[CONCLUSA]Extra: la giornata libera di Hiroshi Natsui

Narrazione privata

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    Questa role è collegata a “Il divoratore” e, insieme, non c’entra assolutamente nulla con essa. In pratica, è il resoconto della giornata libera passata da Hiroshi Natsui dopo la sua uscita di scena nella storia sopracitata.
    Se questo fosse un manga, questa storia potrebbe essere uno di quei capitolo extra disegnati alla buona e messi a fine volume tanto per sdrammatizzare. Ma visto che siamo in un Gdr by forum, è solo un'altra role che vi propino.

    Se volete battaglie esagerate tra anormali, ingarbugliati intrighi tra liceali, tormentate vicende passate che ritornano alla luce, beh, questa role non fa per voi.
    Ciò che segue infatti è solo il tranquillo riassunto della giornata da lui passata al liceo Hakoniwa, tra fatti di nessuna importanza, brevi comparse di personaggi di Medaka Box, ragionamenti vari e vani, inutili divagazioni e altre quisquilie di questo genere.
    Divertitevi.



    Mettiamo che siate ancora degli studenti (sì, lo so che c’è tra voi chi ha da poco finito quei giorni e tutto vuole fare, tranne ricordarseli, ma fate uno sforzo) ma che non dobbiate frequentare scuola. Mettiamo caso che, invece, dobbiate lavorare quasi tutti i giorni in un locale per sostenere voi e vostra sorella. Mettiamo che, a causa di fatti che è meglio non ricordare, abbiate un giorno libero da trascorrere fuori casa. Allora, dove andreste a passare quel giorno?

    Non so la vostra risposta, ma per Hiroshi è chiara: a scuola.

    Del resto si sa che la scuola è un posto stupendo per chi non la deve frequentare. E a ragione: pensateci, maree di coetanei con cui parlare e compiere ca…volate, belle (si spera) ragazze a cui fare il filo, tempo libero al pomeriggio e nessuna preoccupazione di essere licenziati se non si “lavora” abbastanza (qua qualcuno potrebbe far notare che si può essere bocciati, ma ragionando risulta ovvio che sono due cose opposte: se vieni licenziato non può più lavorare, se vieni bocciato al contrario non solo rimani, ma ti becchi anche un anno extra).
    Se a questo punto aggiungete che non dovete nemmeno frequentare le lezioni, ossia l’unica incombenza degli studenti, allora la scuola vi sembrerà un paradiso in terra. Davvero, non c’è nessuna occupazione migliore di essere uno studente del liceo. A parte essere un universitario sfaticato, ovvio.
    Ma mi rendo conto di essermi allontanato dall’argomento in esame, ossia la giornata libera di Hiroshi. Dunque, ripartiamo dall’inizio.


    Hiroshi, dopo più di un mese, stava andando a scuola. Aveva preso l’autobus, il primo della giornata, e stava per varcare i cancelli dell’istituto Hakoniwa. Era molto presto: infatti il sole si stava levando in quel momento. Proprio guardando quello spettacolo si ricordò di un suo vecchio compagno di classe.

    Chissà, forse faccio in tempo a raggiungerlo…

    Superò i cancelli della scuola e a passo veloce raggiunse la torre dell’orologio. Anche in un luogo anormalmente immenso come l’Hakoniwa, quello era probabilmente l’edificio più maestoso. Da questo punto di vista, l’abitudine di quella persona di “specchiarsi” là in alto era più che giustificata.

    Salì le scale dell’edificio (aspettate, ma non c’è un ascensore da qualche parte?), sperando di fare in tempo. Dopo aver superato 1313 graditi (numero totalmente buttato a caso – volevate che le contassi veramente?! - ma non inverosimile), finalmente giunse in terrazza.
    Aprì la porta e, vedendo una figura in controluce sul cornicione, fece per chiamarla. Ma prima che potesse aprire bocca, la persona in questione era scomparsa.

    Com’è possibile? O forse avuto un’allucinazione? Oppure si è buttato di sotto?

    Scartò la seconda ipotesi, Odo Miyakonojo (l’aveva capito che era lui, vero?) non era tipo da far robe del genere, a meno che...

    A meno che non sia in grado di camminare lungo la parete esterna della scuola usando i muscoli… No, ma che vado a pensare? Una cosa del genere sarebbe possibile solo in un manga assurdo, e io sono quasi sicuro che questo non è un assurdo manga.

    Al massimo potrebbe essere un assurdo Gdr…



    Ora però c’era un problema: che fare? Si era appena fatto 1313 scalini per scoprire che la persona che cercava non c’era. Scendere adesso sarebbe stato piuttosto sconfortante…

    Vediamo… è ancora presto. Anche se scendo giù non so neppure se il Maid Cafè o altri locali siano aperti, né quanta altra gente ci sia in giro.
    Vista che sono arrivato fin qua, non è forse meglio approfittarsene e godersi questo bel posticino?


    Si distese sul pavimento della terrazza, sistemando la giacca dietro la testa a mo’ di cuscino e cercando una posizione comoda.

    Persone come Odo possono guardare al sole come al proprio specchio, ma io preferisco prostrarmi ai suoi dolci raggi e accettare umilmente il tepore che esso mi dona.

    Hiroshi chiuse gli occhi e sotto i raggi del sole nascente si lasciò andare a un pisolino.
     
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    Quando Hiroshi si svegliò, mancavano una quindicina di minuti all’inizio delle lezioni. Svelto si rimise la giacca e scese le scale (di nuovo, non ci sono degli ascensori?!). Quindici minuti sembrano tanti, ma se contate il tempo per scendere tutti i piani della torre, raggiungere l’edificio scolastico ed entrare nella propria classe, sono appena sufficienti. Del resto non potete mica pretendere che tutte le persone siano in grado di farsi il giro dell’Hakoniwa in novanta minuti, magari sconfiggendo nel frattempo cento avversari.

    Riuscì comunque ad arrivare in tempo al piano della sezione 13. Prima di entrare nella sua aula, spinto dalla curiosità, gettò un’occhiata nelle altre due classi. In quella del primo anno era seduta Medaka Kurokami, presidente del consiglio studentesco, in quella del secondo anno Myori Unzen, presidente del comitato disciplinare.

    Dunque sono loro i miei dolci e obbedienti kohai? Spaventoso, no anzi, mostruoso.
    Non so cosa succederebbe se provassi a far valere la mia autorità di senpai su di loro... ma sarei ancora più spaventato se due tipi del genere venissero a chiedermi consiglio!


    Superate le due classi, arrivò davanti alla sua aula: sezione 13, anno terzo. Non sapeva se anche nella sua c’era un altro membro della tredicesima sezione. In realtà non sapeva neppure se c’era l’insegnante.
    Aprì la porta. L’aula era vuota. Con calma si sedette in un banco a caso, scegliendone uno in terza fila. Appena l’ebbe fatto, venne salutato amichevolmente da una persona, alta almeno due metri e mezzo, posta sul banco affianco al suo. Ci volle un istante perché Hiroshi si ricordasse di lui.

    Ehi, Kudo! È un piacere rivederti e ricordarsi di te! Come ci si aspetta dall’ex presidente del consiglio, non manchi una lezione!

    Kudo Hinokage sorrise, in modo inaspettatamente amichevole per una persona della sua taglia, e rispose con la sua voce profonda e calorosa:
    Pur non essendo obbligatorio, seguire le lezione è pur sempre un dovere di noi studenti. Ancor più per colui che in passato ha ricoperto la carica di presidente del consiglio. Devo pur dare il buon esempio.

    Anche se dici così… che tu ci sia o no, a causa della tua anormalità nessuno se ne accorgerà. Che esempio puoi dare?

    Di fronte a quella ovvia, ma disarmante affermazione, Kudo non si scompose, ma al contrario scoppiò in una risata profonda.
    Ahah, in effetti hai ragione! Ma sai, Hiroshi, non è importante se gli altri ti riconoscono o no. Bisogna fare ciò che è giusto fare.

    Non ti smentisci mai, vero? Ammirevole come sempre.

    Io ammirevole? Non scherzare, faccio solo il mio dovere... Piuttosto se non sbaglio tu non vieni a scuola perché devi badare al tuo locale. Allora perché sei qui? Non avrai avuto qualche problema?

    No, nessun problema. È solo che oggi ho lasciato il locale in mano alla mia dolce sorellina - probabilmente nessuno oltre Hiroshi avrebbe potuto qualifica Kasumi come “dolce” - e al mio fratellino un po’ imbranato - la qualifica di Haiiro come imbranato era più pertinente, per quanto nel dizionario avrebbe trovato posto sotto la voce "eufemismo".

    Davvero? Ho sentito di tua sorella, ma non sapevo avessi un fratello.

    Beh, in effetti non è esattamente mio fratello… Devi sapere che…

    Di lì seguì una piacevole chiacchierata tra i due. Alla fine dell’ora, dopo aver salutato Kudo, Hiroshi uscì dall’aula.

    In quel momento il suo pensiero fu questo: che sfortuna, la mia classe come sempre era vuota. Avrei voluto aver qualcuno con cui conversare un po’…
    Ogni ricordo relativo a Kudo Hinokage, eroe ignoto ed ex presidente del consiglio, era già svanito.
     
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    Dunque, la domanda adesso è: dove andare?
    Visto che aveva un giorno libero, Hiroshi voleva goderselo al massimo, impegnandosi nelle attività di studente e incontrando il maggior numero di conoscenti. A quell’ora però la maggior parte degli iscritti all’istituto stava ancora frequentando le lezioni. Da chi poteva andare che fosse libero?
    Ah, certo! Quasi dimenticavo, c’è lui!
    Così, decisa la meta, Hiroshi si diresse verso la Ghost Babel e il suo custode, Maguro Kurokami.

    ***



    Ghost Babel: un edificio diroccato ai margini del complesso scolastico. La persona che al momento ricopriva il dubbio onore di custodirla era un suo ex compagno di classe, Maguro Kurokami. A causa di certi eventi non meglio precisati, aveva dovuto lasciare la scuola e assumere quel ruolo.

    Hiroshi però lo ricordava come un personaggio simpatico, per quanto in fissa con la sorella. Era anche parecchio alla mano, soprattutto per essere uno della sezione 13, forse era dovuto alla fissa verso sua sorella? Inoltre era un analista leggendario, un mago capace di trasformare le persone e potenziarle al massimo, tutto questo nonostante avesse una fissa per sua sorella.
    Insomma, in poche parole era un pervertito fissato con sua sorella. Tuttavia Hiroshi, in quanto fratello maggiore a sua volta e personaggio di supporto, sentiva una strana sintonia verso di lui. Sintonia che era in qualche modo percepita anche da Maguro e che, quando frequentavano entrambi il secondo anno, li aveva fatti avvicinare parecchio. Per questo si diresse alla Ghost Babel sicuro della calorosa accoglienza di quest’ultimo.

    Ehilà Maguro! Sono io, Hiroshi, ti ricordi di me?

    La risposta a quella domanda fu una porta sbattuta in faccia, una chiave che girava per chiuderla, una sbarra che veniva sistemata e tredici, dico, tredici diversi catenacci che si chiudevano.

    Ehm, Maguro, forse non hai capito bene. Sono Hiroshi, il tuo vecchio compagno. Sono venuto qui solo per parlare un po’…

    È proprio perché sei tu che ti ho chiuso fuori! Pensi che mi sia dimenticato cos’è successo l’ultima volta che ti ho fatto entrare nella mia abitazione?!

    L’ultima volta… ah sì, se non sbaglio è stato quando, diversi mesi fa, ci siamo trovati per parlare dell’amore per le sorelline.

    Per evitare fraintendimenti, l’amore di cui parlava Maguro e quello di Hiroshi erano totalmente diversi; se il primo aveva un vero complesso per la sorella, il secondo provava solo un normale affetto fraterno.

    Tra l’altro mi sembra sia stata una discussione cordiale, seppur non priva di qualche contrapposizione, e che tu ti sia divertito.

    Oh, certo, è stato proprio così… almeno fino a quando non ho scoperto il furto perpetrato nei miei confronti!

    Il furto…
    Hiroshi ci mise qualche secondo per ricordare il fatto.
    Ah, adesso ricordo. Proprio quella sera qualcuno si è introdotto dentro casa tua e ha rubato uno dei tuoi preziosissimi pupazzi a forma di tua sorella Medaka.
    Ancora adesso non sappiamo chi è stato e per quale motivo ha rubato un pupazzo. Un vero mistero.


    Puoi anche evitare di fare la commedia; sei stato tu a rubarlo, non c’è dubbio!

    Non c’è dubbio? Il solo fatto che in quell’edificio non ci fossimo che noi due, o che tutto lascia supporre che nessun altro è entrato in quel lasso di tempo, oppure che io ami collezionare pupazzi di ogni tipo e genere… beh, non mi sembrano indizi sufficienti a dire senza ombra di dubbio che il colpevole sia io!

    Purtroppo sono costretto a censurare la risposta che Maguro diede all’appassionata difesa di Hiroshi, a causa dell’eccesso di termini scurrili in essa presente.

    ***



    Dopo circa dieci minuti di improperi, Maguro riuscì finalmente a ritrovare la calma necessaria per un dialogo “amichevole”.

    Ad ogni modo, perché sei qui oggi? Non dovresti lavorare?

    La porta li divideva ancora. Hiroshi avrebbe potuto dargli vita per poi chiederle di aprirsi, un’applicazione del suo potere scoperta da poco in un caso di estrema necessità (Kasumi ancora si domandava come aveva fatto a entrare, quella sera), ma gli sembrava una scortesia. E poi sembrava impossibile che Maguro, con la sua capacità di analisi e la sua conoscenza del potere di Hiroshi, non avesse pensato a una contromisura.

    Sai com’è, il mio fratellino, Haiiro Kugatsu, credo di avertene parlato in precedenza, mi ha chiesto un favore e non ho potuto dirgli di no.

    Un fratellino? Non so cosa te ne fai di qualcuno di simile. I fratelli minori sono inutili, solo le sorelline possono appagare il nostro ardente desiderio di fratelli maggiori!

    Ah, sì, ok… Anche per Hiroshi era difficile assecondare Maguro in quei momenti. Preferirei che non mi accomunassi con te…
    Però mi sembra che anche tu abbia qualcuno di simile. Quel Zenkichi Hitoyoshi che sta sempre insieme a tua sorella, mi sbaglio?

    Ehi, è diverso, completamente diverso. Maguro sembrava offeso. Lui non lo considero certo come un fratellino.

    No, no, non intendevo in questo senso. Diciamo così: nonostante tu sia il fratello maggiore, lasci che Hitoyoshi stia sempre insieme a Medaka e che la protegga, senza intervenire. E anch’io sono come te. Sono un personaggio di supporto che non può proteggere sua sorella e che lascia sia un altro a farlo.
    Anche adesso quei due stanno affrontando una minaccia che potrebbe distruggerli. E io sono qua, a passare una giornata spensierata, senza far nulla per loro…


    Era un discorso insolito per Hiroshi, ma fin da quando era iniziata la vicenda del “Divoratore”, come Hiroshi l'aveva soprannominato tra sé, aveva sentito un senso di inadeguatezza per il suo usuale modo di vivere, avvertendone tutti i limiti. Forse era proprio per trovare una risposta alla sua insicurezza che si era recato lì. Se così era, Maguro non lo deluse.

    Ehi, ehi, questo comportamento non è proprio da te! Se quei due sono da soli è perché l’hanno scelto loro, o sbaglio? Hanno deciso di propria iniziativa di affrontare insieme quella minaccia. Se davvero sei Hiroshi Natsui, dovresti adeguarti alle loro scelte.
    E poi, come facciamo noi “personaggi di supporto”, dovresti fidarti di loro. Riporre la tua fiducia nelle loro capacità e nel loro giudizio. Credere che torneranno da te sani e salvi. Questo è quello che dovresti fare.
    Inoltre, non pensare che un fratello maggiore che lasci liberi i minori di scegliere la propria strada, sia un cattivo fratello. Io non lo credo affatto.


    A queste parole seguì il silenzio, ma non durò a lungo, perché presto venne spazzato via da un suono. Quel suono era una risata.

    Ehi, cos’hai da ridere?! Il mio era un discorso serio!

    Scusami, scusami, lo so che eri serio, è solo che… non pensavo che uno col complesso per la sorella come te potesse darmi dei consigli su come un fratello dovrebbe comportarsi.

    Cosa stai dicendo?! È proprio il contrario! Solo chi veramente ama la propria sorella come me, può dare consigli sull’essere un fratello maggiore!

    Certo, certo, me ne ricorderò, se mai avessi di nuovo bisogno di un aiuto! Arrivederci Maguro!

    Ci vediamo, Hiroshi.

    Alla fine non era riuscito a entrare, ma la discussione avuta era più che abbastanza. Con passo un poco rinvigorito, Hiroshi si allontanò dalla Ghost Babel. La prossima meta ancora non era stata decisa.
     
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    Dopo averci pensato un po’, Hiroshi aveva deciso di andare in biblioteca. Era un modo per passare il tempo, ma anche per approfondire un certo tema che quella storia gli aveva fatto venire in mente.
    La biblioteca della scuola era, come tutto quello che riguardava l’Hakoniwa, enorme; definirla la somma di tutto lo scibile umano sarebbe stato certamente eccessivo, eppure in quel luogo era possibile trovare un po’ di tutto, dai testi letterali a quelli scientifici, dai libri a carattere divulgativo fino agli scritti più specialisti. La varietà di libri era di molto superiore a quella disponibile presso le biblioteche delle normali scuole superiori e anche di gran parte delle università.
    Sicuro di trovare quello che cercava, Hiroshi entrò nell’edificio e si diresse verso la bibliotecaria, sorridendole in modo cordiale prima di rivolgerle parola.

    Buongiorno, sto cercando libri sul cannibalismo.

    Se una persona entrasse in biblioteca, vi sorridesse e subito dopo vi chiedesse con la più totale tranquillità dei libri sul cannibalismo, voi come reagireste? Potrei sbagliarmi, ma credo che anche il più avvezzo dei bibliotecari si farebbe prendere per un breve attimo dalla sorpresa prima di riuscire a riprendere un contegno professionale. A maggior ragione una studentessa liceale inesperta troverebbe ancora maggiore difficoltà e imbarazzo a rispondere a una simile richiesta, cadendo per un po’ nella confusione prima di riuscire a riordinare le sue idee.

    Ma la persona che Hiroshi aveva di fronte non era altri che Yabumi Junicho, presidente del comitato della biblioteca. Sperare di poterla cogliere di sorpresa su una tematica attinente ai libri, non era nient’altro che una bieca illusione, la quale avrebbe comportato un’adeguata risposta.

    “E come ’l pan per fame si manduca
    così ‘l sovran li denti a l’altro pose
    la ‘ve ‘l cervel s’aggiunge con la nuca”
    (Dante, “La divina Commedia”, Inferno, Canto XXXII).
    Certo, in questa biblioteca abbiamo molti libri in cui tale tematica viene affrontata. In effetti sono fin troppi per illustrarli tutti e spaziano tra diversi ambiti. Zoologia, antropologia, cronaca, arte, letteratura… Non ha qualche elemento per delimitare la ricerca?


    Beh, mi interessa in particolare il significato simbolico del cannibalismo… e anche avere alcuni fatti di cronaca che ne parlano non sarebbe male.

    Capisco… posso desumere che le interessa solo il cannibalismo tra esseri umani, l’antropofagia, e non gli episodi di cannibalismo che coinvolgono altre specie animali.

    Esatto, proprio così.

    Junicho annuì tra sé, prima di annunciare che sarebbe andata a prendere i libri. Hiroshi la guardò allontanarsi.

    Che professionalità…
    Evidentemente non era necessario essere un anormale per poter essere un personaggio eccezionale.

    Intanto però doveva aspettare il ritorno di Junicho con i libri. Per fortuna vide, seduto a leggere un libro nelle panche disposte nella sala lettura, un suo conoscente e decise di andarci a parlare. No, non si tratta di un’ennesima citazione, stavolta è un personaggio originale.

    Ehilà! Ne è passato di tempo, Alhazred!

    Il personaggio a cui Hiroshi si stava rivolgendo era un ragazzo alto dalla schiena leggermente incurvata, i capelli grigi e gli occhiali. Ciò che risaltava in lui comunque non era il suo aspetto fisico, ma il suo atteggiamento. Stava leggendo un libro – e fin là nulla d’insolito: erano in una biblioteca dopotutto – ma il modo in cui lo faceva era… particolare. Stringeva il libro a pochi centimetri dalla sua faccia, a una distanza di molto inferiore a quella richiesta per poter leggere, e teneva gli occhi fissi e spalancati, tanto che si aveva l’impressione che non sbattesse mai le palpebre. Lo sguardo con cui fissava il libro aveva un che di famelico e di folle, come se invece di un testo scritto stesse fissando un pasto che, dopo giorni di digiuno, non vedeva l’ora di divorare. Tutta la sua concentrazione era riposta sul libro: si usa l’espressione “immergersi nella lettura”, ma nel suo caso sembrava più come se volesse assorbire il contenuto del libro e farne un proprio personale possesso. Anche quando Hiroshi gli rivolse parola, non distolse lo sguardo dal libro.

    Hai ragione, è passato molto tempo da quando ci siamo visti, ma vedo che non hai perso le cattive abitudini. Mi chiamo Satoshi Zentai, non Alhazred, quello è solo un soprannome che tu mi hai dato senza il mio permesso. Alhazred: il nome di un personaggio fittizio, scrittore di un libro fittizio. Ma anche un nome parlante: “all-has-red” colui che ha letto tutto. Immagino che sia per questo che me l’hai affidato, ma è un appellativo incorretto, attribuibile più a Junicho che a me. Io non voglio solo leggere tutti i libri, la mia sete di conoscenza mi spinge molto oltre. Io voglio sapere tutto: per soddisfare questo mio desiderio sarei disposto a sacrificare il mio occhio destro, restare appeso per nove giorni e nove notti all'albero del mondo, rievocare dall'oltretomba l'ombra di una veggente, disputare una gara di sapienza contro un onnisciente. Se proprio vuoi darmi un soprannome chiamami Alhaznou, colui che tutto sa.

    Tutto questo discorso era stato pronunciato senza mai prendere fiato e senza guardare Hiroshi, con un tono di voce che all'inizio suonava simile a una pedissequa esposizione universitaria e che solo verso la fine, quando aveva parlato del suo desiderio di sapere tutto, aveva assunto un timbro diverso, quasi ispirato. Ma prima di pronunciare le successive parole, Satoshi si girò a fissare Hiroshi.

    Detto ciò c'è un motivo particolare per cui sei venuto a parlarmi, Hiroshi Natsui, anormale della sezione 13 anno 3, possessore del Life Breath, il tocco della Fata Turchina, l'anormalità che concede l'ànemos, il soffio vitale?

    Lo sguardo con cui fissava Hiroshi non era diverso da quello con cui aveva osservato il libro: era uno sguardo fisso e vorace, che sembrava voler scrutare dentro il suo animo per svelarne i segreti più riposti. Uno studente normale di fronte a quello sguardo si sarebbe sentito inquieto, mentre una ragazza avrebbe probabilmente pensato a un maniaco. Hiroshi invece rispose senza curarsene.

    Per dire la verità… no, non c’è. Sono passato in biblioteca per passare un po’ di tempo e, vedendoti, ho pensato di salutarti. Ecco tutto.

    Capisco…
    Satoshi sembrava star soppesando la sua affermazione, come a valutarne la veridicità.

    Piuttosto… da dove hai tirato fuori il nome “il tocco della Fata Turchina”? Io non ho mai chiamato così il mio Life Breath.

    Satoshi alzò la sopracciglia, guardandolo come se fosse ovvio il motivo di quell’appellativo.

    Il nome viene dal film Disney Pinocchio. In esso la Fata Turcina, con il tocco della sua bacchetta, dà la vita al burattino Pinocchio, che in precedenza era solo un pezzo di legno inanimato.

    Sì, la storia la conosco, ma…

    Tuttavia – Satoshi lo interruppe prima che potesse finire la frase – questa è solo la versione Disney. Nel romanzo originale di Carlo Collodi, Pinocchio prende vita a causa del legno di cui è fatto e la Fata Turchina non fa la sua comparsa che molto dopo. In pratica, nell'opera originale la Fata non c'entra nulla con l'acquisizione da parte di Pinocchio della vita.

    Quindi... mi stai dicendo che l’espressione “il tocco della Fata Turchina” è sbagliata?

    È sbagliata se paragonato al romanzo originale, giusta se confrontato col film Disney. Nel complesso possiamo dire che non è del tutto errata, ma è incorretta e parziale… un po’ come chiamare qualcuno che vuole conoscere tutto con un nome che significa “colui che ha letto tutto”.

    Ah… in pratica questa sarebbe una “vendetta” per il soprannome incorretto che ti ho affibbiato?

    Qualcosa del genere, sì.
    Dicendo così riprese a leggere il libro. Sembrava che si fosse dimenticato dell’esistenza di Hiroshi, come se non potesse più ricavare nulla da quel dialogo.

    Hm, come sempre sa un sacco di cose, ma in qualche modo è anche infantile…

    Una voce distolse l’attenzione di Hiroshi da Satoshi. Era Junicho, ritornata con i libri che aveva chiesto.

    Sembra che io debba andare… è stato un piacere Satoshi.

    Certo, certo… piacere mio… Ah, quasi dimenticavo!

    Hiroshi si voltò verso Satoshi, che lo stava fissando con un leggero sorriso sul volto, il genere di sorriso di chi sta per rivelare qualcosa di imprevisto a chi l’ascolta.

    Animus_face

    Salutami il tuo fratellino, Haiiro Kugatsu, che hai potuto incontrare dopo tanto tempo.

    Hiroshi non aveva mai parlato a Satoshi di Haiiro. Allora lui come faceva a sapere dell'esistenza di Haiiro e del suo legame con Hiroshi? C’era la possibilità che Satoshi ne avesse sentito parlare da qualcun altro, ma questo non spiegava come fosse a conoscenza che loro due si erano rincontrati: da quel che Hiroshi ricordava, ne aveva parlato solo a Maguro quella stessa mattina, pochi minuti prima di recarsi lì in biblioteca. Le soluzioni erano due: o Haiiro conosceva Satoshi e gli aveva parlato di lui (improbabile), oppure Satoshi ne era venuto a conoscenza attraverso altri mezzi, forse ricorrendo alla sua sconosciuta anormalità. Qual era la risposta giusta?

    Beh... alla fine non è che mi importi molto. Il mio rincontro con Haiiro mica era un segreto.

    Certo lo farò... ci vediamo, Alhazred.

    Forse era solo una sua impressione, ma ad Hiroshi parve di sentire il rumore di un ringhio di rabbia quando chiamò Satoshi con quel soprannome. Sembrava che il ragazzo non avesse apprezzato l'essere chiamato con quel nomignolo che aveva confutato con tanta cura.

    Ah, le soddisfazioni della vita...

    Satoshi non era l'unico a poter essere definito infatile.
     
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    Archiviato l'incontro con Satoshi (o Alhazred, come preferisco chiamarlo), Hiroshi si dedicò a leggere il materiale che Junicho gli aveva procurato. Per primo lesse gli articoli di cronaca sul tema che aveva richiesto, il cannibalismo (una lettura che non vi consiglio di intraprendere). Che n'era abbastanza per concludere che l'umanità può scendere a livelli di brutalità inauditi e che la pazzia è un pozzo senza fondo, ma del resto tali cose sono risapute e non è necessario sprecare troppo tempo a ribadire l'ovvio.

    Più interessante l'aspetto simbolico che emergeva soprattutto da trattati psicologici sul tema e da scritti antropologici. Purtroppo tali letture erano piuttosto pesanti, quindi Hiroshi si limitò a leggere le considerazioni più generali senza scendere nei dettagli. Gli sembrò comunque di averci azzeccato con la sua interpretazione: divorare una persona assumeva spesso il significato di assorbirne l'energia vitale, di instaurare o di far continuare un legame tra il vivente e la persona cannibalizzata. A differenza di quanto si pensa nell'immaginario collettivo, sembrava che il cannibalismo fosse più praticato come rituale funebre, quindi su persone già morte. In pratica, come i giapponesi cremano i loro morti e gli occidentali li seppelliscono, così certe popolazione li mangiano. Niente di scandaloso in ciò, come faceva notare Montaigne.

    C'erano poi libri d'arte che riportavano dipinti su quella tematica (Hiroshi si segnò "Saturno che divora i suoi figli", sicuro che sarebbe piaciuto a Kasumi) e libri di letteratura. Hiroshi diede un'occhiata rapida ai primi e si lesse le introduzioni dei secondi, ma doveva ammettere di star cominciando ad annoiarsi: non era un lettore accanito come aveva creduto. Per fortuna le letture successive che Junicho gli aveva consegnato erano più piacevole: si trattava infatti di manga. Chissà se Junicho glieli aveva portati perché attinenti alla sua ricerca (in tutti era presente il cannibalismo o l'antropofagia) o perché aveva previsto che si sarebbe stancato degli altri libri?
    Trattavano il tema del cannibalismo, ma in un modo che potremmo dire indiretto: a mangiare gli esseri umani non erano altri umani, ma creature diverse, simili agli umani anche nell'aspetto, ma diversi nella natura (che si trattasse di yoma, ghoul o giganti è qui indifferente). Era possibile pensare che gli autori avessero voluto evitare di trattare in modo troppo esplicito tale tematica, ma la questione era forse più complicata. C'era una sorta di ambiguità che circondava le creature che mangiavano gli esseri umani: se all'inizio erano presentate, nonostante la loro somiglianza fisica, come totalmente altre dagli esseri umani, col tempo i contorni si sfumavano e diventavano mobili, tanto che non era impossibile passare dall'una all'altra. Gli stessi protagonisti di questi manga, in origine umani, prendevano caratteristiche dell'altra specie divoratrice di esseri umani.
    Dopo aver finito di leggere l'ultimo volume che Junicho gli aveva portato, un racconto di Yoshihiro Togashi, Hiroshi si alzò dalla sedia e, dopo essersi stiracchiato, uscì dalla biblioteca. La sua piccola ricerca era finita.



    Vista l'ora, Hiroshi decise di andare in mensa. Lì assistette a una scena particolare. Uno degli studenti – Hiroshi pensò che doveva essere del primo anno, ma non aveva prove per appurare ciò – stava portando indietro il vassoio del pranzo su cui aveva mangiato. E fin qui tutto a posto. Sennonché sul vassoio erano rimasti i piselli, che evidentemente il ragazzo non aveva toccato. Forse non li piacevano. In ogni caso il ragazzo stava per appoggiare il vassoio nello scompartimento predisposto, quando d'improvviso si immobilizzò. Hiroshi, che essendo seduto a mangiare lì vicino aveva assistito alla scena, aguzzò lo sguardo per cercare di capire cosa fosse successo.
    Ma in realtà da non c'era molto da vedere: oltre al ragazzo con il suo vassoio in mano, l'unica presenza era costituita da un membro del comitato alimentare, una ragazza dallo sguardo severo con indosso un grembiule da cucina e un copricapo per i capelli. Se ne stava lì, immobile, senza fare nulla se non guardare il ragazzo, ma il suo sguardo era sufficiente per far sì che il poverino si trovasse incapace di muoversi. Hiroshi non la conosceva, ma dalla sua capacità intimidatoria immaginò che non fosse un membro del comitato alimentare qualunque.

    Il ragazzo rimase lì impalato per un po', poi si schiarì la gola e tentò di parlare. Vedendo che non c'era reazione, provò a mettere di nuovo giù il vassoio. Ma neanche stavolta il tentativo riuscì, anzi il ragazzo si bloccò, più spaventato di prima. Forse era stato lo sguardo del membro della commissione alimentare che si era ulteriormente indurito oppure la tensione che all'improvviso si era alzata. O forse aveva influito l'enorme coltello seghettato, lungo almeno un metro, che la cuoca aveva tirato fuori e con cui si era messa a pelare una patata (impresa non certo facile, considerando la mole dell'attrezzo adoperato). Fatto sta che, dopo pochi secondi di esitazione, il ragazzo si allontanò, risiedendosi su uno dei tavoli della mensa e mettendosi a divorare i piselli rimasti.

    Ricordate – la cuoca, che fino a prima era stata in silenzio, adesso si mise a parlare con voce forte, rivolta agli altri membri della commissione alimentare lì presenti – vivere significa mangiare. Per questo noi cuciniamo. Chi rifiuta il cibo è come se rifiutasse la vita!
    Risuonò un coro di “sì, presidente!” da parte dei membri del comitato alimentare, mentre nel resto della sala mensa ogni singola persona si stava dando da fare per mangiare tutti i più piccolo rimasuglio di cibo rimasto. Sembrava che l'episodio non fosse passato inosservato.

    È così quella è la presidente del comitato alimentare... Non c'è che dire, ha un carattere forte, ma non mi dispiace affatto il suo modo di pensare. Però se non sbaglio avevo sentito dire che, per la prima volta, i presidenti del comitato alimentare erano due. Chissà dov'è l'altro, forse in cucina? Peccato non aver visto che tipo è...

    Hiroshi, non vedendo quasi mai a scuola, non era informato molto bene sui presidenti dei comitati. Conosceva solo tre di loro: il presidente del comitato disciplinare Myori Unzen, la presidente del comitato della biblioteca Yabumi Junicho e un'altra ancora. Dal momento che aveva finito di mangiare (si era premurato di far svanire ogni rimasuglio dal suo piatto) e aveva tempo libero, decise di andare da lei, sperando che avesse del tempo da dedicargli. D'altronde era una persona impegnata, ma se l'avesse trovata libera gli sarebbe piaciuto giocare al suo gioco.
     
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    Aoki Aka, presidente del comitato sanitario: questa era la persona da cui Hiroshi si era recato, ma purtroppo sembrava che non fosse libera come lui aveva sperato. Era infatti nell'infermeria della scuola, in “compagnia” di due studenti che si erano sentiti male. Non era nulla di grave, ma quando Hiroshi le aveva chiesto se poteva dedicargli del tempo, Aka era stata categorica: se non si trattava di qualcosa legato al suo stato di salute non poteva distogliere la sua attenzione dai due malati.

    Peccato, mi sarebbe piaciuto giocare a... come si chiama? Ah sì, il Perfect Melancholy. Ma immagino che, come presidente del comitato sanitario, hai dei doveri su cui non puoi transigere. Allora arrivederc...

    Prima di poter varcare la porta che conduceva fuori dall'infermeria, Hiroshi sentì il rumore di qualcuno che si muoveva in modo frenetico. Quando si girò, vide Aka davanti a sé, con la sua anormale mano destra dotata di cinque lunghi artigli ben in vista, mentre nei lettini i due studenti stavano ora dormendo profondamente.

    Ehi ehi, che fretta c'è, Natsui? Se proprio vuoi sfidarmi al Perfect Melancholy, non hai che da chiedere! Ma stai attento, le conseguenze in caso di sconfitta potrebbero essere pesanti!

    Hiroshi la guardò confuso. Cos'era quell'improvviso ribaltamento d'opinione? E perché era così seria per una sfida di carte? Mica dovevano disputare un “gioco delle tenebre” (o un duello nel regno delle ombre, secondo la versione occidentale) con in palio la loro vita.

    Ehm... e gli studenti che stavano male? E i tuoi doveri in quanto presidente del comitato sanitario?

    Non ti preoccupare di quello. Grazie alla mia anormalità “le cinque unghie della malattia, Five Fauces” ora stanno dormendo. Si sveglieranno tra circa due ore, completamente guariti. E se anche venisse qualche altro studente, lo posso sempre guarire in due secondi.

    E perché non l'hai fatto prima?

    Perché se non è necessario evito di usare la mia anormalità. Però, dato che tu mi hai sfidato in un duello, non posso certo tirarmi indietro. Come presidente del comitato sanitario devo difendere la dignità della mia carica a ogni costo! Non mi ritrarrò di fronte a nessuna sfida! Su, se davvero pensi di potermi sconfiggere giochiamo, Hiroshi Natsui!

    No, no, no!! Cos'è questo sviluppo così serioso! Io volevo solo giocare un po' per ammazzare il tempo! E cosa c'entra la “dignità della carica di presidente del comitato sanitario”?! Se vuoi così tanto giocare al Perfect Melancholy puoi anche dirlo, invece di mettere in mezzo concetti come la dignità e la sfida!

    In quel momento, Hiroshi capì di aver inavvertitamente svelato uno dei segreti più reconditi dell'istituto Hakoniwa: la presidente del comitato sanitario Aoki Aka, la scontrosa divinità salvatrice che impediva alla morte di estendere le sue fauci nel terreno che si erge oltre le mura del complesso scolastico, era in realtà... una tsundere amante dei giochi di carte! E purtroppo, adesso che Hiroshi aveva sollecitato la sua ossessione per le carte, non c'era modo di tornare indietro.

    Va bene, giochiamo. Mi potresti spiegare come si gioca?

    Ovviamente lo farò, ma prima c'è qualcosa di più importante da stabilire.

    A cosa ti riferisci?

    Sto parlando di cosa ognuno di noi scommetterà. Ritengo che solo se entrambi i contendenti mettono qualcosa in palio, si possa parlare di vera sfida. Quindi preparati, caro Natsui, perché in caso di sconfitta, potrai pagare un pezzo molto alto!

    Dicendo così, Aka si esibì in una sorta di posa, con la mano normale appoggiata al fianco e quella artigliata puntata minacciosamente verso Hiroshi. Il ragazzo ebbe l'impressione che l'avesse preparata in precedenza, pregustando il momento in cui l'avrebbe potuta sfoderare, ma non disse nulla al riguardo, anzi cercò una frase d'effetto che potesse adeguarsi al clima di tensione che Aka aveva creato.

    Le persone si dividono in due categorie: coloro che odiano le scommesse e coloro che le amano. Aoki Aka, è evidente che tu rientri nella seconda categoria.

    Aka sorrise, pregustando l'imminente scontro che si stava prospettando. Ma le successive parole infransero quel sorriso.

    Purtroppo io rientro nella prima categoria e quindi non posso accettare la tua proposta.

    Ma... ma... senza scommettere è impossibile dare il proprio massimo nella sfida!

    In effetti scommettendo i giocatori sono più motivati a vincere. Tuttavia io penso che le scommesse siano d'ostacolo al divertimento, perché portano i giocatori a pensare più alle conseguenze della vittoria o della sconfitta piuttosto che alle emozioni che il gioco provoca.

    Ma proprio la vittoria e la sconfitta sono lo scopo di questo gioco!

    Non sono d'accordo. Per me il fine del gioco è il divertimento che regala ai due contendenti.

    Hiroshi si fermò. Aveva capito che quel discorso non avrebbe portato da nessuna parte. Le loro prospettive erano troppo differenti: per Hiroshi quel gioco era un passatempo, da affrontare nel modo più spensierato possibile. Per Aka invece era una sfida, il cui scopo era determinare il vincitore e lo sconfitto.
    Inoltre, anche se Hiroshi non lo sapeva, Aka aveva un altro motivo per insistere sullo scommettere: aggiungere una penitenza in caso di sconfitta serviva a mettere sotto stress l'avversario, in modo da ridurne le capacità di concentrazione. Non era quindi un modo per “giocare al massimo delle forze”, ma un mezzo che consentiva ad Aka di aumentare le sue probabilità di vittoria (anche se tale strategia poteva ritorcersi contro, nel caso si trovasse di fronte qualcuno più capace di lei di installare dubbi e tensione durante la partita).
    Continuando così tuttavia non sarebbero giunti a niente. Hiroshi decise quindi di concedere qualcosa all'avversario.

    Ok, accetto la tua proposta. Scommettiamo. Però voglio essere io a decidere per primo cosa accadrà in caso di mia vittoria.

    Aka riuscì a malapena a nascondere la sua espressione di contentezza e vittoria.

    Certo, fai pure.

    Bene, allora nel caso vinca io voglio che... tu mi dia un bacio sulla guancia!

    Un... bacio sulla guancia?!

    Sì, perché, non va bene?

    No... è solo che...

    Beh, se non vuoi non ti costringerò mica. Forse un bacio sulla guancia non è una richiesta adeguata da fare a una ragazza... Se per te è troppo pesante penserò ad altro...

    No, va bene così!

    Bene, allora tocca a te fare la tua scommessa. Non ti preoccupare di me e chiedi pure quello che vuoi!

    Anche se Hiroshi diceva così, era ben chiaro che Aka non poteva chiedere qualsiasi cosa. Se Aka si era stupita della proposta di Hiroshi non era per pudore, ma perché la scommessa era troppo lieve. Poiché il ragazzo aveva chiesto in caso di sua vittoria qualcosa di nessuna importanza, Aka non poteva obbligarlo a una penitenza troppo pesante in caso di sconfitta: il peso tra le due scommesse doveva essere proporzionale. Fare altrimenti, chiedendo un prezzo troppo alto se lei avesse vinto, sarebbe stato infantile e non adeguato al ruolo che ricopriva di presidente del comitato.
    Per evitare ciò Aka di solito è la prima a stabilire cosa succederà in caso di sua vittoria, posizionando – per così dire – l'asticella della scommessa a uno standard piuttosto alto. Se anche il suo avversario avesse chiesto qualcosa di irrisorio, il biasimo sarebbe caduto su di lui e non su Aka. Tuttavia, poiché Hiroshi aveva ceduto sul giocare mettendo qualcosa in palio, Aka non aveva potuto rifiutare l'unica condizione che lui aveva posto, ossia di scegliere lui per primo cosa scommettere ed ora era costretta a scegliere un premio di vittoria ugualmente leggero. Ciò a tutto detrimento della sua strategia di far innervosire e mettere sotto stress l'avversario.

    …Allora se vincerò io tu mi aiuterai a mettere a posto alcune scartoffie relative all'amministrazione del comitato sanitari. È un lavoro facile, ma noioso. Comunque in mezz'ora dovresti finire.

    Bene, allora siamo d'accordo. Le preparazioni hanno richiesto più tempo di quanto pensassi, ma immagino che ora sia tempo di dirlo: che il gioco inizi!
     
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    Perfect Melancholy: si tratta in poche parole di un memory eseguito con due mazzi di carte da gioco, in cui a carta uguale (seme e numero) corrisponde carta uguale.
    Oltre all'uso delle carte da gioco, le differenze con il normale memory sono due: non si contano le coppie, ma il punteggio (quindi mentre una coppia di quattro vale quattro, una coppia di re vale tredici; l'asso vale invece quattordici) e si passa sempre il turno all'avversario una volta finito il proprio, sia che si sia fatta una coppia sia che non ci si sia riusciti. A ciò si aggiungono due regole speciali relative ai jolly: se un jolly viene scoperto esso va eliminato e le altre carte rimescolate, se invece nella stessa mano si scoprono i due jolly insieme, i punteggi dei due giocatori vengono scambiati. Tutto qui: un semplice memory, solo un po' diverso dal normale memory. O almeno, questo all'apparenza.

    Come sa bene chi ha letto il volume 12 di Medaka Box, in realtà questo gioco di puro ingegno, in cui la memoria sembra essere l'unica chiave di vittoria, diventa nelle abili mani di Aoki Aka un gioco di trabocchetti e inganni! Sfruttando l'anormale aspetto della sua mano destra, i cui artigli attirano l'attenzione del suo avversario, Aka muove le restanti carte usando la normale e insospettata mano sinistra. Misdirection: questo vocabolo, famigliare ai lettori di un famoso manga sportivo, indica la capacità di attirare l'attenzione su di un particolare mentre da un'altra parte si esegue il “trucco” ed è su di esso che Aka basa il proprio gioco. Con un inganno così “semplice”, Aka è capace di dirigere il gioco e di muoverlo nella direzione da lei desiderato! Se anche il suo avversario notasse qualcosa di strano, di certo penserebbe a un suo errore, se in più fosse anche sotto tensione, come Aka cercava di indurlo a essere attraverso la scommessa, era probabile che cominciasse ad auto-incolparsi, finendo per perdere la concentrazione e la forza per giocare. Nonostante quest'ultimo aspetto non fosse riuscito con Hiroshi, finché Aka avesse potuto contare sul suo misdirection, la vittoria sarebbe toccata a lei.


    La partita cominciò in modo normale: in una prima fase di gioco Aka e Hiroshi si studiarono a vicenda e cominciarono a memorizzare le carte, senza che nessuno dei due prendesse troppo vantaggio sull'altro. In una seconda fase Aka cominciò ad attuare il suo inganno: Hiroshi cominciò ad aver problemi nel trovare le coppie mentre le carte della presidente continuavano ad aumentare. Il ragazzo aveva assunto un'aria pensierosa mentre Aka cominciava a pregustare la propria vittoria. Ora che la strada era stata imboccata, pensava, la vittoria era sua. Ma di lì a poco tutto cambiò.

    All'inizio Aka non se n'era accorta, l'aveva presa come una sua svista, del resto lei non possedeva la memoria di Kurokami o di Junicho ed era soggetta a errori, ma a un certo punto le apparve chiaro che qualcosa non andava: in quel gioco, in cui lei doveva essere la dominatrice, si era introdotto un elemento che lei non riusciva a individuare e controllare. Le carte che pensava di aver spostato si trovavano in posti diversi e anche altre carte che erano state girate ora occupavano una posizione diversa.
    Per un attimo pensò che il suo avversario stesse operando il suo stesso trucco, ma c'era qualcosa che non quadrava: Hiroshi restava con le braccia conserte tutto il tempo, muovendosi solo quand'era il suo turno, e non aveva mezzi per attuare il misdirection. Ma la prova più evidente era che il punteggio del ragazzo non stava aumentando in modo proporzionale alle difficoltà della ragazza di trovare coppie. Quando Aka attuava il suo trucco, gli effetti erano di impedire all'avversario di fare coppie e al contempo di aumentare le proprie chance di trovare le coppie. Ma Hiroshi sembrava avere le sue stesse difficoltà a girare le carte giuste: era come se il terreno di gioco e le stesse carte fossero diventate un elemento estraneo e ostile a entrambi i giocatori.
    Aka comunque non perse la calma: qualsiasi fosse la situazione doveva ragionare e trovare la soluzione. Era suo dovere gareggiare al massimo, come giocatrice e come presidente del comitato. Così decise di osservare: osservò le carte e osservò i movimenti di Hiroshi: era in quei due elementi che doveva risiedere il trucco. E trovò la soluzione.

    Hiroshi sollevò una carta, l'otto di cuori, e se lo portò vicino alla faccia. Fu in quel momento che le dita artigliate della mano destra di Aka si posarono minacciose sulla sua gola.

    …Cos'è questo sviluppo, Aoki Aka? Anche se non è vietato dalle regole, non credo che attaccare il tuo avversario sia corretto. Se volevi uccidermi per poter vincere, avremmo dovuto giocare piuttosto una partita a biliardo in qualche bar…

    Attaccarti? I miei artigli possono guarire come far ammalare, non credo che tu possa giudicare cosa voglio fare prima di vederne gli effetti. Inoltre, non mi pare di averti ancora graffiato.

    Hiroshi sorrise a quella scelta di parole. L'uso del termine “ancora” era più che significativo.

    E allora qual è il significato di tutto ciò?

    Cos'altro può essere, se non il tuo inganno, anormale?

    Anormale? Io ho un nome e cognome, Hiroshi Natsui, se mi chiami in altro modo potrei offendermi. Anche se non posso negare di essere ciò che viene etichettato come “anormale”.

    Ti chiamo anormale perché questo svela il tuo trucco. Attraverso la tua anormalità, o il tuo potere o capacità o come lo vuoi chiamare, hai scombinato l'ordine delle carte.

    Hiroshi la guardò, cercando di mostrarsi impassibile.

    Hai prove di quanto dici?

    Ho i miei occhi e la mia esperienza che mi dicono che qualcosa non va.

    Davvero? Strano, anch'io ho avuto la stessa sensazione. Sai io non ho molto memoria, quindi mi sono concentrato a memorizzare poche carte, ma, chissà perché, anche quelle poche carte sembravano scambiarsi di posto. Tuttavia non mi sembra che io abbia incolpato chicchessia di aver barato...

    Aka lo fissò immobile, senza nessun segno che avesse subito la sua frecciatina.

    Chissà? Forse le carte sono stregate. Ma io ho qualche elemento in più per dire che tu stai barando.

    Sarebbe?

    Aoki Aka sorrise e indicò con la sua mano sinistra la carta che Hiroshi teneva ancora in mano, l'otto di cuori.

    Ogni volta che tu giri le carte, le sollevi e le porti vicino alla faccia. Anzi, non ogni volta, ma solo a partire da un certo punto del gioco, quando le carte hanno cominciato a scambiarsi di posto, mentre prima ti limitavi a girarle e lasciarle sul tavolo, come si fa di solito.
    Non so se dipenda dal tempo con cui devi stare a contatto con le carte, o se le devi vedere da vicino, o altro ancora, ma di certo quella è una condizione per attivare la tua anormalità.
    Anormale Hiroshi Natsui, ho scoperto il tuo gioco.


    Hiroshi sorrise tra sé.
    Eccezionale, da così pochi elementi è riuscita ad arrivare a una simile deduzione. Ora però sono curioso: questa mia eccezionale kohai, fino a dove può arrivare?
    Curioso di scoprirlo, Hiroshi pensò a una maniera per stuzzicarla.

    Tu le hai chiamate prove, ma a me pare siano al massimo indizi, per giunta frutti di una tua arbitraria deduzione. Però voglio venirti in aiuto: che ne dici di mettere alla prova questa tua deduzione?

    Aka lo guardò, guardinga. Sapeva che da simili proposte bisognava guardarsi.

    Cosa intendi?

    Prima di rispondere, ho qualcosa da finire.
    Dicendo così alzò la carta che ancora teneva in mano. Il suo turno non era ancora finito.

    Aka ritrasse la sua mano, permettendo a Hiroshi di muoversi. Il ragazzo mise giù l'otto di cuori nella sua posizione precedente e girò un'altra carta, stavolta senza sollevarla e portarla vicino a sé. Del resto non ce n'era alcun bisogno: la carta girata sarebbe subito stata eliminata e le rimanenti carte rimescolate.

    Mostrando il jolly a Aka, Hiroshi sorrise.

    Il jolly: tutte le carte vengono rimescolate. Si può dire che rappresenti un nuovo inizio per la nostra partita. È anche l'occasione giusta per proporti qualcosa che tu apprezzerai.

    Di cosa parli, Hiroshi Natsui?

    Sto parlando di una scommessa, Aoki Aka.
     
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    Aka, sentendo la proposta del ragazzo, fece un sorriso sprezzante.
    Prima hai asserito che non ti piace scommettere e ora mi proponi una scommessa? Se fai così, non posso che pensare che ci sia qualcosa sotto.

    Hiroshi provò a sfoggiare il suo sorriso più affascinante - con un effetto sulla ragazza difficile da misurare - per poi rispondere in tono leggero.
    Potresti pensare che sono una persona accomodante e disposta a cedere pur di divertirsi assieme, ma anche se non fosse credo che potresti stare almeno a sentire la mia proposta.

    Puoi parlare se vuoi, ma mi riservo il diritto di rifiutare in caso non fossi d'accordo.

    Hiroshi non fece una piega.
    Certo, è un tuo diritto. Ora come ora tu mi stai accusando senza prove e io non ho modo di scagionarmi. Un simile clima di sospetti non mi piace, quindi ho pensato a un modo per risolvere la questione che possa andare bene a entrambi.
    La base della tua deduzione è che io abbia un'anormalità che influenza il gioco. Allora scommettiamo su questo.


    Vuoi scommettere se tu stia o no usando l'anormalità? Non ha senso, di sicuro mentiresti inventando un'anormalità che non hai, oppure non svelandone tutti gli effetti.

    No, la scommessa non riguarda se io sto usando o no la mia anormalità, ma i suoi effetti. Se tu individuerai gli effetti della mia anormalità, allora io ti prometto che non la userò durante la partita – sempre che io la stia realmente usando – in caso contrario tu non ti lamenterai più del mio modo di giocare.

    Oh? E come posso sapere se menti o no?

    Ti descriverò per bene la natura della mia anormalità e te ne darò una dimostrazione pratica, in modo che tu non possa dubitare. In ogni caso, che tu sbagli o abbia ragione, scoprirai qual è la mia anormalità. Ciò non ha alcun valore per te?

    La ragazza pensò che Hiroshi non aveva torto, la conoscenza della sua anormalità avrebbe potuto riequilibrare l'attuale situazione di Aka. D'altra parte se perdeva gli avrebbe lasciato carta bianca nell'uso della sua anormalità. Ma era davvero uno svantaggio così enorme? Pur usandola (e Aka era sicura che l'aveva usata), Hiroshi aveva solo impedito ad Aka di mischiare le carte come voleva, ma non era riuscito ad aumentare di così tanto il suo punteggio e Aka aveva ancora un vantaggio considerevole. C'era la possibilità che Hiroshi l'avesse fatto di proposito, rinunciando a sfruttare a pieno la sua anormalità, ma per quale motivo avrebbe dovuto fare qualcosa di tanto contorto? L'ipotesi non sembrava plausibile.

    Avrei una curiosità. Hai detto che io devo scoprire gli effetti della tua anormalità, giusto? Cosa intendi esattamente?

    È semplice, in pratica non devi scoprire l'esatta natura del mio potere, ma i suoi effetti in questa partita. Ad esempio, se usando la mia anormalità potessi muovere le carte, non sarebbe importante se io ci riuscissi perché ho dei poteri telepatici, o perché posso lasciare un'invisibile stringa gommosa sulle carte o anche se potessi fermare il tempo e spostare poi in tutta tranquillità le carte. Se l'effetto è lo stesso, si tratti di telepatia, ipergomma o controllo del tempo, non è importante. Naturalmente non puoi essere troppo generica, limitandoti a dire “hai un potere che influisce sulla nostra partita”.

    È chi è che deciderà se io sono stata troppo generica o no?

    Tu stessa, dopo che ti avrò spiegato la mia anormalità.

    Stavolta Aka non riuscì a nascondere la sua sorpresa, strabuzzando gli occhi.

    Stai scherzando?! Chiederesti a me di essere sia accusatrice che giudice? C'è un limite anche all'ingenuità!

    Non si tratta di ingenuità. Solo, mi fido del tuo giudizio come presidente del comitato.

    Tsk! Sei proprio sfacciato, nel tuo continuo richiamarmi al mio onore di presidente! Ma va bene, accetto la tua scommessa!

    Aka non aveva bisogno di attardarsi a pensare, aveva già compreso gran parte degli effetti del potere di Hiroshi, o così pensava.

    Anormale Hiroshi Natsui, il tuo potere consiste nel poter manipolare gli oggetti con cui entri a contatto, permettendoti di muoverli. Tuttavia tu stesso non hai che un controllo parziale su di essi e non puoi prevedere come si muoveranno! Per questo non sei riuscito a passare in vantaggio, ma solo ad ostacolarmi: neppure tu sapevi come le carte si sarebbero mosse. Inoltre, come ho affermato prima, non ti basta toccarli per attivare il tuo potere, ma serve un'altra condizione per cui sei obbligato a tenerli in mano e portarli vicino a te.

    Dopo questa lunga spiegazione, Aka si lasciò andare a un sorriso trionfante e non privo di una certa arroganza.

    Allora? La mia analisi è abbastanza dettagliata e colpisce nel segno, Natsui?

    Ottimo, Aoki Aka. Direi che, visto i tuoi elementi a disposizione, sarebbe stato difficile essere più precisi. Tuttavia c'è un elemento della tua analisi scorretto.

    Impossibile! Di cosa si tratterebbe?!

    Il controllo. Tu hai detto che ho solo un controllo parziale sugli oggetti, ma ciò è sbagliato.

    Vuoi dire che li puoi controllare a tuo piacere? Ma se fosse così...

    No, no, credo che tu abbia frainteso. Io volevo dire l'opposto: infatti, io non esercito nessun controllo su di essi.

    La faccia di Aka si oscurò, mentre la sua espressione trionfante veniva meno. Nonostante ciò, riuscì a mantenere la calma e replicò a quelle parole con un tono di voce basso, quasi sussurrando.

    Credo di non capire di cosa stai parlando, Natsui. Com'è possibile che tu possa farli muovere, ma non abbia alcun controllo, neanche il minimo?

    È semplice: la mia abilità, il Life Breath, mi permette di dare attraverso il mio respiro il soffio vitale – la vita se vuoi – agli oggetti inanimati.

    E quindi non è come ho detto io? Dare la vita a degli oggetti inanimati non è forse una maniera di manipolarli e di controllarli, facendoli muovere?

    In effetti hai indovinato quando hai detto che si possono muovere a causa della mia anormalità, ma che io non posso prevedere i loro movimenti. Però continui a sbagliare. È il burattinaio che controlla e manipola i burattini che costruisce, ma io non sono un burattinaio e gli esseri che nascono per il mio potere non sono mie marionette. Loro sono vivi e liberi come lo siamo io e te, Aka. Non credo che tu l'abbia notato, ma tra tutte le carte a cui ho dato il soffio vitale i comportamenti sono tra i più vari: c'è chi rimane immobile, chi si sposta per confonderci, chi cerca di aiutarmi e anche chi cerca di aiutare te.

    Non mi pare di aver avuto nessun aiuto da parte loro. E se possono spostarsi come vogliono, perché rimangono qui senza scappare?

    Chissà? Sono pur sempre carte, anche se animate. Forse vogliono fare ciò per cui sono state costruite: permetterci di giocare. Ed è difficile aiutare qualcuno con cui non si può comunicare. Ma bando alle ciance, avevo promesso di mostrarti il mio potere.

    Così dicendo Hiroshi prese la carta del jolly e ci soffiò sopra. Subito dopo, essa si mise a ondeggiare. Ad Aka sembrò come se la figura sulla carta stesse ridendo di lei.

    Allora? Credo che sia giunto il momento di esprimere il verdetto sulla nostra scommessa. Qualunque sia, lo accetterò.

    Aka chiuse gli occhi, riflettendo. Alla fine, si mise a parlare a voce bassa.

    In logica quando una parte della frase è falsa, l'intera frase è falsa, non importa quante siano le affermazione vere. Allo stesso modo credo sia da considerare questo caso. Hiroshi Natsui, ammetto che la mia deduzione era incorretta. Hai vinto tu la scommessa e puoi continuare a giocare come hai fatto fino adesso.
    Tuttavia –
    gli occhi di Aka si riaprirono e lei guardò fisso il ragazzo – questo non significa che hai vinto la nostra sfida.

    Hiroshi sorrise.
    Oh, non lo stavo affatto pensando.

    Di lì la partita tra Hiroshi Natsui e Aoki Aka riprese, più infuocata di prima. Hiroshi era deciso a colmare lo svantaggio e Aka faceva di tutto per impedirlo. Come aveva spiegato Hiroshi, la sua anormalità non gli permetteva di muovere le carte come voleva, ma ebbe l'effetto di rendere tentennante Aka nell'uso della sua misdirection. Inoltre Hiroshi poteva percepire l'energia vitale degli esseri viventi, riuscendo quindi a individuare le carte a cui aveva dato vita, un vantaggio non irrisorio. Poiché questa sua abilità non rientrava in senso stretto nella sua anormalità, non si era sentito in obbligo di rivelarla ad Aka. Inoltre considerava questo piccolo inganno come un pagamento per il trucco che Aka – lo sapeva, pur senza averne le prove – aveva messo in atto.

    Fu una bella partita, in cui entrambi i contendenti dettero il massimo e si divertirono. Ci fu un momento in cui entrambi pensarono “vorrei che questa partita non finisse mai”. Ma entrambi sapevano che non era possibile: la partita doveva finire, prima o poi.
    E così fu: la partita finì. E, com'era normale, ci fu un vincitore e un perdente.
     
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    Mezz'ora aveva detto. Un lavoro noioso, ma semplice, sosteneva. Peccato che per redigere tutte quelle scartoffie ci ho messo quasi un'ora, esaurendo tutta la mia scorta di pazienza. Certo che, il numero di carte burocratiche che anche una semplice infermeria richiede è impressionante...

    Così pensava Hiroshi uscendo, dopo un tempo che avrebbe preferito fosse inferiore, dall'infermeria. L'aver perso di soli dieci punti al Perfect Melancholy (una figura, mi sarebbe bastato prendere una figura o un asso in più per vincere!) di certo non aiutava a superare l'irritazione. Per questo decise di andare a concedersi un piccolo piacere che di solito era lui a servire: il piacere di ordinare e gustare qualcosa al bar.

    Non c'era neanche il bisogno di chiedersi quale fosse il posto più adatto lì all'Hakoniwa dove andare, anche Hiroshi aveva sentito nominare il famoso Maid Caffè dell'istituto.
    L'ho trovò un buon locale, piuttosto spazioso e ben arredato (era più grande del suo, ma, secondo il suo parere non proprio disinteressato, meno caratteristico come arredamento; del resto non molti locali possono vantare miriade di bambole, pupazzi e peluche ad ogni angolo). In più c'erano le ragazze vestite da maid e la cosa non era affatto male. Come si dice: anche l'occhio vuole la sua parte.
    A quell'ora il bar era parecchio affollato e ci volle un po' prima che arrivasse la sua ordinazione, tempo che impiegò giocando con il cubo di Rubik che Aka gli aveva regalato, come per ricompensarlo del lavoro (sembrava che quel cubo fosse stato perduto da uno studente anni addietro, prima che Aka entrasse nell'istituto, e che da allora era sempre rimasto in infermeria. In altre parole la ragazza si era voluta liberare di un oggetto che riteneva inutile, spacciandolo per un compenso). Tuttavia quando la cioccolata calda che aveva ordinato gli arrivò, scoprì che era gustosa e calda al punto giusto. Poco dopo la sua ordinazione, arrivò al suo tavolino un altro ragazzo: sembrava che, a causa dell'affollamento del locale, si sarebbero dovuti sedere allo stesso tavolo. Il dialogo che seguì tra i due è già stato riportato in altra sede e non sarà qui trattato.

    Quando uscì dal locale, Hiroshi era visibilmente soddisfatto. Non gli dispiaceva quel cafè, anzi a un certo punto aveva quasi pensato di proporre a chi lo gestiva uno scambio: Kasumi sarebbe andata a lavorare lì come cameriera e una delle loro ragazze sarebbe venuta da Hiroshi. Del resto fare esperienze diverse è importante nella crescita delle persone. Ma alla fine la paura della reazione di sua sorella alla notizia di dover vestire con l'uniforme da cameriera l'aveva convinto a non agire.


    C'erano ancora diverse ore prima che Hiroshi potesse tornare a casa, che decise di passare nei più svariati modi. Curiosò nella stanza del club di arte, cercando i quadri disegnati da sua sorella Kasumi che era membro di quel club. Incontrò un paio di ragazze che erano venute qualche volta nel suo locale in compagnia dei loro fratellini. Provò ad intrufolarsi nell'università dell'Hakoniwa e a seguire qualche lezione. Si recò al centro commerciale Yoshizuka, entrando in quasi ogni negozio (evitò giusto quello che vendeva intimo femminile, per non attirare strani sospetti) e non comprando nulla. Fece una passeggiate nel parco Hijifu e, per buona misura, si recò anche al Luna Park (aveva sentito parlare di alcuni occhiali molto particolari...). Si accorse di aver dimenticato il cubo di Rubik datogli da Aka al Maid Caffè, ma decise di non far niente: sembrava che quell'oggetto fosse destinato a essere perso e abbandonato in giro. Fece anche una capatina al centro concerti, nonostante in teoria non ci fosse nulla in programma, e fu sorpreso di trovare della gente al lavoro. Gli dissero che si trattava di un evento collegato al Natale, ma non scesero nei dettagli.
    Giusto – pensò Hiroshi mentre si allontanava – a Natale non manca più molto...

    Al tramonto, mentre passeggiava tra le stradine dell'Hakoniwa, ripensò a tutto quello che aveva fatto quel giorno. Era stata una giornata piacevole, con molti piccoli avvenimenti e incontri talvolta inaspettati. Ma l'incontro per lui più inaspettato, avvenne proprio quando ormai pensava di aver concluso la sua visita alla scuola.
    Cominciava a far buio e Hiroshi decise di tornare a casa: quello che doveva succedere con tutta probabilità era già successo. Ma, camminando per alcune viette dell'Hakoniwa vicino alla Babele fantasma, avvertì la presenza di una vita vicino a lui. Non era la vita di un essere umano, né di un animale, ma di qualcosa che lui conosceva molto bene: era un oggetto a cui lui aveva dato il soffio vitale. Inoltre, la sua vita era quasi al termine.

    A Hiroshi bastò girarsi per vederla. Qualcosa, dalle dimensioni di un pupazzo, era lì a fissarlo. I suoi contorni da peluche formavano una figura nota a tutti gli studenti dell'Hakoniwa: quella del presidente del consiglio, Medaka Kurokami.

    Che curiosa coincidenza trovarti qui proprio oggi.
    Sei venuta qua per incontrare lui, non è vero, Kadame?
     
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    Pensandoci, era davvero incredibile che Maguro non avesse capito cos'era successo quella notte, quando uno dei suoi pupazzi di Medaka era sparito. Pur con la sua leggendaria capacità di analista, pur conoscendo l'indole e l'anormalità di Hiroshi, non era riuscito a capire come i fatti si fossero svolti. Forse era stato il suo immenso amore per la sorella, così grande da doverlo sfogare su dei surrogati di lei com'erano tutti quei peluche, ad averlo accecato. O forse in realtà aveva capito tutto dall'inizio, ma aveva continuato a far finta di niente, accusando Hiroshi di un furto che non aveva compiuto, in una sorta di gioco scherzoso tra i due.
    Già, Hiroshi non aveva compiuto nessun furto, si era limitato a usare il suo potere per dare il soffio vitale a uno dei pupazzi di Maguro a forma di Medaka. Quel pupazzo, che non doveva essere altro che una rappresentazione sostitutiva di Medaka, aveva assunto la vita e una sua identità. E poi, quella stessa notte, era fuggito. Sulle sue motivazioni, persino Hiroshi non poteva fare che ipotesi.
    Ma ora quel pupazzo, Kadame, era tornato.

    Sei venuta qua per incontrare lui, non è vero Kadame?

    Il pupazzo annuì. L'aspetto era quello di Medaka, ma non si trattava della presidente del consiglio tanto amata, bensì della Medaka che ancora frequentava la terza media. La stoffa del peluche usciva dal lato sinistro della testa e dal braccio destro, in cui era visibile il morso di un cane. Sembrava che nei suoi mesi di vita il pupazzo avesse vissuto diverse avventure.

    Quella persona, Maguro Kurokami, ama i pupazzi poiché essi rappresentano la sua adorata sorella. Non sono altro che dei surrogati, delle icone se vuoi. Ma tu sei diversa. Hai acquisito una tua identità definita e un nome, pertanto non puoi più svolgere la funzione di rappresentare Medaka. Maguro se ne accorgerà appena ti vedrà. Per questo, lui non ti potrà amare. Sei lo stesso intenzionata ad andare da lui, ben sapendo che l'incontro potrebbe riservarti solo dolore?

    Il pupazzo annuì di nuovo. Il Life Breath di Hiroshi dava la vita, ma non permetteva di parlare, a meno che l'oggetto non avesse già in precedenza un meccanismo per ripetere frasi. Allo stesso modo, il pupazzo non poteva mutare l'espressione con cui era stato fabbricato. Eppure, nonostante la faccia fosse sempre quella, a Hiroshi sembrò di scorgere un'autentica determinazione nell'espressione di Dakame.

    Se è così che la pensi, vai.

    Dakame lo guardò ancora per un po' in silenzio, prima di fare un inchino e dirigersi oltre, diretta alla Babele Fantasma.

    Hiroshi sospirò.
    Giusto, anch'io devo andare. Nonostante non sappia cosa mi aspetti a casa, nonostante abbia paura di scoprirlo, io devo andare.

    Tornare a casa: sapeva che non era un ordine assoluto. Avrebbe potuto voltare le spalle a Hiroshi e Kamui e anche a Shirai, voltare le spalle alla verità e non tornare mai lì. Per quanto difficile, non era impossibile dal punto di vista fattuale, ma lo era per lui: era lui a voler tornare a casa, a voler scoprire cos'era successo. Tornare non era un “dovere” in senso assoluto, ma era lui, Hiroshi Natsui, a renderlo una necessità.

    Immerso in mesti pensieri, Hiroshi si diresse verso casa, passando per vie illuminate dai soli lampioni. Ogni altra luce era ormai tramontata e il chiarore della luna non era sufficiente per vedere attraverso il buio.

    Arrivò al locale. Il peluche gigante a forma d'orso che sostava lì fuori mosse il capo in un cenno di saluto che Hiroshi ricambiò. Da quando gli aveva dato vita, circa tre mesi fa, era uno dei pochi movimenti che avesse fatto: di solito stava sempre lì immobile, pronunciando ogni tanto con voce metallica “benvenuto”, l'unica parola che il suo meccanismo gli permettesse di pronunciare.
    Già prima di entrare sentiva che non c'era alcuna vita umana dentro l'edificio. Ad accoglierlo furono solo i suoi pupazzi. Non erano intervenuti nello scontro tra il Divoratore e i suoi fratellini, non per ordine di Hiroshi (lui non aveva ordini da dare), ma per loro scelta. Comunicando a gesti, gli spiegarono cos'era successo.

    Ah sì? Disse alla fine Hiroshi. Se è così, non mi rimane che aspettarli.
    Ancora una volta, non posso che far questo...

    Hiroshi chiuse i balconi, serrò il locale, pulì e mise in ordine la stanza. Poi si preparò un caffè e si sedette su uno dei tavolini, di fianco all'interruttore della luce, ad aspettare. A un certo momento gli sembrò di percepire delle vite che si avvicinavano, ma l'istante successivo erano già svanite. Probabilmente era solo qualcuno che passava per la via.
    Quando il caffè fu finito e la stanchezza prevalse in lui, si chinò sul tavolino e si addormentò. Quei tavoli erano fatti per servire piatti e bevande, non certo per dormire sopra, e il sonno di Hiroshi fu breve e disagiato. Si risvegliò, si bevve un altro caffè e poi si riaddormentò di nuovo. Non seppe mai per quanto volte ripeté questo ciclo. A volte gli sembrava di sentire Haiiro e Kasumi che tornavano, ma ogni volta che apriva gli occhi scopriva che si trattava solo di un sogno. Per questo, quando sentì la porta d'ingresso aprirsi pensò di star ancora sognando. Ma quando una voce famigliare sussurrò il suo nome, allora alzò la testa dal tavolo. E quando delle figure sfocate si disegnarono davanti a lui, allungò la mano verso l'interruttore della luce e, andando un po' a tentoni, l'accese. E allora li vide chiaramente.
    Kasumi e Haiiro, sua sorella e il suo fratellino (senza virgolette: quando Hiroshi parla con altri tende a dare a quella parola un timbro di voce diverso, come se la mettesse tra virgolette, ma nella sua testa Haiiro è in tutto e per tutto il suo fratellino).

    Bastava un'occhiata per rendersi conto di quanto quella vicenda era stata estenuante per i due. Era abituato a vedere Haiiro reso stanco dal sonno arretrato, ma in quel momento era evidente quanto fosse vicino al crollo, tanto che sembrava fosse incredibile che riuscisse a stare sulle sue gambe. Sul collo aveva una ferita, circondata da sangue ormai rappreso.
    Anche Kasumi sembrava distrutta, ma nel suo caso la stanchezza appariva più mentale che fisica ed era evidente dal suo atteggiamento, ben lontano dalla sua solita movimentata irrequietezza, e dai suoi occhi quasi spenti, caricati da un pesante fardello.

    Eppure erano vivi. Raccogliendo tutte le energie e sorretto da una forza che giungeva dal saperli in salvo, Hiroshi si sforzò di sorridere loro nel modo più convincente, rivolgendoli parole sincere.

    Bentornati a casa.

    Quella semplice frase bastò ad abbattere la mortifera maschera di gravezza che si era dipinta nei volti dei due ragazzi e a farli sciogliere in lacrime. Risposero, e le loro parole furono come nettare per Hiroshi.

    Siamo tornati.
    Siamo a casa.


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    Questa articolata e lunga narrazione è molto divertente e hai interpretato molto bene i vari personaggi, senza contare le innumerevoli citazioni (90 minuti e 100 avversari, lacci gommosi invisibili, missdirection ecc) che io personalmente adoro :asd: È stato anche interessante vedere il comportamento di Hiroshi e i vari sviluppi del suo potere.

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10 replies since 7/9/2014, 13:54   111 views
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