[Contest] A Christmas Carol: Preghiera di Natale

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    Kasumi Natsui
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    Suonata la campanella di fine lezione, Kasumi, la cartella già pronta, scattò in piedi e uscì dall'aula a veloci falciate. Con la stessa andatura, senza quasi rallentare neanche in mezzo alla calca degli studenti, uscì dall'edificio scolastico. Lì sospirò di sollievo: era quasi salva. Proprio in quel momento una voce dalle spalle la chiamò.
    «Scusa, tu sei Natsui del primo anno, giusto? Vorrei parlarti un attimo in privato...»
    Kasumi si girò, per osservare lo studente che l'aveva chiamata. Sorriso sicuro, piuttosto alto e curato d'aspetto. Di certo un bel tipo. Eppure osservandolo Kasumi non poté che sentirsi, ancora una volta, sconfortata.
    “Ci risiamo con un altro...”
    Visto che era uscita subito dopo il suono della campanella, quel ragazzo doveva averla aspettata fuori dalla scuola. Forse era uscito di classe prima della fine delle lezioni con la scusa di dover andare in bagno, oppure di star male.
    Kasumi si fece forza e fece un sorriso tirato. Forse poteva ancora scamparla con le buone.
    «Esatto sono io. Scusa, ma sono di fretta e devo proprio scappare...»
    «Sarò brevissimo, non ti preoccupare! Ecco, noi non ci siamo mai sentiti, ma ti volevo chiedere se...»
    “Come volevasi dimostrare: con le buone non si ottiene mai nulla.”
    «Scusami, hai forse problemi di udito? Ti ho detto che non ho tempo. Neanche un secondo. Non se si tratta di sprecarlo a parlare con un tipo come te. Ora ti è più chiaro il discorso?»
    Sfogando ora un'espressione altezzosa, Kasumi fissò il ragazzo: il sorriso sicuro di quello si era andato disfacendo man mano che lei parlava. Il ragazzo aprì e chiuse la bocca qualche volta, mormorando spezzoni di frasi e parole che non sembravano dotate del minimo senso logico. Kasumi si disse che era abbastanza.
    «Se hai capito, lasciami stare.»
    Con quelle glaciali parole, Kasumi si girò e prese ad andarsene.
    Fatti tre passi, le parole del ragazzo, urlate e affrettate dall'imbarazzo, la raggiunsero.
    «Natsui! VuoiuscireconmeaNatale?!»
    Kasumi levò gli occhi al cielo.
    “Un altro...!”

    ***



    A Hiroshi non servì alzare gli occhi per sapere che sua sorella Kasumi era tornata da scuola, né per capire quale fosse il suo stato d'animo. Lo sbattere forte della porta e i suoi passi che affrettati e pesanti percuotevano le scale erano abbastanza per capirlo.
    Finito di servire i clienti, Hiroshi si decise a fare una veloce visita alla sorella. Senza grosse sorprese, la trovo lungo distesa sopra il letto, la faccia riversa su un cuscino.
    «Fammi indovinare, è successo di nuovo.»
    Il cuscino tremò a seguito del cenno d'assenso di Kasumi.
    «Qualcuno ti ha chiesto di uscire insieme a lui per Natale.»
    Un altro tremolio, un altro cenno di assenso.
    «Lo sai, la maggior parte delle ragazze della tua età ne sarebbero contente...»
    «Le altre ragazze non rischiano di uccidere il ragazzo con cui escono semplicemente respirando la stessa aria.»
    Vero anche quello. La sua sorellina non era stata certo fortunata per la sua anormalità.
    «Ma perché... Perché i ragazzi chiedono di uscire con me?»
    Per fargli quella domanda, Kasumi si era sollevata dal letto, mettendosi seduta e fissandolo. Gli occhi di Kasumi davano il senso della sua stanchezza, ma non erano rossi, non aveva pianto. Hiroshi si chiese se fosse un bene: forse sfogarsi con un pianto liberatorio l'avrebbe aiutata.
    «Voglio dire, li prendo a male parole, li respingo in modo brusco, faccio di tutto perché stiano lontani da me... e invece continuano a venire e a dichiararsi. Vengono da me, pur sapendo che li respingerò, e non badano ad altre ragazze che uscirebbero volentieri con loro. Perché?»
    Ah, povera la sua sorella. Kasumi aveva ricevuto – dalla natura o dal cielo Hiroshi non lo sapeva – una bellezza mozzafiato e un'anormalità da perfetta femme fatale. Eppure il suo carattere era ben lontano da quello stereotipo: lei non voleva ferire nessuno e per questo teneva tutti a distanza, perché non cadessero preda del suo Breath-Taker. Per questo si mostrava con tutti sarcastica e beffarda, crudele e talvolta altezzosa. Perché non si avvicinassero a lei. Era una tattica che funzionava per tutto l'anno, ma non per Natale: in quel periodo molti ragazzi la puntavano, desiderando uscire con lei che pareva tanto intoccabile. E Kasumi, anche se fuori non lo mostrava, soffriva di quelle richieste, perché anche lei come le altre ragazze della sua età avrebbe voluto uscire e divertirsi con gli altri. Quelle richieste le facevano balenare di fronte agli occhi la possibilità di una vita diversa, passata insieme a ragazzi della sua età, solo per doverla rifiutare.
    «Chissà, forse è il fascino delle tsundere. Magari, se tu ti mostrassi più aperta durante il resto dell'anno...»
    «Non posso! Chissà cosa potrebbe succedere se facessi così...»
    Hiroshi sospirò. Era proprio una situazione difficile. Anche se Kasumi era riuscita a controllare il suo minus, almeno a livello di contatti quotidiani, continuava a essere spaventata da esso. Il fatto che l'unico ragazzo verso cui un tempo si era aperta, almeno in parte, fosse fuggito lontano da loro di certo non aiutava.
    « Ah, se il Natale qui in Giappone fosse come tra i cristiani... Invece di dover uscire insieme al proprio ragazzo, o aspirante tale, ci ritroveremmo in famiglia, a festeggiare insieme a genitori e famigliari e a scambiarsi regali, mangiando un bel pranzo tra parenti...»
    Hiroshi si fermò, ripensando alla loro situazione famigliare: fuggiti di casa a otto e nove anni, non avevano più visto i loro genitori, da tempo non avevano contatti con gli altri parenti e il numero di persone maggiore che avevano raggiunto durante i loro pasti, fosse Natale, Capodanno o altro, era di tre persone.
    «Beh, forse nel nostro caso sarebbe altrettanto deprimenti...»
    «Tu sì che sai tirare le persone su di morale.»
    «Di morale non so, ma visto che prima ti ho fatto alzare, almeno sono in grado di tirarle su dal letto...»
    Hiroshi diede una fugace occhiata verso la porta. Aveva preso fin troppo tempo.
    «Senti, ora devo scendere al locale. Se vuoi qualcuno con cui parlare, vieni pure da me. Parlare è una delle poche cose che posso fare.»
    «Hiroshi... non puoi proprio farmi lavorare per Natale insieme a te?»
    «Mi spiace, mi sono già messo d'accordo in altro modo col titolare... dovrai trovare un altro modo di passare il Natale.»
    E così scese. Kasumi rimase a guardarlo, per poi mormorare tra sé: «Fosse facile...»

    ***



    Non era facile, poteva sembrarlo ma non era. Non per Kasumi almeno. Uscire con un ragazzo era fuori discussione, nonostante le molti confessioni avute. Altrettanto impossibile era lavorare al locale, Hiroshi era stato molto chiaro, come era raramente. Uscire con le amiche? A causa della sua insicurezza riguardo al controllo del proprio potere, Kasumi non aveva delle vere e proprie amiche. Inoltre le molte confessioni dei ragazzi avevano scatenato l'invidia e l'antipatia di molte sue compagne (come se l'avesse chiesto lei, di ricevere tutte quelle confessioni!). Avrebbe potuto rimanere semplicemente in casa, ma per lei sarebbe stata una sconfitta.
    Non poteva lavorare al locale, non poteva uscire insieme a un ragazzo, non poteva uscire insieme alle amici, non voleva stare in casa. Dunque cosa fare?
    Ci pensò in diverse occasioni, ma alla fine, senza che avesse preso una decisione, arrivò il giorno di Natale.

    ***



    Luci, addobbi, decorazioni, code di fronte al KFC. Questo era il Natale che Kasumi aveva di fronte mentre camminava per le vie della città. E, più di tutto, gente festosa che passeggiava. Famiglie, amici, coppiette. Bambini, adulti, ragazzi. Ragazzi della sua età, che uscivano insieme. Comitive di amiche, gruppi misti, coppie di fidanzati. Felici, imbarazzati, litiganti, ma insieme. E lei, sola. Era stata una sua scelta, lo sapeva. Avrebbe potuto accettare uno dei molti inviti. Avrebbe potuto essere più aperta verso le sue compagne. Al limite, avrebbe potuto rimanere in casa quel giorno. E invece no. Per qualche impulso masochista aveva voluto uscire. Mescolarsi alla folla, camminare con tutti. Ma anche se stava in mezzo alla gente, rimaneva isolata e sola. Anzi, proprio perché era in mezzo alla gente poteva sentire in modo così accentuato la sua solitudine, la sua distanza. Anche se solo venti, forse dieci, centimetri la dividevano dalle altre persone, lei era lontana lo stesso. Perché non poteva far parte di loro, neanche se non lo voleva. Perché lei non era come loro. Era un'esistenza dannosa, che doveva essere tenuta separata dalle altre persone. E visto che nessuno la separava, era lei stessa a starsene in disparte. Perché se si fosse avvicinata, se si fosse aggregata agli altri, li avrebbe feriti e non voleva. E allora stava in disparte. Stava lontana. Stava sola.

    «Kasumi?
    Sì, sì, sei proprio tu...»

    A chiamarla era stata, ancora una volta alle sue spalle, uno dei ragazzi che si era confessato a lei. Ma non era solo: a suo fianco stava una ragazza, a cui cingeva il fianco.
    Kasumi li fissò, insicura su quale espressione fare e come reagire.
    «Oh... buonasera. Vedo che vi state divertendo. Insieme.»
    «Già...» Il ragazzo strinse più vicino a sé la ragazza, che guardava Kasumi con espressione astiosa.
    «Sai, qualcuno mi ha rifiutato e quindi...»
    «E quindi cosa?! Hai chiesto a me?!»

    Per la prima volta, la ragazza parlò, allontanandosi dal ragazzo e togliendo il suo braccio dal fianco. Comprensibilmente non aveva apprezzato di essere designata come seconda scelta.
    «Non volevo dire...»
    «Quanto a te, Kasumi, com'è che sei tutta sola? Nessun ragazzo alla tua altezza, immagino? Che peccato, aver ricevuto tante richieste e poi essere qui tutta sola...»

    Provando un odio terribile verso quella ragazza, Kasumi sforzò la sua bocca a distendersi.
    «Proprio così. “Meglio soli che male accompagnati” no? E se parliamo di tristezza, trovo molto peggiore voler uscire per forza con qualcuno, tanto da accettare di essere una “seconda scelta”.»
    Il viso della ragazza si fece più cupo, ma cosa gliene fregava a Kasumi? Quella lì non sapeva cosa significasse avere un'anormalità che poteva ferire le altre persone, non sapeva cosa volesse dire dover stare lontana dalle altre persone, non sapeva come ci si sentisse a doversi isolare. Non sapeva quanto volesse essere lì al suo posto. Quanto avrebbe voluto essere una seconda o terza scelta, piuttosto che quello che era.
    «Andiamocene. Non perdiamo tempo con lei.»
    In silenzio, indossando un sorriso sottile, Kasumi fissò la coppia allontanarsi. Solo quando fu uscita dal suo campo di vista, si giro e corse via.

    Luci sfocate, addobbi? Rosso di un babbo natale o di un abito da sera femminile, gente raggrumata, maschi femmine adulti ragazzi mischiati tra loro, sagome sfocate, indistinguibile agli occhi di Kasumi coperti da lacrime. Massa confusa, impossibile da comprendere. Solo una certezza: lei non era parte di loro. Correva, ma non c'era fine, loro la circondavano, non finivano mai. Uno scontro, non si fermava, proseguiva. Gli occhi rossi, il respiro affannato e dannoso. Non si fermava, non poteva. Il suo respiro era fuori controllo, il suo Breath-Taker scatenato. Correva perché non voleva ferire nessuno, correva per sopprimere il desiderio di fermarsi e ferire tutti. Li odiava, tutti. Loro che potevano uscire, stare con gli amici e gli amati, divertirsi insieme. Loro che non temevano se stessi. Lei non poteva, la sua esistenza era come una scheggia di vetro che feriva chi la toccava. Così pericolosa, così acuminata, così fragile. Erano così fortunati, loro, e non lo sapevano. Era così sofferente, lei, e loro non lo sapevano. Non capivano il suo dolore e la disprezzavano per il suo atteggiamento. Perché? Che colpa ne aveva lei?
    Fuggiva via, dal rumore, dalle luci, dalle feste, dalla gente. Fuggiva via dalla socialità e dalla felicità. Perché non erano per lei. Per lei era il silenzio, l'oscurità, la tristezza e la solitudine.
    Uscire per Natale, ma chi aveva voluto prendere in giro? Gli altri o se stessa? Sarebbe stato meglio rimanere chiusi in casa. Non c'era niente per lei nel Natale. Non c'era nessuno che potesse accompagnarla. Non le altre persone felici che non capivano la sua sofferenza, non il suo fratello fin troppo equilibrato e rassegnato. Oppure lui, quel ragazzo debole e problematico che era vissuto con lei e Hiroshi per un certo periodo? Lui era scappato, non sarebbe tornato. No, non c'era nessuno in quel Natale a sostenerla. Non una famiglia, non degli amici, non un amato. E non ci sarebbe mai stato. Il suo Breath-Taker sarebbe sempre rimasto lì, a isolarla da tutti. Lei era sola e non poteva avanzare, non poteva migliorare. Poteva solo abituarsi a quella situazione.

    Alzò gli occhi verso il cielo. Anche se in Giappone veniva celebrato come festa mondana, sapeva che il Natale aveva una valenza religiosa per i cristiani. E dunque innalzò una preghiera al dio cristiano e al suo figlio.
    “Prego, prego Dio che indurisca il mio cuore e lo renda irremovibile. Perché non sia turbato dalle emozioni, perché non vacilli di fronte agli altri.”
    Pregò, ma quanto valore poteva dare a quella preghiera, fatta a un dio straniero che non conosceva e in cui non sentiva di credere? Kasumi poteva in un momento di sconforto rivolgersi a una divinità, ma quello in cui lei credeva era l'agire umano. Per questo, inghiottite le lacrime, tornò indietro. Tornò tra il rumore, tra la luce, tra la festa e tra la gente. Lei sola, in mezzo alla gente festosa. Per abituarsi alla solitudine, per diventare insensibile e indurire il suo cuore. Perché il calore del Natale non era destinato a lei e non lo sarebbe mai stato. E allora meglio imparare a non sentire nulla.
    Nelle luci del Natale, nel chiacchierio della folla, nell'allegria della gente, Kasumi avanzava solitaria fendendo il mare di persone felici.
     
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