La caccia

Narrazione solitaria

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    La caccia


    Haiiro Kugatsu
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    Haiiro era disteso sul letto, godendosi il contatto con la pelle nuda di Kasumi e il miscuglio di odori – quello fragrante e dolce dello shampoo usato dalla ragazza quando si era fatta la doccia, quello greve dei loro corpi – quando lei inclinò il capo verso di lui e gli fece due richieste improbabili.

    La prima: «Voglio un letto più grande.»
    Piano, anche lui girò la sua testa verso di lei. «Perché?»
    Lei lo fissò come se fosse un idiota. «Perché questo è piccolo.»
    A tastoni Haiiro toccò con la mano uno dei bordi del letto e con le dita di un piede l’altro. Quasi avesse paura che si fosse ristretto mentre lui non guardava. «È grande quanto un normale letto» concluse infine.
    «È grande quanto un normale letto per una persona. E noi siamo due persone.» Logica ineccepibile.
    «Mi sembra che finora abbiamo dormito lo stesso.»
    «Tu sì. Non dormi da talmente tanto tempo che dormiresti anche in cima a un sasso, potendo. Ma io non sono te. Io faccio fatica a dormire in un letto così piccolo. Le prime notti, è vero, non mi disturbava. Dormivamo abbracciati, stando vicini, era romantico, erano le prime volte per noi. Ma ora faccio sempre più fatica a dormire in uno spazio tanto ristretto e quando lo faccio dormo male.»
    Lui alzò la testa e la guardò stupefatto, no, oltraggiato sarebbe una definizione migliore. «Tu dici a me che dormi male?»
    Lei non fu né sorpresa né impressionata dal suo tono. «Sì, io lo dico a te. Perché, fino a prova contraria, è grazie a me e al mio Relieve Kiss se puoi dormire. Io ho risolto il tuo problema col sonno… e tu ora devi risolvere il mio.»
    La testa di lui ricadde sul cuscino, sconfitto. Non trovava argomenti con cui controbattere. E anche se li avesse trovati, dubitava sarebbe cambiato qualcosa. «Quindi vuoi un letto più grande.»
    «Esatto. Non chiedo un matrimoniale, ma almeno una piazza e mezza o un letto alla francese, sì.»
    «Letto alla francese? Ha qualcosa a che fare con il bacio alla francese?»
    Kasumi ignorò il suo commento. «Guarda, mi vanno bene anche due futon; del resto se all’Hakoniwa preferiscono il letto occidentale, non per questo siamo obbligati a sottostare alle loro decisioni.»
    Quindi due futon o un letto a una piazza e mezzo. Haiiro rivolse lo sguardo al soffitto e ci pensò su. Non era poi così irragionevole come gli era sembrato a prima posta. Ottenere due futon non sarebbe stato difficile, oppure poteva anche creare un letto più grande con un suo sogno e renderlo permanente. Le soluzioni non mancavano.
    «Va bene, cercherò di fare qualcosa.»
    Disse convinto che sarebbe bastato a lasciare soddisfatta la ragazza. Si sbagliava, perché passò subito alla successiva richiesta improbabile.

    La seconda era: «Voglio condividere un sogno con te.»
    Lui stavolta non si girò a guardarla, ma mantenendo lo sguardo sul soffitto le ripeté in tono stanco la stessa domanda di poco prima «Perché?»
    «Perché abbiamo passato molte notti insieme, ma non abbiamo mai condiviso un sogno. Perché lo trovo più intimo che fare sesso. Perché voglio sapere come sogni e voglio che tu vedi come sogno io. Perché sono curiosa. Perché non l’ho mai fatto prima. Perché non so come sarà. Per molti motivi. Ma soprattutto perché tu puoi farlo.» La mano di lei cercò la sua e la strinse; lui non reagì.
    «Posso farlo? Guarda che il mio potere non funziona così. Ciò che faccio è concretizzare nella realtà ciò che io sogno…»
    «Ma l’hai fatto altre volte, tu. Hai già condiviso i sogni con altre persone. Sei stato tu a raccontarlo, ricordi?»
    Haiiro maledisse tra sé la sua lingua lunga e la voglia di vantarsi con Kasumi delle sue avventure. «La prima volta c’era Tatsuya che faceva da collegamento con la sua One Heart. La seconda volta, con lo sciamano, io stesso mi sono trovato intrappolato nel sogno.»
    «Col mio sigillo posso ridurre il potere del tuo Dream Teller, in quel modo non ne perderai il controllo e non finiremo intrappolati. Inoltre puoi evocare Shero prima: sarà lui a svegliarci in caso di guai.»
    Il ragazzo non rispose, ma girò la faccia dall’altra parte, verso la parete. Quel gesto e il suo ostinato silenzio erano una risposta eloquente.
    Kasumi emise un suono tra un sospiro di rassegnazione e un mugugno di irritazione. Salì a cavalcioni sopra Haiiro, afferrò la faccia del ragazzo e senza fare molti complimenti la girò verso di lei, bloccandola. «Ascolta Haiiro: hai paura dei tuoi sogni? Di quello che potrebbero fare se sfuggissero al tuo controllo?»
    Lui cercò di distogliere gli occhi, ma le mani di lei lo costringevano a fissarla, in quei suoi penetranti e bellissimi occhi verdi. Lo mettevano a disagio, gli facevano perdere il fiato per quanto erano stupendi.
    «Certo che ho paura. Sai bene cosa succede quando non controllo il mio Dream Teller.»
    «Ti capisco. Sì, ora mi guardi come se non mi credessi, ma è così. Capisco la tua paura, perché è la stessa che provo io. Hai dimenticato l’effetto del mio Breath-Taker? Hai dimenticato che, se perdessi il controllo, rischierei di danneggiare ogni persona che mi sta vicino? E che se più mi è vicina, più subisce i danni? Ma tu, ti rendi conto di quanto sono spaventata, dal pensiero che potrei inavvertitamente ferire la persona che ora mi è più vicina? Sai quanto coraggio mi è necessario, per passare la notte insieme a te, dopo che in passato quasi uccisi i miei genitori?»
    Un’autentica angoscia traspariva dalle sue parole. Haiiro si mosse a disagio, cercò di guardare da un’altra parte, ma non poteva. Era la vergogna a fargli desiderare di distogliere lo sguardo. Non era che se ne fosse dimenticato, piuttosto non ci aveva mai pensato su. A quello che Kasumi doveva provare, a quello che Kasumi doveva superare ogni volta per stare accanto a lui. Se ne vergognava, per non aver mai pensato a lei ed essersi solo lamentato dei suoi disagi.
    «Ora ti chiedo lo stesso coraggio che io dimostro. Il coraggio di non farti ostacolare dalla paura del tuo potere. Il coraggio di fare qualcosa che sai potrebbe essere rischioso. Il coraggio di farlo lo stesso, per il bene della persona che ti ama.»
    Haiiro sentì un brivido attraversargli il corpo. Se lei la metteva in quel modo, come poteva rifiutare?
    «Infine – continuò lei – se con le buone non riesco a convincerti, posso sempre farlo con le cattive.» Haiiro sentì la sua energia calare, mentre la ragazza attivava il suo Breath-Taker. Nonostante la situazione tutt’altro che positiva, riuscì a stento a evitare di sorridere. Era così tipico di Kasumi mostrarsi dura e sprezzante dopo aver rivelato le sue debolezze.
    «Va bene, farò come mi chiedi. Utilizzerò il Dream Teller per te… per noi. Per condividere un sogno.»
    Kasumi sorrise raggiante e poi si abbassò ad abbracciarlo. Anche se solo per un attimo, Haiiro si ritrovò a pensare che solo per quello sarebbe valsa la pena di tentare.
    «Tanto per essere sicuri… quando pensavi di fare questa cosa?»
    Il sorriso raggiante di Kasumi si allargò ulteriormente, assumendo un che di feroce. «Stanotte. Ora.»
    Haiiro ruotò sconsolato gli occhi in alto. «Lo sapevo…»


    L’erba era un verde pastello steso sotto di lui, il cielo aveva le tonalità dell’acquerello, le strade erano il nero guizzo di un pennello. Solo le persone apparivano normali, ma anch’essi in rari momenti potevano assumere l’aspetto di dipinti. Ciò nonostante l’erba, il cielo o le strade non mancavano di profondità, né si assottigliavano in una piatta bidimensionalità. Invece apparivano come dipinti, ma allo stesso tempo dotati di una loro – reale, non apparente – tridimensionalità. Haiiro non era mai stato il tipo da lasciarsi influenzare dal paesaggio, ma in questo frangente si guardava intorno a bocca aperta.
    Furono delle voci a distoglierlo da quella contemplazione. Voci di ragazzini, voci conosciuti. La voce seria e allegra di un ragazzo, Hiroshi. La voce tagliente e afflitta della sua sorella, Kasumi. E infine la voce strascinata e stanca, sempre in bilico tra rassegnazione e sollievo, del se stesso passato.
    Girandosi Haiiro vide, senza troppa sorpresa, i tre ragazzi camminare. Tre spettri (ricordi) di ciò che era stato.
    “Quindi Kasumi sta sognando il passato. Ma lei dov’è? Perché non è qui con me?”
    La particolarità visiva del sogno e quelle tre figure lo convinsero che era riuscito a entrare nel sogno di Kasumi, eppure lei non era lì con lui. Il suo sguardo si fermò sulla piccola Kasumi. Non è che in quel sogno fosse rimpicciolita a quando era piccola?
    «Ehi Kasumi…!» Provò a chiamare, ma non ci fu reazione. Facendosi coraggio, Haiiro allungò la sua mano verso la spalla della ragazzina. Le passò attraverso, come un fantasma.
    “Dunque funziona così? È come quella volta con Galatea e Tatsuya. Ma in quel caso, pur essendo nel sogno di Galatea, lei era con noi. Perché Kasumi non c’è?”
    Provò a cercare, a chiamare a voce alta il nome della ragazza, ma inutilmente. Lei non era lì, almeno non come soggetto capace di interagire con lui. Capì di aver fallito: era riuscito a intrufolarsi nel sogno di Kasumi, ma solo come spettatore. Non era quella la condivisione del sogno che volevano.
    «Tuttavia non è male poter vedere il sogno di Kasumi. In particolare l’ambiente è impressionante.»
    «Vero? Sembra di essere dentro un dipinto… no, un semplice dipinto non renderebbe giustizia a ciò che vediamo. Sono sicuro che, se non avesse sviluppato il suo Breath-Taker, avrebbe dato vita a un’anormalità basata sulla pittura.»
    Con un sobbalzo Haiiro si girò verso la fonte del suono. Un ragazzo. Un ragazzo dentro il sogno di Kasumi. Un ragazzo oltre a lui.
    «Quindi, se anche non avesse sviluppato un minus avrei dovuto ugualmente darle la caccia.»
    «Chi sei tu?!»
    Lui si girò. Prima Haiiro aveva pensato che gli occhi di Kasumi fossero penetranti. Ora capiva di essersi sbagliato. Se “penetranti” poteva essere detto di un paio di occhi, dovevano essere i suoi. Occhi verdi chiari, occhi penetranti, occhi fissi. Occhi che lo guardava dall’alto in basso, occhi pieni di disprezzo. Occhi che lo vedevano, lo vedevano sul serio. Non sapeva cosa significava, ma quello era la sensazione che gli comunicavano. Quegli occhi potevano vederlo, penetrare fin dentro le sue ossa, giungere al suo animo.
    «Sensui Hagiri. Questo è il mio nome.»
    Se fossero stati nella realtà, Haiiro non avrebbe saputo a chi o cosa ricollegare quel nome, perso com’era nella nebbia mentale della stanchezza e del sonno insufficiente. Ma lì, lì in sogno dove tutto pareva più chiaro e nitido, i collegamenti più veloci, capì. Capì la connessione di quel nome, con quegli occhi, con quelle parole. Capì, più che ricordare, chi aveva davanti.
    «Tu sei l’anormale che dà la caccia agli anormali.»
    Il viso impassibile si piegò in un sorriso sprezzante. Al disprezzo, all’arroganza del suo sguardo, si aggiunse lo scherno, come per una battuta che solo lui poteva capire. Parlò quasi con dolcezza.
    «Questo, è ciò che sono.»
     
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    L'uomo in cui aveva riconosciuto Sensui lo guardava. Lo guardava negli occhi, con quel suo sguardo penetrante, quel suo sorriso irrisorio sul volto.
    «Dunque, se hai riconosciuto il mio nome, Kasumi deve averti parlato di me.»
    «Cosa ci fai qui.» Una domanda fatta senza il tono di una domanda, o forse un’affermazione che domandava.
    «Quello che mi riesce meglio. Guardo, anzi, vedo.»
    «Vedi i sogni di Kasumi.»
    «Vedo tutto.»
    Un brivido attraversò il corpo di Haiiro. Era paura. E rabbia.
    «Mi aveva detto che eri in prigione.»
    «Quindi te ne ha parlato. Del nostro ultimo incontro. Ti deve anche aver raccontato di come lei mi abbia visto… e io ho visto lei.»
    Di nuovo quel sorriso. Quel sorriso di irrisione.
    «Cosa vuoi dire.»
    «Quando ci siamo visti, il mio potere stava cambiando. Una volta mi limitavo a poter riconoscere, attraverso i miei occhi, le anormalità altrui. Ma mi sono reso conto che non era abbastanza. Mi sono reso conto che mi stavo limitando, limitavo la mia malattia, che voi chiamate “anormalità”. Quando ho smesso di farlo, quando ho accettato di essere un mostro come tutti gli anormali, i miei poteri sono andati crescendo. Ho sviluppato questa capacità, la capacità di “mettere gli occhi addosso”. Usandola, posso lasciare un pezzo di me all’interno di una persona e posso vedere tutto quello che lei vede, quando voglio.»
    «Hai… spiato Kasumi per tutto questo tempo?!»
    «Irritato da quello che ho potuto vedere? Ho spiato lei come molti altri. Ma non ti preoccupare, i vostri momenti intimi non mi interessano, non più di quanto mi interessi l’accoppiamento di due cani in calore.»
    Non ci fu distanza temporale tra il momento in cui Haiiro pensò di sferrare un pugno e quello in cui colpì Sensui. Nel sogno, Haiiro non sentì dolore alla mano. Non sapeva se Sensui avesse avvertito o meno il dolore, ma sapeva che del sangue gli uscì dal labbro, ma il suo sorriso beffardo e repellente rimase intatto.
    «Gli anormali legano con gli altri anormali. Si attirano, in un certo senso. Da solo non riuscirei mai a trovare tutti gli anormali. Ma usando gli stessi anormali, usando i loro occhi, quello che prima mi era impossibile diventa possibile.»
    Haiiro abbassò il braccio e lo riportò al suo fianco. O forse era stato là da subito dopo aver sferrato il pugno, senza bisogno di muoverlo. In un sogno i passaggi logici di causa ed effetto perdevano di importanza.
    «Però non mi aspettato di venire scoperto così. Posso vedere anche i sogni delle persone a cui metto gli occhi addosso. Lo consideravo un aspetto trascurabile del mio potere, ma non avrei pensato sarebbe diventato un mio punto debole. Perché quando tu ti sei intrufolato nel sogno di Kasumi, c’ero già dentro io.»
    «Non volevo intrufolarmi. Volevo condividere con lei un sogno. Ma non ha funzionato perché tu hai fatto da barriera.»
    «È così? Non importa, il mio piano per lo sterminio degli anormali continua lo stesso.»
    Ci volle qualche secondo perché Haiiro capisse quello che stava dicendo. Era troppo folle, troppo impossibile, per prenderlo solo in considerazione.
    «Sterminare gli anormali? E come pensi di riuscirci? Pensi che spiarli, scoprire i loro poteri, possa bastare? Figurati. Ci sono anormali, là fuori, che ti possono tranquillamente distruggere, che tu conosca o meno i loro poteri. Vedere e basta non ti serve a nulla.»
    Di nuovo quel sorriso. Più ancora degli occhi penetranti, Haiiro trovava difficile sostenere quel sorriso. Provava repulsione solo nel guardarlo. Non era l’aperto disgusto di Sensui, quanto quell’aria di sapere qualcosa che tutti gli altri ignoravano. L’unico motivo per cui non distoglieva lo sguardo era che, altrimenti, avrebbe sentito di aver perso una sfida sottaciuta.
    «Hai ragione. Non lo è. Questo è ciò che ho capito vedendo quel minus, vedendo un potere che non avevo modo di sfidare. Ma vedere e basta non è più il mio unico potere.»
    Una mano, una mano che ora era quasi un artiglio stringeva il collo di Haiiro.
    «Io posso sigillare i poteri di anormali e minus al mio interno, trasformando quei poteri in forza, resistenza, velocità. In questo modo posso aumentare in maniera illimitata le mie capacità fisiche. E il modo per farlo… è semplicemente fissarli da vicino, da molto vicino.»
    Non aveva più di fronte un volto umano. Era cambiato, la sua pelle diventata scura, le sue pupille scomparse, i suoi occhi ridotti a pozzi di luce. Anche lo spazio intorno a loro era mutato. Si trovavano sulla riva di un fiume e Haiiro era disteso per terra, la mano-artiglio di Sensui sempre stretta attorno al suo collo. Sotto di lui sentiva i sassi duri, ma l’acqua fredda gli lambiva la base del collo e i capelli.
    «Che cosa… sei diventato?» Parole pronunciate con sforzo da una gola serrata.
    «Ciò che sono sempre stato. Un mostro.»

    Il suo volto era sempre più vicino. Solo un pezzo di cielo era visibile ad Haiiro oltre la sua faccia. Le nuvole, sottili segni di matita sovrapposte, si muovevano veloci.
    «Kasumi…»
    «Non ti può sentire. Sei solo.»
    Gli occhi di Sensui scintillarono. La loro luce invase gli occhi del Sognarore. Haiiro sentì come se una parte di sé gli venisse tirata via con la forza. Non provò dolore, ma una egualmente intollerabile sensazione di violenza commessa da Sensui contro di lui. Ciò che lo sostenne furono, paradossalmente, le parole di Sensui. “Sei solo”. Quelle parole che avrebbero dovuto gettarlo nella disperazione, gli ricordarono che lui non era più solo, non poteva più essere solo, neppure quando non c’erano altri che lui. Perché lui era uno e doppio.
    «Io non sono mai solo.»
    Vide la faccia di Sensui passare dalla diffidenza, al dubbio, alla realizzazione delle sue parole. La sorpresa giunse sul suo volto insieme al dolore, quando l’arto dell’Ombra nella forma di una lama trapassò il suo petto. Sentì la pressione sul collo indebolirsi e poté di nuovo respirare.
    La bocca di Sensui si aprì, forse per parlare, forse per urlare la sua rabbia. Haiiro non lo sapeva, perché prima che potesse far uscire un suono, l’Ombra entrò in lui. Manovrò i suoi movimenti perché lasciasse del tutto la presa sul collo del Sognatore e arretrasse.
    «Dunque sei riuscito a evocare la tua Ombra e a farla entrare in me. Ma pensi basti questo per…»
    Fu interrotto, non da Haiiro o Shero, ma dalla scomparsa del fiume vicino a loro e del cielo. Entrambi capirono che presto sarebbe toccato alla terra e poi a loro.
    «Il sogno si dirada. Kasumi si sta per svegliare. Hai fallito, Sensui.»
    Lui lo guardò con impotente collera.
    «Ho fallito, hai ragione… ma solo per ora. Io ti ho messo gli occhi addosso. La prossima volta non mi sfuggirai, Haiiro Kugatsu.»
    Alzo la mano a indicarlo, in un gesto che era insieme promessa e minaccia. Senza sapere quale logica lo guidasse, se non quella misteriosa e segreta dei sogni, Haiiro mimò il suo gesto.
    «La mia Ombra è dentro di te. La prossima volta sarai tu a non sfuggirmi, Sensui Hagiri.»
    Rimasero a osservarsi finché il sogno non svanì. Una stessa consapevolezza, una consapevolezza che forse avrebbero smarrito una volta riaperti gli occhi, li accomunava. La caccia era iniziata.


    Il soffitto della sua stanza sopra di lui, il contatto con il materasso sotto, a fianco il corpo di Kasumi. L’adrenalina per uno scontro che si era svolto solo in un sogno, eppure concreto quanto la realtà. Questo percepì Haiiro quando riaprì gli occhi. Con movimenti lenti, come per riabituarsi alla realtà, si alzò a sedere e accese una luce. Non fu troppo sorpreso nel constatare che ai suoi piedi non veniva proiettata alcuna ombra, né che Shero non fosse lì. Quando lui si era svegliato, tornando alla realtà, l’Ombra era invece rimasta nel sogno. Dentro Sensui.
    Accanto a lui anche Kasumi cominciava a ridestarsi, inconsapevole di quello che era successo all’interno – o forse alle spalle – del suo sogno.
    «Ehi Haiiro, il tuo potere non ha funzionato affatto. Ho fatto un mio solito sogno, ma di te, del vero te intendo, neanche l’ombr… Cos’è quella faccia così seria? E dov’è Shero?»
    «Ti devo dire una cosa importante.»
    «Mica avrai sognato di tradirmi, per caso?»
    Haiiro si sforzò per sorridere, anche se il risultato finale fu tutt'altro che riuscito.
    «Sarebbe stato meglio se si fosse trattato solo di quello.»
    «Dici così solo perché non sai cosa ti avrei fatto, come punizione…»
    Sorniona e minacciosa assieme, Kasumi avvicinò la sua bocca a lui come per baciarlo, per poi scivolare a lato del suo volto, sfiorandolo, e alitargli piano sull’orecchio. Haiiro sentì il brivido di pericolo e piacere che provava ogni volta che Kasumi lo minacciava a quel modo, secondo un loro gioco mai del tutto privo di un pericolo reale e per questo sempre eccitante. Per un attimo dimentico di Sensui e del suo potere, Haiiro si unì a lei nel gioco.
    «Quindi adesso oltre a fare attenzione a quando dormire, devo stare attento a cosa sognare…»
    «L’hai capito finalmente.»
    Frasi mormorate appena, evanescenti come i sogni, nello spazio chiuso di una camera. Quel momento di intimità non durò a lungo. Il gioco svanì dall’espressione di Kasumi, ora seria.
    «Su, dimmi cosa è successo.»
     
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    Le disse tutto. Non fu facile, principalmente perché Kasumi fece di tutto per renderlo difficile, interrompendolo a ogni piè sospinto il suo racconto e prorompendo in imprecazioni contro Sensui. In particolare quando Haiiro le disse di come l’anormale potesse spiare ogni cosa che lei facesse. Il Sognatore giunse a preoccuparsi che dalle camere accanto alla sua potessero sentire le invettive della ragazza e svegliarsi, prima di ricordarsi di non aver vicini di camera. Si erano tutti trasferiti in seguito al suo arrivo all’Ovile, chi prima chi dopo, lamentando strani sogni o allucinazioni. Meglio, una preoccupazione in meno.
    «Dunque quel bastardo di Sensui, oltre a leggere le anormalità semplicemente guardando un anormale, adesso può spiare le persone in modo permanente e anche trasformarsi in un mostro e sigillare le loro anormalità?! E quel che è peggio, ha spiato me?!»
    Incapace di stare ferma, Kasumi percorreva e ripercorreva a piedi nudi la stanza, i passi irrequieti che cadenzavano le sue parole furiose. Haiiro aveva il suo bel da fare, nel cercare di farla ragionare e insieme mantenere la concentrazione. Il confronto onirico con Sensui l’aveva consumato più di quanto avrebbe creduto, la sua mente continuava a deragliare in mille direzioni diverse ed era difficile concentrarsi su una questione.
    «Già, l’ha fatto. Un vero bastardo, non c’è che dire. Mettiti i vestiti, se stai così nuda potrebbe vederti. Attraverso i miei occhi.»
    «Ah! Sai da quanto tempo mi ha, per usare i suoi termini, “messo gli occhi addosso”?! Ormai non avrà più nulla da vedere, che non abbia già visto.»
    Nonostante quelle parole, non ci volle molto prima che Haiiro potesse sentire il fruscio di vestiti che venivano indossati.
    «Dobbiamo pensare a un piano per sconfiggerlo.»
    «Un piano? Come fai a elaborare un piano contro uno che ti può spiare in ogni momento? E che di sicuro lo starà facendo ora? No, siamo sotto osservazione. Non possiamo essere noi ad agire.»
    «Chi allora?»
    La mente di Haiiro si stava già dirigendo verso anormali che aveva conosciuto e su cui sapeva di poter contare, ma Kasumi stava pensando ad altri.
    «L’ultima volta che l’ho visto, Sensui era chiuso in una prigione. O un manicomio. Fa lo stesso. Chiamerò una delle persone collegate e gli chiederò informazioni. Se è ancora là, prenderanno le dovute precauzioni.»
    Le informazioni prima di tutto: anche per uno come Haiiro aveva senso. O forse se aveva annuito era solo perché non voleva starci sopra a pensare e preferiva lasciar fare a Kasumi, mentre lui appoggiava la testa al muro e riposava per qualche istante. Non dormì, sapeva che era pericoloso, ma ci andò molto vicino. Sentiva in sottofondo la telefonata della ragazza, ma non ne registrava le parole. I suoi pensieri vagavano in direzioni varie, verso Sensui e il suo sogghigno, verso Kasumi e il letto, verso la scuola e i compiti che aveva l’indomani, verso l’Ombra che da lontano lo chiamava…
    «Come sarebbe a dire “da una settimana”?! È scappato da una settimana e voi, sapendo che io ero una delle sue prede, non mi avete detto nulla?!»
    L’esclamazione improvvisa e inaspettata di Kasumi riportò Haiiro alla realtà, facendolo sobbalzare sul letto, il filo dei suoi pensieri perso, dimenticato.
    «Sotto sorveglianza, come no… un modo gentile per dirmi che mi spiavate, sperando che Sensui mi raggiungesse, in modo da poterlo catturare…»
    Lentamente, man mano che il cervello riprendeva a funzionare, Haiiro mise assieme i brandelli di conversazione telefonica che poteva sentire e capì cos’era successo. Sensui era scappato dal luogo in cui era stato rinchiuso, dove si trovasse al momento era ignoto: ogni volta che veniva rintracciato riusciva a fuggire. Inoltre aveva colpito diversi anormali con cui era entrato in contatto. Anche Kasumi doveva essere uno dei suoi bersagli. La chiamata finì in modo duro.
    «Non mi hai informato di nulla e adesso mi chiedi di darti informazioni su Sensui?! Fanculo!»
    Mise giù, il volto contratto dall’ira. Di nuovo prese a percorrere la stanza con ampi passi, con le movenze di una pantera in gabbia. Haiiro la osservava muoversi, fissando di volta in volta lo sguardo sulle gambe, i fianchi, il seno, il profilo della testa e i capelli mossi. Lei non lo guardò, se non quando smise di muoversi e girò la testa verso di lui.
    «Haiiro. Loro sapevano che era fuggito, che avrebbe potuto cercarmi, ma non mi hanno detto nulla. Io…»
    «Non coopereremo. Sapevano che tu eri in pericolo e non ti hanno detto nulla. E allora che facciano da soli. Non ho intenzione di aiutare tipi del genere.»
    Fu strano. Tutta l’ira, l’insofferenza, l’agitazione di Kasumi, svanirono in un istante dal suo volto, per far posto a un sorriso di gratitudine.
    «Grazie Haiiro. Era proprio ciò che volevo sentirmi dire.»
    Senza sapere perché – se non forse per la sincerità di quel ringraziamento – il ragazzo distolse gli occhi imbarazzato.
    «Non è nulla. Cioè, è ovvio che io dica così. Sono stati dei veri bastardi. Comunque come facciamo per Sensui? A trovarlo, principalmente.»
    «Oh, ma noi sappiamo dov’è.» Ora c’era un altro tipo di sorriso sulla faccia di Kasumi, un sorriso tagliente, ferino.
    «In che senso? Neanche quei tipi sanno dov’è. Dicevano che si muove ogni volta che…»
    «Non sto parlando della realtà.»
    Ci volle qualche istante perché Haiiro capisse quello che Kasumi voleva dire. Lo stesso tempo necessario perché il suo volto passasse da un’espressione confusa a un ghigno, degno compagno del sorriso della ragazza.
    «Nei sogni. Noi daremo la caccia a Sensui nei sogni.»
     
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    Pur avendo scelto il corso d’azione, decisero di posticipare lo scontro con Sensui di un giorno. Il confronto onirico aveva affaticato Haiiro, inoltre mancavano solo un paio d’ore all’inizio della scuola e nessuno dei due ragazzi voleva essere beccato dal comitato disciplinare in camera durante l’orario scolastico. Per quanto pericoloso Sensui fosse, neppure Unzen scherzava, come dimostrava la recente distruzione della sede del Concilio Studentesco.
    Passarono le ore rimanenti prima dell’inizio delle lezioni seduti sul letto, le schiene appoggiate al muro, la testa dell’uno appoggiata sulle spalle dell’altra. Discussero di come comportarsi per quel giorno e Kasumi usò le sue capacità curative del Breath-Taker per alleviare la stanchezza di Haiiro. L’argomento su cui dibatterono più a lungo fu se chiedere aiuto ad altri anormali o meno. Haiiro era sicuro che avendo dei fuoriclasse come Tatsuya, Goro o Galatea al loro fianco, non avrebbero avuto problemi. Anche lo sciamano Kazuma aveva dato prova in passato di cavarsela nel mondo dei sogni, mentre sarebbe valsa la pena di chiamare Enma solo per vedere quali sfighe avrebbe attirato. Ma Kasumi rifiutò. I motivi erano due.
    «Sensui usa il suo potere di “mettere gli occhi addosso” agli anormali proprio per scovare altri anormali. Incontrando questi tuoi amici anormali non faremo che il suo gioco.»
    «E se venissimo sconfitti?»
    «Ecco. Una delle poche, se non l’unica, informazione utile che mi hanno dato al telefono è questa. Sensui non uccide le sue vittime, si limita a sigillare i loro potere. Quindi, anche se venissimo sconfitti, potremmo sempre chiedere a questi anormali che tu conosci di vendicarci.»
    Anche Haiiro riusciva a vedere tutte le falle di questa argomentazione. Che senso aveva dire di non coinvolgere altri anormali affinché Sensui non li vedesse, per poi decidere di chiedere il loro aiuto, dopo essere stati sconfitti? E come avrebbero potuto Goro e gli altri trovare Sensui senza il tramite dei sogni che il Dream Teller poteva creare? E se anche lo avessero trovato e sconfitto, chi assicurava che i poteri da lui sigillati sarebbero tornati ai loro possessori? Troppi rischi, troppe incertezze. Ma Haiiro sapeva che la vera motivazione era la seconda.
    «Voglio confrontarmi con lui un’ultima volta, guardandolo fisso negli occhi. Il mio sguardo sul suo sguardo. E so di poterlo fare soltanto se lo affronterò io da solo… oppure con a fianco una persona in cui ripongo assoluta fiducia.» E, dicendo così, gli aveva stretto forte la mano.
    Haiiro non controbatté. Non importava se era una motivazione stupida o senza senso, l’unica cosa importante era la fiducia che lei nutriva per lui.

    Uscirono dall’Ovile alla solita ora e si diressero a scuola camminando assieme, le dita delle mani intrecciate tra di loro. Si separarono per andare alle rispettive lezioni e si ritrovarono quando finì la scuola. Di nuovo insieme percorsero le arterie della vita cittadina e studentesca, rimanendo nelle zone più affollate, nel flusso delle persone in continuo movimento, consci della possibilità che Sensui stesse seguendo i loro movimenti e aspettasse solo il momento giusto per attaccarli. Si fermarono a una panetteria piuttosto rinomata tra gli studenti per i prezzi convenienti e la buona qualità. L’unico crucio, almeno per Haiiro, era che non servivano caffè; in aggiunta per evitare di incontrare altri anormali non aveva neppure potuto passare al Maid Cafè. Vedendo la sua espressione corrucciata mentre mangiava il panino, senza l’usuale compagnia della bevanda nera, Kasumi non poté trattenersi dal prenderlo in giro e stuzzicarlo. Lui non lo trovò divertente.
    Finito di mangiare gironzolarono per il centro cittadino, spostandosi tra i vari negozi e, per la gioia di Haiiro, facendo una sosta in un caffè. Cercarono di comportarsi nel modo più naturale possibile e, in generale, ci riuscirono. Una volta stanchi di quel tran-tran, si diressero alla caffetteria di Hiroshi, il fratello di Kasumi. Passarono lì il resto del pomeriggio, in mezzo ai clienti del locale. Per tutto quel tempo non videro traccia di Sensui.
    «Forse anche lui aspetta la notte, il sogno, per regolare i conti.»
    «Allora non dovrà aspettare ancora molto.»

    Verso sera un ragazzo poco più grande di Haiiro e Kasumi entrò nel locale. Anche in una caffetteria popolata da giocattoli dotati di vita propria com’era quella, l’entrata di un giovane vestito come andava di moda nell’Inghilterra del primo Novecento – con tanto di bombetta e impermeabile, l’uso di quest’ultimo tanto più rimarchevole contando che si era in estate – era sufficiente per attirare gli sguardi di tutti gli avventori del locale. Del tutto a suo agio, il giovane salutò prima Hiroshi, la cui naturalezza nell’accogliere una presenza così insolita non era meno notevole di quella stessa presenza, e poi si diresse verso il tavolo a cui sedevano i due ragazzi. Un leggero ma continuo tintinnio accompagnava il suo incedere.
    «È lui il Merovingio di cui parlavi…?»
    Non ottenne risposta, ma il sogghigno sulle labbra della ragazza era sufficientemente chiaro. Haiiro tornò a fissare quello che era l’unico anormale di cui Kasumi aveva ritenuto indispensabile la collaborazione, anche se solo da un punto di vista logistico. Giunto al loro tavolo, il Merovingio si presentò al Sognarore e salutò Kasumi con un calore che Haiiro trovò vagamente fastidioso. Poi passò agli affari.
    «Mi hai detto che ti serve aiuto.»
    «Esatto. Un aiuto urgente, per questa notte. Puoi concedermelo?»
    «Beh sai, si sono verificate una serie di circostanze e a causa loro…» Cominciò a dire con l’atteggiamento circospetto di un commerciante che spiega perché l’articolo richiesto da un mese non è ancora arrivato – posso concederti tutto l’aiuto che vuoi.» L’atteggiamento circospetto si sciolse in un sorriso così radioso da non essere meno sospetto.
    «Posso portarti ovunque vuoi, quando vuoi. Senza limiti o costi aggiuntivi. Anzi, senza costi e basta. Tu e il tuo fidanzato, ovviamente. O chiunque altro vogliate portare.»
    Per capire che quell’offerta così generosa, in quel giorno, non era casuale non serviva un genio, bastava un addormentato.
    «Le circostanze di cui parli… è collegato a Sensui. O sbaglio?»
    Un’alzata di spalle e uno scivoloso sorriso furono la sua risposta. Haiiro si accigliò, ma notò che Kasumi, al suo fianco, era serena.
    «Vista la gentile offerta, ne approfitteremo al massimo. Però in tutta onestà non ci serve molto. Solo una camera per noi due in cui poter dormire indisturbati questa notte. Sarebbe meglio una camera non giapponese. Ma non dirci di dove, scegli tu a tuo piacere.»
    Da fuori poteva sembrare che cercassero semplicemente una camera in un love hotel per poter condividere un’intimità segreta. Ma quello che Kasumi stava chiedendo era che il Merovingio, col suo potere di spostarsi per l’intero mondo, li portasse in un luogo dove Sensui non potesse raggiungerli. Un luogo in cui loro due avessero potuto dormire senza paura che Sensui li attaccasse nel sonno. Un luogo fuori dal Giappone, che loro stesso non conoscevano.
    «Non c’è problema – disse il Merovingio sempre con un sorriso da mercante sulle labbra. – Altre richieste?»
    Kasumi sorrise e Haiiro seppe che quel sorriso affilato e ironico non era per il Merovingio, ma esclusivamente per lui.
    «Sì. Il letto bello spazioso, mi raccomando.»
     
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    Il Merovingio esaudì le loro richieste. Poco prima delle nove i due uscirono dal locale passando per la porta posteriore, dove il loro “accompagnatore” aspettava. Il Merovingio chiuse la porta, poi mostrò loro il palmo della mano destra, aperto e vuoto. Lo richiuse a pugno e lo scosse, poi ci fece passare sopra l’altra mano e lo scosse nuovamente. Stavolta, a differenza della prima, si poté sentire un chiaro tintinnio metallico. Nella mano, prima vuota, teneva un piccolo mazzo di chiavi.
    «Questo è solo un piccolo trucco di prestigio.» Scelse una tra le chiavi del mazzo, l’infilò nella porta e la girò. «Questo invece no.» Quando aprì la porta, la porta che conduceva al locale di Hiroshi, si trovarono di fronte un luogo totalmente diverso. L’ingresso di una camera d’albergo – o tale era d’aspetto – con una pelliccia come tappeto. Il tutto mentre l’edificio in cui la porta era incastonato rimaneva uguale, producendo un contrasto stridente tra il fuori e il dentro, un autentico “fuori di posto”.
    «La porta ora è aperta. A me non resta che augurarvi un buon e “proficuo” soggiorno.» Calcò la parola proficuo, sottolineandola ulteriormente con un occhiolino. Haiiro guardò lui poi la porta aperta ancora dubbioso, ma Kasumi superò la soglia senza timore. Lui la seguì. Guardò il Merovingio ancora sorridente mentre chiudeva la porta. Solo quando fu chiusa, il Sognatore si rese conto che non potevano più tornare indietro. Quella porta non conduceva più a casa loro.
    «Bene, siamo qui.» La stessa consapevolezza risuonava nelle parole della ragazza.
    «Non sappiamo quando Sensui andrà a dormire. Forse cercherà di rimanere sveglio per evitare di incontrarci nei sogni. Forse no. Comunque non credo stia ancora dormendo. Abbiamo tempo almeno per farci una doccia. Vai prima tu o io?»
    A lui non importava molto. «Vai pure tu.»
    Lei annuì e, toltasi le scarpe, si diresse a piedi nudi verso il bagno. Haiiro rimase a esplorare il luogo. Doveva davvero essere una camera d’albergo, infatti aveva solo uno stretto ingresso con appendiabiti e un’ampia stanza fornita di un letto matrimoniale, un armadio, un tavolo con sopra qualche foglio e delle penne, un piccolo frigorifero e una televisione ultrapiatta. Sul comodino di fianco al letto c’era un piccolo ma spesso libro in rosso bordeaux, una scritta in caratteri dorati e sotto una croce dello stesso colore. Tutto era ben curato, con una strana tappezzeria di pelli, vere o finte lo ignorava, che faceva pensare a qualche luogo settentrionale, come la Russia, la Germania, ma anche il Canada e l’Alaska. Sulla parete c’era una finestra e la porta a una terrazza, ma entrambe erano chiuse con i balconi e non permettevano di vedere fuori. Non poteva neppure dire se fosse giorno o notte. In quel modo neppure Sensui l’avrebbe potuto sapere.
    Haiiro attese, sentendo dal bagno il suono dell’acqua che scorreva nella doccia. Kasumi l’aveva informato prima di non guardare la televisione – avrebbe potuto fornire indicazioni su dove erano. Per lo stesso motivo avevano lasciato i loro cellulari al Merovingio, che aveva fornito un suo dispositivo a Kasumi per contattarlo.
    “Troppe precauzioni. Se anche Sensui sapesse in che nazione siamo, come potrebbe raggiungerci?”
    Quella situazione lo infastidiva. Era abituato a passare il tempo della notte da solo e senza far nulla, ma di solito aveva almeno il conforto di un televisore o di un cellulare coi suoi giochi. Invece lì poteva solo stare fermo in quella camera, senza neanche fare un passo all’esterno.
    «Dovremmo essere noi a cacciare Sensui, ma sono io a sentirmi braccato e in trappola, rinchiuso qui…»
    «In una caccia, sia il cacciatore che la preda devono fare del loro meglio per nascondere la loro presenza, fino all’attimo prima di colpire. Ancor più in questa situazione, dove preda e cacciatore possono scambiarsi di ruolo facilmente.»
    Fu sorpreso dalla voce di Kasumi: sovrappensiero non si era accorto di come il suono dell'acqua che scorreva fosse cessato. A passi leggeri la ragazza percorse, sempre a piedi nudi come piaceva a lei, la distanza che separava il bagno dal letto e si distese accanto a lui.
    «Non preoccuparti, verrà presto il nostro turno di attaccare.»
    Solo un asciugamano ricopriva il suo corpo, senza tuttavia nascondere le generose curve del suo corpo. Ma l’attenzione di Haiiro era sui capelli neri, che giacevano sparsi e liberi sopra il cuscino, incuranti di come, ancora umidi, lo stessero bagnando.
    “Credo di avere un feticcio verso i capelli bagnati…” arrivò a pensare Haiiro mentre prendeva ad accarezzarli. Adorava i capelli mossi, bagnati dall’acqua di Kasumi – e lei doveva essersene accorta per presentarsi così. Dopo qualche istante però la ragazza allontanò la sua mano con un schiaffetto e un «smettila che me li arruffi».
    «Spero di chiudere il più presto possibile questa storia con Sensui.» Parole dette più che altro per riempire il silenzio.
    Kasumi lo guardò sorridendo, poi distese le braccia in alto e le abbassò lungo i fianchi. Chiuse gli occhi, con espressione serena.
    «Io no.»
    Incurante dello sguardo sbalordito di Haiiro, che dovette intuire pur con gli occhi chiusi, continuò a parlare.
    «Io vorrei poterlo rimandare più a lungo possibile, per tenere viva il più possibile questa illusione.»
    «Di quale illusione stai parlando?»
    «L’illusione di questa stanza, e di me e te. L’illusione di essere una normale coppia che si sta godendo una vacanza in qualche hotel. Senza pensieri di lotte, poteri, anormali o altro. Senza preoccupazioni. Una semplice coppia in vacanza e null’altro.»
    Riaprì gli occhi.
    «Potremmo farlo, sai? Il Merovingio ci ha aiutato a causa di Sensui, questo è certo, ma non ha detto nulla di esplicito in materia. Solo che ci avrebbe fornito un passaggio. E allora perché non approfittarne?»
    Rimanere lì, come una normale coppia. “Perché no?” Pensò Haiiro, catturato dall’immagine di quel sogno, la sua mente che veleggiava ancora più in là: uscire da quella stanza, lasciandosi alle spalle Sensui e il Merovingio, l’Hakoniwa e i loro anormali compagni. Avventurarsi in quel paese sconosciuto dove si trovavano ora, imparare la lingua, trovare un lavoro, poi una casa, vivere lì, lontano da scontri e avventure. Un’immagine così serena e tranquilla da essere, per contrasto, eccitante.
    «Sarebbe bello.» Lo diceva sul serio.
    «Sarebbe molto bello» ripeté Kasumi abbracciandolo.
    Non dissero nient’altro, ma rimasero così a lungo, lasciandosi cullare in quella dolce illusione.
    Quella notte, nei sogni, affrontarono Sensui.
     
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    Haiiro Kugatsu
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    Il paesaggio all’inizio era confuso, forse a causa del processo di mescolamento dei sogni. O forse a essere confuse erano le loro sensazioni. Colori e suoni si mescolavano nelle loro coscienze, prima di fissarsi in forme almeno momentaneamente stabili. Il cortile scolastico davanti al liceo, a fianco il Maid Cafè con alcune illustrazioni disegnate da Kasumi per pubblicizzarlo, dall’altra parte della strada la vecchia casa dove vivevano Hiroshi, Kasumi e Haiiro, ancora annerita dalle ceneri. Gente che conoscevano camminava per quel luogo. Haiiro prese a rigirarsi attorno per individuare Sensui, voltando di scatto la testa da una persona a un'altra. Kasumi invece si guardò attorno con più calma.
    «Sembra che ci siamo riusciti, anche se il risultato finale è un po’… come dire, sfocato.»
    «Sfocato? A me sembra normale.»
    «Cosa stai dicendo? È… va bene, non è proprio sfocato. Diciamo che è difficile cogliere i particolari. Non si riesce bene a focalizzare le strutture, ma solo ad averne una panoramica generale.»
    Il ragazzo provò a guardarsi attorno con più attenzione, concentrandosi sul paesaggio più che sulle persone, ma continuava a non notare nulla di insolito. Notò invece, come nel sogno precedente, la “visuale artistica” di Kasumi.
    «Piuttosto, è interessante come tu sogni gli ambienti. Guarda: gli edifici, gli alberi, il cielo… tutto sembra un dipinto. Sogni sempre così?»
    Ma, con sua grande sorpresa, stavolta fu Kasumi a guardarsi intorno confusa.
    «Guarda che è uguale a com’è la realtà. Tranne per quella mancanza di focalizzazione.»
    «Che dici? Quello di diverso è l’aspetto del paesaggio…»
    Si zittirono, fissandosi quasi in contemporanea negli occhi, colti dalla stessa intuizione.
    «Non è che in sogno tu vedi l’ambiente come un dipinto. È così che vedi la realtà.»
    «E anche tu… non so se dipende dal poco sonno o è una tua caratteristica personale, ma non ti focalizzi sui dettagli di quello che vedi. Per questo tutto appare come sfocato»
    Qualche istante dopo quelle parole, mentre ancora si stavano guardando, lei scoppiò a ridere. Confuso, Haiiro sorrise senza ben capire perché.
    «Scusa, è solo che… quando ti ho chiesto per la prima volta di condividere il sogno, volevo vedere come sognavi. E invece tu hai trovato Sensui. Adesso stiamo cercando Sensui e riusciamo a capire come l’altro vede non solo i sogni, ma il mondo.»
    Ad Haiiro continuava a sfuggire l’ironia della cosa.
    «Mhm… ok. Quindi, dunque, adesso dobbiamo…»
    «Per di là» Kasumi stese il braccio indicando oltre la casa annerita. «Non può essere altrove. Il sogno di Sensui»
    Oltre quel punto si stendeva un parco, diverso tuttavia dal Hijifu. Quel che dava la sicurezza che si trattasse del sogno di Sensui era la prospettiva. Una prospettiva unica, diversa sia da quella artistica di Kasumi sia da quella sfocata di Haiiro. Tutto lì appariva grottesco e sproporzionato, minaccioso e terribile, ma anche malato. Gli alberi si stendevano verso l’alto come i cipressi di Van Gogh, ma senza la loro grazia, bensì con inquietudine e gravità barocca. I due percorsero quello spazio, quel prato anormale, fino a giungere a una vasta piazza cementata.
    La piazza non era sproporzionata come la foresta, al contrario tutto in essa era ordinato e preciso. Ogni suo aspetto era regolato, secondo quella che si intuiva essere principi geometrici applicati con puntuale rigore. Eppure quell'ordine privo di imprecisioni, privo di umanità, non era meno agghiacciante della foresta.
    «Il tuo ideale, la tua ossessione: un mondo regolato da ineccepibile regole geometriche. Questo è ciò che questa piazza rappresenta.»
    La figura a cui Kasumi aveva parlato, rimase in silenzio, di spalle. Haiiro sentiva il richiamo di Shero provenire da lei. Ma c’era qualcosa di sbagliato nella sensazione che riceveva.
    «E la foresta invece è l’altra tua ossessione, ciò che minaccia il tuo ideale. Gli anormali, che non si piegano ad ordine alcuno, che contrastano ogni legge. Mi sbaglio, Sensui?»
    La figura si girò. Era come l’aveva visto Haiiro l’ultima volta: la pelle annerita, la statura enorme, superiore ai due metri, gli occhi scintillanti.
    “Shero!” Chiamò mentalmente la sua Ombra, perché uscisse da Sensui e gli assistesse nella battaglia che presto sarebbe scoppiata. Ma tutto quello che ricevette da Shero fu una sensazione di prigionia.
    «Kasumi Natsui. Haiiro Kugatsu. Volete che vi liberi dai vostri minus?»
    Non era la risposta che si aspettavano. Ma non c’era scherno nella voce di Sensui, non c’era beffarda alterigia nel suo volto. Non sorrideva, non gli irrideva. La sua voce era grave, seria.
    «Si può sapere che diavolo stai dicendo…»
    «Io posso rendere reale la vostra illusione. L’illusione di essere una normale coppia. Posso togliervi i vostri poteri maledetti, sigillarli dentro di me, liberarvi da essi. Farvi diventare normali. Umani.»
    Haiiro vide, o credette di vedere, una scintilla di dubbio negli occhi di Kasumi. A quella scintilla reagì cercando di contrastare le parole di Sensui, quelle parole che sembravano dirigersi verso il loro animo, ma che non poteva credere sincere.
    «Non farmi ridere! Quando ci siamo incontrati hai cercato di sigillare il mio Dream Teller a forza! E ora mi dici che vuoi aiutarci?!»
    Sensui annuì.
    «È vero. Ho agito con forza in quel momento. E sarei pronto a rifarlo ora, se voi rifiutaste la mia offerta. Ma… è questo che volete? Combattere contro di me per tenervi i vostri minus? Quei minus che vi hanno distrutto la vita? Quei minus che tanto detestate? Non sarebbe meglio lasciarseli sigillare?»
    «Parli così solo per tuo tornaconto. Vuoi diventare più potente assorbendo altri poteri.»
    «No. L’incremento di potenza è solo un mezzo, un effetto secondario se volete. Ciò che io voglio è cancellare le anormalità e i minus da questo mondo, rinchiudendole in me.»
    «Non tutti gli anormali vivono male i propri poteri.»
    «Non tutti, ma voi sì. Non sviate il discorso altrove. Io sto offrendo a voi, a voi due soli, una possibilità. Scegliere di farmi sigillare i poteri che tanto odiate. Oppure combattere con me per tenere ciò che odiate. La scelta è vostra. Ma io vi dico una cosa: ciò che vi fa rifiutare è solo una cieca ostinazione.»
     
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    Cieca ostinazione. Era davvero così? Kasumi e Haiiro non poterono non chiederselo. Perché quello che Sensui offriva era ciò che loro avevano spesso desiderato. Potevano rifiutarlo così? Sensui vide il dubbio insinuarsi nei loro occhi e, per un solo breve attimo, sorrise.
    «Sono stato vostro nemico. Capisco perché siete così guardinghi. Ma pensateci: riuscite a trovare un solo motivo per rifiutare la mia offerta, oltre alla nostra inimicizia?»
    I due esitarono, prima di rispondere.
    «È vero che ho odiato il mio minus. E lo odio ancora, sotto molti versi. Però… è grazie a esso se sono ciò che sono adesso. Nel bene e nel male, il mio minus è parte di me.»
    «Per me è lo stesso. Non posso dire di essere contento di aver ricevuto il mio potere. Non lo sono affatto. Ma non voglio negarlo. Sarebbe come negare me, o il mio passato.»
    Sensui rimase in silenzio, come riflettendo. Quando riprese a parlare lo fece in modo lento, quasi didattico, come si parlerebbe a un bambino.
    «Immaginate una persona che fin da piccolo soffre di una grave malattia. Quella persona ha sofferto a lungo per questa sua condizione. La malattia ha condizionato l’intera sua vita, ha plasmato i suoi incontri, le sue esperienze. Anche di questa malattia si può dire che è parte di lui, che ha forgiato il suo essere attuale. Ma se un giorno un medico si presentasse con una cura, pensate che il malato sarebbe tanto stupido da rifiutarla?»
    «La nostra non è una malattia.»
    «No, è peggio. È ancora più pericolosa e deleteria di una malattia, per voi e gli altri. Solo che voi non lo volete accettare. Peggio, lo accettate solo per lamentarvene. Fra di voi vi dolete di quanto dolore vi ha portato, delle sofferenze, dell’impossibilità di essere normali, eppure adesso che vi offro una cura, voi la rifiutate? Non vedete quanto è ipocrita?!»
    Il suo tono era salito fino a diventare un urlo; Haiiro e Kasumi si ritrassero, spaventati dalla forza di quelle parole. Vedevano le sue ragioni. Peggio ancora, non erano capaci di far valere le loro. Eppure… eppure non potevano accettare la sua offerta. Non avevano ragioni da adottare a loro difesa, ma solo una sensazione. La sensazione di non poter accettare.
    «No. Hai ragione: un’anormalità non è una malattia. Non è qualcosa che si può togliere così, a piacere. È qualcosa di più profondo. E io, a costo di sentirmi dire dell’ipocrita, non voglio separarmene. Non ancora.»
    «Sono d’accordo. Però da domani cercherò di lamentarmi di meno del mio Dream Teller. Lo prometto.»
    «Tanto tempo qualche ora e sarà già là a lamentartene…»
    «Dici? Secondo me qualche giorno resisto…»
    Erano stati incauti, credendo che Sensui avesse lasciato loro finire il loro parlottare. O forse non sarebbe cambiato niente neppure tenendo alta la guardia, poiché la velocità con cui l’anormale balzò su di loro era troppa perché riuscissero a reagire in maniera efficace. Con un pugno colpì Kasumi al fegato, poi la afferrò per i capelli e, come se fosse leggerissima, la scagliò via.
    «Il tuo potere funziona solo sulle brevi distanze, inoltre non ha alcuna misura difensiva.»
    «Bastardo!»
    Haiiro non pensò, non dopo aver visto come aveva malmenato la sua ragazza. Si scagliò contro Sensui in modo disordinato, tempestandolo di pugni. Fu come una formica che cercava di mordere un uomo. Con facilità disarmante Sensui lo afferrò per il collo e lo spinse con forza contro il terreno, tanto da fargli mancare il respiro.
    «Il tuo Dream Teller invece funziona solo se stai dormendo. Contro un avversario che ti aggredisce a corta distanza è praticamente inutile. E ho già provveduto a sigillare e rendere impotente l’Ombra con cui mi avevi ostacolato ieri.»
    Shero gridò dall’interno di Sensui, ma era impotente, come lo era Haiiro. Di nuovo gli occhi di Sensui erano fissi sui suoi. Di nuovo balenarono di una luce predatoria, che cercava di privarlo dei suoi poteri. Ma non c’era nessuno a salvarlo, stavolta. Kasumi cercava di rialzarsi, il suo respiro si era colorato di turchese, i suoi occhi scintillavano. Stava usando la massima forza del suo Breath-Taker. Ma era troppo distante da Sensui per aver effetto.
    La luce inghiottiva ogni cosa nel campo visivo di Haiiro. Una luce intollerabile, che gli impediva di dormire e sognare, che gli portava via la sua capacità di sognare e concretizzare i sogni. Non voleva vedere quella luce. Ma non poteva respingere. Non poteva chiudere gli occhi. Non poteva scatenare i suoi sogni. Allora, usò le mani.
    Dita negli occhi. Una delle mosse più intuitive ed efficaci. Ma Sensui non se l’aspettava. Forse neppure Haiiro se l’aspettava, quando stese le mani afferrando la nuca di Sensui con le otto dita e spingendo le due rimanenti, i pollici, negli occhi.
    Il contatto visivo si interruppe, la luce svanì. Sensui ritrasse il capo, sfuggendo il dolore agli occhi, la presa della sua mano sulla gola di Haiiro si indebolì. Ma il ragazzo non aveva ancora finito. Sankaku Jime, lo strangolamento a triangolo. Una delle prime tecniche che Nekomi Nabeshima, la regina delle scorrettezze gli aveva insegnato. Usando le gambe, intrappolò la testa e il braccio di Sensui, poi strinse.
    «Allora?! Che te ne pare di me… del mio judo?!»
    Un pugno alle viscere interruppe tanto le sue parole quanto la sua tecnica.
    «Judo? Pensi di potermi battere con una cosa del genere?»
    Haiiro rotolò via, cercando di riprende fiato, di rialzarsi da terra.
    «Una cosa del genere non può nulla contro un mostro, contro un anormale.»
    A fatica riuscì ad alzarsi da terra. Poteva essere un sogno, ma il dolore era reale.
    «Solo uno stupido potrebbe pensare che possa funzionare.»
    Non replicò, non a parole. Si gettò su Sensui e forzò l’esecuzione di una proiezione Seoi nage. Ma non ebbe nessun effetto. Sensui rimase stabile sui piedi e con un manrovescio al volto lo gettò di nuovo a terra.
    «Ma la cosa più stupida è la tua pretesa di poter imparare judo. Un mostro come te. Cosa pensavi di poter fare quando hai cominciato? Di poter aumentare le tue possibilità di sopravvivenza in battaglia? Di poter diventare più forte? Di poter migliorare? Una cosa simile è impossibile. Qualsiasi cosa tu tenti di fare, è tutto inutile. Niente migliorerà, niente cambierà. In fondo, le persone non possono cambiare. Possono solo illudersi di farlo. Illudersi di essere migliorati, di essere cambiati, illudersi di essere diversi da quel che sono. Anche il tuo tentativo di imparare il judo per migliorare non è nient’altro che un’illusione.»
    «Sta zitto!»
    A parlare era stata Kasumi. Barcollava, ma era riuscita a rimettersi in piedi. La sua espressione era furente.
    «Cosa vuoi saperne tu?! Tu che ne sai di Haiiro?!»
    Prese ad avanzare verso Sensui, il dolore cancellato dalla rabbia.
    «Io, io lo conosco e ne posso parlare! Io lo so… come lui possa essere una persona insopportabile. Come si lamenti di ogni cosa, come faccia ogni sforzo con quella sua aria di fastidio, anche se è qualcosa che ha scelto di fare lui. Come consideri quasi tutto una seccatura, senza rendersi conto di quanto lui sia seccante con questo atteggiamento.»
    “È questo che pensa di me?! Piuttosto, mi comporto davvero così?!”
    «Eppure, per quanto ritenga qualcosa fastidioso, lo fa lo stesso. Per quanto si lamenti, si sforza sempre. Per quanto pensi sia inutile, non si arrende. Può passare ore a lamentarsi di quanto è stancante o difficile fare judo, ma non ha mai mancato una lezione, né un allenamento. Mantenendo quella sua aria seccata, da chi-me-lo-ha-fatto-fare, si è sempre sforzato al massimo!
    Quindi non provare a parlarne male.»

    I suoi occhi, mentre parlava, erano bagnati, anche se Haiiro non avrebbe saputo dire se fosse per la frustrazione, la rabbia o altro. Nonostante le sue parole non fossero così lusinghiere, Haiiro era incantato dalle sue dichiarazioni. Ma il momento non durò a lungo. Sensui appoggiò un piede sul costato del Sognatore e cominciò a spostare il peso su quella gamba, facendolo gemere.
    «E dimmi… qual è il risultato di tutto questo sforzarsi?»
    Disteso a terra, Haiiro si accorse di come la pavimentazione della piazza fosse andata in frantumi, rotta dalle radici degli alberi che, a un certo punto del sogno, avevano iniziato a perforarla.
    «Te lo dico io: nessuno. Nonostante si sforzi, resta incapace di adoperare le tecniche del judo. Nonostante si alleni, il suo corpo resta debole e fiacco. Nonostante cerchi di imparare, rimane incapace di concentrarsi.
    Tutti i suoi sforzi sono inutili. Come prova il fatto che sia lui a terra, a soffrire.»

    La spinta sul suo costato aumentò e Haiiro non riuscì a evitare un urlo di dolore.
    «Smettila…!»
    Kasumi avanzò, ormai era a tre metri di distanza, entro il suo raggio di applicazione del Breath-Taker. Sensui non si mosse, indifferente. Due metri: l’anormale rimaneva immobile, il piede ancora sopra il costato di Haiiro, il peso che a volte aumentava, altre diminuiva, ma mai svaniva. A quella distanza avrebbe dovuto avvertire la sottrazione di forze del Breath-Taker, invece ne sembrava immune. Il dubbio comparve sul viso di Kasumi. Sensui stava bluffando, nascondendo la stanchezza, oppure a quella distanza il danno che lei poteva procurare era troppo ridotto? Doveva rimanere dov’era o avanzare, rischiando di venire colpita?
    Sensui dovette vedere quel dubbio pitturato nel suo viso, perché in quel momento di incertezza agì. Lanciò verso Kasumi un qualcosa di simile a un sasso, un pezzo della pavimentazione della piazza, colpendola in pieno volto. Lei ricadde a terra, sangue che gli usciva dalla fronte e dal naso, stordita e appena consapevole dell’urlo di Haiiro. Urlava il suo nome.
    «Ho sigillato i poteri di molti anormali dentro di me. Ho convertito quei poteri in forza, velocità e resistenza. Ma anche in energia e capacità di rigenerazione. Il tuo Breath-Taker è incapace di danneggiarmi. Fin dall’inizio non avevate speranze di battermi. Se siete ancora qua è solo perché il mio scopo non è di uccidervi, ma di sigillare i vostri poteri. E non avete idea di quanta forza stia trattenendo per non rischiare di ammazzarvi.»
    Haiiro non lo sentì: quando aveva visto finire Kasumi a terra si era messo ad agitarsi come un ossesso. Ma incurante di ciò, Sensui continuava a trattenerlo usando solo la pressione del suo piede.
    «E chi se ne frega… di te e di quello che vuoi… o di tutta la tua forza...»
    In piedi. Ancora una volta. Kasumi non si era arreso. Il volto coperto da ecchimosi, il sangue che ne incrostava i capelli e scorreva su fronte e visto, un dente mancante dalla sua bocca. Ma era in piedi. Il suo fiato scintillava. Non più dell’usuale turchese così pericoloso che si attivava quando utilizzata il Witch Will, ma di bianco e nero. Bianco e nero che si mischiavano e separavano continuamente, si andavano ad agglomerarsi, come se il suo fiato acquistasse consistenza. Era proprio così. Quando il fiato smise di scintillare, Kasumi stringeva in mano una spada dalla lama metà nera e metà bianca.
    «Ho solo una cosa da dirti: fottiti.»
     
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    «Sembra che la tua anormalità si sia evoluta, ma non cambia nulla. Anzi, assumendo la forma di una spada, hai ridotto il tuo raggio d’azione…»
    «Pensi davvero che starò ad ascoltarti e ti lascerò il tempo di guardarmi?»
    Il tempo di guardare. Haiiro capì. Sensui osservando gli anormali poteva scoprire che anormalità avevano e come funzionavano, ma quel processo non era immediato, richiedeva tempo e osservazione. La spada che Kasumi brandiva era un nuovo potere, in quanto tale non era stato “visto” da Sensui, che ignorava come funzionasse.
    «Una spada è una spada. Tutto quello che puoi fare è brandirla…»
    Fu interrotto quando un oggetto volò verso di lui. Di riflesso alzò il braccio per pararsi, senza rendersi conto di cos’era. Solo quando ricadde a terra, si accorse che era la spada materializzata da Kasumi.
    «La spada. Era la tua unica speranza di battermi. E l’hai buttata via così.» Dal suo tono, sembrava che lui stesso facesse difficoltà a crederci.
    «Probabilmente hai pensato che colpirmi di sorpresa lanciando la tua arma fosse la tua unica possibilità. Un tentativo d’azzardo, ma ti è andata male.»
    Alzò il braccio dove la spada l’aveva colpito. Era perfettamente illeso.
    «Non sei riuscita neppure a ferirmi il braccio. Mi hai preso con l’elsa. Hai fallito»
    «Al contrario. Era davvero un gioco d’azzardo. E pare che io abbia vinto.»
    Sensui strinse gli occhi, fissando con più attenzione Kasumi. Fu in quel momento che si rese conto di cosa non andava.
    «Non vedo. La tua anormalità… non la vedo.»
    Kasumi sorrideva di feroce trionfo. Anche in quella situazione mortale, assaporava il momento.
    «Davvero? Forse ti dovrei aiutare io. La spada racchiude i vari poteri del mio fiato. La lama nera è il potere negativo del Breath-Taker, che toglie vita. Quella bianca indica il potere positivo, che guarisce. E poi… indovina dov’è andato a finire il potere di sigillare e indebolire le anormalità?»
    «L’elsa…»
    Il mormorio di Sensui fu coperto da un urlo. Era Haiiro a urlare, invocando un nome.
    «Shero!!!»
    E l’Ombra rispose, uscendo finalmente dal corpo di Sensui in cui era sigillata. Ora che l'anormalità di Sensui si era indebolita, lei era libera. Le sue braccia si trasformarono in due falci, o forse nelle zampe di una mantide religiosa. Si indurirono, mentre le proiettava in avanti a colpire e perforare il collo di Sensui. Questo gridò di dolore e indietreggiò. Il suo sangue schizzava a fiotti dal collo, nonostante cercasse di coprirlo con le mani. Aveva mantenuto il suo aspetto mostruoso, ma il sigillo di Kasumi sembrava ugualmente aver bloccato o ridotto le sue capacità di guarigione. Non lasciarono il tempo di verificare quale fosse delle due.
    Appena Shero era comparso, Kasumi era corsa a riprendere la sua spada e ora balzava verso Sensui, facendo saettare la lama nera. Per bloccarla Sensui dovette proteggersi con il braccio destro: la lama perforò nella sua carne fino a raggiungere l’osso, penetrandolo per metà.
    «Che succede? Non mi sembri più forte com’eri prima.»
    «Tu… Io ti ucciderò…» Il sangue che inondava il suo corpo, lo sguardo assassino, le membra disumane e il corpo che tremava di rabbia. Tutto in Sensui appariva demoniaco. Ma non era più lui a trovarsi in posizione di forza.
    «Ah. Tu questo… non lo dovevi dire. Lui si arrabbia…»
    Fu come se una macchina l’avesse investito. Questa fu la sensazione che Sensui provò al costato. Fu talmente intensa, talmente vivida, da buttarlo a terra. Ma non c’era più terra sotto di lui, bensì una palude che lo intrappolava e lo inghiottiva. Sopra di lui una faccia orrende e beffarda che lo irrideva. Era la sua.
    «È così che appaio nei tuoi sogni, Haiiro Kugatsu?!»
    Non ci fu risposta, se non la lama di Kasumi che perforò il suo petto e il braccio di Shero, trasformato in martello, che calava sulle sue ginocchia, spezzandogli le ossa.
    «Aah… nessuna pietà verso di me?»
    «Tu l’hai mai dato agli anormali che cacciavi?»
    Le immagini degli anormali che aveva combattuto e sconfitto gli scorrevano nella mente, accusandolo, ma Sensui non sarebbe sottostato a quella logica. Lui li aveva curati, sigillando le loro anormalità. Su questo non aveva dubbi. Pertanto poté rispondere sinceramente.
    «Certamente. Non ho ucciso nessuno di loro. Ma forse avrei dovuto fare un’eccezione con voi due.»
    «Ormai è tardi.»
    «Non è ancora detto.» Gli occhi di Sensui scintillarono mentre afferrava la spada di Kasumi, la allontanava dal proprio corpo solo per reimmergerla sopra il proprio cuore.
    «Cosa…»
    «La lama nera per ferire, la bianca per curare, l’elsa per sigillare. Non ero riuscito a vederlo. Ma sono riuscito a vedere questo. Il potere di emettere il giudizio sulla vita o sulla morte, ponendo la lama sopra il cuore. Se la mia voglia di vivere sarà superiore a quella di morire, io verrò curato da tutte le ferite.»
    «Altrimenti morirai.»
    «Fallire è come morire. Non ho nulla da perdere.»
    «Non farlo Kasumi.» Allarmato da quanto stava accadendo, Haiiro aveva lasciato il suo stato di dormiveglia. «Lascia che sia Shero a finirlo.»
    «Ormai è tardi. E poi, non sarebbe giusto.» La seconda frase fu un sussurro, detto più a sé che al ragazzo. Sensui aveva chiesto il giudizio e l’avrebbe avuto. Lei non poteva rifiutare
    La spada prese a brillare. Presto si sarebbe colorata di un solo colore. Quel colore avrebbe determinato il fato dell’anormale.
    «Bianca vita. Nera morte. Io brandisco la spada, ma sei tu a emettere il giudizio contro di te.»
    Sensui ebbe appena il tempo di pensare all’ironia di dover contare, per salvarsi, sull’anormalità che aveva cercato di sigillare, poi la spada si tinse di un unico colore ed emise il suo verdetto.
     
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    Haiiro Kugatsu
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    Bianca. La spada era interamente bianca. Haiiro si passò una mano negli occhi, sperando di essere ancora nel dormiveglia e che quel bianco fosse solo il riflesso della sua paura. Non lo era.
    «Kasumi… perché?»
    Perché aveva lasciato quella possibilità a Sensui, quando lo avevano già praticamente battuto? Quando solo grazie a un miracolo erano riusciti a ribaltare la situazione? Haiiro non sapeva darsi risposta, Kasumi taceva.
    Shero non si lasciò andare a interrogativi. Trasformò il braccio in una lama e l’affondò nel corpo di Sensui. Ma il suo braccio-spada venne respinto, la ferita inferta subito guarita.
    «È inutile cercare di colpirlo adesso.»
    Il tono non lasciava trasparire nulla, il volto era duro, di chi stava facendo il suo dovere, con una traccia di inspiegabile indifferenza.
    Sensui non disse nulla in tutto questo. Si lasciò avvolgere da quella luce bianca che rimarginava le sue ferite, riallineava e aggiustava le ossa rotte. Quando il processo era alla fine si rialzò, certo del suo prossimo trionfo. Stavolta non si sarebbe trattenuto per non ucciderli, né avrebbe dato a Kasumi un’altra possibilità di sigillare i suoi poteri.
    Ma quando fu in piedi si accorse di qualcosa di strano. All'inizio fu una sensazione, solo un istante dopo ne capì la causa. Non era più nella sua forma mostruosa. Era tornato a essere umano. La sua altezza era quella di un umano. La sua forza era quello di un umano.
    «Cosa mi hai fatto?» Chiese alla ragazza che aveva di fronte e che non poteva più guardare dall'alto in basso come prima. Poiché ora i loro occhi erano posti allo stesso livello e vedevano le stesse cose. La sua capacità di vedere le anormalità semplicemente fissando gli anormali, anche quella era andata.
    «La tua spada avrebbe dovuto guarirmi, non sigillarmi tutti i poteri…»
    «Oh, ma è quello che ha fatto.» Era svanito l’espressione dura e imperturbabile di poco prima, sostituito da un sorriso feroce che le donava molto di più.
    «Ti ho curato da ogni ferita, dolore e… malattia.» Pronunciò l'ultima parola con un accento, un gusto particolare, come quello che accompagna una frecciatina particolarmente riuscita.
    «Impossibile…» Ma mentre diceva così, Sensui aveva già compreso cos'era successo. Solo, si stava sforzando disperatamente di non accettarlo.
    Haiiro, invece, non stava capendo nulla. Non capiva perché Sensui, oltre ad essere stato guarito, avesse perso la sua forma mostruosa, né il senso di quei discorsi.
    «Si può sapere cos’è successo…?»
    «Haiiro ricordi come Sensui chiamava le nostre anormalità, a cosa le paragonava? A delle malattie. Non diceva per scherzo, per lui le anormalità sono davvero malattie. E come tale la mia spada ha trattato la sua anormalità. L’ha curato da questa “malattia”, capisci?»
    Haiiro guardò Sensui con la bocca aperta che formava una "o" di sorpresa, senza tuttavia pronunciare alcun suono. Lentamente rimise a posto i pezzi del puzzle e capì quello che Kasumi voleva dirgli. Congedò anche Shero, la sua presenza non era più necessaria. Non c’era più un nemico da combattere. O, anche se ci fosse, non serviva l’Ombra per sconfiggerlo. L'anormale che fino a poco prima minacciava le loro vite non c'era più. Al suo posto c'era un ragazzo poco più grande di lui che volgeva lo sguardo - gli occhi spalancati come quelli di un bambino spaventato - da loro alle sue mani. Un normale incapace di accettare la sua nuova condizione. Vedendolo, Haiiro non provava più né rabbia né avversione, solo pena.
    Non era così per Kasumi. Lei se lo stava godendo a pieno, quel momento. L’avversario prima tanto spaventoso ridotto a un nulla. E questo per il suo stesso desiderio. Le labbra della ragazza si incurvavano continuamente in un sorriso, per poi ridistendersi in un’espressione che cercava di essere seria, come se si stesse sforzando di ricordare a sé stessa che non era il momento di ridere.
    «Che c’è? È questo che avevi desiderato, no?»
    Sensui la guardò come se facesse difficoltà a metterla a fuoco. Per lui, la cui vista fino a pochi istanti prima poteva penetrare i poteri segreti degli anormali, era quello l'effetto.
    «Tu non capisci… Io non lo facevo per me. Lo facevo per le persone normali, messe in pericolo dai vostri poteri. Lo facevo per il mondo, il cui ordine è scombussolato da quelli come voi. E lo facevo per voi, sì, per voi, per liberarvi dai vostri stessi poteri e guarirvi!»
    Era come se quel discorso avesse riportato a galla quello che Sensui era stato e che la lama bianca aveva cancellato. La sua schiena era dritta, le sue parole accese, lo sguardo non più perso. Ma la sproporzione tra ciò che era stato e ciò che era ora rimaneva troppo grande per impensierire i due minus.
    «E invece, sei stato tu a ottenere quello che volevi donare. Non ne sei felice? Di essere “guarito”.»
    «Non puoi capire. Tu che pensi solo a te stessa. Non capirai mai. Io avevo scelto di sacrificarmi, per il bene di tutti. Avevo scelto di prendere su di me la croce di tutte le anormalità, per liberarvi tutti. Io sarei dovuto rimanere come unico anormale, come unico mostro, in modo che tutti voi foste salvi.»
    Kasumi aveva perso il suo sorriso, tutto il divertimento svanito. Non sapeva se essere disgustata da quel discorso così egoistico – salvare tutti, senza che nessuno l’avesse chiesto – o addirata per la presunzione di poter essere l’unico salvatore del mondo.
    «Impara a pensare a te stesso.» Disse infine con tono duro, allontanandosi. Non si voltò più indietro a guardare Sensui e, sebbene fosse più per caso che perché ci avesse pensato, non lo fece neppure Haiiro, che subito si era messo a seguire la ragazza.
    «Ah, ho già sentito un discorso del genere. È come quel pilota depresso che si è schiantato con l’aereo perché pensava di “salvare” tutti i passeggeri dalla vita, no?»
    Kasumi non lo stette a sentire.
    «Haiiro. È ora di andare.»
    «Mhm… ok. E come facciamo a svegliarci?»
    «È semplice dai. È come la storia della bella addormentata: il principe deve baciare la principessa.» E lo baciò. Haiiro si lasciò andare a quel bacio – cos’altro avrebbe dovuto fare? – finché non si accorse di una cosa.
    “Ma se è stata Kasumi a baciarmi… allora la principessa sono io?”
    Si svegliarono.
     
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    Haiiro Kugatsu
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    Gli eventi che seguirono la sconfitta di Sensui non furono straordinari, ma questo non significa che fossero meno importanti. Quando Haiiro e Kasumi si alzarono dal letto – e si presero il loro dolce tempo, dopo essersi svegliati, per farlo – chiamarono il Merovingio perché venisse a prenderli e per raccontargli di quanto accaduto. Come avevano ipotizzato, l’aiuto dell’anormale dipendeva proprio da Sensui. In pratica il Merovingio era stato ingaggiato dai tipi che in precedenza avevano imprigionato Sensui – gli stessi con cui Kasumi aveva litigato al telefono – perché lo ritrovasse. Solo che Sensui aveva messo gli occhi addosso anche al Merovingio, quindi poteva vedere i suoi spostamenti e non si faceva mai beccare. Sicuramente aveva anche pensato di sigillare i poteri del Merovingio, presto o tardi.

    «Non credo che sarebbe mai riuscito a raggiungere il suo scopo, sigillare tutti i poteri di tutti gli anormali. Il mondo è troppo vasto per questo. Sensui doveva proprio essere una rana in fondo a un pozzo per pensare di poterlo fare; ecco perché dico che è importante viaggiare. Se avesse visto anche solo un decimo di quello che ho visto io in giro per il mondo, non si sarebbe fatto prendere da una simile illusione. Però molto probabilmente sarebbe riuscito a sigillare i miei poteri. Quindi si può dire che voi, avendolo fermato, mi avete salvato. Vi sono debitore.»

    Il Merovingio riportò indietro Kasumi e Haiiro, promettendo loro di informarli se avessero scoperto qualcosa su Sensui. Anche se perdettero la prima ora di lezione, i due riuscirono persino ad andare a scuola. Per Kasumi era strato tornare a scuola dopo aver combattuto un simile scontro. Che la vita continuasse a scorrere normale per tutti, nonostante l’avventura di lei e Haiiro nei sogni. Così strano che non riuscì neppure a concentrarsi sulle lezioni. Haiiro invece ormai si era abituato e non ebbe problemi. Tanto più che lui era sempre deconcentrato a scuola.

    Due giorni dopo quel fatto, il Merovingio venne a trovarli. Avevano trovato Sensui. Come nel sogno, anche nella realtà aveva perso tutti i suoi poteri. Ora era un normale normale.
    «Se volete, posso portarvi da lui. Se avete ancora qualcosa di cui parlare con lui.» I due rifiutarono.
    Il Merovingio non ne fu sorpreso. Disse loro che, essendo in debito, avrebbe prestato i suoi poteri, se mai ne avessero avuto bisogno. Kasumi rispose che voleva solo continuare a viaggiare per il mondo e vendere i suoi dipinti, come già faceva. In più, voleva che anche Haiiro venisse ogni tanto con loro.
    Haiiro chiese invece, dopo più di qualche attimo di esitazione, se il Merovingio poteva trasportare in camera sua un letto più grande. Si aspettava che il Merovingio, a quella richiesta, mostrasse sorpresa oppure un malizioso sorriso di intesa e non sapeva quale dei due atteggiamenti l’avrebbe maggiormente imbarazzato.
    «Consideralo fatto.» Disse invece senza variare espressione del volto.
    Alla fin fine, il disporre di un letto a una piazza e mezza fu il risultato più tangibile che Kasumi e Haiiro ebbero da quella vicenda.

    In realtà ve ne fu un secondo di risultato, o meglio, un effetto non calcolato: i compagni di classe dei due scoprirono che Haiiro e Kasumi si erano fidanzati. Non che loro avessero tenuto la notizia un segreto, piuttosto entrambi, per motivi diversi ma simili (alla radice, essere entrambi dei minus che non si prestavano troppo al contatto altrui) non avevano grandi rapporti coi compagni di classe. Così la relazione era venuta allo scoperto solo quando, il giorno dopo il primo incontro di Haiiro con Sensui, i due avevano camminato insieme per le vie del centro dopo scuola e si erano fermati in quella panetteria così famosa tra gli studenti. I due ne discussero tornando da scuola.
    «È perché tu non vieni mai con me al Maid Cafè. Altrimenti la notizia avrebbe circolato molto prima.»
    «Io in quel posto non ci voglio andare. Non mi piace l’idea di femmina che trasmettono quei luoghi, così servile con quel “padroncino, padroncino”. Bah!»
    «Ma è tutta finzione. Poi ci sono anche camerieri maschi. Tatsuya e quei tipi yaoi.»
    «Io non ho certi gusti.» Ma dopo averlo detto arrossì, come ricordandosi qualcosa di indesiderato. Haiiro non approfondì, forse non lo notò neppure.

    A causa del venir alla luce del suo fidanzamento con Kasumi, aveva provato la strana sensazione di ritrovarsi al centro dell’attenzione, bersaglio di ammirazione e invidia da parte dei suoi compagni maschi. Più la seconda che la prima. Arrivò a perdere il conto di quante volte gli avessero chiesto «come ha fatto uno come te a fidanzarSi con una bellezza come quella». Fu confuso dal notare come anche alcune sue compagne femmine, che mai prima di quel momento gli avevano rivolto più di uno sguardo, lo guardassero ora con occhi diversi.
    La notizia raggiunse anche il club di judo, con grande sorpresa di Haiiro. Infatti lui era sicuro – per quale motivo non avrebbe saputo ricordarlo – che loro ne fossero già a conoscenza. Invece si sbagliava. Il dialogo con i membri del club si svolse a grandi linee così:
    «Ma non lo sapevate che ero fidanzato con Kasumi?»
    «No!» Risposero tutti in coro, provocando un fragore più forte del «oss!» rituale pronunciato in risposta all’insegnante.
    Quel giorno Haiiro tornò a casa, dopo gli allenamenti, più pesto del solito. Decisamente, era maggiore l’invidia che l’ammirazione.

    «E a te? Non ti hanno detto niente?»
    «Oh sì, un sacco di cose.»
    «Del tipo?»
    «Sintetizzando… “Come mai ti sei messo con un tipo del genere?” Già, direi che questa è stata la reazione più comune.»
    Kasumi rise vedendo l’espressione depressa di Haiiro. Poi, a mo’ di consolazione, lo baciò sulla guancia.
    «Non ti curare di ciò che gli altri dicono. A me piaci tu. Solo questo importa.»
    «…Kasumi, stasera sei occupata? Se no, vuoi che andiamo fuori da qualche parte? Mi hanno parlato di un bowling nell’area svago…»
    Lei lo guardò con un mezzo sorriso, cercando di immaginare cosa avrebbe potuto fare Haiiro con una palla da bowling in mano. Era un peccato che non avrebbe potuto assistere alla scena. Non quella sera, almeno.
    «Stasera… già, me n’ero dimenticato di dirtelo. Stasera sono via.»
    «Oh…»
    Lo sconforto del ragazzo era evidente. Kasumi si prese tutto il tempo per goderselo, prima di continuare.
    «Il Merovingio mi ha avvisato di un viaggio che deve intraprendere e mi… ci ha invitati. Stasera saremo entrambi via.»
    Il sorriso tornò sulle labbra di Haiiro. Kasumi si prese il tempo per godersi pure quello.
    «Non mi chiedi dove andiamo.»
    «Oh, giusto. Dove andiamo?»
    Era evidente che il sapere dove andare non era la preoccupazione in cima alla testa del Sognatore; a Kasumi non rimase che scuotere la testa divertita e sconsolata.
    «Andiamo col Merovingio in Italia. In una delle città più romantiche, Ve…»
    «Venezia?»
    «Verona.»
    «Mai sentita.»
    «Neanch’io prima che me ne parlasse il Merovingio. Ma è la città dov’è ambientato “Romeo e Giulietta”, la più famosa storia d’amore del mondo. Anche se avrei preferito qualcosa di meno tragico.»
    Haiiro alzò le spalle. Tragedia o meno, non gli importava.
    «D’accordo. Ho sempre voluto assaggiare il caffè italiano.»
    «Perché ho l’impressione che sia solo questo a interessarsi?»
    Lui non rispose, ma continuò a camminare con un sorriso sul volto, accanto a lei.


    FINE

     
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    La Luce

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    Non so nemmeno dove sono ora, figuriamoci se posso ricordare da dove provengo

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    “Ma se è stata Kasumi a baciarmi… allora la principessa sono io?”
    Proprio così, Haiiro, proprio così.

    Narrazione molto interessante, stile pregevole, buon ritmo ed un bel colpo di scena durante una battaglia ben congegnata che ti trasporta fino al suo epilogo tenendo viva l'attenzione ed il desiderio di scoprirne il finale. Una lettura davvero molto piacevole.
    Dire che ogni battuta di Kasumi è una gioia rende abbastanza l'idea di quanto mi piaccia?
    Exp: 19

    P.S. La prima narrazione del 2018 viene valutata nel 2019, l'anno deve essere davvero passato in fretta, non c'è altra spiegazione.
     
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