prima di andarsene, però, si voltò nuovamente per aggiungere un importante dettaglio: “se fossi in te legherei e coprirei quei capelli, nessuno è ancora abituato a quel colore, attireresti lo sguardo di tutti... E tu non vuoi di certo essere oggetto di attenzioni poco consone a una signorina, vero?”. La giovane rispose con uno sguardo incredulo e un semplice: “sì”.

    Chissà perché Albert aveva permesso anche a quella creatura di rimanere a Heaven's Feel. Con quei capelli così strani poi. Ma in fin dei conti le scelte del detentore di cotanta saggezza erano inopinabili. Sicuramente doveva esserci una ragione superiore, a tutti loro incomprensibile. Mentre camminava sorrise a questi suoi due ultimi pensieri: aveva sempre pensato che il potere, il senso di controllo che rende certi esseri umani ciechi di fronte al mondo intero, fosse nient’altro che illusorio. Una rosa nel bel mezzo di una bufera, che presto si ritrova senza petali. O addirittura spezzata da cotanta potenza. Perché il mondo muta e nulla è per sempre. Per questo la rigidità si scioglie e diventa fluidità. Per lei era solo questione di tempo. Toccò uno di quei vecchi testi carichi di polvere che avrebbe dovuto insegnare alle ragazze come comportarsi. Dopo qualche istante non ne era rimasto più nulla, se non un cumulo di granelli che vennero sollevati dallo sventolare del suo vestito.

    Esattamente quindici minuti dopo Elizabeth entrò nella sala con tutte le ragazze al seguito. Raggiunse a testa alta e passi discreti il centro della gigantesca stanza comune. Le arcate sul soffitto erano dipinte con scene tratte dai testi sacri o con rappresentazioni di Heaven's Feel e del suo enorme parco. Due file di colonne l'attraversavano, dirette fino al fondo verso i tre lunghi gradini che conducevano all'altare. Coperto da una tovaglia bianca, era sovrastato da un'enorme vetrata circolare sulla parete di sfondo. Una volta che anche l'ultima delle ragazze si fu sistemata, lei prese posto in prima fila. Fece appena in tempo a sedersi che l'enorme portone si aprì scricchiolando pesantemente. Quel rumore risuonò per tutta l'enorme sala. Sembrò durare minuti. Ore. Colpiva ogni colonna, ogni muro, ogni arcata. L'arrivo di Albert Blackthorn in persona fu annunciato da quel singolare “rullo di tamburi”.

    Un passo dopo l'altro, lento, solenne e con lo sguardo che si posava su ogni fila di posti che oltrepassava. Le braccia dietro la schiena. Giunto a un passo dalla sua zona rialzata, che gli consentiva una chiara vista di tutti i presenti, si voltò per compiere un profondo inchino rivolto alla croce di legno affissa sulla porta d'ingresso di quel vasto spazio comune. Mentre sollevava lo sguardo i suoi occhi incrociarono quelli di Elizabeth, che ricambiarono. Salì le scale e, raggiungendo l'altare, spalancò le braccia per poi trarre un profondo respiro prima di iniziare il suo lungo discorso: “benvenuti, ancora una volta, ai nostri incontri quotidiani, volti a migliorare e insegnarvi, per quanto mi è possibile, i precetti di una vita degna, all'insegna della moralità e, per questo, felice”.

    Elizabeth fissava quell'uomo sull'altare. Ma il suo sguardo era al di là di ciò che c'era su quel palco. Oltre i muri. Oltre la vetrata. Lontano da quel luogo di saggezza opprimente. La sua capacità di astrazione da quelle ore di intenso parlare erano migliorate moltissimo. E i suoi occhi furono in grado di incrociare lo sguardo di un corvo che si era posato sulla vetrata. In alto, così in alto da superare anche il sermone dell'uomo vestito di nero. Così in alto e immenso da quel punto della stanza, che avrebbe potuto ridurre tutto in cenere e osservare la devastazione che aveva provocato. E mentre quel corvo meditava la sua vendetta, Celestine raccolse gli ultimi, fini granelli di cenere di fronte al camino dell'ultima stanza del corridoio nel dormitorio femminile. Prima di uscire, però, posò un fine foglio ripiegato nel libro nascosto sotto al letto.


    Capitolo 9 - Forza di volontà



    Il vestito nero e lungo continuava a svolazzare mentre Albert Blackthorn intratteneva la sua folla con il nuovo discorso. I ragazzi e le ragazze, che occupavano rispettivamente la parte sinistra e la parte destra della sala comune (come a rispecchiare la distinzione e la posizione dei due dormitori all'interno dell'enorme struttura di Heaven's Feel), ascoltavano in religioso silenzio. Nessuno parlava e nessuno, quasi, osava distogliere lo sguardo da ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi. Dopotutto, come diceva sempre il Signor Blackthorn, lui stesso e il Divino vegliavano sempre su di loro, in qualsiasi momento. Nella mente come nel corpo. Elizabeth era l'unica che osava voltare lo sguardo per osservare le reazioni delle persone in ascolto. Quel senso di controllo, o meglio, dell’essere controllati era percepibile. Rivolse un altro sguardo verso il punto in cui aveva visto il corvo, ma era sparito.

    Nel momento in cui ritornò a guardare quell'uomo che si sgolava camminando avanti e indietro su quel vasto palco rialzato che gli donava il dominio completo e totale dell'intera sala, tanto fisico quanto visivo, si accorse che lui la stava fissando. La voce raggiunse un picco mai sfiorato prima sulla parola “ognuno”. In cuor suo la donna sapeva di essere inclusa fra le persone a cui era rivolto il sermone. Eppure non poté fare a meno di immaginare che quel corvo fosse ancora lassù. Immobile, mentre fissava la sala così come Albert Blackthorn stava facendo. L'animale, però, era totalmente immobile,

    “... Eppure, signori e signore, messeri e dame, uomini e donne, o, per meglio usare un'espressione consona alla vostra età, ragazzi e ragazze, recentemente qualcuno è stato introdotto nella nostra dimora, nella nostra beneamata casa! Ed è di certo colpa della debolezza di alcune” esclamò cercando per il salone gli occhi della domestica responsabile di tale scombussolamento, senza però trovarla, “delle donne sfortunatamente assenti se tale disgrazia è avvenuta. Una creatura ormai tentata dal Male e corrotta si è ormai insediata nel cuore puro e innocente, nell'atmosfera limpida e rassicurante che io, solo, ho creato perché voi poteste riposare e crescere in pace, in serena tranquillità”. Fece una pausa che parve interminabile. Smise anche di camminare e allargò le braccia, nel tentativo di comprendere in quel discorso tutti quanti i presenti.

    “Non c'è limite al peccato, miei cari e mie care. Non vi è limite alcuno. Pensavate di essere al sicuro? Lontani da quel mondo folle, pericoloso, pronto a farvi a pezzi alla prima occasione – perché è solo così che potrebbe riuscire a farvi suoi miseri strumenti. È quando mina la vostra integrità, il vostro essere voi stessi, la vostra moralità e il vostro senso del pudore che poco per volta vi cattura e vi trascina nella sua tana buia e oscura dove sarete persi per sempre! – e chiusi, felicemente, in questo paradiso costruito sulla terra? Al sicuro da cotanto desiderio di corrompere le vostre ancora giovani e fragili anime, negandovi per sempre la possibilità di diventare parte, un giorno, di un universo eterno che non avrà mai fine e che vi consentirà altrettanta pace eterna e duratura. Di quel luogo sacro a cui tutti aspiriamo ma che pochi raggiungono davvero?” Chiese abbassando le braccia e portandole nuovamente dietro la schiena. Riprese a camminare, scuotendo il capo con fare grave e traendo un profondo respiro.

    Una volta risollevato il capo, proseguì: “Vi sbagliavate. Questa felice isola è stata profanata! Aimé lo è stata! È stata corrotta dal male in persona, da un individuo che ha perso la sua forza di volontà, la sua integrità, la sua morale! Che persone altrettanto deboli hanno accolto, portando una serpe nel nostro nido!”. Si fermò di nuovo, dopo aver alzato la voce per sottolineare la potenza dell'ultima frase. A questo punto aveva ormai raggiunto la zona destra della sala, dove poteva rivolgersi direttamente alle fanciulle presenti. Lucy era seduta più o meno a metà. Il cuore le batteva a mille. Dentro di lei, il lupo chiedeva di uscire. Prepotente. Arrabbiata. Feroce. A stento la ragazza riusciva a capire quello che veniva detto tanta era la concentrazione per tenere a bada l'ormai altra parte di sé.

    “Ma d'altronde, come potrei mai imputarvi una colpa dovuta alla natura del vostro gentil sesso? La cura per gli altri vi conviene per nascita, l'incapacità di discernere il bene dal male, per la troppa bontà, per l'ingenuità, per l'emozione, vi è stata donata da quando siete entrate in questo mondo dopo di noi (e qui mosse la mano destra, ad indicare l’ala del salone dove erano seduti i ragazzi). Ma chi sono io, però, per farvene una colpa? Chi sono io per andare contro natura? O per cambiare il vostro istinto? Non posso far altro che suggerirvi cautela! Cautela per evitare di incorrere negli stessi errori di quelle che più grandi di voi dovrebbero aver imparato la gentile arte dell'ascolto e dell'obbedienza! Le sacre scritture, il divino libro parla chiaro! Egli sa quali sono le nostre debolezze e quali i nostri punti di forza! Ascoltatelo, leggetelo, fatelo vostro e fatevi sue, accettate i suoi insegnamenti!”

    “Tutte voi dovrete” continuò, facendo una breve pausa per appoggiarsi al corrimano di legno ai bordi della scala per scrutare meglio i volti di quel lato della platea, “leggere almeno dieci volte, entro la giornata di domani, come siete venute al mondo, il libro e la storia che narra come questo mondo è nato e come voi siete nate, per imparare a salvaguardare la vostra natura femminile come anche i Primi ha imparato a fare!”. Abbandonò il suo appoggio, per iniziare a camminare verso l'ala sinistra del salone, dove sedevano i futuri uomini. Il corvo, che si era allontanato da un po’ ormai, si era lasciato alle spalle una piuma nera. Quest’ultima, sospinta da un leggero soffio di vento, scivolò da quel punto così in alto, probabilmente tramite un foro nella vetrata ormai vecchia e di cui nessun si era accorto. Ruzzolò nell'aria, leggera, con movimenti irregolari e repentini. E si posò ai piedi di Elizabeth Blackthorn nel momento in cui il marito si era distratto. La donna la raccolse, senza essere vista. Il corvo non se ne sarebbe mai andato.

    “E a voi, miei giovani uomini, gemme preziose e future braccia di questo mondo, non posso risparmiare la stessa lettura. Leggete, imparate la fierezza e la rettitudine del Primo uomo, imparate quali sono le tentazioni e chi ne è foriero. Ma dopotutto, come posso andare contro la vostra natura? Egli ci ha messi in questo mondo per riunirci con la parte che da tramite noi ha creato!” Disse indicando con la mano sinistra l'altra metà del salone. Rimase fermo in quella posizione per qualche istante. Per un attimo, per un solo fugace istante parve esitare. Che, per la prima volta, il grande Albert Blackthorn non sapesse cosa dire?

    L'istante finì prima che la platea riuscisse a vedere quella breve e piccola indecisione. Il lupo, però, ne colse tutta la debolezza e ruggì rabbiosa nella mente di Lucy, tanto da farle venire un gran mal di testa. La ragazza, però, non riuscì a capire che cosa avesse detto. “In questo nostro angolo di paradiso è entrato uno di noi. Sì, miei futuri uomini, uno di noi. Uno di voi. O meglio, uno che era come voi. Uno che era come noi, che ci ha traditi. Che ha abbandonato la sua natura. Uomo non giacerà mai con un altro uomo, così dice il libro sacro. E questa parte, anche, leggerete. Perché non siate contaminati da cotale abominio! Perché la vostra integrità non dovrà mai cedere il posto alla debolezza! Se uno di noi sbaglia, se uno di noi cede, tutti ne dobbiamo pagare le conseguenze. Non guardatemi con risentimento, ma guardate coloro che hanno indotto me a dovervi proteggere!”.

    Nel frattempo, i granelli di polvere volteggiavano nel cono di luce che passava attraverso la tenda della stanza buia all'ultimo piano del dormitorio. Le parole di quella stanza enorme al piano terra non li avevano turbati. Il loro turbinio procedeva indisturbato. Senza fermarsi. Il ragazzo li osservava. Il suo occhio ormai era guarito e i dolori si erano ridotti. Il ricordo viveva limpido nella sua mente. Le parole rimbombavano in quella sala. Eppure la polvere continuava a danzare, ignorando quella gabbia.

    “Leggete miei cari. Leggete mie care. Fino a domani, quando ci rivedremo nella speranza che la vostra volontà si sia ancora una volta solidificata. Potete andare, con ordine però. Ricordate, futuri uomini, evitate la zona della tentazione, la rimuoveremo dal vostro dormitorio il prima possibile”. Fu così che il discorso della giornata si concluse e la folla di ragazzi e ragazze iniziò a uscire dalla sala comune. Lucy rimase indietro, ancora impegnata con tutte le sue forze a non lasciar uscire e prevalere il lupo dentro di sé. Dopo qualche istante capì di essere in ritardo e si lanciò verso l'uscita. Mentre attraversava la porta fu costretta a mischiarsi con i suoi compagni maschi, che parvero non notare nemmeno la sua presenza. Il lupo, intanto, ruggiva. Ma quel ruggito parve acquietarsi quando Lucy superò due ragazzi che camminavano vicini, nella folla. Il loro sguardo era fisso sul terreno. Ogni tanto si voltavano l'uno verso l'altro. Alla ragazza non sfuggì quel modo di guardare. Come non le era sfuggito nemmeno quello fra tante sue compagne. Come non le era sfuggito quando aveva visto i due nani della storia tenersi per mano. Impaurito ma allo stesso tempo felice. Il Signor Blackthorn avrebbe detto colpevole, eppure come diceva il lupo dentro di lei “di colpevolezza in quegli sguardi non c'è nemmeno l'ombra”.

    La ragazza, stranita da quel commento che appariva quasi come trionfante, salì le scale in silenzio. Lei che era sempre stata insignificante agli occhi degli altri. Perché voleva che qualcuno la guardasse in quel modo? “Perché solo allora capirai quanto qualcuno ti desideri, mia cara e ingenua ragazza” fu la risposta del lupo, malizioso. Giunta in camera andò subito a recuperare il suo amato libro. Ma quando lo aprì, qualcosa attirò la sua attenzione. Una lettera scivolò fuori, cadendo leggera sul pavimento. Lucy chiuse il libro, per raccogliere quel foglio. Una volta aperto iniziò a leggerlo. Stranamente anche la voce del lupo si era calmata. La sua attenzione era rivolta a quel pezzo di carta.

    “Non so esattamente chi riceverà questa lettera. So solo che Celestine la consegnerà a qualcuno. Mi fido di lei, quindi spero che nessuno riveli questo suo (e mio) segreto. Scrivo su questo foglio di carta perché non ho la possibilità di comunicare con altre persone in modo diverso. Ancora faccio fatica a muovermi e non posso uscire dalla stanza in cui mi trovo. Non ho nemmeno idea di che posto sia questo, né di dove sia. Se qualcuno riceverà questa lettera, posso solo dire che il mio nome è Vladimir. Che sono stato portato in questo posto dopo essere stato aggredito, fisicamente e psicologicamente, e che finché non sarò guarito non potrò lasciare questa stanza. Celestine mi ha detto che probabilmente non potrò lasciarla mai, a quanto pare qualcuno non vuole che io mi unisca agli altri abitanti di questo posto.” Lucy abbassò un attimo il foglio. Stupita, si rese conto che a scrivere quella lettera non era altri che l'ospite da cui il Signor Blackthorn li aveva messi in guardia. Che fare? “Va avanti” disse il lupo. Non era un ordine, il tono era più quello di un consiglio. Sempre più confusa sul procedere di quegli eventi, la ragazza proseguì con la lettura: “ho bisogno di parlare con qualcuno, ogni tanto, anche se questo non è proprio parlare. Dubito però che le altre persone possano superare quella porta sempre chiusa che mi tiene confinato qui dentro. Se io non posso uscire, non penso che loro possano venire a farmi visita. Ammesso che sappiano della mia esistenza. Ammesso che siano a conoscenza del fatto che io sia tenuto nascosto qui. Nascosto alla vista di tutti. Eppure esisto. Sono qui. E tu? Persona sconosciuta che riceverà questa lettera, non fare finta che io non esista... Ti chiedo solo di raccontarmi qualcosa, tutto quello che a me non è concesso di vedere. Vlad”

    Sconvolta Lucy abbassò per la seconda volta la lettera, appoggiandola sulle ginocchia. Allora era vero, c'era un ospite tenuto nascosto da qualche parte ad Heaven's Feel. Il lupo era di nuovo inquieto. Ripiegò il foglio di carta e si mosse verso il piccolo tavolino. Si sedette e iniziò a scrivere a sua volta, in attesa di Celestine.


    Capitolo 10 - Cristalli di memoria


    Quella mattina l'aria era particolarmente fredda. Pareva quasi che l'inverno fosse giunto all'improvviso, con tutta la sua prepotenza e con tutto il suo gelo. Il respiro di Anne Redfox si condensava nell'aria sotto forma di vapore. Una nuvola. Due. Tre. Sempre più brevi e sempre più ravvicinate. Correva ormai da svariati minuti, tanta era la fretta di giungere a destinazione. Erano ormai trascorsi un paio di giorni da quando aveva lasciato la città precedente e aveva intrapreso la strada verso la sua nuova meta. Lungo la via aveva incrociato un paio di piccoli villaggi e paeselli, ma aveva deciso di tenersene bene alla larga per evitare seccature. La sua fame cresceva a dismisura, ma sapeva benissimo che in quei luoghi non avrebbe trovato nulla con cui saziarsi. Ma poi, era la stessa fame di sempre quella che sentiva ora?

    Le braccia lungo il corpo e leggermente inclinata in avanti, a coda che ondeggiava velocemente dietro di lei, le orecchie piegate all'indietro. I cappelli al vento. Riusciva a sentirsi libera solo quando correva in quel modo. Senza freni. A lungo. Impegnando ogni muscolo e ogni singolo e minuscolo grammo di energia che aveva in corpo. Il sole stava appena sorgendo, tingendo di un rosso cupo l'orizzonte sopra le colline che per contrasto risaltavano in lontananza. Sopra di esse si potevano scorgere le figure nere di alberi solitari, che si stagliavano contro quel panorama come a voler dire “sì, siamo qui, noi anime solitarie vegliamo su di voi”. Eppure tutto scorreva velocemente, senza fermarsi, anche quelle vigili guardie presenti in quel mondo da tempo immemore. Anne Redfox non aveva tempo per dubbi e timori. Quei silenziosi osservatori non le davano alcun pensiero. Il mondo, per lei, era ancora troppo giovane per essere temibile o noioso. In men che non si dica era giunta a un boschetto che circondava la città che stava cercando.

    Anche da lontano, quel luogo mostrava tutta la sua grandezza. Edifici enormi si alternavano a case più piccole. Dalla collinetta sulla quale si era fermata riuscì a scorgere chiaramente il brulichio di persone che, indaffarate, correvano avanti e indietro per le strade di quell'enorme labirinto di costruzioni, ognuno con i propri compiti da portare a termine, i propri lavori da svolgere e chissà quante altre cose da fare. Lì, in mezzo a quel flusso senza fine, si trovava il suo prossimo obiettivo. O forse, l’Obiettivo con la o maiuscola. Quello che stava cercando dall’inizio della sua esistenza.

    Aveva udito da svariate persone, durante i suoi soggiorni in altre città, numerosi aneddoti e leggende su questo posto. Si diceva che fosse la cittadina più grande mai esistita, dove tutti vivevano “felici, ricchi e in grado di realizzare i propri sogni”. O almeno, questo era quello che dicevano coloro i quali erano ottimisti e sognavano una vita migliore in quel posto. Parecchie erano le voci discordanti, e l'istinto le diceva che le seconde erano di certo più attendibili delle prime. Dall'altura su cui si era fermata, fra gli alberi di quel boschetto, vide chiaramente l'enorme costruzione che troneggiava al centro della città. Aveva sentito dire che si trattava di un gigantesco orfanotrofio e che il suo costruttore era tanto influente che praticamente gestiva la cittadina intera. I governatori stessi avevano iniziato a seguire i suoi consigli per paura di inimicarselo, tanto che molte delle leggi che vigevano all'interno della sua struttura stavano effettivamente passando anche a tutti gli altri abitanti del posto. Quella che una volta era una città aperta a tutti, si stava chiudendo in fretta. Coloro che non si dimostravano all'altezza degli standard richiesti venivano allontanati. Stessa sorte toccava a chi “tradiva la morale pubblica e i suoi concittadini”. Anne Redfox sorrise. Aveva già in mente un piano per eludere quei loro controlli, e la morale per lei era qualcosa di troppo artificiale per poter essere di suo interesse.

    Si fermò lungo un piccolo ruscello. Nonostante il suo corpo fuori dal normale e l'elevata resistenza, anche lei aveva bisogno di acqua, o per lo meno di fermarsi e riposare. Mentre era seduta lungo la riva di quel corso d'acqua, un piccolo uccellino colorato si poggiò vicino a lei. Una cosa che l'aveva sempre incuriosita era il fatto che gli animali trovassero piacevole la sua compagnia, quasi come se fosse una di loro. Anche coloro i quali avrebbero dovuto temerla. “Non farti ingannare dalle mie orecchie e dalla coda, piccolino. Dovresti avere paura di me, credimi” disse alla creaturina che si era poggiata sul dorso della sua mano. Con un gesto lento e delicato, lo portò all'altezza degli occhi per osservarlo meglio. “Sembri così innocente... Vorrei tanto poter vivere spensierata come te” sussurrò all'animale, che la guardò piegando la testa di lato in modo alquanto buffo, senza emettere alcun suono. “Perfino tu, così piccolo e fragile, hai uno scopo in questa vita, sai chi sei e cosa diventerai... Lo sai per istinto, non è vero?” continuò. Per tutta risposta il batuffolo di piume colorate emise un allegro cinguettio, sollevando rapido la testa come se volesse rispondere alla domanda che gli era stata posta. “Il mio istinto mi dice solo chi dovrò eliminare la prossima volta... So solo che devo inseguire la prossima preda per poter, forse, scoprire qualcosa in più di me” aggiunse ancora. Il suo silente e alquanto interessato interlocutore spiccò il volo cinguettando, lasciandola sola con i suoi pensieri. Eppure, questa volta il suo istinto non la stava portando alla prossima preda. Che tutta la sua vita non ruotasse attorno alle prede ed alla fame.e

    Da un punto di vista esterno la sua vita era alquanto facile. Insegui la preda. Eliminala. Passa alla successiva. Dentro di lei, però, quel costante processo di inseguimento aveva molti significati. Volta dopo volta riusciva sempre a scoprire qualcosa di nuovo di sé. Un pezzo in più, frammento dopo frammento forse stava raggiungendo una maggiore consapevolezza di chi lei fosse in realtà. Eppure perché, questa volta, aveva paura? Non aveva mai provato quella sensazione prima di quel momento. Sapeva come si chiamava perché lo aveva scoperto da una delle persone che aveva incontrato e che aveva, a modo suo, amato. Amore e paura. Due emozioni che a stento conosceva. La seconda, addirittura, la stava provando in quel momento per la prima volta. Era qualcosa che proveniva dal profondo del suo essere. Che pareva consumarla. Non era fame. Non era dolore. Era qualcosa di gelido, di freddo, che dallo stomaco congelava a poco a poco tutto il resto del suo corpo. A momenti alterni, era una minaccia sempre presente che compariva quando lei meno se lo aspettava. Cosa le causava quella sensazione? Perché era tanto impaurita? Non aveva alcuna risposta, ma l'istinto, ancora una volta, le suggeriva che aveva a che fare con la persona che stava cercando.

    Mentre stava seduta immersa nei suoi pensieri, un rumore attirò la sua attenzione. Crack. Un ramoscello spezzato. Qualcuno si stava avvicinando. Le orecchie di Anne si sollevarono. Attente. Uno struscio di foglie. Foglie secche calpestate. Le orecchie si muovevano a ogni suono per captarne la direzione, quasi fossero due antenne. In un istante, sparì fra le fronde dell'albero più vicino. I muscoli tesi. Le lame dei suoi coltelli pronte. Le orecchie in ascolto. Lo sguardo attento al minimo movimento. Non poteva farsi scoprire prima di entrare, avrebbe rischiato di rimanere bloccata fuori e soprattutto di vedere il suo viso di ricercata appeso in ogni dove. Doveva assolutamente evitare una situazione di questo tipo. Dà in mezzo ai cespugli sbucò, effettivamente, qualcuno. Pronta a scattare, Anne si bloccò di colpo poco prima di farlo.

    Un uomo piuttosto alto e con un fisico robusto avanzava goliardo in mezzo all'erba e agli alberi. Indossava una camicia a quadri blu e nera, pantaloni un po' malmessi e un paio di stivali che arrivavano fino al ginocchio. Camminava con ampie falcate, guardandosi un po' attorno. Sulla schiena portava della legna, legata assieme di modo che rimanesse ferma. Si stava dirigendo verso il ruscello, mentre Anne lo teneva d'occhio dall'alto, senza fare il minimo rumore. Non voleva assolutamente farsi scoprire. L'uomo giunse fino al corso d'acqua e iniziò a spogliarsi. Si levò la camicia, rivelando una schiena segnata dal lavoro e dalle cicatrici, ma muscolosa. Le sue enormi braccia sembravano tronchi d'albero. Qua e là ciuffi di peli sbucavano sulla sua pelle scura. Con calma si levò anche stivali e pantaloni, esibendo il resto del suo fisico abituato ai lavori pesanti, definito e in forma. Si gettò nell'acqua, iniziando a nuotare avanti e indietro, se così si può dire. Quel piccolo fiumiciattolo non doveva essere molto profondo. Dopo qualche minuto uscì dall'acqua. Le gocce correvano lungo il suo corpo, segnando le tutte le sue forme. Si asciugò e poi si rivestì. Tuttavia, anzi che riprendere la legna e tornare in città, si sedette appoggiandosi a un albero, guardando in direzione dell'ammasso di edifici. Pareva guardasse un punto in particolare. Fisso, senza distogliere lo sguardo.

    “Beh, penso sia ora di farti vedere, no?” Disse a un certo punto, rompendo il silenzio che regnava in quel bosco. Anne ne fu sorpresa, non sapeva cosa fare. “Conosco questa piccola radura come le mie tasche e, se devo essere sincero, ho notato le tue orme poco fa mentre venivo qui. Di certo non sono le scarpe di un lavoratore” aggiunse accennando un sorriso. Con fare agile e svelto, Anne Redfox scese dall'albero con un solo, unico balzo, atterrando poco lontano dall'uomo.

    “Complimenti, hai un occhio esperto” disse la donna.

    “Me la cavo, sono piuttosto in gamba quando si tratta di osservare ciò che mi sta intorno” fu la risposta pacata dell'altro. Anne mosse alcuni passi, avvicinandosi a lui. Iniziò a guardare nella stessa direzione. “Non hai intenzione di denunciare alle autorità qualcuno come me?” Chiese lei. L'uomo sollevò lo sguardo, osservandola. Sembrò quasi non notare la coda e le orecchie. “Beh, tutto quel che vedo è una bellissima donna che io non conosco. Non vedo perché dovrei farlo” fece eco lui. Si guardarono negli occhi per un lungo attimo. A interrompere quel momento fu il rumore di un animale che correva fra i cespugli. “C’è ancora qualcuno che riconosce la paura in questo mondo” esordì Anne.

    “Si, vero, probabilmente è stato più intelligente di me... Ci conosciamo per caso?” Continuò l'uomo. Anche lui se n'era accorto dunque. Perché quella strana sensazione? Nuova e indescrivibile, ma era come se non fosse la prima volta in cui vedeva quella persona. A quanto pare anche per lui stava accadendo la stessa cosa. “Non sono mai stata qui prima d'ora” rispose lei, spostando lo sguardo verso la città. L'orfanotrofio spiccava sulla sua collina circondata dagli alberi. Che stesse guardando anche lui in quella direzione?

    “Nemmeno io sono qui da molto” azzardò lui, “prima ero in un altro posto. Un posto magnifico” aggiunse con sguardo malinconico, prima di alzarsi in piedi. In un istante, una leggera nebbia aveva iniziato a invadere la radura in cui si trovavano. “Cosa –” disse, a metà fra lo spaventato e il curioso. Un profumo dolce, inebriante iniziò a diffondersi insieme con quella strana sostanza rosa. Penetrava nel naso, avvolgeva le narici e colpiva il cervello. Vide solo la donna avvicinarsi a lui. Lentamente. La vista si annebbiò per un istante. Il mondo intorno a lui iniziò a girare. Rapida come un fulmine, la donna dalle orecchie di volpe estrasse un pugnale. L'uomo non aveva nemmeno fatto in tempo a vedere da dove lo aveva estratto. Chiuse gli occhi e scosse la testa e, poco prima che lei lo colpisse, fermò la mano della donna. Stupita, lo fissò. Poco dopo avvertì un dolore lancinante al ginocchio e sentì la presa allentarsi.

    “Come hai fatto?” Chiese lei.

    “Cos'era quella.... Cos'era quell'odore?”

    “Avresti dovuto essere inerme” sentenziò lei dubbiosa. Com'era possibile? Il suo potere non aveva effetto? Oppure funzionava solo sulle sue vittime? No, impossibile. Lo aveva sempre usato a suo piacimento. Perché ora aveva fallito?

    “Non sei una persona qualunque vedo”. La voce dell'uomo interruppe i suoi pensieri. Era calma, profonda e rilassata. E ora stava sorridendo, riusciva a vedere le labbra incurvarsi in mezzo alla folta barba. “Non ho intenzione di farti del male, né di denunciarti se devo essere sincero... Ma non penso che quella... Cosa possa funzionare su di me” aggiunse.

    “E come fai a esserne sicuro?” Chiese Anne, stupita.

    “Perché la tua bellezza non ha alcun effetto su di me, puoi usare tutti gli afrodisiaci che vuoi” fu la risposta, accompagnata questa volta non da un sorriso ma da una fragorosa risata.

    Come poteva sapere l'effetto della sua nebbia? Solo chi l'aveva sperimentata poteva sapere come funzionava, ma nessuno era mai sopravvissuto per raccontarlo. Dunque come?

    “So cosa fa perché ho riconosciuto il desiderio che stava suscitando in me” disse il suo interlocutore, senza attendere la sua domanda, “ma quel desiderio, rivolto a te, non ha alcun tipo di effetto su quest'uomo qui”. Finita la frase si abbassò per raccogliere la legna che aveva abbandonato a terra poco fa.

    “Ora capisco” disse Anne, abbassando lo sguardo e sorridendo. Quell'uomo non poteva essere interessato a lei in alcun modo. “Non posso non dire che ne sono dispiaciuta” aggiunse un istante dopo, riponendo il pugnale in modo così veloce da non lasciar vedere dove l’avesse nascosto. Lo sguardo di lui si fece più attento, anche se non aveva perso il sorriso. Dopo averla fissata per un po' di tempo in silenzio, pronunciò alcune parole che colpirono Anne particolarmente, soprattutto per il tono con cui le disse: “ecco di fronte a te uno dei famosi mostri, vero? Non sei la prima che si dispiace per la mia condizione”.

    Anne sapeva fin troppo bene cosa accadeva agli uomini o alle donne come lui. Aveva sentito parecchi esseri umani parlarne. Lei, però, non era un’umana qualunque. Non nel senso stretto. Abbozzò un altro sorriso, soddisfatta. E allo sguardo incredulo dell'uomo rispose: “Credo tu non abbia afferrato il punto, bel boscaiolo. Mi dispiace che tu ti goda la vita solo a metà”. La battuta, provocatoria, fece ridere di gusto l'uomo che aveva finalmente capito.

    “Mi accontento di avere la mia metà della mela, mi spiace”.

    “E allora lascia a me entrambe le metà, preferisco divertirmi con tutto quanto il frutto” concluse lei, voltandosi per andare via. Perché quella sensazione di familiarità? Ancora e ancora?

    “Ho una locanda nel centro della città, se vuoi posso ospitarti per un po' di tempo se...” Ma mentre pronunciava le ultime parole, la donna era già sparita senza lasciare alcuna traccia. Si mise il carico di legna sulle spalle, pronto a tornare a casa. Fissò ancora una volta l'orizzonte, ormai tinto di un rosso violaceo per l'avvicinarsi della sera. Sorrise ancora una volta. Era certo che prima o poi l'avrebbe rivista. Forse, prima di quanto potesse immaginare. Voltò le spalle a quel tramonto, a quella luce rassicurante. Anche lui aveva un obiettivo a cui tornare.


    FINE DEL VOLUME 3

    Edited by AlexMatteh - 14/10/2018, 13:16
     
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    Ottima continuazione dei capitoli precedenti. Le vicende dei singoli personaggi paiono cominciare a convergere tra loro. Molto belle anche le descrizioni dei luoghi e dei personaggi, come quella del puritano Albert Blackthorn.
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