Tra i confini del sogno

Multipla chiusa - Micael & Tabris

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    Kazuo Horamaki aveva la meritata fama di essere un bullo, un teppista e un rissaiolo. Se una persona gli stava sulle palle non esitava a darle una sistemata. Se aveva necessità di denaro trovava subito una preda a cui estorcerlo. Alcuni bulli sono piuttosto indiretti nelle vessazioni contro le loro vittime, ricorrendo ad attacchi verbali, sottrazioni di oggetti, umiliazioni pubbliche o cose simili. Kazuo Horamaki no. Il suo metodo di agire era sempre diretto e violento, mirato a ottenere nel minimo tempo il risultato da lui voluto. In questo era aiutato dal suo fisico alto e muscoloso, nonché da un carattere tanto prepotente quanto impaziente. I suoi compagni di classe e chi lo conosceva cercavano di tenersi alla larga da lui. Non che Kazuo stesso se ne preoccupasse.
    In quel momento la sua preoccupazione era un’altra: la penuria di denaro. Per rimediare aveva deciso di ricorrere alla sua pratica abituale, vale a dire l’estorsione a studenti ignari. Il suo modo di agire era ormai collaudato e fisso: girava con una lattina di coca in mano nei pressi dell’istituto Hakoniwa, prediligendo le zone marginali meno affollate, fin quando non individuava la sua vittima. A quel punto faceva in modo di sbatterci addosso e far cadere della coca cola per terra o sul suo vestito e la costringeva, con minacce verbali e nel caso fisiche, a risarcirlo. Va da sé che il “risarcimento” era assai più costoso di una coca cola o del lavaggio di un capo.
    Ora una domanda: come fa un bullo a scegliere la sua preda? Una persona fisicamente debole sarà certamente preferita a una più forte. Eppure il discrimine principale non sono le pure caratteristiche fisiche, ma piuttosto il portamento. Camminare eretti, camminare a capo chino. Tenere le spalle dritte, tenerle curve. Sollevare bene i piedi, strascinarli per terra. Incedere con energia, trascinarsi quasi a forza. Queste e altre caratteristiche rivelano la sicurezza o l’insicurezza di una persona. La rivelano in modo intuitivo: di norma le persone non si fermano ad analizzare questi singoli aspetti, ma li colgono istintivamente nel loro complesso. E così faceva Kazuo Horamaki per scegliere i suoi bersagli. Pertanto, quando vide quella persona, non ebbe dubbi sul ritenerla la sua preda perfetta.
    Camminava chino, strascinando le gambe, il peso del corpo sbilanciato in avanti, le spalle incurvate, i piedi che si sollevavano a malapena dal suolo. Inoltre era basso e mingherlino, il viso solcato da profonde occhiaie e da diversi lividi. Quei lividi erano la sua unica preoccupazione: temeva che qualcun altro avesse approfittato di lui, picchiandolo e prendendogli i soldi. Ma valeva la pena di tentare comunque.
    Si diresse con passo sicuro verso il tipo e, con la nonchalance data dalla lunga esperienza, finse di essere stato urtato dal mingherlino, nonostante fosse stato proprio lui ad andargli addosso. Ma questo era talmente preso dal suo mondo che non se ne accorse neppure.
    «Ehi! Guarda cosa hai fatto!» Gridò alla sua volta. Il ragazzo si girò e lo guardò, confuso. Kazuo si chiese se non fosse troppo stupito per capire cosa stesse avvenendo. In quel caso doveva essere ancora più diretto. La cosa non gli dispiaceva affatto.
    Gli afferrò il bavero della maglia, tirandolo con forza verso di sé, mentre con l’altra mano gli metteva la lattina di coca cola davanti agli occhi. «La vedi questa, eh? La vedi? Me l’hai fatta cascare addosso, cazzo! Cosa pensi di fare, ora?»
    Di solito a quel punto il bersaglio era troppo stupito dalle immotivate invettive e dall’aggressività della sua voce per replicare in modo coerente. Farfugliava qualche parola oppure rimaneva muto, senza sapere come rispondere. Il ragazzo che aveva di fronte cadeva nel secondo tipo: non pronunciava una sillaba. Ma era sbagliato. Il suo atteggiamento era sbagliato, del tutto diverso da quello che Kazuo si aspettava. Muovere gli occhi senza posa, cercare di ritrarsi, gesticolare nervosamente: queste erano le normali reazioni, spettro dell’imminente crollo di nervi. Ma il tizio con le occhiaie non mostrava nessuno di questi segni. Non si muoveva con nervosismo o paura. Non si muoveva affatto. Teneva gli occhi puntati sulla lattina, il corpo immobile e la fronte corrucciata, come se fosse immerso in profondi pensieri. Infine alzò gli occhi a fissare Kazuo.
    «La vedo. È una lattina di coca cola.»
    Stavolta fu Kazuo a rimanere senza parole. Fu solo un secondo, ma in quel secondo non seppe cosa replicare. Non sapeva cosa lo irritasse di più: la stupidità e l’ovvietà di quella risposta o la propria incapacità di replicare prontamente. Non lo sapeva, ma fu come olio gettato sulle fiamme: prima recitava, adesso era incazzato sul serio.
    «Sì, genio, è una cazzo di lattina di coca cola. Che tu hai rovesciato per terra e sul mio vestito.» Indicò una piccola macchia scura a terra e un’altra ancora più piccola sulla maglietta. «E come pensi di ripagarmi per avermi versato la coca cola addosso, eh?» Tanto per rafforzare il concetto gli diede uno spintone. Il tizio arretrò di due passi, in modo meno scomposto di quanto avrebbe voluto.
    «Ripagare?» Ripeté con quella sua odiosa voce monocorde e strascinata.
    «Certo! Mi hai sporcato, è ovvio che devi ripagarmi? Su, quant’hai nel portafoglio? Basterà. Oppure…» e qui gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, stringendola in un modo che non poteva certo essere definito amichevole. «Oppure preferisci subirne le conseguenze?» Sorrise e intensificò la stretta, pregustando la smorfia di dolore sul viso del ragazzo, la sua paura e il cedimento. Non venne nessuno dei tre.
    «Non penso di ripagarti. Non per due gocce. O tre. Cioè, davvero ti pare un pretesto valido per attaccar briga? Avresti fatto miglior figura a dire che ti stavo guardando male, o che sbattevo le palpebre in modo sfrontato. O che ci avevo provato con la tua fidanzata. Sempre se ce l’hai, una fidanzata.»
    Di nuovo. Per la seconda volta, Kazuo rimase senza parole. Ma si riprese in fretta. E stavolta non cercò più di rispondere. No, stavolta passò direttamente ai fatti. E i fatti erano un cazzotto tirato verso il muso dell’idiota.
    Kazuo non aveva esperienze di boxe o altri sport da combattimento. Ma aveva il suo buon conto di risse. Sapeva di essere forte e muscoloso, sapeva di surclassare fisicamente quel tipo, sapeva di aver tirato un pugno come si doveva. Quello che non sapeva era perché fu lui a essere colpito, lui a ritrarsi con una mano sul naso sanguinante e le lacrime agli occhi.
    «Hai un gancio troppo ampio.» Disse, come a rispondere alla sua silente interrogazione, il ragazzo dalle occhiaie. Teneva le braccia di fronte a sé, pronte a proteggersi o attaccare, ma per il resto non pareva star prendere parte a una rissa. Non c’era agitazione in lui. Anzi, a giudicare dalla faccia, pareva annoiato. Kazuo invece era semplicemente furioso. Si fece avanti tirando un pugno al volto del tipo. Fu schivato con un movimento all’indietro della testa. Provò un gancio al fegato. Fu parato. Gli afferrò la maglia con una mano, mentre con l’altra caricava un pugno. Non capì esattamente cosa avvenne, ma sentì di venire afferrato a sua volta per i vestiti. Poi il mondo si capovolse e lui si trovò a terra, un urlo che gli sfuggiva dalle labbra per il duro urto contro il terreno.
    Quando riuscì a rimettersi in piedi, il tizio con le occhiaie stava già allontanandosi.
    «Fermo!» Gli gridò con rabbia Kazuo. Questo si girò. Sul suo volto c’era di nuovo quell’espressione di noia.
    «Ah, è così che la metti…» La sua mano si fiondò dentro una delle tasche dei pantaloni. Estrasse un coltello a serramanico. Sorrise, mentre la lama scattava in posizione. Sorrise, perché l’espressione annoiata del tipo era svanita ora. Sembrava... irritato, a dire il meno. E preoccupato.
    «Mettilo via. È meglio se eviti di usarlo. Non ne verrà nulla di buono.»
    «Hai paura adesso, eh? Se mi dai tutti i tuoi soldi, se ti inginocchi a terra, se implori pietà, sono disposto a lasciarti andare.»
    Non lo fece. Si limitò a scuotere la testa.
    Kazuo sudava. Era vero, aveva un coltello. Ma non l’aveva mai usato contro una persona. Al massimo se n’era servito per minacciare qualcuno. Non aveva mai pensato di andare oltre. Non aveva mai pensato di averne bisogno. Deglutì. Per un attimo si chiese se ne valesse la pena. Poi pensò all’umiliazione, al dolore. Partì all’attacco, con un affondo mirato al petto.
    Fu strano. L’aveva letto nei fumetti, visto nei film, ma non pensava esistesse sul serio. La sensazione che tutto si svolgesse al rallentatore. La stava vivendo in quel momento. Intorno a lui ogni cosa rallentava, persino il suo stesso corpo pareva insopportabilmente lento. La sua mente al contrario era lucida e acuta, più di quanto fosse mai stata. Osservò a una ventina di metri una studentessa portare le mani ai lati della testa, spalancare e tendere la bocca in un’espressione di terrore. Vide gli uccelli volare dagli alberi, incuranti degli affari umani e una foglia ruzzolare per la strada, sospinta dal vento. Fissò il ragazzo che stava per trafiggere, lo vide chiudere gli occhi, inclinare il capo ancora più in basso, incurvare le spalle ancora di più, sbilanciarsi maggiormente in avanti. Sì chiese se volesse morire. Ma non scorgeva né disperazione né rassegnazione in quel suo atteggiamento.
    E poi, quando già il suo coltello si tuffava in avanti, il ragazzo si mosse. Anche con la sua percezione acuita, Kazuo riuscì a malapena a seguirne i movimenti. Mentre tutto intorno a lui rallentava, solo quel ragazzo si muoveva senza subirne gli effetti. Era stato veloce prima, ma ora era a un altro livello. Scansò la lama come si evita il goffo incedere di un ubriaco, scivolò lungo il suo braccio e dal basso lo colpì con un montante al mento. Il mondo smise di procedere al rallentatore e prese a girare all’impazzata. Kazuo non pensava più: tirava fendenti a destra e manca, agitando il coltello in modo forsennato. Ma la lama fendeva solo l’aria e a ogni suo colpo mancato seguiva un pugno del ragazzo, immancabilmente a segno. Non ci volle molto perché Kazuo cadesse a terra, pesto e sanguinante. Un piede premette sulla sua mano con forza, lo costrinse ad aprirla e lasciar andare il coltello. Sentì il farfuglio di parole incoerenti che era troppo inebetito per decifrare. Poi il tono cambiò e uscì una frase coerente.
    «Aah… te l’avevo detto che non sarebbe venuto nulla di buono.»
    Il ragazzo aveva riaperto gli occhi. Prese il coltello a serramanico, lo brandì in mano – l’intero corpo di Kazuo fu scosso da un fremito – poi con forza lo infisse sul terreno. Tenne fermo il coltello, mentre premeva con forza il piede contro la lama, finché questa non si spezzò. Gettò lontano i due moncherini.
    «Ecco fatto. E la prossima volta evita simile cazzate.»
    Kazuo ebbe appena la forza per emettere un flebile «sì».
    Intanto Haiiro Kugatsu riprendeva il suo cammino, in direzione dell’ormai vicino Maid Cafè. Sapeva già che, appena arrivato, si sarebbe avvicinato al banco per ordinare una bella tazza di caffè caldo, senza latte e senza zucchero.
     
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    Nella gestione di un locale, come per ogni altra attività commerciale, la pubblicità ha una grande importanza: possiamo dire che serve a farsi conoscere, promuovere le proprie caratteristiche peculiari che ti differenziano dalla concorrenza ed attirare nuovi clienti, per limitarci agli aspetti più semplici. Oltre a questo, è fondamentale ricordarsi della propria attuale clientela attuando un’opera di fidelizzazione che deve spingere il cliente a tornare più e più volte, rendendolo un abitué. Nei limiti dei mezzi a disposizione, un cliente deve essere coccolato, vezzeggiato, fatto sentire importante. Era in tal senso che andava una iniziativa improvvisata all’ultimo momento nel Maid Caffè: vista l’importanza che aveva il cliente/padrone a quanto tenessero a lui, era naturale che le cameriere conoscessero tutti i loro gusti. Il capo cameriere avrebbe indovinato l’ordine dei clienti più affezionati senza che loro aprissero bocca: se avesse indovinato sarebbe stata la dimostrazione dell’amore per loro delle Maid, in caso contrario per farsi perdonare avrebbero acconsentito ad una richiesta, ma niente cose strane.
    Una iniziativa piuttosto contorta e che si basava fin troppo sull’onestà dell’avventore, una roba che prendeva un trucco di magia e lo calava in uno scenario di fiducia in un’umanità che si sarebbe dovuta lasciare scappare una occasione piuttosto “interessante”. In questa assurdità entrava in gioco la figura del capo cameriere.
    Quando un cliente era pronto per ordinare, lui si avvicinava al tavolo accompagnato da una cameriera, gli rivolgeva uno sguardo rasserenante, quindi enunciava con fiducia l’ordinazione che avrebbe voluto fare. In tutta la mattinata non ne aveva sbagliata una.
    Oltre all’infallibilità di quel trucco di magia, quel che lasciava di stucco erano i dettagli che ci metteva: se il “padrone” aveva pensato qualcosa di particolare in merito al prodotto, un dubbio, una domanda che non aveva avuto modo di fare, lui, il “maggiordomo perfetto”, rispondeva alle domande, riportava le parole pensate, scioglieva i dubbi; ad uno aveva commentato il ricordo d’infanzia che era emerso leggendo il menù. Con le espressioni di puro stupore che si lasciavano scappare, era impossibile barare fingendo che avesse sbagliato per approfittare della disponibilità del personale. Una dimostrazione di abilità apprezzabile, in certi casi anche impressionante, per non voler dire spaventosa, assolutamente di grande impatto, in quelle circostanze la presenza di una troupe televisiva inglese non sarebbe sembrata molto fuori luogo.
    Forse non era il modo più etico per usare le proprie abilità, ma anche a Tatsuya di tanto in tanto piaceva divertirsi usando il potere della One Heart.
    Poi d’improvviso un brivido innaturale. Per un attimo ebbe una sensazione strana, che non era riuscito bene ad identificare. Agli occhi del cliente che stava servendo parve avere un’esitazione, poteva sembrare in difficoltà nell'ordinazione. Tatsuya portò a termine con successo il suo “trucco di magia” e quindi, per il disappunto della sala, si prese una pausa.
    Forse aver indagato la mente di tutte quelle persone lo aveva stancato, quel brivido poteva essere semplicemente il suo potere che gli chiedeva un po’ di riposo, nulla di preoccupante quindi, pochi minuti e tutto sarebbe tornato a posto. Invece il fenomeno si ripresentò e con una intensità di gran lunga maggiore, lo colse un disagio anomalo, i suoi sensi dettero l’allarme e questo risuonò nelle sue anormalità. Se si volesse cercare di rendere con un esempio visivo quello che percepì, bisognerebbe pensare all'immagine di una tela ben tesa in una cornice che viene lacerata da una lama e quindi attraversata da qualcosa che era dall’altra parte.
    « Non è possibile » Farfugliò con un inudibile filo di voce. La trama delle catene dell’Origine era stata alterata, nel “tessuto” che formavano c’era stato un innesto estraneo che si era ripercosso sulla realtà. Non poteva essere accaduto davvero, non così all’improvviso. Tatsuya aveva percepito il momento in cui qualcuno cercava di sovrascrivere il mondo, non aveva mai incontrato altri capaci di fare qualcosa di simile all’infuori del gruppo di Jan e Break, e dei possessori. Spinse oltre la One Heart, doveva scoprire chi era stato a farlo, da chi proveniva quell’aggiunta che aveva alterato il presente senza causare un decadimento della coerenza.
    Con la mente attraversò le strada seguendo quella scia residua che come un filo si ricollegava all'origine del fenomeno. Emerse l’immagine di Haiiro Kugatsu.
    « Questo non me l’aspettavo. »
    Tatsuya dovette sedersi, era stato colto completamente di sorpresa, non credeva che Haiiro potesse tirar fuori qualcosa di tanto unico, un’abilità tanto grande da essere scambiata per qualcos’altro, in grado di metterlo in allarme ed essere percepita anche a distanza come un grave pericolo.
    Era uno sviluppo molto rassicurante, non rappresentava l’inizio di una nuova saga contro un nemico superiore, ed anche estremamente interessante, Haiiro aveva manifestato un potere che gli consentiva di “cambiare di piano”.
    « Sakura, sii gentile e preparami due belle tazze di caffè bollente senza latte e senza zucchero. »
    Tatsuya prese poso al bancone fronteggiando l’ingresso e Sakura gli portò le due tazze di caffè proprio quando la porta si spalancò sulla figura di Haiiro Kugatsu.
    « Buongiorno. Caffè forte senza latte e senza zucchero, mi sono permesso di ordinartelo per fartelo trovare già pronto. Dai, beviamo assieme. »
     
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    Quando Haiiro entrò nel Maid Cafè non fu stupito di trovarsi di fronte un caffè fumante, né che si trattasse proprio del suo desiderato caffè forte senza latte e zucchero. Del resto non serviva certo la One Heart di Tatsuya per indovinare cosa avrebbe ordinato: il giorno in cui avesse chiesto qualcosa di diverso sarebbe stato il segnale per il distacco della faglia di Sant’Andrea e il conseguente terremoto, The Big One, che avrebbe devastato l’intera West Coast dell’America. Meglio non turbare l’ordine cosmico.
    Più inaspettata la presenza di una seconda tazza di caffè accanto alla prima che, come intuì dalle parole di Tatsuya, non era un premio omaggio per l’assidua frequentazione del Maid, sul genere paghi uno prendi due, ma era per il capo-cameriere stesso, che gli chiese di bere assieme.
    «Ciao Tatsuya. Certo, perché no?»
    Non si fermò a chiedersi se ci fosse una motivazione dietro quell’invito. Voler fare una pausa dal lavoro è comprensibile. Bere un caffè è un piacere. Berlo insieme a un amico lo è, se possibile, ancora di più. Dunque non c’era nulla di insolito o bisognoso di spiegazioni.
    Si accomodò a un tavolino da due posti, in modo che lui e Tatsuya si trovassero uno di fronte all’altro, poi prese uno dei due caffè e se lo portò alle labbra. Al solito la bevanda aveva il potere di rinfrancarlo e di allontanare fatica e pesantezza. Si ricordò di un vecchio barista mezzo russo incontrato tempo addietro, di come gli avesse detto che bere il caffè quando si aveva troppo sonno fosse come applicare un impacco ai morti. Sorrise: forse era davvero così, ma a lui quell’impacco faceva bene. Poi si disse che sorridere a quel modo, dal nulla, poteva sembrare strano al suo interlocutore, prima di ricordarsi che tanto lui poteva spiare nel suo animo. Ma ormai il sorriso se n’era andato e del resto mica sapeva se Tatsuya stesse osservando i suoi pensieri in quel momento. Ma poi, cambiava realmente qualcosa?
    Bevve un altro sorso di caffè. Lo assaporò, lentamente. Riportò la sua attenzione sul ragazzo di fronte a sé. Notò i suoi occhi dorati. Strano, lo conosceva dal primo giorno che si era trasferito in quella scuola, eppure gli sembrava di accorgersi solo in quel momento del colore dei suoi occhi.
    «A proposito di parlare, ho sentito dire che ti sei trovato una fidanzata. È vero? Mi aspettavo di vedere metà delle studentesse vestite a lutto a questa notizia, ma per ora non ne ho vista nessuna… Anche se ora che mi viene in mente il tono usato da alcune di loro era piuttosto… com’è quell’aggettivo? Inserpito?»
     
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    Tatsuya prese posto al tavolino, di fronte ad Haiiro, rendendosi conto in quello stesso momento che forse avrebbe dovuto prendere due pezzi di torta per avere anche qualcosa da assaggiare, magari quella nuova torta che stavano pensando di aggiungere al menù: pan di Spagna imbevuto di caffè, strato di crema alla nocciola, sottile sfoglia di cioccolato al latte per dare croccantezza, crema al caffè, topping di granella di nocciola, pera cotta con cannella, colata di cioccolato fondente fuso. Ricetta di Mimì, la regina del caffè.
    Un giorno o l’altro dovranno decidersi a pubblicare il ricettario del Maid Caffè, con buona probabilità guadagnerebbero abbastanza da comprarsi tutta la scuola. Ed una temperatrice.
    In queste brevi fantasie sulla torta che avrebbero potuto mangiare Tatsuya, con gesto automatico, bevve un sorso del suo caffè. Aveva dimenticato di non aver messo lo zucchero ma ormai era tardi per tornare indietro, poteva solo sperare di non incontrare lo sguardo di Sakura, non era ben certo di che espressione stesse facendo e, qualunque fosse, sperava che non la notasse per non correre il rischio di darle un’arma con cui tormentarlo per qualche giorno. Ma continuava a distrarsi, doveva cercare di concentrarsi sulla questione più importante, ossia quelle percezioni che aveva avuto. Prima, però, preferiva avere un po’ di tempo per godersi il momento con un caro amico, in quello che era, per ragioni diverse, uno dei luoghi fondamentali del loro mondo, con un buon caffè tra le mani.
    Prese un altro sorso…
    «A proposito di parlare, ho sentito dire che ti sei trovato una fidanzata. »
    … che per miracolo non gli andò di traverso, soffocandolo sul momento.
    «È vero? Mi aspettavo di vedere metà delle studentesse vestite a lutto a questa notizia, ma per ora non ne ho vista nessuna… Anche se ora che mi viene in mente il tono usato da alcune di loro era piuttosto… com’è quell’aggettivo? Inserpito?»
    Tatsuya prese tempo sfoggiando un gran sorriso che accompagnava una occhiata lanciata nella sala per assicurarsi che non una Mimì di passaggio non avesse sentito nulla, l’ultima aveva perso il vassoio dalle mane, questa temeva potesse avere reazioni un po’ peggiori. Oltre a lei anche altre avevano dato segni di insofferenza ma non credeva che potessero essere tante. Le aspettative sulle conseguenze degli sviluppi della sua vita sentimentale che aveva Haiiro parevano essere superiore a quelle che aveva lo stesso Tatsuya, la cosa lo lusingava e preoccupava allo stesso tempo: forse poteva aver fatto un errore nel valutare il pericolo a cui poteva esporsi. Pace, sapevano benissimo che prima o poi sarebbe successo e che di certo non avrebbe mai potuto rendersi disponibile per tutte. Che fosse rammarico per quel che poteva essere ciò che gli è balenato nella mente?
    «Si, è vero… Si chiama Nora» Tatsuya poggiò la tazza sul tavolo, il sorriso che sfoggiava era assolutamente genuino, il tratto di forzatura che aveva quello precedente era svanito, gli bastava pensare alla sua Nora per dimenticarsi ogni preoccupazione « Non l’hai mai vista perché va in un’altra scuola, altrimenti l’avresti notata di sicuro visto che è europea come me… ed è la sorella di Jan »
    Riferendosi a questo non potrò fare a meno di ridacchiare, sia perché, per come l’aveva detto, sembrava quasi che si fosse messo con sua sorella per dargli un dispiacere, sia perché gli faceva ancora strano pensare a come fosse cambiato il mondo rispetto a quando lo aveva incontrato per la prima volta. Da nemico rischiava di trovarselo come cognato.
    « Qualche volta potremmo organizzare una uscita in quattro, magari alle ragazze potrebbe fare piacere avere qualcuno con lui lamentarsi di noi. A proposto, come va con Kasumi? Immagino sempre meglio, con tutto l’allenamento a cui ti sta sottoponendo Nabeshima non mi sorprenderei se inviasse alla senpai un bel regalo di ringraziamento per il fisico che ti sta costruendo. »
     
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    La sorpresa di Tatsuya fu inaspettata, ma Haiiro se la godette con un sogghigno, interrotto solo dallo schiudersi delle labbra per bere un altro sorso di caffè. Quando però il capo-cameriere si fu ripreso, sfoggiava un aperto sorriso.
    «Si, è vero… Si chiama Nora».
    Strano nome.
    «Non l’hai mai vista perché va in un’altra scuola, altrimenti l’avresti notata di sicuro visto che è europea come me… ed è la sorella di Jan»
    Questo spiegava il nome particolare. Ed era la sorella di Jan. Jan… Era sicuro di averlo già sentito. Del resto se Tatsuya lo aveva menzionato, era perché lo conosceva pure lui. Se si concentrava su quel nome, l’immagine che gli veniva in mente era…
    Camerieri indiscutibilmente maschi che si muovevano sinuosi tra i tavoli, il petto nudo coperto solo da un papillon, circondati da uno stuolo di ragazze che li guardavano estasiate, mentre loro non le prestavano alcuna attenzione e invece si ammiccavano a vicenda con fare allusivo.
    La realtà era un poco meno discinta, ma il concetto era quello.
    «Ah, certo. Jan. Uno dei nuovi camerieri yaoisti.» Ricordava la prima volta che li aveva incontrati: il locale era pieno di ragazze che si lasciavano andare ad esclamazioni di estasi ogni volta che due di quei camerieri si avvicinavano l’un l’altro. Haiiro era rimasto spaesato, non tanto dai loro atteggiamenti ma dall’atmosfera surreale del maid. Aveva chiesto a due ragazze al tavolo accanto una spiegazione; la risposta di una delle due era stata: «Voi maschi venite qua per vedere le cameriere, no? E noi ci veniamo per vedere i camerieri.» La cosa non aveva alcun senso, lui al Maid ci andava per bere il caffè, ma aveva dovuto arrendersi all’evidenza.
    «Qualche volta potremmo organizzare una uscita in quattro, magari alle ragazze potrebbe fare piacere avere qualcuno con lui lamentarsi di noi.»
    Quelle uscite di coppia dovevano essere più frequenti di quanto si immaginasse: ne aveva fatta una con Goro e Asako poco tempo fa e ora Tatsuya gliene proponeva un’altra. Perché no? L’ultima volta si era divertito, e anche Kasumi aveva apprezzato la compagnia. Oltre ad aver scoperto una sua peculiarità che non conosceva. Trasporre su disegno parte dell’animo della persona disegnata… chissà cosa sarebbe venuto fuori con Tatsuya. E chissà con Nora. Non la conosceva, ma per fidanzarsi con il demone del Maid, per farlo sorridere a quel modo solo a nominarla doveva essere… come dire? Notevole? Provò a immaginarsela, ma gli venne in mente solo un vago profilo femminile senza volto.
    «Perché no?» Ripeté ad alta voce. Riportò il bicchiere alle labbra, l’amaro nettare del caffè con il suo sapore intenso che fluiva nella sua gola…
    «A proposto, come va con Kasumi? Immagino sempre meglio, con tutto l’allenamento a cui ti sta sottoponendo Nabeshima non mi sorprenderei se inviasse alla senpai un bel regalo di ringraziamento per il fisico che ti sta costruendo.»
    … Per rifluire, travolto da un flusso contrario di saliva, dalla sua bocca alla tazza, in un atto che Haiiro avrebbe ritenuto blasfemo se non fosse stato impegnato a non farsi soffocare dall’amata bevanda.
    «Di…» Provò ad articolare le parole, ma queste si persero in un nervoso tossicchiare. Mandò giù la saliva per due volte, mise giù la tazza di caffè, si pulì la bocca con una salvietta in carte.
    «Dici?» La voce era roca, incerta, ma almeno riusciva di nuovo a parlare senza strozzarsi. «Le farà piacere? Voglio dire, non so se è tipa da far caso a queste cose. Cioè, a dire la verità io non ci avevo manco pensato, che potesse farle piacere…»
    Sul pavimento, l’ombra del ragazzo smise per un istante di seguirne i movimenti per scuotere la testa con disappunto. Haiiro non le badò, intento com’era a lanciare un’occhiata al proprio braccio, per coglierne un eventuale rigonfiamento. Non vide nulla, ma forse era colpa della manica del vestito che lo copriva. Del resto era migliorato come prestazione fisica, quindi per logica doveva aver messo su pure muscoli: minus o anormale che fosse, il suo corpo funzionava come quello di una persona normale. Con un 'più o meno' grande quanto una caffetteria.
    «No, a parte gli scherzi… o non era uno scherzo?» Con un movimento che sperava sembrasse casuale, appoggiò la mano sul braccio opposto. Tastò. Era più sodo, più muscoloso di prima?
    «A parte quel che era, con Kasumi va… bene? Voglio dire, a causa di questa cosa degli allenamenti ci vediamo meno spesso di prima. Però comunque anche lei è occupata con il suo club, e visto che quelli d’arte non hanno orari rigidi – mica si devono trovare tutti insieme per allenarsi come noi – cerca di andarci quando io sono a judo.»
    Gli dispiaceva non potersi trovare con Kasumi come prima. Fosse per lui potevano avere un appuntamento anche alle due di notte, ma lei non era dello stesso avviso. Colpa dei negozi chiusi, probabilmente. O forse delle ore di sonno. Non ricordava mai quante gliene servissero per sentirsi riposata.
    «Certo, quella volta che ho sbaglio giorno, ero convinto che ci fosse allenamento di judo, invece avevo un appuntamento con Kasumi di cui mi ero dimenticato e sono finito a giocare a basket, non ne è stata molto contenta… Cioè, non mi ha rivolto parola per tre giorni. Avrei preferito mi facesse i suoi soliti commenti sarcastici, invece niente. Silenzio. Ho saltato di gioia quando alla fine mi ha mandato un vocale.»
    Salto a causa del quale era finito contro lo stipite della porta. E il vocale diceva solo «Hiroshi ti invita da noi a bere un caffè». Ma una volta lì la ragazza si era pian piano sciolta e alla fine della serata l’aveva riaccompagnato al suo appartamento. Il giorno dopo Haiiro era andato a ringraziare Hiroshi. Lui l’aveva fissato sorpreso, poi si era messo a ridacchiare. «Guarda che io non ti ho invitato.»
    «In certe cose è davvero impacciata. E carina.» Sussultò. L’aveva detto ad alta voce? Spiò l’espressione di Tatsuya. «Non dire che te l’ho detto. Si imbarazza.»
    Prese un altro sorso di caffè. Era già un poco più freddo.
     
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