[CONCLUSA] A misstep forward

and a new face

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    Narrazione privata

    Kasumi Natsui
    Scheda personaggio

    Quando la campanella suonò per segnare la fine delle lezioni, Kasumi sospirò di sollievo. A scuola se la cavava senza grossi problemi, ma trovava le lezioni e le varie materie di una noia indicibile. Non capiva a cosa servissero tutte quelle nozioni, che fossero di scienze, storia o letteratura. Non perché pensasse che in sé fossero inutili, ma perché credeva che una persona dovesse focalizzarsi solo sull'ambito che le interessava. Al contrario la scuola, che voleva insegnare un po' di tutto a tutti, senza alcuna specializzazione, le sembrava uno spreco immenso di tempo. Cosa servivano tanti (più o meno) esperti di tutto e maestri di nulla? Per questo nel pomeriggio, quando non aveva altri impegni, si dedicava al solo ambito in cui voleva crescere: l'arte. Anche quel giorno si diresse al club, trovandosi di fronte, quando ne aprì la porta, a una scena più che equivoca.
    Uno dei membri del club, un certo Wakashi, era chino non su un quadro da disegnare, come avrebbe dovuto, ma su una ragazza della loro scuola. Questa era appoggiata sopra il mobiletto in cui venivano riposti i disegni completati, con la gonna completamente sollevata, tanto che Kasumi ne registrò involontariamente il colore – un inaspettato lilla, che si abbinava col colore dei suoi capelli.
    Quando Kasumi aprì la porta, gli occhi dei due si girarono istintivamente verso di lei.

    «Na... Natsui?! Co... cosa ci fai qua?!»
    Sorpresa dalla scena, ma non tanto da perdere la parola, Kasumi osservò con piglio sarcastico la faccia di Wakashi mentre, in preda alla confusione, le rivolgeva quella domanda.
    «Beh, sono venuta per dipingere, presumendo che sia questo che si fa in un club d'arte. Ma forse mi sbaglio, dato l'utilizzo che tu, a quanto vedo, ne volevi fare...»
    «No... io, ecco...»
    «Scusami è colpa mia!»
    Con una voce acuta, la ragazza dalle mutandine lilla attirò l'attenzione dei due. Si era messa in piedi, abbassato la gonna e aveva chinato il capo verso Kasumi, in un inchino di scusa.
    «Sono stata io a spingere Wakashi a venire qui e a stuzzicarlo, facendoli compiere simili gesti indecenti. Te ne chiedo scusa di tutto cuore!»
    La sua testa era così abbassata che Kasumi non poteva vedere la sua espressione, ma poté osservare le sue lacrime cadere a terra. Non solo stava piangendo, ma le sue parole rivelavano tutto il suo pentimento e la vergogna che provava in quel momento. Vedendola in tale stato, il suo compagno non poté rimanere fermo, ma abbassò a sua volta la testa verso Kasumi.
    «Non è vero! È stata tutta un'idea mia, Kozue non ne ha colpa! Kasumi, ti prego, credimi! Se non vuoi perdonare me, almeno perdona Kozue!»
    Sentendo questo, Kozue – come doveva chiamarsi la ragazza – alzò la testa e si girò verso il ragazzo, gli occhi cosparsi di lacrime pieni di gratitudine.
    «Watashi...»
    «Abbiamo sbagliato entrambi, Kozue, è giusto che ce ne assumiamo la responsabilità entrambi.»
    Senza più trattenersi, Kozue gettò le braccia intorno al collo di Watashi, piangendo adesso di gioia e riconoscenza. Watashi sorrideva sollevato e apparentemente dimentico della precedente vergogna.
    Kasumi tratteneva a stento un conato di vomito.

    “Che teatrino da quattro soldi...”
    Per come la vedeva lei, i due stavano solo recitando una parte, ricalcata su manga e serie televisive sentimentali. Se uno dei due, ossia quell'idiota di Watashi, non ne era consapevole, l'altra ne era fin troppo. Già, per quanto Kozue sembrasse essere una ragazza candida che si era fatta trascinare dal fidanzato e ora se ne dispiaceva, per quanto le sue parole risuonassero di autentiche emozioni e i suoi occhi si tingessero di lacrime, Kasumi era convinta che fosse tutta una farsa. Perché? Perché, quando aveva aperto la porta, aveva visto l'espressione che Kozue aveva in viso. Un sorriso di assoluta malizia e di divertimento infantile, tipico di un bambino che sta vincendo al suo gioco preferito. E quando Kozue aveva scorto Kasumi, prima di assumere quel suo atteggiamento contrito, aveva fatto una smorfia di chi viene interrotto durante un gioco divertente. In quel momento Kasumi aveva capito che quella Kozue era tutto tranne che una ragazza candida e innocente. Aveva imbastito quella recita, sicura che se avesse interpretato la parte della ragazza umiliata e pentita, Watashi le sarebbe venuta dietro, come infatti aveva fatto.
    Ma quel loro teatrino a Kasumi non interessava, come non le interessava interpretare un ruolo prestabilito.

    «Visto che avete parlato così sinceramente, lo farò anch'io: non me ne frega nulla di quello che fate voi due quando siete soli. Ma quello su cui eri appoggiata te, bella, era il mobile dove mettiamo i dipinti finiti, tra cui i miei. E non mi va che qualcuno lo tocchi a quel modo.»
    «Ehi Kasumi, non ti sembra di esagerare? Ok, abbiamo sbagliato, ma...»
    «Ma? Dici di aver sbagliato, ma pensi che ti si debba perdonare per qualche scusa e un po' di lacrime. Io, però, non sono d'accordo.»
    «Ma...»
    «No, ha ragione lei. Abbiamo sbagliato, quindi non possiamo lamentarci di come veniamo trattati, Watashi. Scusaci Kasumi, ora che ne andiamo.»
    “Continua la recita fino alla fine vedo.”
    «Già, anch'io credo sia meglio se ve ne andiate. E... senpai Watashi, un consiglio amichevole. Per la prossima settimana, meglio se non ti fai vedere qui.»
    Per sottolineare la minaccia, attivò il suo Breath-Taker. A quella distanza, il calo di energia del ragazzo sarebbe stato impercettibile. Ma Kasumi sperava che nel ragazzo rimanesse la sensazione di vaga debolezza, almeno a livello inconscio, e si legasse alle sue parole, convincendo Watashi a rispettarle.
    Riluttante, arrabbiato, ma anche abbattuto, Watashi se ne andò, preceduto da Kozue che continuava a tenere il capo chino. A Kasumi non sarebbe sembrato strano se sotto quel viso avesse scorto un sorriso divertito.

    Mise giù la cartella e tirò fuori il quadro che stava dipingendo al momento, preparò i colori e si mise all'opera. Non fu troppo sorpresa quando, dieci minuti dopo, la porta del club si aprì e rivelò il ritorno di una figura nota.
    «Hai dimenticato qualcosa per caso?»
    «In effetti sì. Mi ero dimenticato di parlare come si doveva con una persona interessante. Ma se me lo permetti, vorrei rimediare adesso. Ti va bene... cara Kasumi?»
    Kasumi osservò Kozue: aveva rimosso la faccia da ragazza innocente, pur conservando qualcosa di leziosa, e le sorrideva provocante, come a sfidarla. Era proprio il tipo di espressione che Kasumi non riusciva a ignorare.

    «Per niente.»


    Edited by CellO_o - 1/1/2017, 23:35
     
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    Kasumi Natsui
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    Come se non l'avesse sentita, Kozue entrò nella stanza del club, guardandosi intorno. Kasumi, tutt'altro che stupita, l'osservò di sottecchi.
    «Pensavo che avessi già visitato il club. Con Watashi.»
    «Sì, ma... diciamo che prima ero “distratta” da altro.»
    Dicendo così si mise a ridacchiare. Kasumi non la accompagnò nella risata, né sorrise, ma continuò a dipingere.
    «Era qui che dicevi ci sono i dipinti, giusto Kasumi?»
    «Da quando in qua siamo così vicine da chiamarci col nome? E comunque sì, è quello. Vedo che non eri troppo distratta da non ricordarti dove sedevi...»
    «Ahah, per il nome hai ragione, ma anche se ci siamo appena conosciute io non me la prendo se tu mi chiami per nome. Quindi, ovviamente, neanche tu devi prendertela se io faccio lo stesso.»
    Kasumi era combattuta tra l'apprezzare le capacità di destreggiarsi in quel discorsi della ragazza e il detestarne l'atteggiamento. Tra le due, optò per la seconda. Con una persona simile, non c'era bisogno di procedere con i guanti.
    «Non so il tuo cognome, quindi è normale che ti chiami con il nome. Potrei chiamarti con un altro epiteto, ma dubito che tu l'apprezzeresti... Visto che sono tanto cortese da non usarlo, tu devi esserlo altrettanto e usare il mio cognome.»
    «Come sei pesante... Va bene, allora vada per Natsui. Siamo a posto?»
    No, non lo erano affatto. Non finché Kozue fosse rimasta lì. Vero, la ragazza l'incuriosita, ma ancora di più la infastidiva. Kasumi le gettò un'occhiata e si immobilizzò .
    «Che diavolo stai facendo?!»
    «Eh? Volevo vedere i tuoi dipinti!»
    Kozue aveva aperto il mobile contenenti le varie opere del club di arte e le stava squadrando. Kasumi non poteva sopportarlo.
    «Ogni dipinto appartiene al membro del club di arte che l'ha dipinto. Non puoi metterti così a rovistarci dentro.»
    «Beh, allora tirami tu fuori i tuoi quadri!»
    «Oh? Questa è bella. Perché dovrei mostrare i miei dipinti a una persona che detesto?»
    Kasumi sorrise sarcastica, molto sarcastica. E beffarda anche. Quella richiesta era troppo assurda per non meritare uno sbeffeggio. Ma Kozue non sembrò neppure badare al suo così evidente sarcasmo, ma strinse le labbra al modo di un bambino capriccioso, guardando fisso Kasumi.
    «Perché voglio vederli!»
    Il sorriso sarcastico di Kasumi ondeggiò. Quanto poteva essere irragionevole quella ragazza? Per di più non le dava l'impressione di star fingendo, come aveva fatto prima con Watashi, ma sembrava davvero pensare quello che diceva. Kasumi aveva già visto in lei tratti infantili, ma non credeva fino a quel punto! Inoltre prima erano mischiati con il suo fare smaliziato e manipolatrice, ma ora quei due modi di agire mancavano del tutto.
    «Va bene, te li farò vedere. Ma devi promettermi due cose: primo, dopo averli visti esci da qui e non farti più rivedere. Secondo, non rovinare, danneggiare, compromettere o soltanto intaccare i miei quadri. Non provarci.»
    Di nuovo, come Watashi prima, attivò il suo Breath-Taker... ma l'istante dopo dovette disattivarlo. Kozue, appena sentito il suo assenso, aveva chiuso gli spazi tra loro e le aveva stretto le mani nelle sue. La sua faccia era vicinissima a quella di Kasumi.
    «Davvero?! Me li farai vedere?! Grazie mille!»
    Kasumi, dopo il primo attimo di sorpresa, si liberò dalla stretta e girò la testa dall'altra parte. Non poteva prevedere se, in quella situazione, la sua anormalità fosse andata fuori controllo e avesse tolto più energia di quanto lei volesse a Kozue.
    «Lasciami! Sì, te li faccio vedere, ma stai lontana!»
    Kozue annuì, con faccia soddisfatta e aria docile. Troppo docile per non insospettire Kasumi. Ma era curiosa, Kasumi, di capire che tipa era quella ragazza così strana.
    Tirò fuori i dipinti e, uno dopo l'altro, li mise sul tavolo. Li riguardò, amorevolmente, e ricordò le circostanze in cui aveva dipinto ognuno di essi e i motivi che stavano dietro la loro composizione. Alcuni erano migliori di altri, di certi ne apprezzava l'idea di base, ma non la composizione, per altri invece era vero il contrario. Alcuni la convincevano del tutto, la maggior parte no, e di certi quasi si vergognava, ma anche in questi trovava qualcosa per cui valeva la pena averli composti. Verso i dipinti in particolare più vecchi, provava strane emozioni: in molti casi si meravigliava della sua immaturità e pensava che, a rifarli adesso, avrebbe cambiato questo o quel particolare, ma succedeva anche si fermasse ad ammirarli, incantata da composizioni, idee e dettagli che solo in quel momento riscopriva, e si chiedesse se nel presente sarebbe riuscita a replicare con successo qualcosa di simile.
    Nel complesso, rivedendoli davanti a sé, non poteva che sorridere e sentirsene orgogliosa. Non tutto era come voleva, avrebbe potuto fare di meglio, c'erano ancora molte idee che poteva rappresentare. Eppure, era soddisfatta di quanto aveva fatto.

    «Quindi questi sono i tuoi dipinti... devo dire che, a dispetto di quanto mi aspettassi... non sono un granché.»
    Il sorriso sul volto di Kasumi si congelò. La ragazza cercò di mantenere la calma. Non era certo la prima volta che una persona non apprezzava il suo lavoro e del resto non era mica obbligatorio farle complimenti. Eppure per qualche motivo le parole di quella ragazza la colpirono. Era il suo tono? Kozue aveva abbandonato quel suo esprimersi infantile (ma allora ora stato anche quello solo una finta o...?) e si era espresso in tono annoiato, deluso, ma non privo di un che di sferzante. Ma Kasumi aveva sopportato critiche anche peggiori, senza battere ciglio. Non era il suo tono, si rese conto Kasumi. Era che lei si era interessata a Kozue, ne era stata in qualche modo attratta dai suoi strani modi, pur provando allo stesso tempo antipatia e sospetto. Kozue non era il classico critico della domenica, magari uno studentello di cui a Kasumi non interessava nulla. Era una persona che istintivamente aveva considerato sua pari, e cosa si desidera da un pari se non lo stesso interesse e riconoscimento che si dà a lui? Per questo il disconoscimento dei suoi quadri da parte di Kozue le aveva fatto male.
    «Oh, scusa, sono forse stata troppo diretta?»
    Parlò di nuovo in tono cortese, falso e lezioso. Kasumi la odio per questo.
    «Mi spiace è che... non pensavo saresti rimasta così male.»
    «Non è un problema.»
    Disse a denti stretti.
    «Però voglio sapere perché.»
    «Perché? Ora mi stai sopravvalutando: sono una semplice studentesca, non una critica d'arte. La mia era solo un'impressione, come quando si vede una cosa e si dice istintivamente che è bella, oppure brutta. Non è che sappia dire...»
    «Ho capito, allora scusami. Se non mi sai dire altro, allora posso mettere a posto.»
    E detto così, si mise a rimettere i quadri dentro l'armadio. Kozue la guardava con un mezzo sorriso. Kasumi sapeva che lei aveva altro da dire, ma non aveva alcuna intenzione di pregarla di farlo.
    Quando ebbe riposto tutti i dipinti, Kasumi si rivolse a Kozue.
    «Visto che non ci sono più quadri da vedere, puoi anche andartene.»
    In risposta Kozue la guardò sempre con quel suo mezzo sorrisetto, ma Kasumi poteva vedere che era interdetta; di certo non si aspettava quella risposta. Alla fine Kozue alzò le spalle.
    «Ho capito. Allora vado.»
    Si diresse verso l'uscita, ma quando era alla porta, si girò di nuovo verso Kasumi.
    «Credo che... quello che non mi ha soddisfatto dei tuoi quadri, soprattutto dei più recenti, è la loro serenità. Quando ti ho visto ho pensato che fossi una persona graffiante, fuori dall'ordinario, che se ne frega di quanto gli altri desiderano. Invece, è tutta esteriorità. Dentro di te hai fatto pace con il mondo, ti sei accordata alle sue aspettative. Oppure hai davvero trovato la tua felicità. In questo caso sono davvero contenta per te, ma non posso che pensare a quanto sia... noioso.
    Se tu fossi rimasta una persona insoddisfatta, che non viene a patti con il mondo, allora sì che i tuoi quadri sarebbero stati interessanti.
    È davvero un peccato... cara Natsui.»

    Con quelle parole, Kozue se ne andò.
    Kasumi restò a lungo a fissare la porta, chiusa nei suoi pensieri.
     
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    Kasumi Natsui
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    Dopo un po' di tempo aveva ripreso a dipingere, ma aveva smesso quasi subito. Il quadro che stava ultimando – una tela che rappresentava lei che disegnava una tela, su cui a sua volta era dipinta lei che disegnava una tela, con ogni dipinto nel dipinto che proponeva però una prospettiva leggermente sfasata con le precedenti – ora le faceva quasi venire il voltastomaco, da quanto era retorico e fine a se stesso, un giochino di specchi senza sostanza.
    Capì che non poteva fingere di essere indifferente alle parole di Kozue: quella ragazza aveva scosso qualcosa in lei. Guardò di nuovo tutti i suoi quadri presenti al club, dal primo all'ultimo. Poi tornò di fretta a casa sua, salutando a malapena suo fratello e salendo subito nella sua camera. Lì tirò fuori tutti i quadri, disegni e fogli di taccuini in cui avesse anche solo abbozzato una figura, gettandoli sul pavimento e guardandoli.

    Osservando tutti quei disegni, alcuni di pochi giorni prima altri vecchi di anni, poté constatare che Kozue aveva ragione: Kasumi aveva perso qualcosa nel corso dell'ultimo anno. Non era che i suoi ultimi quadri fossero meno belli o meno riusciti, anzi, in quanto a disegno e tecniche erano migliori. Però, come aveva detto Kozue, erano meno graffianti. Si sarebbero potuti definire anche meno penetranti o meno inquietanti. I suoi dipinti più vecchi portavano con sé qualcosa che, se era spesso sgradevole o quantomeno straniante, dava loro una forte identità. Ma questo qualcosa, nel corso dell'ultimo anno, era declinato e si era attutito, anche se, a differenza di quanto Kozue aveva fatto intendere, non era svanito.
    Kasumi poteva essere critica verso di sé, ma in modo ragionato. Non era una di quelle persone che svilivano le proprie creazioni solo per spingere le altre persone a lodarle. Non era neppure una di quelle persone che si fanno influenzare troppo da quanto gli altri dicono. Quindi quella osservazione non era una sua fisima, né frutto della sola suggestione delle frasi di Kozue. Era qualcosa di reale, che aveva una sua base. E, ragionandoci, non fu difficile per Kasumi capire quale fosse.

    “Circa un anno fa. È da allora che i miei disegni si sono fatti meno penetranti. Un anno fa, quando ho cominciato a frequentare scuola e ad adeguarmi ai suoi ritmi. Ad adeguarmi al contatto con le altre persone che a lungo, a causa della mia anormalità, avevo tenuto lontano. Quindi è questa la ragione: venendo a contatto con la normalità scolastica, anch'io mi sono “normalizzata”. Ho smussato le asperità del mio carattere e mi sono addolcita. Certo, all'esterno potevo... posso sembrare la stessa, ma rispetto al passato sono cambiata. Questa... è una cosa buona?”
    Non sapeva darsi una risposta. Kozue aveva ipotizzato che avesse trovato la felicità, ma allo stesso tempo se ne era dimostrata annoiata. E Kasumi che giudizio poteva dare di se stessa?
    “Ho perso qualcosa venendo a patti con le altre persone? Forse si tratta di un percorso naturale, quello che si definisce “maturare”. Imparare a non guardare solo a se stessi, ma considerare anche gli altri. Se è così, è naturale che per una persona egoistica e infantile come Kozue sia una perdita. Ma al contrario, potrebbe essere un passo in avanti.

    Eppure, non riesco a non pensare che possa essere anche il contrario. Forse ho perso qualcosa di inestimabile, qualcosa che traspariva dai miei quadri, per adeguarmi alle aspettative degli altri. In questo caso altro che passo in avanti, avrei fatto un passo falso da cui non c'è ritorno. Avrei perso qualcosa che solo io possedevo per un qualcosa di così comune come “andare d'accordo con le altre persone”. Questa non è una perdita?”


    Si buttò a peso morto sul letto, i disegni ancora sparsi in giro. Chiuse gli occhi, ricordando le parole di Kozue. La ragazza si era sbagliata, almeno su un punto: Kasumi non era affatto una che se ne fregava degli altri, neanche in passato. Al contrario, era fin troppo consapevole delle altre persone, tanto consapevole da volersene isolare. Per non ferirli involontariamente con il suo Breath-Taker, aveva dovuto mantenersi lontana da loro, aveva dovuto mostrarsi feroce e maleducata, perché non si avvicinassero. Ma passando il tempo era riuscita a controllare meglio quel minus e aveva anche lei potuto avvicinarsi alle altre persone, poco a poco. Questo... era giusto?
    Mentre ancora ci rifletteva, i suoi pensieri presero a divagare staccati tra loro, finché non cadde addormentata. Anche allora non smise di rifletterci, proiettando i suoi quesiti sulla persona che forse poteva dargli una risposta. Nel sogno, ricordò l'ultimo incontro che aveva avuto, pochi giorni prima, con quella persona.
     
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    Nel sogno Kasumi ha il cellulare in mano e osserva il numero di chi la sta chiamando. Eppure anche prima di leggerne il nome, sa già di chi si tratta. È Haiiro.
    «Durante una seduta, sarebbe corretto chiudere il cellulare.»
    La voce fredda e impersonale di Soya distoglie la sua mente dal pensiero del fidanzato. Annuisce e mette via il cellulare, chiudendolo, per poi guardare di nuovo in faccia lo psicologo.
    «Dunque, come funziona? Come posso decifrare l'origine della mia anormalità?»
    «Il mio Revenant Ghost non riguarda le anormalità, ma i traumi del passato, le situazioni disagevoli che, invisibili a noi, continuano a tormentarci. Se la nascita della tua anormalità è connessa a queste situazioni, allora...»
    Si muove nella sedia, irritata.
    «Queste cose le so! Spiegami cosa devo fare!»
    Soya continua a guardarla coi suoi occhi freddi. Cosa si cela dietro quello sguardo? Impaurita, Kasumi si fa piccola nella sua sedia.
    «Il passato. Tu affronterai il passato da cui sei fuggita, le memorie che hai voluto dimenticare... non distogliere lo sguardo... non fuggire... non negarle, non stavolta...»

    E una nebbia l'avvolge e tutto svanisce, per ricomporsi in un diverso paesaggio. È bambina adesso, di forse sette anni, e sta giocando col fratello, Hiroshi, di otto. Non da soli: insieme a loro c'è un soldatino che si muove. Il primo giocattolo a cui Hiroshi ha dato vita. Il primo a morire: eccolo là, ora fermo e immobile. E Hiroshi gli dà di nuovo la vita, ma... non è più quello di prima. È strano, folle, non gioca più con loro, non sembra capire cosa lo circondi. Desidera la morte e Kasumi... Kasumi si avvicina a lui, lo prende in mano, e poi appone le sue labbra, di carne, sul volto di piombo del soldatino. Esaudisce il suo desiderio. E quello muore, di nuovo e per sempre.
    «È morto! L'ha ucciso!»
    «Tu lo hai ucciso! TU TU TU TU...»
    «Perché?! Perché l'hai fatto?!»

    Voci incorporee, provenienti da tutte le parti intorno a lei e da nessuna. Kasumi tenta di difendersi, dice che l'ha fatto per misericordia, che ha solo esaudito il suo desiderio. Ma le voci non la lasciano.
    «Mi hai mentito Kasumi. Credevo che fosse morto perché il suo tempo fosse finito... invece sei tu ad averlo ucciso!!»
    Hiroshi...
    «Kasumi, ma tu... sei davvero una persona simile...? Sei... un'assassina.»
    Haiiro...
    «Assassina, assassina! Kasumi è un'assassina!»
    Voci di bambini che cantano, intorno a lei, la scherniscono e la deridono. Dicono la verità. Kasumi si tappa le orecchie.
    «Non è vero! Non è così!!»
    «Invece è proprio così.»

    La Kasumi di adesso guarda la Kasumi bambina. E capisce quello che è successo.
    «È in quel momento che acquisii il “bacio della morte”, l'anormalità di dare la morta a chi lo desidera. Nacque per dare il riposo a chi lo desiderava, ma anche... per esaudire il mio desiderio di mettere fine a quella situazione, che per me e Hiroshi si era trasformata in un'agonia.»
    La Kasumi bambina la guarda e annuisce.
    «Ma come divenne un minus? Come si trasformò nel Breath-Taker che possiedo adesso?»

    Soya la fissa, soppesando le sue parole ed espressioni coi suoi occhi calcolatori. La nebbia è svanita, la visione del passato scomparsa.
    «La mente umana è interessante. E contorta. Segue una logica difficile da comprendere. Nella tua mente, tu hai negato l'esistenza del bacio della morte: ti sei detta che non eri stata tu ad averlo ucciso, che era solo finito il suo tempo... Allo stesso tempo, in un angolo della tua mente, eri consapevole che quell'anormalità esisteva, sapevi che era stata lei a uccidere il soldatino, ma non potevi accettarlo: l'hai voluto negare. Hai spinto lontano quel pensiero, ma in questo modo non hai potuto prendere consapevolezza della sua natura. Non hai potuto capire che quel potere era “misericordia”, per voi e per il giocattolo. Ti sei invece convinto che fosse una mostruosità, qualcosa di malvagio, di aggressivo e incontrollato. E poiché così te lo rappresentavi, così è diventato: un minus invece di un'anormalità, un potere malvagio invece di benevolo, aggressivo invece di misericordioso, incontrollato invece che al servizio di chi lo desiderasse. Così è nato il Breath-Taker attuale.»
    Pur nell'angoscia, Kasumi sorride, miserevolmente.
    «Un equivoco. Tutto un equivoco è alla base del mio Breath-Taker.»
    «Definirlo “equivoco” mi sembra riduttivo, ma, se per te va bene...»
    «Eppure non è tutto qui.»
    «Esatto. Riesci a dirmi perché?»
    «Mi sentivo in colpa per aver ucciso il soldatino. Non mi sentivo degna di stare con le altre persone, perché avevo fatto qualcosa che reputavo malvagio: volevo stare da sola, con le mie colpe. Volevo qualcosa che tenesse le altre persone lontane da me, perché il contatto con le altre persone, la loro felicità... non era qualcosa che io, che avevo ucciso, avessi il diritto di avere.
    Per questo nacque il Breath-Taker.»

    Soya sorride, un sorriso luminoso e caloroso, che Kasumi non si aspetterebbe da lui.
    «Bene, Kasumi. Hai compreso: per superare le difficoltà comprendere è il primo passo. Se hai capito che il Breath-Taker è nato da un “equivoco” e che non devi sentirti in colpa, allora...»
    «Posso andare avanti? Posso sentirmi meglio? Ma questo significherebbe perdere qualcosa, giusto? Quel sentimento di colpa che mi portava a tenere lontane le altre persone, dovrei gettarlo via? Anche se è una parte importante di me?»
    Soya la guarda, sorpresa, prima di trovare cosa replicare. A Kasumi la faccia dello psicologo, ora, fa quasi ridere. Svanita la sua apparente freddezza e acume, alla fine rimane solo la semplice faccia di un semplice essere umano.
    «Crescere significa perdere qualcosa. È inevitabile. Ma quello che devi perdere è un sentimento sbagliato e negativo per te, quindi...»
    «Non importa! Negativo o meno, sbagliato o meno, è me! Come posso gettarlo via! Sarebbe come cancellare me stessa!»
    «Cosa dici? Vuoi vivere per questo una vita d'inferno?! Kasumi, per il tuo bene...»
    «Il mio bene lo scelgo io! Bene e male, sono mie scelte, le ho entrambe dentro di me! E scelgo di tenere il Breath-Taker, la mia colpa e il mio male! »
    «Vuoi di nuovo tenere lontane le persone? Anche quelle a te care?»
    «NO! Il mio Breath-Taker, adesso, lo utilizzerò per me! Non contro chiunque, ma per tenere lontane le persone indesiderate! Utilizzerò la colpa che provo per afferrare la mia felicità, allontanando coloro che vogliono privarmi di ciò che mi è caro!»
    «Usare il tuo minus contro le persone che non desideri! Questo non farà che aumentare il tuo sentimento di colpevolezza...»
    Il viso di Soya cambia espressione, mentre capisce cosa la ragazza ha in mente. Tutta la sua foga di poco prima svanisce e l'espressione si fa di nuovo calma.
    «Capisco. È questo che vuoi. Ferire le persone ti fa sentire colpevole. Il sentirsi colpevole aumenta la forza del tuo minus. Di conseguenza, puoi ferire maggiormente le persone e sentirti ancora più colpevole. È un circolo continuo. Se è questo che vuoi, io non ti fermerò. Ma pensi di avere la forza per seguire un simile percorso?»
    «Se ce l'ho o meno, sta a me verificarlo. Tu... ormai sei tra gli indesiderati.»
    Il suo fiato si tinge di turchese e i suoi occhi scintillano, mentre il minus dentro di lei diventa più forte di quanto non sia mai stato. Incapace di reagire, e forse neppure intenzionato a farlo, Soya soccombe al suo respiro.
     
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    Kasumi Natsui
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    Kasumi si svegliò, sudata. Che razza di sogno aveva fatto? In generale aveva riprodotto quanto realmente successo al suo incontro con Soya, lo psicologo anormale che l'aveva aiutata a capire l'origine del suo minus. Ma diversi dettagli non combaciavano, ad esempio lei non si era mai ritratta nella sedia, impaurita da Soya. Inoltre nella realtà ci aveva messo molto più tempo per decifrare l'origine della sua anormalità rispetto a quanto mostrato dal sogno, confrontandosi più volte con i fantasmi del passato. Proprio da quel confronto era scaturito il Relieve Kiss, lo sviluppo della sua anormalità che le permetteva di concedere del riposo agli anormali oppressi dal loro potere.
    Ma se quella parte era diversa da quanto accaduto la successiva, con l'uso Breath-Taker e la minaccia rivolta a Soya, era fantasia pura. Non era avvenuto nulla di simile nella realtà. Però quello che lei, la lei del sogno aveva detto, riguardo al non volgerlo gettare via, nonostante fosse sbagliato... Non era simile a quanto aveva pensato riguardo ai suoi disegni?
    “Probabilmente nella mia mente ho legato le due cose, per questo ho fatto un sogno simile... Che rottura, adesso anche i sogni ci pensano a distrarmi.”
    Ma non aveva tempo per perdersi nei suoi pensieri. Quella sera doveva uscire a mangiare qualcosa con Haiiro e, guardando il cellulare, si accorse che era in ritardo. Dentro di sé maledisse di nuovo il sogno, responsabile anche del ritardo.
    Non aveva tempo per mettere a posto i disegni: svelta si tolse la divisa scolastica che ancora indossava e si mise su dei vestiti adatti per la serata. Si dette una veloce sistemata allo specchio e si pettinò i capelli, che il sonno scomposto aveva scompigliato. Guardandosi allo specchio notò come un qualcosa di strano, ma, di fretta com'era, lo prese solo per uno strano gioco di luce, oppure un qualche residuo di sogno che si era mischiato alla realtà. Senza attardarsi su, scese le scale pronta a uscire.
    «Hiroshi, io vado.»
    «Va bene Kasumi, a... dopo...?»
    Il tono incerto di Hiroshi insospettì Kasumi, che si girò a guardarlo con già un piede fuori dalla porta.
    «C'è qualcosa che non va? Per caso ho i capelli fuori posto?»
    «No, beh, i capelli ti stanno bene, solo che... hai il fiato di colore turchese e.... gli occhi verdi.»
    «Cosa?!»
    Tempo di gridarlo e Kasumi era già corsa davanti allo specchio. Era vero: i suoi occhi brillavano di un verde smeraldo e dalla sua bocca uscivano nuvolette di color turchese. Quando si era guardata la prima volta, aveva visto solo un debole luccichio che poteva essere scambiato per una fantasticheria, ma in quel momento il brillio che vedeva era innegabile. Senza capirci più nulla, Kasumi fissò imbambolata il suo riflesso.
    «Forse... hai esagerato con il trucco sugli occhi e hai mangiato troppe caramelle alla menta?»
    «Ma ti pare Hiroshi?!»
    «Scusa, era per sdrammatizzare.»
    Sdrammatizzare? Sdrammatizzare? C'era poco da sdrammatizzare, il suo potere era andato fuori controllo! E non la parte “buona” di esso, ma il minus! Come fare? Intanto, ricorse a una soluzione momentanea: usò il suo Relieve Kiss su di sé, dando un bacio alla sua stessa mano. Non sapeva se avrebbe avuto effetto, ma ebbe fortuna: il bagliore nei suoi occhi e i riflessi del suo respiro si attenuò, senza però spegnersi. Sembrava che, usato su se stessa, l'effetto del Relieve Kiss fosse più contenuto, visto che non era riuscito a sigillare del tutto il suo minus. Ma era già qualcosa.
    Si impose la calma. Se il suo minus era andato fuori controllo, c'era una causa. Ed era semplice capire a cosa fosse connesso: il dialogo con Kozue, le sue riflessioni e, infine, il sogno. Come porci rimedio, però, era più difficile da capire.
    “La cosa importante, è mantenere la calma.”
    Sapeva che le sue emozioni rendevano instabile il suo minus, prese quindi a fare profondi respiri per calmarsi. Dopo qualche respiro, la luce nei suoi occhi e nel suo fiato si spense. A quanto pare poteva controllarlo, ma doveva imparare anche a attivarlo a proprio piacere. Avrebbe dovuto scoprire anche le funzioni di quel potere, ma... sentiva di conoscerle già. Aumentava l'efficacia del suo Breath-Taker: non poteva essere altro, quel bagliore nel suo fiato e il sogno non mentivano.

    «Vedo che si è sistemato.»
    Kasumi vide nello specchio il riflesso di Hiroshi che, dal vano della porta della sua camera, la osservava.
    «Se si è sistemato... è troppo presto per dirlo. Ma almeno per il momento si è calmato.»
    «Quindi? Cosa intendi fare? Hai un appuntamento con Haiiro, pensi di andarci?»
    «Certo che ci vado. Mi basterà stare attenta. Tanto, anche se lo attivassi per sbaglio, non ucciderei mica qualcuno. E anche se il brillio del respiro e degli occhi può attirare attenzione, le persone normali non concluderanno mica che sia io ad aver causato qualche danno. Troppo inverosimile per loro»
    Notando lo sguardo sorpreso del fratello a quelle sue parole, più sorpreso ancora di quando l'aveva vista col respiro turchese, Kasumi sorrise.
    «Sei sorpreso. Non capita tutti i giorni di vedere un'espressione così aperta sul tuo volto. Non ti aspettavi questa uscita da parte della tua sorellina?»
    «Sorpreso... in effetti è così.»
    Hiroshi parlava lentamente, soppesando ogni parola che pronunciava.
    «Un tempo, non credo saresti mai uscita se ci fosse stato il rischio di ferire le altre persone. Un tempo, avresti preferito isolarti piuttosto. Stare lontana da tutti, troppo spaventata dal tuo stesso potere.»
    «Stai dicendo che ho imparato a “fregarmene” della gente? Che sono peggiorato invece di migliorare?»
    «Peggiorare o migliorare... non sta a me giudicare. Però sei cambiata.»
    «Cambiata eh? Me lo dicono in molti in questi giorni...»
    Non era proprio vero, a meno di considerare due persone “molti”. Ma era curioso che entrambi avessero detto che lei fosse cambiata, per due ragioni opposte. Per una aveva imparato a stare con la gente, per l'altro non si preoccupava più degli altri. Chi aveva ragione? In quel momento a Kasumi non interessava.
    “Io sono cambiata. Ho imparato a camminare tra la gente senza provare paura del mio stesso potere. Non sono più terrorizzata dall'idea di ferire gli altri, forse non mi interessa più. Sono cambiata, ho accettato il mio potere ma ho deciso di non lasciare la mia felicità per esso.
    Sono migliorata e sono andata avanti. Sono peggiorata e ho fatto un passo falso che porterà danno alle altre persone. Quale sia delle due, ora posso solo proseguire e vedere."

    Chiudendo la porta di casa dietro di sé, Kasumi si avviò verso il luogo dell'appuntamento con Haiiro. Era in ritardo, ma non affrettò il passo: sarebbe arrivata al suo ritmo. Tanto con Haiiro avrebbe trovato un modo per farsi perdonare del suo ritardo.


    Alcuni giorni dopo




    Kozue la vide, mentre camminava per i corridoi scolastici con delle sue amiche. Vide Kasumi e le rivolse un saluto e un sorriso. Kasumi non rispose e continuò a camminare dritta, oltrepassandola. Ma Kozue non smise di sorridere, perché l'aveva visto. Un piccolo seme nel petto di Kasumi, meno di un bocciolo, null'altro che un germe di una rosa che forse non sarebbe mai sbocciata. Ma c'era. Era la prova che il pensiero di Kozue e delle sue parole si era infilato nell'animo di Kasumi.
    Kozue sorrideva: era sicura che con Kasumi si sarebbe divertita.


    FINE

     
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