Un incontro impossibile

[Meta]Narrazione solitaria

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    Dalle pagine di un diario, il cui autore non è né un protagonista, né uno dei personaggi le cui imprese soprannaturali popolano questo forum, né qualcuno la cui storia avrebbe potuto incrociarsi con quella di tali personaggi. Eppure lui in quel giorno, in quel luogo, l'ha di sicuro incontrata...

    CITAZIONE

    31/11/2018



    Da quando ho cominciato a scrivere questo diario, ho narrato nelle sue pagine molti eventi che mi sono accaduti o di cui mi è stato raccontato. La maggior parte di essi è banale, nessuno è, credo, straordinario. Ma il fatto di cui sono stato testimone in questa data, va ben oltre la definizione di straordinario, per arrivare a quella di impossibile. Lo trascrivo su questo diario, in questa ora che volge al domani, per poter essere sicuro che quanto ho vissuto non sia stato un sogno. Ma in realtà, cos’altro può essere stato se non un sogno, un’allucinazione o un lampo di pazzia?

    Mi trovavo a Venezia, dove mi ero recato all’Archivio di Stato per studiare alcune carte processuali che avrebbero, era la mia speranza, chiarito il legame esistente tra un oscuro prete in possesso di libri proibiti e un conte discendente da una delle famiglie di più antico lignaggio del Veneto (il cui nome è oggigiorno ridotto a una marca di vini). L’Archivio era stato, precedentemente all’avvento di Napoleone e alla conseguente soppressione delle congregazioni religiose, il convento dei frati francescani; traccia di ciò rimane nella toponimia del luogo in cui si trova, Campo dei Frari, e nella grandiosa basilica, la più grande di Venezia, a fianco dell’ex-contento, Santa Maria Gloriosa dei Frari.
    Poco prima dell’una uscii dall’Archivio e mi diressi verso la vicina Scuola Grande di san Rocco, altro monumentale edificio a forse cento metri di distanza dai Frari. In quei cento metri che separavano i due luoghi mi imbattei in non meno, credo, di duecento persone. Anche se non pari a Rialto o San Marco, il flusso di persone, turisti o meno, che transita per questa via durante tutto l’anno è impressionante. Non meno impressionante è come, girando all’altezza della Scuola Grande di san Rocco e giunti a uno spiazzo dietro l’edificio circondato su due lati dall’acqua dei canali, tutto quel flusso di gente scompaia e ci si cali, a poca distanza dalla grande barando e via vai di gente, in un’atmosfera di calma e serenità, di cui poche persone sono partecipi. Era in quel luogo che io abitualmente mi rifugiavo a mangiare e fu lì che l’incontro avvenne.
    All’inizio, mentre tiravo fuori dalla mia borsa il panino che costituiva il mio pranzo, non le diedi più di un’occhiata. Mi riferisco alla pittrice che, di fronte allo scorcio veneziano, dipingeva un acquerello. Non è raro osservare qualcuno che dipinge, a Venezia. Non penso esistano altre città che attirino, non solo per i loro monumenti ma anche per le normali vie cittadine, le attenzioni dei pittori come Venezia. Quindi la ignorai, lei come il suo acquerello, e mi sedetti invece sul ciglio dello spiazzo, lasciando le gambe a penzolare qualche centimetro sopra il pelo dell’acqua e mangiando il mio panino. Alzai lo sguardo per puro caso, per osservare una barca che passava per il canale, e, sempre per puro caso, il mio sguardo cadde sul dipinto. Rimasi senza fiato. Neppure mi accorsi, se più tardi, che il mio panino, mezzo mangiato, mi era caduto nell’acqua del canale.
    Il dipinto non rappresentava uno scorcio veneziano. O meglio, sì, lo rappresentava, ma c’era anche altro. Sullo sfondo di una Venezia catturata alla perfezione – le acque dei canali, mio Dio, le acque dei canali sembravano muoversi, scorrere placidamente all’interno del dipinto – aveva dipinto due figure. Una era se stessa che dipingeva con una mano, mentre allungava l’altra verso la seconda figura. Questa, più che una persona, era una forma indefinita: dalle proporzioni umane, ma indistinta, effimera, così tenue da dare l’impressione di poter svanire da un momento all’altro. La figura stava al di là delle acque e guardava la pittrice con quella che poteva essere curiosità, apatia, malumore. L’esile braccio della pittrice che si tendeva verso essa mostrava una tensione, uno sforzo anche muscolare che non giudicai inferiore a quello tipico delle statue di Michelangelo. Eppure capii, o meglio qualcosa del dipinto mi fece capire come quel braccio, quella mano tesa non avrebbe mai raggiunto l’altra figura, il giovane oltre il canale, così alieno nella forma e nello sguardo. Le loro posizioni erano diverse, un fiume le separava: per quanto la pittrice si sforzasse, non l’avrebbe mai raggiunto. Ma allo stesso tempo compresi come lei non si sarebbe mai fermata, non avrebbe mai cessato di tentare di raggiungerlo.
    La rappresentazione dello sforzo di raggiungere un ideale irraggiungibile? Cazzata. Non fu una cosa così astratta a lasciarmi immobile, a mozzarmi il fiato, a rendere umidi i miei occhi. Fu la vicenda umana, reale e concreta, eppure così lontana e quasi ineffabile, che traspariva dalla rappresentazione pittorica a commuoversi.
    Mi alzai. Non so cosa mi prese, non sono tipo da andare e mettermi a parlare con persone che non conosco, così di punto in piano. Ma credo che quanto avessi visto fosse troppo per tacere. Anche se, col senno di poi, posso dire che fu forse il senso di famigliarità verso quelle due figure a muovermi. Dunque mi alzai e mi avvicinai alla pittrice.
    «Tu… chi sei? Cosa ti è successo per…» non proseguii, le parole rimasero sospese nell’aria, sopra la superficie dell’acqua. Ma lei comprese. Si girò verso di me rivelando un volto dai tratti orientali, un volto che sentii di aver visto da qualche parte, forse in un sogno, eppure un volto diverso da quello che ricordavo, nel modo sottile in cui il verosimile è diverso dal reale.
    «Mi chiamo Kasumi Natsui. Cosa mi è successo è affare mio, della persona che cerco e di nessun altro.»
    Se prima era stata la commozione a farmi parlare, adesso fu il troppo stupore a farmi tacere. Il mio cervello ripeteva continuamente “non è possibile”, come un disco rotto. Rimasi a fissarla in silenzio – ma credo che più di una volta aprii e richiusi la bocca muta – mentre lei prendeva il cavalletto, il dipinto, i colori e se ne andava. Un gabbiano volò a filo d’acqua e prese nel suo becco il mio panino annacquato. Solo allora riuscii a reagire e mi mossi per seguirla. Ma, giunto alla Scuola Grande di san Rocco, mi ritrovai immerso nel flusso caotico di persone. Impossibile rintracciarla: lei era entrata a far parte dell’indistinta moltitudine che oggi giorno si muove per Venezia. O forse era più in là, molto più in là di dove io potessi arrivare. Perché Kasumi Natsui è un personaggio che io ho creato per il gdr by forum All Fiction, la cui storia si intreccia con quella del mio personaggio principale – il protagonista, com’è definito – Haiiro Kugatsu.
    Ma la Kasumi che ho incontrato non è quella che muovo sul forum. È la Kasumi del futuro, di uno dei possibili futuri. Secondo uno degli sviluppi che ho pensato, ma non scritto – e forse mai lo farò – a causa dell’abuso dei suoi poteri, Haiiro Kugatsu, il minus capace di intrecciare realtà e sogno, diventa lui stesso un’esistenza simile al sogno, all’ombra, alla finzione. Il suo essere si assottiglia, diventa inconsistente come quello di un sogno, tanto che è difficile dire se si può definire “vivo”. Esiste, certo, ma la sua esistenza è diventata qualcosa di diverso – non superiore né inferiore, ma diversa – da quella di un essere umano. E, libero dai confini fisici come quelli della realtà, prende a spostarsi tra i mondi. Ma Kasumi, che non accetta ciò, decide di seguire Haiiro, acquisendo il potere di muoversi tra le dimensioni, nel tentativo di riportare Haiiro alla normalità, “definendolo” attraverso un dipinto che ne attesti la realtà fisica. Oppure di viaggiare così tanto tra i diversi mondi da rendere la sua stessa esistenza tenue e inconsistente come quella di Haiiro, per potersi infine ricongiungere al suo amato.
    E forse questa seconda possibilità è vicina, se i suoi viaggi l’hanno condotta fino a qua, nel mondo dove io, il suo creatore, vivo, portando ad un incontro impossibile. Né, io credo, è casuale che il nostro incontro sia avvenuto a Venezia. Potrà sembrare retorica (e forse lo è, in parte) ma tra tutte le città esistenti Venezia è la più “magica”, quella dove il confine tra realtà e finzione è più sottile e tenue. Ma c’è un’altra ragione se il nostro incontro è avvenuto in questa città. Perché proprio a Venezia, ritengo (ma quanto sono ancora padrone, quanto sono ancora artefice di questa storia?), c’è la chiave che potrà condurre alla sua fine il lungo viaggio di Kasumi e farle incontrare, forse per l’ultima volta, il suo amato.
    È un peccato che Kasumi se ne sia andata prima che potessi parlarne con lei. Ma non importa. Io ho fede che il miracolo avvenuto oggi, il miracolo di questo incontro impossibile, si possa ripetere. Io ho fede che, in un altro giorno impossibile, avverrà un nuovo incontro impossibile.

    A.M.
    Aspettando quel giorno
     
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    Non so nemmeno dove sono ora, figuriamoci se posso ricordare da dove provengo

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    Splendida.
    Apprezzo davvero molto la scrittura, lo stile.
    Il soggetto è di ispirazione, il mio pensiero è corso immediatamente a "Un infinito numero" ed è probabile che questo possa costarmi una nuova lettura del libro.
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1 replies since 1/12/2018, 00:15   40 views
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