[CONCLUSA] Buona la seconda... forse

Narrazione privata.

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    Quella stessa sera, in tutt'altra zona della città, andò in scena una breve vicenda molto più leggera ma che merita comunque di essere raccontata per l'importanza che avrà negli sviluppi futuri. Si consumò nella camera da letto di una piccola casa dove stava dormendo un ragazzo noto come Zwain, il suo vero nome era Jan ma da un po' di tempo si era abituato ad essere chiamato con il soprannome.
    Stava riposando molto bene, sognava anche qualcosa di piacevole, cosa che non era proprio comune nonostante la sua capacità speciale, quando fu svegliato in malo modo da un improvviso schiaffo sulla guancia. Aprì gli occhi nel buio della sua stanza e li richiuse immediatamente, avendo intravisto la sconcertante scena di Nora cavalcioni su di lui. Sua sorella in una posizione cosi poco conveniente ed equivoca? Non poteva che essere brutto sogno e Jan non era tipo da partecipare ai brutti sogni: non appena si rendeva conto di essere in un incubo si gettava a terra e cercava di dormire per protesta. Essersi ritrovato già coricato, per di più in un letto, era un gran vantaggio. Ma un secondo schiaffo lo svegliò di nuovo. Il ragazzo non riusciva a capire cosa stesse succedendo, se non era un incubo allora perché era entrata nella sua stanza di notte? Che cosa voleva da lui? Si ricordò di una serie di brevi romanzi di cui aveva sentito parlare e gli venne da sentirsi male, di certo non avrebbe retto mentalmente se si fosse ritrovato a dover avere una storia con la propria sorella. Non era lui quello a cui accadevano certe cose e che rispondeva anche bene, quello con il complesso per la sorella e che aveva tre sorelle con il complesso del fratello era un altro.
    Fece ancora finta di nulla, erano solo due schiaffi che non gli avevano nemmeno fatto male, ma il terzo gli sembro eccessivo: Spalancò gli occhi con spirito combattivo, pronto a vincere la guerra che gli era stata dichiarata con un singolo ceffone, ma Nora gli bloccò la mano e gliene assestò un quarto, questa volta un rovescio

    « Ma si può sapere cosa vuoi da me? »

    Le domandò in fine, con tutti quegli schiaffi la guancia aveva iniziato a fargli male e non ne poteva più.

    « Tu sei mio fratello, No? È naturale che voglia parlarti, giusto? »

    « Ma sono le tre di notte! »

    Protestò, se tutto ciò che voleva era parlare avrebbe potuto aspettare fino alla mattina, senza andare a svegliarlo in un modo così brusco ed aggressivo. Però Nora sembrò molto infastidita, aveva cercato a lungo il coraggio per andare a parlargli e quando lo aveva finalmente trovato lui si sottraeva. Fortunatamente Jan si rese conto della frustrazione e della rabbia crescenti della sorella e, rassegnato, si arrese.

    « Che cosa mi vuoi dire? »

    Nora trattenne un insolito entusiasmo per l’apertura del fratello, ma restava il problema di come dirglielo.

    « Ormai ho 17 anni, no? Inizio ad essere grande. »

    Per come era iniziato il discorso non sarebbe piaciuto a Jan, per il momento però avrebbe ascoltato senza dire nulla.

    « Penso di avere la giusta età per iniziare a guardarmi intorno, conoscere altra gente, fare nuove esperienze. »

    « Vuoi qualcosa? »

    Fece Jan spazientito, aveva sonno e stare sveglio era faticoso.

    « Si… voglio un ragazzo. »

    Jan accese la lampada sul comodino per vedere sul volto della sorella se fosse seria, La stanchezza gli era passata del tutto e la fissava incredulo. Però sembrava dire sul serio. Si mise seduto nel letto, costringendo Nora a sedersi in fondo ad esso, e le poggiò una mano sulla fronte, notando con un po' di dispiacere che non aveva la febbre.

    « Vorresti un ragazzo. »

    Ripeté il giovane per confermare che avesse capito bene, aveva la fronte tanto corrugata per la preoccupazione da sembrare più vecchio di almeno dieci anni.

    « Se ti compro una torta? »

    Le chiese incredibilmente, senza fare alcuna resistenza verso il quinto ceffone di serata, questa volta realmente meritato. Fece un gran sospiro per affogare sul nascere i desideri di uscire per strada e prendersela con il primo che vedeva, quindi fece la domanda seria.

    « Hai già qualcuno in mente? »

    Nora sorrise vispa, era a quel punto che voleva arrivare.

    « Si, ma avrò bisogno del tuo aiuto. »


    Edited by CellO_o - 1/5/2017, 21:27
     
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    Dopo una notte di confidenze e consultazioni tra fratello e sorella dei Van Jansen, la mattina giunse ed iniziò, come quella precedente, con un giovane che sbadigliava e che interiormente inveiva contro il Sole, reo di non concedergli più tempo per dormire, ostinandosi a sorgere troppo tardi, rendendo la notte troppo lunga. Erano due giorni che saltava la scuola ed in entrambe le occasioni il merito era di Jan: lo aveva chiamato nello stesso momento in cui era rientrato nella stanza del dormitorio dicendogli che aveva di nuovo bisogno di lui e che era molto importante. Come poteva dirgli di no? Quindi, seguendo la raccomandazione di Jan di vestirsi bene e l’indicazione di attenderlo in centro, il nostro Tatsuya aspettava all’inizio del corso, poggiato contro un muro, tutt’altro che preoccupato che la sua giacca beige potesse sporcarsi. Si tolse gli occhiali con le lenti finte e le mise via pensando che, per quanto era assonato, avrebbe avuto bisogno di stropicciarsi gli occhi di frequente e quelli sarebbero stati d’intralcio. Rialzò lo sguardo mentre gli passava davanti una ragazza, della quale vide solo i lunghi codini corvini ma tanto gli bastò per farlo sobbalzare dalla sorpresa. D’un tratto non aveva più sonno: non poteva essere lei, però aveva passato quasi tutto il giorno precedente seguendola non vedendo altro che i suoi capelli e la sua schiena, era difficile che si sbagliasse.

    « Nora? »

    Chiamò con voce un po' incerta, sia perché voleva comunque lasciare un margine di dubbio, sia perché non voleva dare cattive impressioni dimostrandosi capace di riconoscerla facilmente solo guardandola da dietro.
    Sentendosi chiamare così all'improvviso, la ragazza sobbalzò per lo spavento e si irrigidì, girandosi lentamente mostrò il suo mezzo sorriso di sorpresa mista ad imbarazzo, come se fosse appena stata colta a fare qualcosa di compromettente e non sapesse come uscirne salvando le apparenze.

    « Ah! Sei tu. Ta...Tatsuya. Che sorpresa. »

    Nora ridacchiò nervosamente, un comportamento decisamente sospetto e che passò completamente inosservato agli occhi del ragazzo, troppo preso dal bearsi della figura di quella ragazza e concentrato a non farsi sorprendere a guardarle le gambe – lasciate scoperte dalla gonna corta – o la modesta scollatura – le preferite di Tatsuya perché lasciavano ampio spazio all'immaginazione evitando di spiattellare tutto, volgarmente, in faccia – ma anche il focalizzarsi sui sottili occhiali rossi non lo lasciava affatto indifferente e tranquillo, le stavano troppo bene tanto da sembrare ancora più carina. Alla fine parlò – perché doveva pur dire qualcosa – senza pensare a quel che diceva.

    « Si, se mi stavi cercando mi hai trovato. »

    Momento di silenzio ed imbarazzo: lei lo stava realmente cercando, mentre passava non lo aveva visto lì appoggiato contro il muro e stava iniziando ad agitarsi, a temere che le avesse dato buca, o meglio che avesse dato buca al fratello dato che lui non aveva idea che era stato tutto organizzato da lei. Aveva simulato tutto nella sua mente, dal momento dell'incontro “casuale” fino alla scena di addio, ma l'essere stata sorpresa alle spalle le aveva fatto dimenticare tutto e si ritrovava a dover improvvisare. Ovviamente Tatsuya, che si ostinava ad avere quel suo codice di onore per limitare l'utilizzo della One Heart, l'abilità che gli permetteva di conoscere tutto delle persone, quindi anche i loro pensieri, non sapeva niente di quel che stava passando per la testa di Nora.
    Anche se dentro era agitatissima, sentiva di doversi calmare, riprendere il controllo e provare ad imporsi per non rischiare di essere di nuovo messa a dura prova da una frase così accidentalmente attinente ed insinuante di Tatsuya.

    « Cercarti? Perché dovrei? Non dirmi che ti sei affezionato. »

    Si rese immediatamente conto che era stata più antipatica e burbera di quanto avrebbe voluto e temette la reazione di Tatsuya, non lo conosceva così bene e magari una risposta come quella poteva non andargli proprio molto a genio e fargli decidere di abbandonarla lì. Tuttavia lui non la prese male, l'aggressività sembrò rimbalzargli contro dato che sbadigliò due volte prima di riuscire a ritrovare le parole.

    « Credo. La scorsa notte ti ho pensato. Mi sa che hai catturato un po' del mio interesse. »

    Questa volta fu il turno di Tatsuya per interrogarsi su come avrebbe preso delle parole che, nelle intenzioni, dovevano essere simpatiche ma con un po' di arroganza, ma che in pratica sembrarono quasi una timida, impacciata, inadeguata, mezza dichiarazione accidentale, oserei dire freudiana. O forse era solo un eccessivo pensare.
    Nora si guardò intorno quasi in cerca d'aiuto, quindi si girò rapidamente, dandogli le spalle per non farsi vedere mentre lottava contro il sorriso di gioia che cercava di far capolino. Magari non sarebbe scappato tanto facilmente.

    « Sto cercando mio fratello, mi ha detto di vederci qui. »

    Gli disse dandogli ancora le spalle. Tatsuya non poté fare altro che confessare di essere stato anche lui chiamato lì da Jan e che era assolutamente in ritardo, cosa tutt'altro che da lui. Ipotizzò che forse li aveva chiamati lì solo per fargli uno scherzo e che non si sarebbe presentato affatto. Nora si illuminò per un attimo: quello era esattamente l'appiglio di cui aveva bisogno per mettere in atto un nuovo piano e far filare le cose come più o meno voleva.

    « Che seccatura » - sbuffò in modo molto convincente - « Ma io non me vado così. Oh no, proprio per nulla. Mi ha promesso una giornata di shopping e l'avrò e tu mi farai da perfetto cavaliere, interessandoti sinceramente ai miei acquisti, portandomi la roba, comprandomi qualcosa di bello ed offrendomi il pranzo. E niente obiezioni! »

    Tatsuya aggrottò la fronte: in pratica aveva organizzato un appuntamento all'ultimo istante e glielo stava imponendo, proprio come sentiva di potersi aspettare da lei. Non c'era nulla di strano, quindi, e dato che ormai era fuori tanto valeva assecondarla.

    « Va bene. »

    Va bene. Accettò così, senza obiezioni, per la gioia della ragazza che tornava di nuovo all'attacco.

    « Dimmi quanto hai che così faccio un piano di spesa. »

    Tatsuya prese il portafogli e contò.

    « Circa duecentomila yen. »

    « Proprio come immaginavo » - iniziò Nora fingendosi spazientita - « Sapevo che non si poteva contare su... »

    Smise di recitare secondo il copione che si era appena scritta mentalmente nel momento stesso in cui si rese conto di quale cifra avesse appena sentito, strabuzzando gli occhi. Era una cifra assurda, chi mai poteva uscire di casa così casualmente portandosi dietro tutti quei soldi?

    « Come fai ad avere una cifra simile?!? »

    « Ti interessa davvero saperlo? »

    Il sorriso sinistro di Tatsuya, compiaciuto ed intrigato come se qualcuno gli avesse appena chiesto di un segreto inconfessabile e pericoloso, scosse con un brivido la schiena della ragazza, che per un momento valutò la possibilità di essere lei a tirarsi indietro, ma non ne ebbe il tempo.

    « Va bene, vedrai il mio segreto. »

    Se la portò via quasi contro la sua volontà, dando inizio al loro primo appuntamento, evento che la ragazza non avrebbe mai dimenticato.
     
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    « La lotteria? »

    La voce di Nora comunicava perfettamente tutta la sua delusione. Pensava di essere sul punto di apprendere qualcosa di proibito ed inaccessibile, con tutto quel che aveva sentito da Jan le erano bastate poche parole misteriose per avere delle aspettative altissime, quasi aveva avuto paura di conoscere quel qualcosa, ed invece il grande segreto per cui Tatsuya aveva duecentomila yen con sé era un biglietto della lotteria acquistato ad una biglietteria automatica all'angolo della strada.

    « Non è della lotteria, è un gratta e vinci. » La corresse con ben poco tatto.

    Ma ai suoi occhi la sostanza non cambiava e si faceva largo il sospetto che si fosse interessata ad un tipo che aveva, forse, vinto una volta a quei giochi e credeva di potersi fare i soldi in quel modo, in pratica uno scemo. Questo sospetto era anche più forte di quello che si stesse prendendo gioco di lei. Tatsuya, però, non sembrava turbato dall'espressione della ragazza, aveva messo in conto lo scetticismo, anzi era proprio ciò in cui sperava. Prese un biglietto, una moneta, grattò via un po' di polvere argentata e lo mostrò a Nora.

    « Die...diecimila yen!?! »

    Quel maledetto aveva vinto davvero. Era un caso, non dimostrava nulla, gli era capitato di vincere proprio in quel momento, aveva avuto solo una sfortuna sfacciata e stava cercando di impressionarla con quella, non era un merito o una abilità era solo fortuna. Però, anche ragionando con tutto lo scetticismo possibile, Nora non riusciva a credere che fosse successo davvero. Ma era capitato.
    Gli porse l'altro biglietto in silenzio, invitandolo così a provarci di nuovo.

    « Ce...ce...CENTOMILA! »

    Aveva vinto un'altra volta, per di più una somma dieci volte maggiore. Tralasciando le cifre, quello che si era verificato non aveva alcun senso. Quante erano le probabilità di vincere per due volte di seguito comprando solo due biglietti? Praticamente erano nulle, troppo basse per poter anche solo essere prese in considerazione.

    « Mi stai imbrogliando! Sono biglietti finti! »

    « Ma se li abbiamo comprati insieme al distributore. »

    La debole opposizione di Nora, l'unica insinuazione che le era venuta in mente, crollò miseramente sotto i colpi una semplice osservazione: era lei stessa la garante della regolarità. Tatsuya rise vedendo come si stava scervellando per cercare una qualche spiegazione ad un evento che metteva in crisi la teoria dei giochi e tutta la matematica statistica e probabilistica.

    « Non ha senso cercare una spiegazione, con me le probabilità semplicemente non hanno significato. »

    Nelle sue intenzioni voleva sembrare misterioso, anche un po' affascinante a dirla tutta, purtroppo ottenne solo la diffidenza della ragazza. Eppure una vincita simile avrebbe dovuto impressionare in positivo e non in negativo.

    « Hai dei dadi? »

    Stava cercando un modo per recuperare e far passare un po' in secondo piano quella poco apprezzata fortuna e quella fu la prima cosa che gli venne in mente: un lancio di dadi.
    Non che si aspettasse davvero che lei li avesse, era più un modo per prendere tempo e riflettere, tuttavia Nora aveva davvero con sé una scatolina con sei dadi a sei facce.

    « Giri sempre con i dadi? »

    Questa volta era il suo turno di essere diffidente.

    « Che? Prima li vuoi e poi mi chiedi perché li ho? Ma guarda te se invece di essere contento... »

    « Va bene, va bene. Cerchiamoci un tavolo. »

    Mentre cercavano un posto per sedersi, Nora tirò un sospiro di sollievo, sentiva di essere stata brava a rispondere in quel modo, chiudendogli ogni possibilità di indagare oltre. Non era un caso che avesse con sé dei dadi, era stato Jan a consigliarle di portarli perché sarebbero potuti tornare utili, pur senza specificare a cosa sarebbero serviti.
    Essendo entrambi ancora a stomaco vuoto, scelsero un locale dove poter fare una colazione dolce, assicurandosi che avesse i tavolini all'esterno per potersi accomodare e non dare molto fastidio con i loro giochi. Ci fu un attimo in cui si scambiarono uno sguardo di curiosità quando si ritrovarono ad ordinare, parlando contemporaneamente con le voci che si univano, un bombolone al cioccolato ben zuccherato ed un succo di mirtilli. Sembravano avere dei gusti piuttosto simili, almeno per quel che riguarda la colazione. Ma ciò che sorprendeva di più era la scelta dei termini, avevano pronunciato esattamente la stessa frase e con gli stessi tempi, un evento che intrigava particolarmente Tatsuya: con il suo potere poteva pronunciare insieme ad un'altra persona una qualunque frase con perfetta sincronia, con il collegamento mentale Muzet era in grado di fare lo stesso con lui, ma quella era in assoluto la prima volta che aveva la sensazione che qualcuno gli fosse entrato nella mente per leggergli le intenzioni. Non stava usando la One Heart ma si sentiva come se l'avesse appena subita. Nora era la sorella di Jan, non sarebbe stato troppo strano che avesse anche lei un potere basato sull'entrare nella mente altrui, eppure era comunque stupefacente.
    Con questi pensieri in testa Tatsuya rimase in silenzio per alcuni minuti, duranti i quali si era seduto ad un tavolino con Nora ed aveva iniziato a mangiare il suo bombolone senza rendersene conto. La ragazza si accorse della sua assenza ed ebbe paura che si stesse annoiando, che forse con gradisse stare lì con lei, che lo infastidisse. Una paura che le dava un gran fastidio e la faceva innervosire, se erano lì insieme Tatsuya doveva prestarle attenzione a prescindere.

    « Allora, con questi dadi? Te li tiro in faccia? »

    Tatsuya trasalì, sorpreso dal tono infastidito della bella mora.

    « Ehm... no... mi faresti male. Voglio dire...lanciali sul tavolo e vediamo il punteggio. »

    « Vediamo chi fa più punti? »

    « S-si...più o meno. »

    « Quindi giochiamo a dadi. Logico. »

    Il ragazzo non riuscì a decifrare il senso di quell'ultima frase, iniziava a pentirsi di essersi dato quelle regole così rigide per regolare la lettura dell'anima, ma infondo era anche più divertente così.
    Con sei dadi il punteggio totalizzabile era compreso tra i sei ed i trentasei punti, entrambi i risultati richiedevano delle caratteristiche anormali, uno per la fortuna ed uno per la sfortuna ma sempre anormali. Nora posò il suo dolce e lanciò i dadi per prima ottenendo il davvero notevole risultato di tre 6 due 5 ed un 4.

    « Trentadue! Non ho mai fatto così tanti punti. »

    All'improvviso la ragazza sembrò divertirsi un mondo, cambiava stato d'animo ad una velocità davvero singolare. Tatsuya fece più caso al risultato del lancio piuttosto che al punteggio o al probabile bipolarismo. Se non avesse aggiunto che quella era la prima volta che faceva un punteggio simile, avrebbe pensato che quel lancio fosse strano: sul tavolo erano apparsi praticamente tutti i numeri, i tre più alti come faccia mostrata dai dadi, i più bassi dati dal numero di dadi che mostravano la stessa faccia. I sei erano 3, i cinque erano 2 e solo 1 quattro. Era un risultato in qualche modo anormale. Sarebbe rimasto volentieri a rimuginare su quel lancio se non avesse dovuto fare i conti con lo sguardo di trepidante attesa di Nora che non vedeva l'ora di conoscere l'esisto del suo di lancio. Ma quanto le piaceva giocare a dadi? O forse ciò che le piaceva era vincere e sentiva di essere difficilmente battibile con quel punteggio? Forse, viste le incredibili vincite con i biglietti, si aspettava di vedere tutti 6 sul tavolo. Qualunque fosse il motivo, Tatsuya a quel punto non poteva tirarsi indietro, anche se avrebbe tanto voluto, ed era rassegnato a deluderla. Erano solo dei dadi, ma abbiamo tutti ben presente chi è che doveva lanciarli.
    Li prese tutti e sei e li lanciò con un breve e lento movimento: i dadi iniziarono a girare attorno al loro asse ed a scontrarsi, poi presero a ruotare attorno ad uno stesso punto disegnando una “O”, fino a fermarsi, formando due file di tre dadi molto vicine, restando in equilibrio su uno spigolo. Non c'era stato un risultato numerico.

    « Ogni volta che li lancio accade questo... »

    Tatsuya cercò quasi di giustificarsi, fin da quando era piccolo giocare con i dadi con lui era una sofferenza, per avere un numero dovevi sempre urtare il piano da gioco e sperare che il dado cadesse. L'entusiasmo che la ragazza non riusciva a nascondere per quel gioco gli mettevano ansia, possibile che qualunque cosa facesse per impressionarla finisse per ritorcersi contro di lui? Dovette sbloccare anche la One Heart per cogliere prima l'intenzione bellica della mora e reagire.
    Nora ebbe una reazione che definire scomposta è poco.

    « Non prenderti gioco di me! »

    Sbraitò d'un tratto, se Tatsuya non avesse percepito che l'avrebbe fatto lo avrebbe sicuramente terrorizzato.

    « Come posso? I dadi li hai portati tu! »

    « Tu e quel cretino di Jan vi siete messi d'accordo per prendermi in giro! »

    « Che? E lui che c'entra? »

    Nora si accorse di aver fatto l'errore di nominarlo, si era inavvertitamente scoperta e l'espressione stupita di Tatsuya significava che lui davvero non sapeva nulla, che il fratello non aveva fatto il doppio gioco per farle fare la figura della stupida. Solo che, per come aveva reagito, la figura l'aveva fatta lo stesso. Doveva spostare l'attenzione, a quel punto era meglio passare per violente che per sciocche.
    Con una convinzione così strana e incomprensibile, Nora rovesciò il tavolo.
    Tatsuya aveva letto l'intenzione e si era mosso per tempo: poco prima che il tavolo volasse portò in salvo il proprio bombolone ed il bicchiere con il succo con la mano destra, afferrò il bicchiere di Nora con la sinistra prima che si rovesciasse e, per finire in bellezza, prese con la bocca il bombolone che sembrava pronto per andare in orbita. Schivò anche il tavolo, lasciandolo sfilare di fianco a lui. Tutta la gente che aveva assistito stupefatta alla scena gli tributò un sentito applauso a cui lui rispose con un inchino.
    Poggiò i bicchieri su un tavolo vicino e si tolse di bocca il bombolone di Nora.

    « You snapped and the table flipped. »

    Si lasciò sfuggire, divertito, come commento all'azione della ragazza. Cercare di ridere era l'unica opzione che aveva, oltre allo scappare via urlando per salvarsi da una che aveva appena fatto la figura della matta che ribalta tavoli senza motivo. Una persona normale sarebbe già fuggita di fronte ad una tipa del genere. Lui no, neppure quando lei gli si rivolse ancora con spirito combattivo.

    « Ma che stai dicendo? »

    « Ma che ne so! Ho fatto un numero da circo e non ho fatto pagare a nessuno il biglietto. Ragazza mia, così mi manderai in rovina. »

    Nora rimase a guardarlo interdetta, si era preparata ad un litigio, era stata esagerata e meritava una bella lavata di capo alla quale tenere testa con orgoglio e testardaggine, invece aveva ottenuto quella battuta.

    « ...eh? »

    Dire che fosse confusa è poco. Lui non se l'era presa, ci stava scherzando su. Voleva replicare in qualche modo, anche se non sapeva come, ma appena ci provò Tatsuya ne approfittò per metterle in bocca il bombolone.

    « Mangia, ci penso io a mettere a posto. »

    Nora impiegò qualche istante a riprendersi, non sapeva più come reagire. Avvampò, si era ricordata che lui aveva tenuto tra le labbra quello stesso dolce, nei fumetti per ragazze quello contava come un bacio indiretto.

    « M-m-ma insomma! Non si infila il cibo in bocca ad una ragazza! Che modi sono? »

    Tatsuya fece finta di nulla, anche perché, per quella scelta di termini, rischiava di rispondere qualcosa di ben poco carino ed inappropriato, anche se, a giudicare da ciò che stava succedendo, quella battuta avrebbe anche potuto avere l'incredibile effetto di farla innamorare di lui, chiudendo in gran bellezza il capitolo della normale anormalità di una ragazzina di diciassette anni appena compiuti.
     
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    Dopo l'episodio della colazione, culmine di una serie di eventi mal riusciti che facevano presagire una giornata disastrosa, la mattinata iniziò a normalizzarsi ed a scorrere in un modo molto più appropriato.
    Dopo la movimentata colazione i due iniziarono il giro, preteso da Nora, di tutti i negozi del centro. Si fermavano davanti ad ogni vetrina anche per svariati minuti prima di decidersi ad entrare e ad esaminare la merce. Negozi di scarpe, negozi di vestiti, gioiellerie e raffinate Boutique, Nora non ne mancava uno. Diceva di essere determinata a spendere tutti i soldi che Tatsuya aveva con sé, eppure al decimo negozio non aveva ancora comprato nulla. Quel che faceva non combaciava con quel che dichiarava.
    Tatsuya le aveva messo a disposizione i centodieci mila yen che avevano appena vinto ed incassato ma lei non si decideva a spenderli. Gli capitò di iniziare a guardarla con maggiore interesse e curiosità, cercando di non darlo a vedere, ma sentiva che quella ragazza gli comunicava qualcosa.
    Anche il giorno precedente aveva avvertito qualcosa per lei, dopotutto non gli era mai capitato prima di avere un sogno ad occhi aperti come quando l'aveva incontrata, ma ora quel qualcosa si stava rafforzando. Si erano incontrati da nemmeno un giorno e più tempo passava con lei, più la conosceva, più sentiva che gli piaceva. Era tutto troppo improvviso, lui non era uno che si prende le cotte per le ragazze, ragionava sempre molto ed aveva difficoltà a riconoscere il sentimento, professandosi un amante di tutte le ragazze non riusciva a distinguere i diversi gradi di affetto che poteva provare per qualcuno di diverso dalle sue sorelle. Lei non aveva fatto nulla di particolare, anzi gli aveva solo dato dei motivi per fuggire, era una squilibrata ed era la sorella di un suo amico.
    Ed allora perché continuava a guardarla intensamente, senza riuscire a toglierle gli occhi di dosso? Ogni volta che si avvicinava ad una vetrina, Tatsuya si teneva un passo indietro per guardare il riflesso nel vetro, per guardarla in viso senza essere visto. Ma lui non aveva mai avuto problemi in questo, aveva sempre detto alle ragazze quello che pensava e non si era mai fatto problemi a farsi beccare a guardarle, dopotutto non faceva nulla di male, non andava certo ad infastidirle.
    Nora lo bloccava, lo rendeva più inquieto.
    Guardandola nel riflesso lo sguardo andò a posarsi sulla sua bocca. Il ragazzo ebbe un fremito, senti che le labbra gli tremavano leggermente. Voleva baciarla, lo desiderava.
    Si sentì combattuto mentre la seguiva, la ragione gli diceva di stare al suo posto ma un'altra parte della sua mente lo spingeva nella direzione opposta. La stessa parte iniziava a giocargli degli strani scherzi, gli mostrava scene in cui la fermava, la faceva voltare e poi, improvviso ed irruento, premeva le labbra contro le sue e restavano fermi così per decine di minuti, in mezzo alla gente che passava senza rendersi conto di loro. Iniziava ad immaginare di tenerla per mano, di accarezzarla, di abbracciarla. Sognava di guardarla dormire di fianco a lui.
    D'un tratto deglutì rumorosamente, senza sapere come si era ritrovato in un negozio di scarpe e Nora lo stava interrogando su quale prendere delle due paia che teneva in mano.

    « Ma mi ascolti? Sei ancora in questo mondo o ti sei incantato del tutto? Dio, quanto sei seccante... »

    « No, ci sono. »

    « Dici? Son venti minuti che mi sembra di portarmi appresso uno zombie. »

    Venti minuti. Era rimasto in stato catatonico per tutto quel tempo.

    « No, scusa, ero solo sovrappensiero, ma è passato. »

    Non poteva certo dirle che aveva appena sognato i loro figli. Anche se erano solo fantasie era andato un po' troppo avanti. Nora lo guardò con sospetto ma decise di lasciar perdere e fece spallucce, nascondendo la sua irrequietezza sotto un comportamento quanto più normale possibile.

    « Allora, quale prendo? »

    Gli aveva rifatto la domanda, ma l'attenzione del ragazzo non riusciva davvero a concentrarsi sulle scarpe, non riusciva a non guardare lei.

    « Prendiamole entrambe. »

    Scelse la risposta che gli consentiva di non rispondere, la cosa più sensata che potesse fare nello stato in cui si trovava ed anche l'unica opzione che non avrebbe destato alcun sospetto in Nora. Davanti alla prospettiva di avere due nuove paia di scarpe nessuna ragazza si prenderebbe la briga di dubitare di essere stata o meno ascoltata. Infatti lei gli rivolse un sorriso soddisfatto e lo trascinò alla cassa perché pagasse prima di poter avere occasione di cambiare idea. Saltarono quarantamila yen.
    In una situazione costosa ma fin troppo normale, entrò in azione la congiunzione astrale che lo aveva eletto al rango di Protagonista per scombinare un po' le carte.
    Mentre uscivano dal negozio, Nora radiosa e meravigliosa per gli acquisti appena fatti, si imbatterono in una delle persone che Tatsuya avrebbe assolutamente voluto evitare: Misaka.

    « Oh! Ma guarda. Sei tu. »

    La voce della brunetta era fredda e distaccata, come se si stesse rivolgendo ad un sasso. Faceva male. Perché anche lei era lì? Non sarebbe dovuta essere a scuola, come loro del resto, a fare fenomenologia della lingua giapponese o qualche altra materia improponibile?

    « Si. Sono... »

    Non sapeva cosa dire. Era a disagio. Misaka non era da sola, era con un altro ragazzo, alto e moro, che guardava nella sua direzione con sguardo truce. Appena lei gli aveva rivolto la parola, quello l'aveva presa per mano a voler ribadire un concetto di proprietà. Doveva essere un bel po' insicuro se reagiva in quel modo alla sola vista del nostro eroe. Forse si sentiva insediato dal suo aspetto e dalla sua fama?

    « Questo chi è? »

    Quello aveva parlato ed anche la voce era aggressiva come il resto della maschera che stava indossando.

    « Una specie di amico a cui credevo di piacere e che ho rifiutato solo due giorni fa. Ma guardalo ora, già con un altra ragazza. Hai fatto presto a riprenderti. »

    Quel tizio rise rumorosamente mentre Tatsuya continuava a tenere lo sguardo basso. Anche lei aveva dato la sensazione di provare qualcosa per Tatsuya, era stati così vicini da sembrare sul punto di stare già insieme. La coppia più bella del Maid Caffè. Anche lei era già insieme ad un altro ragazzo, dopo solo due giorni dalla loro pseudo rottura. Eppure non riusciva a rispondere a tono.
    Nora assistette alla scena spostando continuamente lo sguardo tra i tre, non era intenzionata ad intervenire, desiderava solo andarsene da lì il prima possibile senza avere problemi, ma l'espressione depressa ed afflitta del suo compagno non poteva lasciarla indifferente.
    Si strinse al suo braccio e mise su la sua faccia da innamorata.

    « Dai amore, non perdiamo altro tempo con questi. Ci sono tante cose che dobbiamo fare e se finiamo in fretta facciamo anche quella cosa che ti piace tanto. »

    Tatsuya uscì dallo stato di sconforto per entrare in uno di confusione estrema. La guardò con un'aria da “e tu chi sei?”, ma non serviva la One Heart per capire, dai suoi occhi, quello che le stava passando per la testa.
    “Ti sto dando una mano. Idiota.”
    Messaggio recepito, Tatsuya si riprese dallo shock e fece per allontanarsi con lei.

    « Quindi è per lei? »

    La voce rabbiosa di Misaka lo bloccò.

    « Hai preferito una del genere... a me? Una facile. »

    Misaka oltre che rabbiosa sembrava anche disgustata. Aveva offeso Nora senza pensarci, ma non immaginava che si era gettata nel regno dell'altra.
    La mora lasciò andare il braccio di Tatsuya, poggiò le mani sui fianchi e gonfiò il petto.

    « Ha scartato il monolocale per il super attico con vista sul golfo, come biasimarlo? »

    Tatsuya trattenne a stento una risata, si divertiva a sentirle dire malignità. Misaka un po' meno.

    « Meglio un monolocale in centro che un attico nel degrado. »

    La bruna provò a battagliare.

    « Ma quale centro? Ma ti vedi? Sei da ristrutturare! Guarda qua, invece, che bellezza. »

    « Ma se sembri una vacca! »

    « Co sta figura? Almeno se piove non mi bagno le scarpe ed è un bene, visto quanto costano. A te la maglia resta asciutta sul petto. »

    « Il valore di una donna non si misura dal petto. »

    « Hai ragione, si misura da altre cose. Tu, che gli rinfacci ciò che hai fatto te, che dopo averlo fatto soffrire hai la bella idea di tormentarlo ancora, che cerchi di prenderlo in giro con questo scimmione che ti porti dietro, quanto vali? »

    Misaka non riuscì a replicare. Nora aveva vinto.

    « Amica mica, paragonata a me esci con le ossa rotta. »

    Concluse la bella moretta, elevandosi sul piano morale al di sopra di Misaka.
    Fu il turno dello “scimmione” di entrare in gioco, dato che era stato anche chiamato in causa, e lo fece con ben poco stile.

    « Stai zitta, gaijin. Le straniere come te non contano nulla, siete inferiori alle peggiori delle nostre. Non ti hanno ancora insegnato a stare al tuo posto? »

    Quel tizio era davvero una scimmia. Senza diplomazia, senza intelligenza, senza un cervello, cercò di colpire al volto Nora. La mano si fermò a pochi centimetri dalla faccia di Tatsuya, intervenuto per farsi colpire al posto della ragazza.

    « Ecco un altro schifoso straniero che pensa di rubarci le ragazze. Dovrebbero rinchiudervi allo zoo e farvi accoppiare tra di voi come gli animali che sie... »

    Le luci si erano spente, le parole gli si strozzarono in gola. Non c'era più nulla, era tutto buio, davanti a lui solo la figura di Tatsuya. Dalla schiena di questo apparvero due grandi ali di fuoco, gli occhi scintillavano di rosso. Si guardò il braccio: era stretto dalle catene. Tutto il suo corpo era stato stretto nelle catene. Si sentiva mancare il respiro.
    Dietro Tatsuya iniziò ad intravedersi una figura, via via più nitida e definita: era un enorme demone con la falce.
    Tremava, era terrorizzato.
    Sentì solo un ordine.
    “Inginocchiati”
    Cadde sulle ginocchia, incapace di resistere o di lottare.
    Il mondo si riaccese e lo “scimmione” si ritrovò ai piedi del ragazzo. Le ragazze non capivano cosa fosse successo. Tatsuya lo guardò con pena, quindi si rivolse a Misaka.

    « Dovresti scegliere meglio i tuoi ragazzi. Dal mio canto, io ho scelto la migliore. »

    Tatsuya e Nora si allontanarono, mano nella mano, lasciandosi alle spalle quei due.
    Quel tipo, di nome Daisuke Kosaka, da quel giorno scomparve dalla circolazione.
    Lo ritrovarono cinque anni dopo sulle spiagge di Copacabana a vendere cremini, ma questa è un'altra storia.
     
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    Erano passate le dodici da un po', le vie del centro si erano affollate di persone che sfruttavano la propria pausa da lavoro per sbrigare delle commissioni, fare delle veloci compere o semplicemente concedersi un po' di tempo con i propri amici o le fidanzate. Incontrare le persone a cui si tiene è ciò che riesce a dare maggiore energia e motivazione per arrivare alla fine della propria giornata lavorativa. Più gente, però, voleva anche dire più occhi che osservano o vagano alla ricerca di qualcosa di interessante o, semplicemente, di inusuale.
    Nora e Tatsuya, dopo la “fuga” dal negozio di scarpe, non si erano ancora fermati, erano come assorti in dei pensieri che non avrebbero voluto avere, ma il contatto prolungato delle loro mani li metteva in condizione di viaggiare con la propria fantasia verso uno scenario molto che non si potevano confessare. Gli schiamazzi di alcuni amici che si erano incontrati per caso li ridestarono e riportarono alla realtà.
    Una volta tornati al presente, si resero conto che le loro mani non si erano ancora divise. Si guardarono con imbarazzo prima di mollare insieme la presa e fingere che non fosse successo nulla.

    « Grazie per prima »

    Le fece Tatsuya, tornato finalmente calmo e tranquillo come al solito. Continuava a sentire una grande forza che lo tirava verso la ragazza, ma era riuscito a trovare il modo di controllarla un po' meglio, poteva parlarle senza difficoltà anche se con una gentilezza maggiore del normale.

    « Figurati. Oggi sei il mio compagno, è normale che mi prenda cura di te. »

    Nora continuava a mostrarsi sempre disinibita e sicura, convinta che in quel modo sarebbe riuscito a farlo affezionare a lei abbastanza da poter procedere con i suoi piani. Fortunatamente per lei ci stava riuscendo. Sfortunatamente c'erano delle forze in gioco che lei non poteva prevedere e pianificare.
    Si fermarono in un locale per un pranzo leggero ed i due iniziarono a sentire qualcosa che non andava: avevano passato tutta la mattinata insieme, ormai potevano anche salutarsi e darsi appuntamento ad un altro giorno, il piano di Nora prevedeva questo per riuscire a darsi un'aria di irraggiungibilità di sicuro fascino, infatti aveva programmato solo fino al farsi offrire il pranzo, invece non aveva alcuna voglia di separarsi. Uscendo dal ristorante continuavano a pensare se non fosse davvero il caso di andare ognuno per la sua strada, ma la solita congiunzione astrale aveva altri piani.

    « Tsu-kun! Che ci fai qui? »

    Appena fuori dal locale si imbatterono in Sophie, la sorellina di Tatsuya, in compagnia di Rin Kuroi, ovvero la sua pestifera compagna nana di classe con un principio di innamoramento saffico per la ragazzina dai capelli di porpora.
    Cosa lui ci facesse lì? Semmai la domanda era cosa ci facesse lei, per di più con quella nana tutta matta che, con la scusa di fare visita ad Aoki Aka, compagna di classe di Tatsuya, non perdeva occasione per tormentare il nostro eroe.
    Sophie squadrò il fratello con un'occhiata notando la busta, la giacca buona che non aveva mai visto, i capelli misteriosamente pettinati e, in ultimo, la ragazza mora che lo accompagnava.

    « Tsu-kun con la sua zita! »

    Il tasso di sorpresa e sgomento era un po' troppo elevato, trattandosi di uno che era sempre stato circondato da belle ragazze e che rifiutava da mesi i corteggiamenti insistiti di Hitomi. Nondimeno sostenere una conversazione con lei, in quel momento, sarebbe stato alquanto complicato. Serviva un piano di fuga.
    Occhi sbarrati, smorfia di terrore, dito puntato in alto verso il nulla.

    « Ommioddio! Un pony viola volante gigante! Un ponyzilla! »

    Approfittò dell'attimo di distrazione di Sophie, che non poteva assolutamente resistere all'impulso di girarsi, per fuggire coprendosi con un'illusione e portandosi via Nora. Da lontano sentivano Sophie imprecare come un ottomano per essersi fatta gabbare di nuovo e minacciare che li avrebbe ritrovati, non potevano sfuggirle.

    A distanza di sicurezza, quando ormai non potevano più essere visti e con a disposizione abbastanza tempo per fuggire di nuovo nel caso si fosse avvicinata, i due si fermarono per far riprendere fiato alla mora.

    « Per fortuna che sono un illusionista più figo di Copperfield altrimenti non saremmo riusciti a scappare così. »

    Tatsuya si guardava intorno fingendo preoccupazione, nonostante lui sapesse perfettamente chi avevano intorno e che lei non era tra questi.

    « E quella chi era? Una vecchia fiamma o una che stai tradendo? »

    La curiosità ricca di insinuazioni di Nora era più che comprensibile, erano fuggiti senza apparentemente avere un motivo valido.

    « Frena la fantasia, non è nulla del genere. Lei è Sophie, la mia sorellina. »

    « Sembra simpatica, perché siamo scappati? »

    « Perché lei sa essere invadente come pochi al mondo, non volevo che ti sottoponesse ad un interrogatorio per capire che bestia sacra fossi per essere riuscita a metterti con me. Ha una mente che elabora molto velocemente, se fa una teoria poi per farle cambiare idea bisogna faticare molto. »

    Senza rendersene conto, Tatsuya iniziò a parlare della sua sorellina, di tutti i grattacapi che gli procurava, di come aveva invaso la sacralità del suo ufficio per reclamare la sede di un club clandestino illegale. Parlò molto prima di accorgersi di quanto tempo era passato.

    « Scusa, ti avrò annoiato con tutte queste storie. »

    « Per niente. Mi piace ascoltare le storie di famiglia. »

    Rimasero per un attimo in silenzio, incerti su come continuare ed incapaci di trattenere i loro sorrisi.

    « E così hai una sorella. »

    « In verità ne ho tre. Due sorelle minori ed una gemella. »

    Nora sgranò gli occhi.

    « Ma che razza di famiglia hai? »

    Si rese conto di essere stata un po' indelicata, ma lui sembrava divertirsi un mondo.

    « Diciamo che siamo unici. Non preoccuparti, ormai sono abituato alla sorpresa ed agli sguardi per più di un motivo. »

    Con quelle ultime parole aveva intercettato uno dei pensieri che popolavano la mente di Nora e che la opprimeva di più: mentre passeggiavano avevano avuto addosso gli sguardi di un po' di persone, soprattutto di anziani alcuni dei quali, quando gli passavano davanti, si lasciavano sfuggire una parola un po' sgradevole. Varie volte avevano sentito la parola gaijin.

    « È spiacevole. »

    La mora si era fatta improvvisamente più seria, si era incupita. Ci stava pensando già da un po', da quando il tizio che accompagnava tale Misaka le aveva rivolto quelle parole così crude e dispregiative. Disprezzata per la sua nazionalità, per non essere giapponese. Osservata come un fenomeno da baraccone per via dei suoi lineamenti europei. Quell'atmosfera non piaceva al nostro protagonista che, colto da un'improvviso slancio di affetto fraterno, le pizzicò la guancia.

    « Ahi! Fa male! Ma sei scemo? »

    Si lamentò con veemenza ed indignazione mentre lui ridacchiava.

    « Almeno tu sei davvero straniera. Io sono qui da quando avevo due anni e quando vado in qualche posto dove non mi conoscono ho ancora gli occhi addosso. Una volta sono andato al tempio per una celebrazione, mi si è avvicinato un universitario tutto baldanzoso ed ha iniziato a parlarmi in inglese. Gli ho chiesto di parlarmi in giapponese perché il suo accento era orribile. Hai mai sentito un giapponese parlare in inglese? Roba da far accapponare la pelle. Ma sai che ha fatto? Mi ha guardato con fastidio ed ha continuato a parlare in inglese. L'ho interpretata come una dichiarazione di guerra, una guerra di comunicazione. Dato che non capivo quel che diceva, gli ho risposto in un misto di inglese, italiano, francese e latino che lo ha messo in fuga. Probabilmente è stato il “penitenziagite” a farlo scappare. »

    Si trattenne fino a quel momento, poi Nora esplose in una gran risata. Non riusciva a credere a quel che aveva appena sentito, quel tipo non poteva davvero aver fatto una cosa simile. Rise fino ad avere le lacrime agli occhi, rise come non faceva più da anni. Quello o era tutto matto oppure aveva inventato ogni cosa solo per farla sorridere. In entrambi i casi non le dispiaceva.

    « Allora conosci più lingue? »

    Gli domandò ancora molto allegra.

    « Giapponese, inglese a livello scolastico, italiano e francese da madrelingua. »

    « Madrelingua? Ma tu di dove sei? »

    « Italia, ma mamma è francese. È stata lei ad insegnarci l'italiano ed il francese. »

    In quel momento tutta l'allegria svanì per lasciare il posto alla tristezza. Senza volerlo avevano toccato un tema molto complicato per entrambi.

    « È bello. Avere una mamma. »

    Gli disse Nora senza espressione, aveva i muscoli facciali bloccati in una strana smorfia di fastidio che voleva nascondere la nostalgia.
    Pensare ai propri genitori metteva sempre Tatsuya in grande disagio, parlarne era per lui quasi un tabù. Per Nora e Jan, però, era ancora più difficile. Per lei ne avrebbe anche parlato.

    « Ormai ho dimenticato cosa vuol dire. »

    Le rispose con schiettezza. Non ricordava più quando li aveva visti per l'ultima volta, quando avevano fatto qualcosa insieme.

    « Almeno sai che un giorno saranno a casa. »

    « Già... »

    « Lo sai che noi... »

    « Si. Lo so. »

    Nora e Jan erano orfani, avevano perso entrambi i genitori in un incidente ed ormai erano soli al mondo. Quel che il fratello maggiore aveva fatto e continuava a fare per entrambi era da stimare con tutto se stessi. Agli occhi di Tatsuya era un vero eroe.

    « Dai, raccontami la tua storia. »

    Nora accompagnò la richiesta con un sorriso amaro, una scena che il ragazzo non poteva sopportare. Gli piaceva molto di più la Nora sorridente che rideva fino a piangere, che si arrabbiava e rovesciava i tavoli. Si rese conto di nuovo che Nora gli piaceva.

    « Vieni con me. »

    La prese per mano e la trascinò con enfasi in un vicolo isolato.

    « Perché mi hai portata qui? »

    « Sai, quegli sguardi iniziavano a seccarmi. Preferisco giocarmi Olanda Italia a porte chiuse. »

    Nora non aveva ben capito cosa significassero quelle parole, ma aveva inteso l'intenzione di quello strano comportamento. Essere trascinate in un vicolo, senza nessuno attorno, da una persona che praticamente non conosci può non essere la cosa più normale del mondo, anzi ci sarebbe da preoccuparsi ed anche molto, ma con lui sentiva di essere comunque al sicuro. Si stava aprendo verso quel ragazzo, lo voleva conoscere meglio e desiderava ancora di più che lui la conoscesse. Fin dal primo istante Tatsuya le era piaciuto senza un perché, la ha incuriosita e l'ha spinta ad organizzare quel mezzo inganno del loro incontro. Quel suo modo così singolare di essere dolce, il preoccuparsi ogni volta che lei si sentiva un po' giù che lo spingeva a fare di tutto per rallegrarla, le piacevano.
    Appartati nel vicolo, parlarono a lungo, delle loro situazioni, dei loro fratelli, delle loro storie. Parlarono della loro casa e del loro futuro. Parlarono finché il Sole non si avviò al suo tramonto, finché non ebbero la sensazione di conoscersi da tutta una vita, trovando per sempre posto nel cuore dell'altro.
     
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    La penombra che avanzava, spingendo un po' più in là le sfumature dell'arancio, significava che era arrivato il momento di spostarsi da quel vicolo sempre più scuro, dovevano tornare sulla strada che si accendeva delle luci dei negozi e che brulicava delle piccole lucine dei telefoni, sovrastate dai capi chini di persone che non avevano il tempo per chi gli stava di fianco, troppo impegnate a dimenticare cosa voglia dire essere in compagnia.
    Con il Sole che cala, i vicoli delle città si trasformano, diventano una terra di nessuno dove spesso si consumano violenze, crimini e giochi che la società non potrebbe tollerare, che servono come sfogo per chi è costretto a sottostare ad una concezione comune che non comprendono.
    Fra tutti i vicoli esistenti, tutti i posti dove poter andare e poter stare da soli, la sorte volle che il nostro protagonista scegliesse proprio il posto dove un gruppo di sbandati era solito riunirsi per decidere le attività della serata. A questi non parve vero di trovarsi davanti ad una bella coppietta di occidentali ben vestiti.

    « Guarda. Guarda guarda. Guarda guarda guarda. »

    Avevano trovato un bel passatempo con cui intrattenersi per un po' e che magari li avrebbe anche potuti finanziare per una nottata in sala giochi.
    Tatsuya sospirò, aveva l'impressione che ultimamente gli sbandati si stessero un po' troppo affezionando a lui, era già la terza volta che si trovava a doverli fronteggiare negli ultimi quattro mesi.

    « Immagino che lasciarci in pace sia fuori discussione. »

    La sua reazione non era esattamente quella che si aspettavano, speravano di incutergli almeno la metà del timore che aveva la ragazza, invece quello era solo stanco ed annoiato. Però non si spostavano.

    « Lasciatemi indovinare. Siamo nel vostro territorio, abbiamo violato la sacralità del posto, dobbiamo pagare per risarcirvi e potercene andare, ma i soldi non bastano e dobbiamo espiare in altri modi. C'è anche una ragazza carina, le tentazioni sono basse ed animalesche, siamo stranieri e la polizia non ci proteggerebbe nemmeno. Sempre la stessa storia, che noia. Ma crescete un po'. »

    « Veramente lei potremmo anche lasciarla andare. Tu sei più il nostro tipo. »

    Nora, nonostante la tensione e la paura, per poco non rise. Tatsuya aggrottò la fronte e sollevò un sopracciglio.

    « Ok, questo è nuovo. »

    Passò a Nora le buste e prese a fare un po' di stretching per scaldarsi.

    « Chiudi gli occhi, tappati le orecchie e vai avanti. »

    « Ma che dici? »

    « Fidati. Non ci vorrà molto. Conta fino a dieci e poi riapri gli occhi. »

    Alla fine, anche se restia, Nora riuscì a fidarsi e si prestò a quell'isolamento sensoriale. Era preoccupata, non capiva come avesse fatto la situazione a diventare in quel modo, non stavano facendo nulla di male, stavano solo parlando da soli, perché era successa così all'improvviso una cosa che accade solitamente nei manga per ragazzi? Lo scontro con dei teppisti o dei bulli per proteggere una ragazza, uno scenario base per mettere in mostra il carattere di un protagonista e la sua forza, o debolezza se siamo ancora al primo capitolo. Chissà lui a che capitolo era arrivato.
    Era arrivata a cinque e si ritrovò a pensare al perché stesse ragionando in termini fumettistici, non si era mai vista una scena come quella. E non erano in un fumetto. E lei non era nemmeno questa grande lettrice, diciamo pure che li odiava e odiava quelli che volevano esserne protagonisti. In che razza di mondo le questioni si sistemano con l'uso della violenza? In che mondo una scazzottata poteva decidere il destino dell'universo, per non parlare di quelle partite a briscola, quelle trottole con le divinità o le macchinine intelligenti che eseguono gli ordini, un qualunque oggetto d'uso quotidiano o, ancora peggio, uno sport, che diventano strumenti di distruzione capaci di portare all'estinzione. Ed i campi tanto grandi che la curvatura dell'orizzonte impedisce di vederne la fine? Dov'era il senso?
    Arrivata a dieci con il suo conto, Nora aprì gli occhi e, senza particolare sorpresa, vide che aveva di fianco Tatsuya e che lui era semplicemente impeccabile, neanche un capello fuori posto, e lui non era uno particolarmente amante del pettine.

    « Che faccia assorta. A cosa stavi pensando? »

    « Che stare con te è irreale. »

    « Già. Essere me è dura. »

    La serietà con cui lo disse fece ridere Nora e per questo lei non sentì ciò che lui aggiunse in un sospiro, guardando il cielo ormai pronto ad accogliere la notte.
    “Quanto odio essere un protagonista.”
     
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    Dopo che furono passati alcuni minuti, ed ebbero lasciato qualche decina di migliaia di yen in un paio di negozi con conseguente moltiplicazione delle buste da portare, la curiosità di Nora su quello che era accaduto in quel vicolo, e che lei non aveva visto perché temporaneamente isolata, ebbe la meglio e finì per fare la domanda.

    « Cosa è successo prima? »

    « Prima quando? »

    « Sei scemo? Nel vicolo. »

    « Non ti ricordi? Abbiamo parlato per due ore. »

    « Ma non noi. Con quelli che...oh... »

    Si accorse che la stava prendendo in giro e gli rifilò un colpo giocoso sul petto.

    « Cretino. Dai, dimmi. »

    « Credimi, non vorresti saperlo. »

    Visto che continuava a rifiutarsi di rispondere, non le era rimasta altra scelta che sfruttare l'argomento per punzecchiarlo, magari alla fine si sarebbe deciso a rispondere.

    « Dai, confessa, l'hai dato via a tutti. »

    « Certo, in dieci secondi gli ho spremuto via l'anima. »

    Non voleva parlare della carneficina che aveva fatto, roba che li avrebbe traumatizzati a vita. Risponderle trasformando la cosa in un gioco, quello non gli dispiaceva.

    « Si vede che sei uno che se ne intende. »

    « Vuoi scoprire quanto me ne intendo? »

    « E come? Non sono certo un ragazzo. »

    Continuarono a punzecchiarsi per un po', dimenticandosi di dove si trovavano e non considerando minimamente cosa avrebbe potuto pensare qualcuno che li avesse sentiti. Smisero con il loro gioco solo quando sentirono una sirena. Si misero a lato e videro sfilare una camionetta dei vigili del fuoco. In strada iniziava a circolare il panico, tra le persone serpeggiava la voce che un piccolo albergo caratteristico era andato a fuoco.
    Tatsuya si mosse verso la direzione presa dal mezzo, Nora lo bloccò afferrandolo per un braccio.

    « Lascia stare, ci penseranno i vigili del fuoco. Non c'è niente che possiamo fare. »

    « Invece possiamo. »

    Tra le proteste della ragazza, i due si ritrovarono a dirigersi con passo veloce e deciso verso la zona dell'incendio. Si trovarono di fronte ed una vecchia locanda, una di quelle che gli interni completamente in legno, completamente avvolta dalle fiamme. Gli idranti dei pompieri cercavano di placare quella furia ingorda che con le proprie lingue avvolgeva ed ingoiava i ricordi di due generazioni di una famiglia che da cinquantanni viveva di ospitalità. L'edificio era stato fatto evacuare, nello spiazzo anteriore erano stati riuniti gli ospiti, un po' anneriti dal fumo e molto spaventati per una disattenzione stupida che aveva trasformato in tragedia la vacanza di un gruppo di americani. La situazione sembrava sotto controllo, anche se l'albergo sarebbe stato difficile da recuperare il fuoco poteva essere domato ed i danni agli edifici vicini scongiurati.
    Una signora bionda iniziò ad urlare.

    « My child! Il mio bambino! »

    Lo aveva cercato ma non c'era. Era terrorizzata, temeva che potesse essere ancora nell'edificio. Era in camera da solo quando era scoppiato l'incendio, la confusione dell'evacuazione gli aveva impedito di tornare indietro a prenderlo.
    I pompieri dovevano tornare dentro per cercarlo, era troppo pericoloso ma solo loro potevano farlo, aggrappati ad una minuscola speranza di poterlo ritrovare ancora in vita. Gettarsi tra le fiamme senza una certezza per svolgere quella che più che un lavoro è una missione.
    Delle buste caddero a terra, di fianco ad un vigile che cercava di tenera a bada la donna sfilò la veloce sagoma di Tatsuya. Si lanciò nell'edificio in fiamme senza esitazione.
    Un intero quartiere trattenne il respiro alla vista di quel ragazzo che sfidava la morte. Per Nora il tempo sembrò rallentare. Non aveva potuto fermarlo, si era mosso prima che potesse fare alcunché ed ora si trovava nel fuoco. Perché lo aveva fatto? Perché proprio lui?
    Ci fu una forte esplosione, una grossa fiammata spazzò via l'ingresso. La nostra giovane era ormai in lacrime. Il terrore di averlo perso, di avergli dovuto dire addio appena dopo che si era affezionata a lui, la straziavano.
    Eppure Tatsuya riemerse da quell'inferno, uscì da dove era entrato portando sulle spalle un bambino di otto anni. Non era ancora pronto ad abbandonarla.
    La folla esplose in urla di gioia ed acclamazione, stavano bene. Le lacrime di Nora cambiarono significato, divennero lacrime di gioia, di sollievo. Sorrideva, si coprì la bocca con le mani giunte in preghiera mentre quella donna riabbracciava il proprio figlio e tutti si complimentavano.
    Una persona che li aveva visti arrivare insieme si avvicinò alla mora.

    « Il tuo ragazzo è un eroe. »

    Disse.

    « N-non è il mio...ragazzo. »

    Le rispose un po' incerta. Continuava a guardarlo mentre i paramedici lo visitavano ed appuravano che stava bene. Si rese conto che lei lo stava guardando ed i loro sguardi si incrociarono. Il cuore della ragazza batteva all'impazzata, sembrava volesse fuggirle dal petto per raggiungere colui che glielo stava facendo palpitare. Tatsuya sembrò intercettare quel pensiero e le fece cenno di avvicinarsi perché lui non poteva ancora allontanarsi. Nora gli corse incontro e gli saltò tra le braccia.

    « Scemo. Scemo. Ma sei scemo? Che ti salta in mente? Vuoi farmi morire? »

    Lo voleva rimproverare, voleva sgridarlo, punirlo, magari anche picchiarlo per la sua avventatezza, ma non riusciva a condannare quel gesto. Quel bambino, che aveva salvato, gli fu portato vicino. Lo ringraziò con un semplice ed innocente “Grazie signore”. Nora pianse di nuovo. Era davvero tutto così irreale per lei, non le sembrava vero di trovarsi in mezzo a tutto quello. Era tutto assurdo, ogni cosa che lo riguardava non aveva senso. Le vincite con i gratta e vinci, il lancio di dadi così anomalo, l'incontro con quell'altra ragazza, con la sorella minore, i teppisti e per finire l'incendio. Era come se il destino gli riservasse un trattamento speciale e che lui avesse deciso di affrontarlo a testa alta. Sarebbe stato meglio scappare, allontanarsi da lui il più possibile per non farsi più coinvolgere. Me non poteva. In quel momento Nora, per la prima volta nella sua vita, si era innamorata.
    Gli rimase accanto mentre lui rifiutava di andare in ospedale per altri controlli, mentre alcuni spettatori più coraggiosi si avvicinavano per complimentarsi, mentre lui rispondeva con modestia e minimizzando a quei complimenti. Aveva fatto quello che avrebbe fatto chiunque, diceva, non era niente di eccezionale.
    Quando le autorità decisero che potevano andare un volontario gli riportò le loro buste. Tatsuya sembrava più stupito per quella gentilezza che per essere uscito miracolosamente illeso da un incendio, senza riportare nemmeno una bruciatura ai vestiti; agli occhi di Nora diventava sempre più unico. Anche sorprendente con quell'improvvisa preoccupazione che le espresse.

    « Dobbiamo trovarci un riparo, sta per piovere. »

    Nora lo guardò un po' confusa. Prima che potesse rispondergli un lampo la scosse, la pioggia iniziò a scendere, tanto improvvisa quanto forte. Voleva chiedergli come facesse a saperlo, ma dalla sua faccia da vittima costretta ad arrendersi agli eventi, capì che era meglio non domandare e magari ridere per l'incredibile susseguirsi degli eventi.

    « Odio essere un protagonista. »
     
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    Sotto la pioggia che scendeva incessante, loro due correvano cercando di ripararsi sotto la giacca del ragazzo. Per le buste, invece, avevano rinunciato, non avevano modo di proteggerle dall'acqua e potevano solo sperare che il loro contenuto non si bagnasse molto; Tatsuya fingeva di preoccuparsene perché, di nascosto, stava utilizzando metodi poco normali per impedire che gli abiti, le scarpe e quant'altro avevano comprato entrassero in contatto con l'acqua.
    La priorità in quel momento era trovare un vero riparo, però loro continuavano a correre, evitando negozi e locali che li avrebbero potuti facilmente ospitare, sembravano divertirsi molto in quella situazione che li costringeva a stare così appiccicati.
    Ad un tratto Nora, attratta da una insegna al neon, diede uno strattone.

    « Ripariamoci là »

    Tatsuya non guardò dove indicava, incantato dal rossore della fatica sul suo viso, si limitò a seguirla, ritrovandosi a varcare un ingresso che li condusse nella reception di un albergo. Quel che si potrebbe pensare in un primo momento e con cuore puro ed innocente. L'assenza di personale e la presenza di una parete che mostrava foto delle camere con relativo prezzo, ognuna affiancata da un tasto di selezione, svelava la vera natura di quel posto.

    « Un... love hotel? Mi hai portato in un love hotel? »

    Sorpresa, incredulità, un pizzico di ammirazione, per l'intraprendenza, e di delusione, questa perché non era stato lui a pensare ad una tale possibilità, si amalgamarono nella voce di Tatsuya, tutte spazzate via dalla risata con cui rispose alla domanda innocente che gli fece Nora: cos'è un love hotel? Glielo spiegò in breve, omettendo i particolari più “pratici”, gustandosi a fondo il rossore crescente, l'imbarazzo che travolse la ragazza. Dopo aver anche parlato della possibilità di noleggiare costumi, non restava che concludere.

    « Davvero non lo sapevi oppure stai cercando di mandarmi un messaggio? »

    L'imbarazzo raggiunse il massimo livello, ormai era rossa fin sulla punta delle orecchie.

    « Non l'ho fatto apposta! » - gli strillò con voce insolitamente acuta per il panico - « Ed io non so leggere il giapponese! È già tanto che lo parlo! »

    Tatsuya rimase un attimo a riflettere su quelle parole: non ci aveva pensato, sentirla parlare tanto bene quella lingua non gli aveva nemmeno fatto porre il problema, in effetti non c'era nemmeno stata ancora una situazione che lo richiedesse, ma lei era lì davvero da troppo poco tempo per aver potuto imparare tutti gli ideogrammi necessari. Era una ragazza normale, non poteva memorizzare quasi tremila simboli in soli due anni, non era un anormale come il fratello, tanto esperto da poter correggere gli altri, anche nella scrittura e nella grafia. Normale ma straordinaria per aver imparato una lingua parlata in un solo anno prendendo anche l'accento. Gli sguardo gli si addolcì, la guardò con un nuovo, potente, sentimento d'amore. Quanto gli piacevano le sue labbra.

    « Hai ragione. Allora andiamocene, fintanto che stiamo qui non possono entrare altri. Sai, la privacy, la paura di incontrare la moglie con l'amante e la necessità di presentarle la propria. »

    Raccolsero le buste, pronti ad affrontare di nuovo la pioggia ed il vento che si era levato, piuttosto gelido per essere giugno. Bastò un passo verso l'uscita e sentirono un certo disagio, un secondo ed ebbero timore per un pericolo incombente, un terzo e cadde un fulmine proprio fuori dalla porta dell'hotel. Con un urlo Nora lasciò cadere le buste per lo spavento e si getto in braccio a Tatsuya. I due si guardarono terrorizzati.

    « Almeno...ora dovrebbe essere sicuro... » - provò a rassicurarla - « I fulmini non cadono mai due volte nello stesso punto. »

    Finita la frase, ne cadde un altro che li fece arretrare di quei tre passi che avevano fatto. Se avessero potuto, avrebbero visto che il secondo fulmine era caduto un centimetro alla destra del primo. La statistica era rispettata.
    I due non ebbero il coraggio di fare un terzo tentativo, non volevano provare la veridicità del “non c'è due senza tre”, con gli occhi ancora fissi sulla strada, cercarono a tentoni la parete di selezione e si scelsero una stanza.
    Per un caso fortuito premettero contemporaneamente lo stesso tasto, corrispondente a quella che era una delle stanze più costose. Era imbarazzante trovarsi lì, ma non sembrarono rendersi pienamente conto di cosa significasse finché non entrarono nella camera che avevano scelto: era un'ampia stanza dalle pareti rosa chiaro, tre scalini separavano l'ingresso dall'ambiente principale, la mancanza di finestre e la luce soffusa comunicavano la sensazione di essere appena entrati in un mondo dove il tempo era sospeso, dove non importava il passato o il futuro, contava solo il presente e la persona con cui eri. Un baldacchino dalle tende rosate copriva un grande letto, dai cuscini e lenzuola rossi e rosa, a forma di cuore.
    Nora e Tatsuya erano lì, insieme, in un covo dell'amore. Rimasero sulla soglia per lunghi minuti, incapaci di muoversi e troppo imbarazzati per guardarsi: non sapevano più cosa fare. A loro non dispiaceva la camera, era solo troppo presto per trovarsi lì. Tatsuya cercava di mantenere il dominio della ragione, l'istinto sapeva bene cosa fare e come impiegare quel letto. Nora era tesa: il piano della giornata era quello di conoscersi meglio, affascinarlo, creare in lui il desiderio e diventare più intimi, ma quello era troppo. Inoltre temeva per cosa sarebbe potuto succedere, quel ragazzo le piaceva troppo e se avesse fatto una mossa, se avesse sfruttato la situazione e l'atmosfera del posto, lei probabilmente non si sarebbe opposta. Anzi, aveva iniziato a pensare di essere proprio lei a fare la prima mossa e ad immaginarsi anche la scena: lasciava cadere le buste, gli prendeva la mano, senza guardarlo lo guidava fino al letto, si fermava e si girava, lo abbracciava e si abbandonava sul letto portandolo con sé e lasciando che la coprisse con il proprio corpo, affidandosi a lui, qualunque cosa succedesse.
    Per distogliersi da quel pensiero, che iniziava a prendere il controllo sulla sua mano, Nora finse uno starnuto. A quello finto seguì uno vero, aveva dimenticato di essersi infradiciata sotto la pioggia.
    Lo starnuto distolse anche Tatsuya, con suo grande sollievo perché stava iniziando a pensare qualcosa di analogo, che dedicò la mente alla preoccupazione per la salute della ragazza.

    « Non vorrai prenderti un raffreddore. »

    « E chi vorrebbe? Se mi viene mi viene. »

    Tatsuya usò il suo potere per scansionare la salute di Nora e capire come comportarsi, se era ancora in tempo per agire con mezzi convenzionali oppure se era il caso di ricorrere alle proprie abilità.
    Poggiò la fronte contro la sua per fingere di sentirle la temperatura, non poteva certo dirla che aveva usato metodi anormali.

    « Non hai ancora la febbre, ma devi toglierti questi vestiti bagnati e scaldarti. Vado a cercarti un asciugamano, ti spoglierai mentre ti preparo la vasca. »

    « Eh? » - Nora riaprì gli occhi, li aveva chiusi quando lui si era avvicinato così all'improvviso, aveva pensato che stesse per baciarla, fu sollevata che lui si fosse mosso subito verso il bagno e che non potesse vedere quanto fosse arrossita - « Come fai a dirlo? »

    « Dimentichi che mi prendo cura di tre ragazze da anni. » - si voltò verso di lei con un sorriso rassicurante - « Sono bravo in queste cose. »

    Quindi sparì alla vista di Nora. Rimase per qualche secondo imbambolata con un sorriso inebetito. Era davvero un tipo particolare, dopo ogni sua parola si convinceva sempre di più che la “trappola” che aveva preparato aveva funzionato ma a parti invertite. Finalmente si risolse a muoversi, tolse un abito da dentro una busta per vedere come si fosse conciato, tutti quelli erano regali di Tatsuya e sentiva che le sarebbe dispiaciuto molto se si fossero rovinati. Con sua grande meraviglia notò che quell'elegante abito da sera era completamente asciutto. Si girò verso il bagno, da cui sentiva provenire il rumore dell'acqua che scorre, ma si trattenne dal chiamarlo per chiedergli come fosse possibile, era tutto il giorno che accadevano cose strane, non ci capiva più nulla

    « È... come un sogno. »

    Disse in un sussurro dolcissimo ed impercettibile. Sentiva che stava entrando in un mondo nuovo e che si era innamorata di colui che ne custodiva le chiavi. Indugiò su quegli abiti finché non si sentì avvolgere da un morbido asciugamano.

    « La vasca è pronta » - le fece il ragazzo con un inchino - « Vi consiglio di affrettarvi, si spogli in bagno e vi entri prima che si freddi. »

    Nora si strinse nell'asciugamano, aveva ancora addosso i vestiti bagnati ma si sentì comunque invadere da una sensazione di calore. Una sensazione che non sentiva da molto tempo, da quando erano tutti insieme. Si sentì gli occhi pieni di lacrime, aveva appena rivisto i volti dei suoi genitori. A loro lo avrebbe presentato senza paura, di sicuro lo avrebbero adorato. Ancora con gli occhi lucidi, esibì un sorriso radioso.

    « Va bene. Grazie... amore. »

    Corse in bagno vergognandosi per l'ultima parola che aveva pronunciato.
    “Ma che mi salta in mente”, pensò, “ sono stupida o cosa? Si vede troppo che sono cotta. Accidenti, perché è così carino? Perché è così...”

    « Se non chiudi la porta vedo tuuuttoooo. »

    La sua voce la fece sobbalzare e precipitare a chiudere con un tonfo la porta del bagno.
    “Così stupido.”
     
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    Ancora ridacchiando tra sé, Nora iniziò a togliersi i vestiti e si sentì scuotere da un brivido, iniziava a sentire freddo, doveva sbrigarsi. Adagiò tutto sul mobile del lavabo e si sciolse i codini; mentre cercava un piccolo asciugamano in cui avvolgerli e tirarli su per non farli bagnare trovò tutti gli oggetti indispensabili per il bagno, compresa una spazzola. “Magari dopo gli chiederò gli spazzolarmeli”, pensò sentendosi subito sciocca. Una volta pronta non restava che entrare nella vasca, ma non si aspettava di trovarsi davanti ad un idromassaggio abbastanza grande da poter ospitare tre persone. Forse chiedergli di raggiungerla sarebbe stato un po' troppo sfacciato.

    Intanto Tatsuya metteva via le buste e dava un'occhiata alla stanza. Non era mai stato in un love hotel, era la sua prima volta e non poteva che essere curioso. Mentre guardava più da vicino le tende sentì una lieve melodia provenire dal bagno: Nora stava canticchiando. Guardando in direzione della porta, il ragazzo si portò una mano sul petto: prima, quando lo aveva chiamato “amore”, non l'aveva dato a vedere ma si era come sentito colpito al cuore da un pugnale ed il sentirla canticchiare sembrava procuragli di nuovo quel dolore.

    « Amore... »

    L'aveva chiamato così anche davanti a Misaka, ma la seconda volta era stato diverso, sembrava che le fosse uscito sinceramente dal cuore.
    Toccandosi la maglia si era anche reso conto che lui aveva ancora addosso i vestiti bagnati, addirittura si era inavvertitamente rimesso addosso la giacca con cui avevano cercato di ripararsi dalla pioggia. Sbuffò, in quelle condizioni non poteva avvicinarsi a nulla, non era il caso di distruggere la stanza. Ricorrendo al metodo usato per tenere asciutti i frutti delle compere, accese tutt'attorno a sé una debole fiamma, una che non bruciava ma che poteva essere più o meno calda, a seconda del suo sentimento del momento. Il calore intenso ma gentile dava un'idea accurata di come si stesse realmente sentendo in quel momento. Dopo pochi secondi gettò via la giacca, ormai completamente asciutta come i vestiti, finanche le scarpe erano asciutte. Gettò via anche queste, non capacitandosi del perché non se le fosse tolte nell'ingresso come avrebbe dovuto, quindi decise di provare quel letto sdraiandosi sopra.
    Era da molto che non si trovava su un letto a baldacchino, da quando ne condivideva uno ogni notte con Sharon, solo che quello non era a forma di cuore e la luce non era così innaturale. Si alzò e cercò la console per regolare l'intensità della luce. Ruotò la manopola e la luce divenne più intensa. La ruotò nell'altro verso e si attenuò fin quasi a spegnersi. Quell'aggeggio creava dipendenza, probabilmente avrebbe finito per fulminare le luci se non avesse trovato un qualcosa di altrettanto interessante.

    « Una ciotola di preservativi.... »

    Notò a bassa voce per non farsi sentire da Nora. Rimase a fissarla per un po' di tempo, incerto sul da farsi.

    « Qualcuno potrebbe tornarmene utile. »

    E si riempì le tasche. Alle brutte li avrebbe venduti, su internet ed in forma anonima, oppure li avrebbe usati per fare i gavettoni.
    Si lanciò sul letto, era incredibilmente comodo, non sarebbe stato affatto male passarci la notte. All'improvviso un dubbio: sollevò le lenzuola allarmato e, con grande gioia, vide che erano pulite. Trovò anche il telecomando, per un qualche oscuro motivo era sotto il cuscino, e, dato che non sapeva quanto altro tempo avrebbe impiegato Nora per terminare il suo bagno, decise di guardare un po' di televisione: uno schermo da quaranta pollici affiancato da una Playstation 4.

    « Certo che non si fanno mancare proprio nulla. »

    Si sdraiò su quelle morbide lenzuola e premette il tasto d'accensione. Il capezzolo che apparve in primo piano ed il gemito femminile gli fecero capire che non era stata una buona idea. Spense immediatamente e si mise a ridere.

    « Che hai da ridere? E cos'era quel suono? »

    Alle parole di Nora, Tatsuya di scatto si mise a sedere e cercò di nascondere il telecomando.

    « Niente, niente! Un documentario sui facoceri! »

    « Facoceri? »

    « Cioè, no, era un documentario sul Sole, tra cinque miliardi di anni distruggerà la Terra e c'erano facoceri che bruciavano. »

    « E ti faceva ridere? »

    « Ridevo per non piangere...? »

    « Sarebbe una domanda? E poi mi era sembrata la voce di una donna. »

    « No, vedi, è che... »

    In preda al panico, aveva cercato di nascondere il telecomando e non si era accorto che Nora aveva girato attorno al letto e si era avvicinata. Quando alzò gli occhi perse le parole: era lì, davanti a lui, coperta solo da un asciugamano che le stringeva il seno, i capelli sciolti e bagnati le cadevano sulle spalle con una grazia che non sembrerebbe possibile, che non poteva essere di questo mondo o di uno qualunque dei mondi di cui aveva fatto esperienza.
    Nora si rese conto di aver fatto colpo con quella mise, con quella mossa.

    « Se non hai nulla da fare, aiutami con i capelli. »

    Senza fiatare, Tatsuya la seguì in bagno e le lavò i capelli, facendole sentire più di qualche fremito mentre glieli massaggiava passando lo shampoo, costringendola a trattenere la voce mentre, con gli chiusi e la testa abbandonata all'indietro, glieli risciacquava e si tratteneva dal baciarla, oramai non poteva essere più infatuato di così.
    Mentre glieli spazzolava, Nora non poté far altro che chiedergli come fosse tanto abile, pur non confessandogli quel che aveva sentito.

    « Te l'ho detto, sono cresciuto con tre ragazze e due di loro hanno i capelli lunghi quanto i tuoi e portano i codini. Quando eravamo più piccoli glieli lavavo e spazzolavo sempre io, ora invece si aiutano a vicenda. In effetti un po' mi manca. »

    Anche lui non confessò tutto, non poteva raccontarle di quando lavava e spazzolava i capelli di una bambina che non c'era più e che gli mancava più d'ogni altra cosa. In ogni colpo di spazzola c'era tutta la tenerezza che le riservava.

    « Va bene così » - Nora gli fermò la mano - « Prendimi per favore un vestito così mi rivesto e ti puoi fare anche tu il bagno. »

    Tatsuya le portò la camicetta lilla ed i pantaloni che avevano comprato nel pomeriggio e si scambiarono i posti.
    Mentre era nella vasca, ripensando alla sensazione dei capelli di Nora sulle dita, con gli occhi chiusi per vedere il suo volto, la sentì urlare e capì che aveva appena acceso la televisione.

    « Per fortuna i muri sono spessi, altrimenti chissà che avrebbero potuto pensare. »
     
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    Con una vera e propria tempesta che infuriava avevano abbandonato ogni speranza di lasciare l'hotel. Per passare un po' il tempo accesero la televisione – appena Tatsuya la accese Nora si precipitò a coprirgli gli occhi per non farlo guardare, impedendogli anche di guardare il telecomando con il risultato che si ritrovò ad alzare il volume al massimo, tanto forte che per poco non tremavano le pareti, prima di riuscire a cambiare canale – e giocarono con la console fino a sera. Si fecero portare la cena in camera e quindi ripresero la loro sfida a Street Fighter, gioco a cui Tatsuya era incredibilmente negato e nel quale rimediò una sonora sconfitta.
    Quando si stancarono si misero a guardare una serie tv a caso su Netflix senza prestarle molta attenzione, preferivano parlare, di qualunque cosa, l'argomento non aveva davvero molta importanza.
    Quando sopraggiunse il sonno, Tatsuya si offrì di dormire a terra ma Nora lo pregò di dormire anche lui sul letto oppure lo avrebbe raggiunto sul pavimento. Non avevano il pigiama ma andava bene anche alzare il riscaldamento e dormire solo con l'intimo.

    « Non sbirciare o ti gonfio di botte. »

    Lo minacciò, ma fu proprio Nora a venire meno all'accordo di spogliarsi dandosi le spalle e non guardarsi fintanto che non fossero stati entrambi sotto le lenzuola. Scoprì che anche fisicamente non era affatto male e le parve di intravedere delle linee della muscolatura addominale piuttosto marcate.
    Una volta nel letto si resero davvero conto della situazione nella quale si erano appena messi: erano mezzi nudi in un letto a forma di cuore. Non capivano come potessero essere stati così stupidi. Dopo decine di minuti che fissavano al buio il baldacchino Tatsuya provò a distrarsi dai pensieri che gli stavano venendo.

    « Non dovresti avvisare Jan? » - le domandò aggrappandosi alla prima cosa che gli era venuta in mente.

    « Questa sera non è a casa. E poi cosa gli dico? Che sono a letto con te? »

    E Nora si sentì ancora più stupida per aver detto ad alta voce quella che era la cosa che li stava mettendo così tanto a disagio.

    « Tu non avvisi nessuno? » - gli domandò in rimando per prendere le distanze dalle parole precedenti.

    « Non serve. Uno dei miei coinquilini non c'è quasi mai e l'altro credo sia stato arrestato per atti osceni in luogo pubblico, o per essersi introdotto vestito da macaco nel bagno delle ragazze, non ricordo. »

    Nora rideva, ma la convivenza con Nizuki a volte era davvero molto scomoda.
    Rimasero di nuovo in silenzio finché Nora non riuscì a prendere il coraggio a due mani.

    « Hai la ragazza? »

    Tatsuya si girò verso di lei sorpreso di aver sentito quella domanda, poi tornò a fissare il vuoto.

    « No. Tu hai il ragazzo? »

    « No. »

    Nora rimase in attesa, sperava che lui capisse l'atmosfera e si proponesse. Sul principio avrebbe preso tempo, non avrebbe chiuso ma gli avrebbe chiesto di andare più piano, si erano conosciuti solo il giorno prima e quello era il primo giorno che trascorrevano del tempo insieme. Si sarebbero dovuti vedere almeno altre tre volte prima di concedergli un bacio e di permettergli di diventare il suo ragazzo. Il ragionamento le sembrava giusto, era il modo migliore di procedere. Però Tatsuya non disse altro, non si attenne al piano. Se non era lui a parlare, allora doveva pensarci lei.

    « Dovremmo metterci insieme. »

    In quel momento Nora, non sapendolo, gli assestò la terza pugnalata della serata, la più dolorosa delle tre. Tatsuya accese la luce e si mise seduto, lasciando il busto completamente scoperto. Sapeva bene che, per quanto lo desiderasse, lui non poteva accettare, non poterla dirle di si. La sua condizione non gli permetteva di fare cose come mettersi con una ragazza, non con una anormalità tanto grandiosa quanto onerosa. Le avrebbe fatto del male, era praticamente certo perché tutte le persone che gli si avvicinavano erano potenzialmente in pericolo, tutte le ragazze con cui si legava tanto soffrivano più delle altre. Affianco a lui potevano stare solo anormali di alto livello, non di certo una ragazza normale. Una ragazza senza particolari poteri, abilità o qualità se non quella di averlo conquistato. Proprio perché teneva a lei doveva rifiutarla.

    « Ne sei sicura? »

    Le parole che pronunciò erano diverse da quelle che pensava di dire. Sarebbe dovuto essere un rifiuto gentilissimo, con la richiesta di dargli un po' di tempo per sistemare i suoi problemi, ma non ce l'aveva fatta. Anche il tono della sua voce era diverso, era diventato più insicuro, molto meno deciso e tranquillo e Nora non mancò di notarlo, anche se non sapeva perché reagisse in quel modo né avrebbe potuto capirlo.

    « Al cento percento. Mai stata più sicura. »

    Il dolore che sentiva continuava ad aumentare, più la guardava, più sentiva la sua decisione, più gli faceva male.

    « Non ti piaccio? »

    Nora lo incalzava. Cercò la sua mano, lui pensava di ritirarla ma non riuscì a muoverla.

    « Mi piaci... »

    Distolse lo sguardo, non erano quelle le cose che doveva dire.

    « Anche tu mi piaci e siamo entrambi single. Qual è il problema? »

    « Il problema...sono... sono io il problema. »

    « Non ti capisco. »

    « Nessuno può. Nel mio cuore c'è una grande oscurità, una tenebra che finirebbe per avvolgerti ed infettarti. Ti renderei infelice, finiresti per pentirtene. Non mi è dato essere felice. Qualunque cosa faccia, per quanto possa impegnarmi e sforzarmi, combattere, che soccomba o che vinca il risultato è sempre lo stesso. La felicità si allontana sempre di più. »

    Nella sua mente iniziarono ad affollarsi centinaia di ricordi, migliaia di pensieri, e tutto ruotava attorno alla sua capacità originale, alla sua Origine. Se non fosse stato chi era, se non fosse nato con una abilità tanto mostruosa da renderlo uno degli Eredi, la sua vita sarebbe stata molto diversa, sarebbe stata più semplice. Non lo disprezzava davvero, era orgoglioso e grato di avere il potere dell'infinito: gli aveva permesso di salvare le sue sorelle, di conoscere mondi nuovi, di incontrare il suo vero amore e di ridarle la vita. Odiava che ogni cosa costasse la sua felicità. Odiava aver dovuto affrontare il dolore della perdita, aver sopportato il dolore di molte vite per salvare Bianca ed alla fine aver dovuto rinunciare al suo amore. Aver dovuto sacrificare l'integrità del potere rendendosi facile preda di altri possessori ed ora questo razionalmente gli impediva di pensare di diventare felice. Non poteva non pensare che Kumagawa avesse visto giusto in lui, aveva tutto il potenziale per essere un minus e per poter stare dalla sua parte.

    « Ti farei del male... uno come me... »

    « Non mi interessa! » - Nora lo interruppe alzando la voce - « Uno come te cosa? Davvero non ti rendi conto di quanto sei straordinario? Non capisci cos'è che mi piace? Cos'è che mi ha già fatta innamorare? »

    Nora aveva quasi le lacrime agli occhi per la rabbia, non badava più a quel che diceva, non si preoccupava di non farsi scoprire perché se c'era una cosa che aveva capito di tutto quel discorso era che lui la ricambiava, forse era anche più cotto di quanto lei non fosse.

    « Sono innamorata di te perché sei tu! Testone di un italiano scemo! »

    Dopo aver detto quello che le passava per la testa, Nora si rese conto di cosa aveva appena confessato. Nascose la testa sotto le lenzuola per non fargli vedere quanto se ne vergognava. Nulla era andato secondo il suo piano, alla fine era stata lei ad affrettare i tempi ed a fargli capire che per lei era stato amore a prima vista. “Stupida, stupida, stupida”, continuava a ripetersi mentalmente.

    « Nora... »

    Voleva dirle qualcosa, ma non riusciva a trovare le parole. Non aveva avuto bisogno delle proprie abilità perché quella ragazza gli aveva aperto di propria volontà il suo cuore. Non era la prima a farlo, ne sarebbero sicuramente arrivate altre a fare lo stesso ed era pronto a respingerle tutte, ma quella volta sentiva di non farcela.

    « Accanto a me accadono cose strane. Io stesso sono una anomalia tra le anomalie. »

    Nora tirò la testa fuori dalle lenzuola, la sua decisione non era mai vacillata e non lo avrebbe certo fatto per quelle parole.

    « Fanno parte del gioco. Vuol dire che sei più interessante. »

    « Se solo mi liberassi di queste tenebre... »

    « Permettimi di essere il tuo Sole. »

    « Sii la mia luce. »
     
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    Erano le nove e trenta del mattino quando Nora rientrò a casa canticchiando. Per l'ultimo tratto di strada le buste le aveva portate lei, aveva sostenuto che fosse troppo presto per lui per poter entrare in casa sua. Poteva sembrare fin troppo strano dopo aver già condivido un letto in un love hotel, ma era stata irremovibile e categorica. Poco prima di separarsi si erano scambiati il numero di telefono, le email, gli aveva creato un contatto Skype e Telegram – gli aveva anche mostrato come usarli perché lui non aveva nemmeno idea di cosa fossero – e non vedeva l'ora di mandargli un messaggio.

    « Dove sei stata? »

    Nora cacciò un urlo di terrore: in cucina c'era Jan che l'aspettava, seduto con le gambe accavallate, sembrava essere stato sveglio tutta la notte.

    « Ma sei scemo?!? M'hai quasi fatto prendere un coccolone! »

    Si trattenne all'ultimo momento dal tirargli contro una busta per distrarlo abbastanza per potergli saltare addosso e fargli molto male. Nel gesto, però, non poté evitare di attirare l'attenzione di Jan proprio su quelle.

    « Cosa sono? »

    Nora provò a nasconderle dietro la schiena ma erano troppo numerose e lei troppo esile per poterle coprire.

    « Oh! Queste... ieri ho fatto compere... »

    « Sono suoi regali? »

    « Si... »

    Avrebbe voluto chiederle com'era andata, ma a giudicare dalla sua faccia che negli ultimi tre anni non l'aveva mai vista tanto felice, non c'era bisogno di farle quella domanda per capirlo. Anche Jan poteva ritenersi soddisfatto, con tutta la brutta gente che girava almeno lei si era trovata un tipo a posto e che lui approvava, o meglio al quale l'aveva già affidata senza dirle nulla. Restava però da chiarire una faccenda.

    « Dove hai dormito? »

    « Da una amica. » - si affrettò a rispondere la bruna.

    « Ma tu non hai amiche. »

    « Di certo non ho dormito con lui nel letto a forma di cuore di un love hotel dopo essermi fatta aiutare a lavarmi i capelli ed aver giocato a Street Figther. »

    Jan rimase per un attimo imbambolato mentre Nora altezzosa si allontanava con passo deciso. Si domandava perché avrebbe dovuto pensare ad una cosa del genere. Un love hotel? Un letto a forma di cuore? Street Figther dopo essersi fatta lavare i capelli, magari avvolta solo in un asciugamano.
    Scattò improvvisamente in piedi.

    « Nora! Torna qui! Che significa? »

    La ragazza corse nella propria stanza e si chiuse dentro a chiave. Il fratello poteva intimarle anche tutto il giorno di aprire la porta e dargli delle spiegazioni, lei non aveva alcuna intenzione di farlo entrare o di dirgli alcunché. Quando lui si stancò, Nora prese il cellulare e mandò un messaggio.
    “Mio fratello ha saputo della scorsa notte e forse sta venendo a cercarti. Più tardi passo al locale xoxo”


    Fine (prima parte)

     
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    Demenziali quantità di vomito dopo Sei fortunato che non ho voglia di denunciarti

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