Tra i confini del sogno

Multipla chiusa - Micael & Tabris

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  1. Tabris_17
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    Kazuo Horamaki aveva la meritata fama di essere un bullo, un teppista e un rissaiolo. Se una persona gli stava sulle palle non esitava a darle una sistemata. Se aveva necessità di denaro trovava subito una preda a cui estorcerlo. Alcuni bulli sono piuttosto indiretti nelle vessazioni contro le loro vittime, ricorrendo ad attacchi verbali, sottrazioni di oggetti, umiliazioni pubbliche o cose simili. Kazuo Horamaki no. Il suo metodo di agire era sempre diretto e violento, mirato a ottenere nel minimo tempo il risultato da lui voluto. In questo era aiutato dal suo fisico alto e muscoloso, nonché da un carattere tanto prepotente quanto impaziente. I suoi compagni di classe e chi lo conosceva cercavano di tenersi alla larga da lui. Non che Kazuo stesso se ne preoccupasse.
    In quel momento la sua preoccupazione era un’altra: la penuria di denaro. Per rimediare aveva deciso di ricorrere alla sua pratica abituale, vale a dire l’estorsione a studenti ignari. Il suo modo di agire era ormai collaudato e fisso: girava con una lattina di coca in mano nei pressi dell’istituto Hakoniwa, prediligendo le zone marginali meno affollate, fin quando non individuava la sua vittima. A quel punto faceva in modo di sbatterci addosso e far cadere della coca cola per terra o sul suo vestito e la costringeva, con minacce verbali e nel caso fisiche, a risarcirlo. Va da sé che il “risarcimento” era assai più costoso di una coca cola o del lavaggio di un capo.
    Ora una domanda: come fa un bullo a scegliere la sua preda? Una persona fisicamente debole sarà certamente preferita a una più forte. Eppure il discrimine principale non sono le pure caratteristiche fisiche, ma piuttosto il portamento. Camminare eretti, camminare a capo chino. Tenere le spalle dritte, tenerle curve. Sollevare bene i piedi, strascinarli per terra. Incedere con energia, trascinarsi quasi a forza. Queste e altre caratteristiche rivelano la sicurezza o l’insicurezza di una persona. La rivelano in modo intuitivo: di norma le persone non si fermano ad analizzare questi singoli aspetti, ma li colgono istintivamente nel loro complesso. E così faceva Kazuo Horamaki per scegliere i suoi bersagli. Pertanto, quando vide quella persona, non ebbe dubbi sul ritenerla la sua preda perfetta.
    Camminava chino, strascinando le gambe, il peso del corpo sbilanciato in avanti, le spalle incurvate, i piedi che si sollevavano a malapena dal suolo. Inoltre era basso e mingherlino, il viso solcato da profonde occhiaie e da diversi lividi. Quei lividi erano la sua unica preoccupazione: temeva che qualcun altro avesse approfittato di lui, picchiandolo e prendendogli i soldi. Ma valeva la pena di tentare comunque.
    Si diresse con passo sicuro verso il tipo e, con la nonchalance data dalla lunga esperienza, finse di essere stato urtato dal mingherlino, nonostante fosse stato proprio lui ad andargli addosso. Ma questo era talmente preso dal suo mondo che non se ne accorse neppure.
    «Ehi! Guarda cosa hai fatto!» Gridò alla sua volta. Il ragazzo si girò e lo guardò, confuso. Kazuo si chiese se non fosse troppo stupito per capire cosa stesse avvenendo. In quel caso doveva essere ancora più diretto. La cosa non gli dispiaceva affatto.
    Gli afferrò il bavero della maglia, tirandolo con forza verso di sé, mentre con l’altra mano gli metteva la lattina di coca cola davanti agli occhi. «La vedi questa, eh? La vedi? Me l’hai fatta cascare addosso, cazzo! Cosa pensi di fare, ora?»
    Di solito a quel punto il bersaglio era troppo stupito dalle immotivate invettive e dall’aggressività della sua voce per replicare in modo coerente. Farfugliava qualche parola oppure rimaneva muto, senza sapere come rispondere. Il ragazzo che aveva di fronte cadeva nel secondo tipo: non pronunciava una sillaba. Ma era sbagliato. Il suo atteggiamento era sbagliato, del tutto diverso da quello che Kazuo si aspettava. Muovere gli occhi senza posa, cercare di ritrarsi, gesticolare nervosamente: queste erano le normali reazioni, spettro dell’imminente crollo di nervi. Ma il tizio con le occhiaie non mostrava nessuno di questi segni. Non si muoveva con nervosismo o paura. Non si muoveva affatto. Teneva gli occhi puntati sulla lattina, il corpo immobile e la fronte corrucciata, come se fosse immerso in profondi pensieri. Infine alzò gli occhi a fissare Kazuo.
    «La vedo. È una lattina di coca cola.»
    Stavolta fu Kazuo a rimanere senza parole. Fu solo un secondo, ma in quel secondo non seppe cosa replicare. Non sapeva cosa lo irritasse di più: la stupidità e l’ovvietà di quella risposta o la propria incapacità di replicare prontamente. Non lo sapeva, ma fu come olio gettato sulle fiamme: prima recitava, adesso era incazzato sul serio.
    «Sì, genio, è una cazzo di lattina di coca cola. Che tu hai rovesciato per terra e sul mio vestito.» Indicò una piccola macchia scura a terra e un’altra ancora più piccola sulla maglietta. «E come pensi di ripagarmi per avermi versato la coca cola addosso, eh?» Tanto per rafforzare il concetto gli diede uno spintone. Il tizio arretrò di due passi, in modo meno scomposto di quanto avrebbe voluto.
    «Ripagare?» Ripeté con quella sua odiosa voce monocorde e strascinata.
    «Certo! Mi hai sporcato, è ovvio che devi ripagarmi? Su, quant’hai nel portafoglio? Basterà. Oppure…» e qui gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, stringendola in un modo che non poteva certo essere definito amichevole. «Oppure preferisci subirne le conseguenze?» Sorrise e intensificò la stretta, pregustando la smorfia di dolore sul viso del ragazzo, la sua paura e il cedimento. Non venne nessuno dei tre.
    «Non penso di ripagarti. Non per due gocce. O tre. Cioè, davvero ti pare un pretesto valido per attaccar briga? Avresti fatto miglior figura a dire che ti stavo guardando male, o che sbattevo le palpebre in modo sfrontato. O che ci avevo provato con la tua fidanzata. Sempre se ce l’hai, una fidanzata.»
    Di nuovo. Per la seconda volta, Kazuo rimase senza parole. Ma si riprese in fretta. E stavolta non cercò più di rispondere. No, stavolta passò direttamente ai fatti. E i fatti erano un cazzotto tirato verso il muso dell’idiota.
    Kazuo non aveva esperienze di boxe o altri sport da combattimento. Ma aveva il suo buon conto di risse. Sapeva di essere forte e muscoloso, sapeva di surclassare fisicamente quel tipo, sapeva di aver tirato un pugno come si doveva. Quello che non sapeva era perché fu lui a essere colpito, lui a ritrarsi con una mano sul naso sanguinante e le lacrime agli occhi.
    «Hai un gancio troppo ampio.» Disse, come a rispondere alla sua silente interrogazione, il ragazzo dalle occhiaie. Teneva le braccia di fronte a sé, pronte a proteggersi o attaccare, ma per il resto non pareva star prendere parte a una rissa. Non c’era agitazione in lui. Anzi, a giudicare dalla faccia, pareva annoiato. Kazuo invece era semplicemente furioso. Si fece avanti tirando un pugno al volto del tipo. Fu schivato con un movimento all’indietro della testa. Provò un gancio al fegato. Fu parato. Gli afferrò la maglia con una mano, mentre con l’altra caricava un pugno. Non capì esattamente cosa avvenne, ma sentì di venire afferrato a sua volta per i vestiti. Poi il mondo si capovolse e lui si trovò a terra, un urlo che gli sfuggiva dalle labbra per il duro urto contro il terreno.
    Quando riuscì a rimettersi in piedi, il tizio con le occhiaie stava già allontanandosi.
    «Fermo!» Gli gridò con rabbia Kazuo. Questo si girò. Sul suo volto c’era di nuovo quell’espressione di noia.
    «Ah, è così che la metti…» La sua mano si fiondò dentro una delle tasche dei pantaloni. Estrasse un coltello a serramanico. Sorrise, mentre la lama scattava in posizione. Sorrise, perché l’espressione annoiata del tipo era svanita ora. Sembrava... irritato, a dire il meno. E preoccupato.
    «Mettilo via. È meglio se eviti di usarlo. Non ne verrà nulla di buono.»
    «Hai paura adesso, eh? Se mi dai tutti i tuoi soldi, se ti inginocchi a terra, se implori pietà, sono disposto a lasciarti andare.»
    Non lo fece. Si limitò a scuotere la testa.
    Kazuo sudava. Era vero, aveva un coltello. Ma non l’aveva mai usato contro una persona. Al massimo se n’era servito per minacciare qualcuno. Non aveva mai pensato di andare oltre. Non aveva mai pensato di averne bisogno. Deglutì. Per un attimo si chiese se ne valesse la pena. Poi pensò all’umiliazione, al dolore. Partì all’attacco, con un affondo mirato al petto.
    Fu strano. L’aveva letto nei fumetti, visto nei film, ma non pensava esistesse sul serio. La sensazione che tutto si svolgesse al rallentatore. La stava vivendo in quel momento. Intorno a lui ogni cosa rallentava, persino il suo stesso corpo pareva insopportabilmente lento. La sua mente al contrario era lucida e acuta, più di quanto fosse mai stata. Osservò a una ventina di metri una studentessa portare le mani ai lati della testa, spalancare e tendere la bocca in un’espressione di terrore. Vide gli uccelli volare dagli alberi, incuranti degli affari umani e una foglia ruzzolare per la strada, sospinta dal vento. Fissò il ragazzo che stava per trafiggere, lo vide chiudere gli occhi, inclinare il capo ancora più in basso, incurvare le spalle ancora di più, sbilanciarsi maggiormente in avanti. Sì chiese se volesse morire. Ma non scorgeva né disperazione né rassegnazione in quel suo atteggiamento.
    E poi, quando già il suo coltello si tuffava in avanti, il ragazzo si mosse. Anche con la sua percezione acuita, Kazuo riuscì a malapena a seguirne i movimenti. Mentre tutto intorno a lui rallentava, solo quel ragazzo si muoveva senza subirne gli effetti. Era stato veloce prima, ma ora era a un altro livello. Scansò la lama come si evita il goffo incedere di un ubriaco, scivolò lungo il suo braccio e dal basso lo colpì con un montante al mento. Il mondo smise di procedere al rallentatore e prese a girare all’impazzata. Kazuo non pensava più: tirava fendenti a destra e manca, agitando il coltello in modo forsennato. Ma la lama fendeva solo l’aria e a ogni suo colpo mancato seguiva un pugno del ragazzo, immancabilmente a segno. Non ci volle molto perché Kazuo cadesse a terra, pesto e sanguinante. Un piede premette sulla sua mano con forza, lo costrinse ad aprirla e lasciar andare il coltello. Sentì il farfuglio di parole incoerenti che era troppo inebetito per decifrare. Poi il tono cambiò e uscì una frase coerente.
    «Aah… te l’avevo detto che non sarebbe venuto nulla di buono.»
    Il ragazzo aveva riaperto gli occhi. Prese il coltello a serramanico, lo brandì in mano – l’intero corpo di Kazuo fu scosso da un fremito – poi con forza lo infisse sul terreno. Tenne fermo il coltello, mentre premeva con forza il piede contro la lama, finché questa non si spezzò. Gettò lontano i due moncherini.
    «Ecco fatto. E la prossima volta evita simile cazzate.»
    Kazuo ebbe appena la forza per emettere un flebile «sì».
    Intanto Haiiro Kugatsu riprendeva il suo cammino, in direzione dell’ormai vicino Maid Cafè. Sapeva già che, appena arrivato, si sarebbe avvicinato al banco per ordinare una bella tazza di caffè caldo, senza latte e senza zucchero.
     
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