In principio fu un cappello...

[Narrazione privata]

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    Seconda parte


    Uff... certo che oggi fa proprio caldo. Ieri non era molto meglio, ma oggi è troppo caldo per me. Mi sento un po' in colpa ad usarlo in questo modo, ma sono davvero contenta di avere questo cappello a ripararmi dal Sole, oltre a tenermi la mappa della città, non ho tasche abbastanza grandi e non avrei saputo dove altro metterla. Se mi perdessi senza mappa sarei davvero nei guai.
    Se non mi avete ancora riconosciuta non è affatto strano, sono arrivata solo da due giorni e sono davvero nuova in città, non c'ero mai stata prima nemmeno per sbaglio. Al momento ho visto soltanto la stanza del dormitorio, singola perché non mi trovo molto a mio agio se so che le mie console possono essere con un'altra persona quando io non ci sono, e la pizzeria dove ho cenato nelle ultime due sere. Era un posto con un nome piuttosto strano, ma il cibo era buono ed il salame molto piccante, proprio come piace a me.
    Capite bene che non potreste nemmeno avermi incrociata per strada, ma anche se fosse successo non credo che vi ricordereste di una come me ed io non mi ricorderei di voi, quindi siamo pari.
    Mi chiamo Alice, ho diciassette anni e sono appena arrivata dalla Russia, per favore sopportatemi ed abbiate pazienza con me. Non sono molto brava con le persone e conosco così tante lingue da non riuscire a parlarne bene nemmeno una, se dovessi dirvi qualcosa di strano o offendervi, non lo farei di proposito. Anche 'arrivata' non è la parola giusta, sono già stata in questo Stato, anche se in una città diversa, quindi è un ritorno. Ricordo che avevo anche un'amica, ma oramai mi avrà dimenticata e non credo di poterla comunque riuscire ad incontrare. Ma che caldo fa, oggi?
    Capperi! Ho la camicetta tutta sudata! Speravo di stare più fresca con la gonna, ma mi arrivano solo degli spifferi che mi mettono anche a disagio, non sono abituata a portarne di così corte, mi chiedo come facciano le altre. Però non posso mollare! Mi sono appostata davanti al dormitorio questa mattina alle otto, di Sabato, per cercare di vedere almeno una delle persone che mi hanno descritto i miei ed è servita un'ora e mezza prima che spuntassero due che si avvicinano alla descrizione. Avevo visto anche altre ragazze che corrispondevano abbastanza, ma non ne ero sicura. Nemmeno con questi lo sono, ma sono in due e sono insieme, quante possibilità ci sarebbero di sbagliare?
    Questi due mi sono stati descritti come tipi particolari, gemelli che non si assomigliano proprio per niente e piuttosto pittoreschi per abbigliamento, con lui che spesso indossa anche occhiali senza gradazione perché le ragazze del posto dove lavora gli dicono che è più figo, mentre lei è una metallara in incognito che, sotto la doccia, si diverte ad ascoltare musica e fare headbanging facendo sempre un disastro per tutto il bagno per quanto sono lunghi i suoi capelli. Questi che sto seguendo, lui è uscito con addosso un camice lungo bianco e degli occhiali da vista tra i capelli neri, quindi a livello di stranezza ci siamo; lei ha un vestito da gotic lolita bianco, lungo e rassicurante – ma come fa a non sudare? - e dei capelli bianchi lunghissimi e splendenti. Oh! Come vorrei avere anche io dei capelli così belli.
    Camminano a braccetto ma so che dovrebbero essere gemelli, si vede che si vogliono molto bene, ma questo mi rende solo le cose ancora più difficili: se li sto seguendo da trenta minuti è perché vorrei parlare con loro ma non so proprio come fare. Non posso andare da lui e dire “Ohi! Ciao, sono Alice. Sei tu che ti fai chiamare Tatsuya?” mi prenderebbe per matta, o peggio per una sua fan. Ugualmente non posso andare da lei e chiedere se è Bianca: prima di tutto perché lo è, è così bianca che se si mette al Sole si mimetizza; secondo perché è troppo alta ed io sono piccolina, se mi tira una sberla mi rialzo domattina.
    Se almeno entrassero in una sala giochi andrebbe tutto meglio: aria condizionata, bibite fresche e la possibilità di provare Dengeki Bunko. Avrei proprio tanta voglia di mischiare le coppie e tentare un Misaka X Tatsuya vs Miyuki X Kamijou, magari avrei anche un modo per rompere il ghiaccio visto che userei come supporto un pg con il suo nome. No, lo scenario non mi sembra sensato, forse è anche offensivo, dopotutto userei quel pg per aiutarmi e menare la sorella, e lui è qui proprio con sua sorella, non proprio il modo migliore per iniziare. Quella stangona mi fa paura.
    Hanno appena attraversato la strada, meglio sbrigarmi oppure rischio di perderli d'occhio.

    « Scusa... »

    Aaah! Qualcuno mi ha rivolto la parola, credo. Non lo so, ma se mi giro e non ce l'aveva con me, che figura faccio? E se si stava rivolgendo davvero a me, cosa gli dico? Se mi ha confusa con un'altra? E se fosse un pervertito? Povera me, non saprei davvero come comportarmi. Proviamo a girarci, magari sono io che mi faccio troppi problemi e sono passata inosservata come al solito. Nooo! Mi sta guardando! E mi sorride. Si avvicina! Cosa faccio? Cosa faccio?!? Aaaah! Cosa gli dico? Non ce la faccio. Berretto mio, coprimi alla vista, nascondimi! Oh deus! Sotto avevo messo la cartina ed ora me la sono spalmata in faccia. Che figura! Corri, Alice, corri.
    Forse, però, non è stata una buona idea. A quanto pare il semaforo era rosso ed io non l'ho visto. Sento solo il clacson di un mezzo grande e pesante, forse un camion o un furgone. Una frenata così vicina. Povera me, la mia storia è già finita. Alice se ne va così, senza essere mai contata davvero nulla. Le gambe non mi reggono, la testa mi gira. È tutto così lento, i tuoi ultimi attimi sembrano davvero eterni.
    Addio.
    Ma il botto non arriva. Qualcosa ferma anche la mia caduta mentre sento un urlo di una persona. Apro gli occhi e vedo.... delle piume. Un'ala nera mi avvolge, una figura candida mi sovrasta.

    « Andrà tutto bene. »

    Mi dice. Non riesco a distinguere la figura, è tutto così distorto e confuso. Vedo solo che più in là c'è un'altra figura con le ali rosse, ha il braccio disteso in avanti verso qualcosa.
    C'è troppa luce, gli occhi mi si chiudono ed i sensi li sento abbandonarmi.
     
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    Dopo una notte di vera tempesta, il bel tempo che riservò il nuovo giorno sembrava un dono di qualche divinità benevola. Troppo benevola, tanto che ci si poteva chiedere perché non fosse stata un po' più parsimoniosa mentre dispensava il bel tempo: faceva troppo caldo. Con una temperatura così alta il nostro Tatsuya aveva ben pensato di prendere un po' d'aria prima di tornare al chiuso prendendo le vie dei cieli, riuscendo così anche a rientrare nel suo dormitorio in tempo per rispettare l'appuntamento che si era dato con Bianca, la sua gemella.
    Ebbe appena il tempo di cambiarsi prima che lei entrasse nella stanza usando le sue chiavi personali: una copia che aveva fatto di nascosto dal fratello.
    « Dov'è il mio fratello preferito? » - disse con allegria facendosi strada verso il frigorifero.
    « Perché? Quanti fratelli hai? » - le rispose Tatsuya fingendo sarcasmo.
    « È solo per questo che sei il mio preferito. » - con un po' di delusione Bianca scoprì che nel frigo non c'era neanche un po' di budino. Lo richiuse con un po' di fastidio. - « Hai visto che temporale ieri? Quando ci sono stati quei due tuoni mi son pure spaventata. »
    « Non dirlo a me, mi son caduti tutti e due davanti. Abbiamo passato la notte in love hotel perché avevamo paura d'uscire. » - le fece, pentendosi subito per aver detto quell'ultima parte.
    « Aspetta. Cosa? Ma ieri non eri con Jan? Non ci porti me che ci voglio tanto andare per capire come funziona e poi ci vai con lui? »
    A quel punto Tatsuya fu costretto a raccontare tutto: le parlò di Nora, delle loro avventure, della pioggia e di come entrarono in quell'hotel per sbaglio ritrovandosi bloccati lì dai fulmini, di come si erano messi insieme. Bianca ascoltò con grande attenzione e coinvolgimento. Più volte rise durante la storia, varie volte sospirò sentendo le parole che si erano scambiati. Alla fine lo abbracciò con felicità e sollievo: forse stava iniziando ad abbassare quella barriera, eretta quando aveva recuperato quei frammenti di Origine, con cui bloccava i suoi sentimenti.
    « Quindi non avrai più tempo per la tua gemellina. » - finse di rattristarsi ma era troppo radiosa per farcela.
    « Figurati. Per me sarai sempre unica. »
    « Lo spero, se no con chi faccio la matta? »
    Si scambiarono un sorriso di complicità. Oltre che fratello e sorella loro due erano anche migliori amici e compagni di follie.
    Dopo alcuni minuti di giochi e scherzi, uscirono per fare la loro solita passeggiata del sabato mattina. Passeggiando con Bianca a braccetto, adoravano attirare l'attenzione e gli sguardi, agli occhi di chi non li conosceva sembravano due modelli stranieri, immagine che allontanava i mormorii negativi e richiamava l'ammirazione. Soprattutto Bianca aveva un fisico perfetto per una indossatrice tanto che era raro, se non impossibile, trovare qualcosa che non le stesse bene. Dopo poco, però, si resero conto che quella mattina non erano propriamente da soli.
    « Te ne sei accorto? » - gli chiese con voce bassa.
    « Si. Ci segue dai dormitori. »
    « Ora hai anche le fan che ti stalkerano? Fratello mio, ne hai fatta di strada. Sono... ammirata. »
    « Non lo so. Non credo d'averla mai vista al Maid. Sembra anche carina. »
    « Ti sei messo con Nora la scorsa notte e già pensi a cornificarla? Hai troppa energia, sono ancor più ammirata. »
    « Che ti credi? Sono uno fedele, io. »
    Bianca si mise a ridere infastidendolo non poco.
    « Non c'è bisogno che si preoccupi » - si strinse di più al suo braccio - « Baderò io al suo investimento. »
    Con una intimità ancora più fraintendibile e controversa, i due, che si atteggiavano come una coppietta, attraversarono la strada per andare verso il loro abituale parco. Erano già dall'altra parte quando Tatsuya avvertì una specie di disturbo, una sensazione molto spiacevole e poco rassicurante. C'era un pericolo imminente. Si irrigidì sul posto, fermando anche Bianca, e ricorse alle percezioni della One Heart per raccogliere più informazioni su quale potesse essere il pericolo che aveva avvertito. Sentì una immensa timidezza ed insicurezza che stavano per sfociare in vero e proprio panico, provenivano da quella ragazzina che li stava seguendo. Ricevette dalla sua mente i dati sulla sua abitudine di coprirsi la faccia con il berretto per nascondere l'imbarazzo. Tatsuya guardò il semaforo: da quanto tempo era giallo?
    « Bianca, dobbiamo volare. »
    La ragazza lo guardò un po' sorpresa ma quella faccia seria le impediva di questionare e perdere tempo. Coperti da una illusione, spiegarono le ampie ali e si lanciarono in direzione di quella ragazzina che stava attraversando con il semaforo rosso senza poter vedere altro che il furgone che stava per investirla. Mentre Bianca con un'ala fermava la caduta della ragazzina, Tatsuya si occupò del mezzo: con il proprio potere fece collassare la materia che componeva il furgone, facendolo di fatto svanire; l'autista sarebbe finito rovinosamente a terra facendosi molto male se una catena invisibile non lo avesse afferrato ed adagiato dolcemente.
    « Andrà tutto bene. » - le disse Bianca quando la ragazzina riaprì gli occhi e la guardò, prima di perdere i sensi.
    Tatsuya celò nell'illusione anche quella ragazza e la prese tra le braccia.
    « Andiamocene prima che possano scoprirci. Un furgone che svanisce e l'autista nudo volante sono più semplici da accettare. »
    Come da indicazione di Tatsuya, si alzarono in volo e si allontanarono con la ragazza. Raggiunsero il parco e, approfittando del trambusto causato in strada, tornarono normali e sciolsero l'illusione; appoggiati ad una panchina, avrebbero atteso che quella misteriosa ragazza si svegliasse.
     
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    Mentre era priva di sensi ebbe un sogno: si trovava in un vicolo buio, persa, impaurita, guardava in alto alla ricerca di un cielo che non riusciva a scorgere. Era tutto troppo oscuro, troppo tetro, non vedeva nulla oltre a se stessa, alle mani che sbiadivano mentre cercavano di proteggerla dal nulla che la circondava. Però il panico aumentava, sentiva qualcosa dentro di sé che cercava di uscire, le mani più che difenderla tentavano di impedire che quella cosa fuggisse ma sapeva che sarebbe stato molto meglio per lei se fosse riuscita a lasciarla andare. Il suo era un mondo pieno ed insieme vuoto, non vi era altro che se stessa, era popolato dai suoi sogni, dai suoi desideri, dalle sue speranze, aveva bisogno di fare spazio se voleva far entrare qualcun altro in quel suo mondo.
    Ma anche se ci fosse riuscita, come fare entrare qualcuno? Chi poteva entrare? Chi avrebbe voluto con una come lei?
    Non lo sapeva. Dubitava. Poi se ne convinse: nessuno.
    « Con te ci sono io. »
    Un improvviso bagliore illuminò il vicolo, una fiamma chiara e lucente, un calore travolgente. Il suo angelo era lì accanto a lei. Lo fissò in silenzio, lo guardò contemplando il bel sogno che desiderava vivere, il bel sogno che aveva scacciato l’incubo.
    Voleva piangere ma gli occhi restavano aridi. La colsero singulti senza voce.
    « Ti proteggerò sempre. »
    Le lacrime iniziarono finalmente a scorrere, si asciugò gli occhi con le mani, con i pugni chiusi per la rabbia; i singhiozzi non tacquero più la sua frustrazione.
    « Non permetterò a nessuno di farti del male. »
    L’angelo si era fatto più vicino, le asciugò il viso ed iniziò a carezzarlo dolcemente; la ragazza prese la mano tra le proprie, la strinse desiderando che non sparisse.
    « Alice. »



    Aprì lentamente gli occhi, dimentica di quel che aveva appena sognato, incerta su dove fosse e su cosa le fosse successo. Sentiva di essere sdraiata, probabilmente su una panchina, con la testa poggiata su quelle che sembravano gambe, forse non si era ancora ridestata del tutto. Sforzò la propria vista per mettere a fuoco la situazione e quindi vide: due occhi grigi e brillanti erano posati su di lei, un viso candido come neve, capelli bianchi e luminosi, un sorriso gentile, una mano la accarezzava dolcemente. Sembrava una dea.
    Disorientata e stordita, volse l’attenzione nella direzione opposta vedendo un’altra figura, questa volta maschile, dai capelli neri e spettinati, occhi del colore dell’oro, lo sguardo di chi vuole tanto amare, la bellezza di un dio.
    « Finalmente ti sei svegliata, bella signorina. » - fu proprio lui a parlare per primo, volgendo un cenno di compiaciuta intesa alla dea.
    Alice tornò in sé, avvampò, cercò il cappello, non trovandolo avvampò ancora di più e serrò gli occhi. Lo sguardo che questa volta i due si scambiarono era pieno di interrogativi.
    « L’hai messa in difficoltà. Sei stato troppo diretto, fratello scemo. »
    « Dici? Ma io volevo solo essere… come si dice? Gentile… »
    Si era aggiunto un nuovo particolare: erano fratello e sorella. Alice iniziava a ricordare che cosa stesse facendo prima di scoprirsi addormentata, di quei due che stava seguendo, suo cugino e sua cugina…
    Sentendosi prendere la mano, Alice si irrigidì tutta e spalancò gli occhi: il ragazzo-dio era inginocchiato di fianco a lei, le teneva la mano con delicatezza, accarezzandone il dorso disegnando forme astratte con l’indice.
    « Perdonami, non volevo ti agitassi. A volte sono troppo avventato. »
    Il modo in cui le sorrideva, come la accarezzava, la dolcezza che le stava riservando, Alice si sentì ancora più rossa in viso, consumata da una calda fiamma nel cuore, sicura che non le avrebbero fatto del male.
    « Smetti di provarci con lei e dalle il cappello. »
    Al comando della sorella, mostrò ad Alice il cappello che questa aveva cercato pochi attimi prima.
    « Mi sono permesso di raccoglierlo e custodirtelo. Ecco a te. »
    Alice si sbrigò a prenderlo ed a stringerselo sulla faccia per nascondere tutta la vergogna che stava provando, anche se ormai era stata esposta.
    « E falla finita! » - sbuffò la ragazza-dea come rimprovero verso il fratello.
    « Che c’è? Sarai mica gelosa? »
    Il loro improvvisato e scherzoso battibecco venne interrotto da uno dei suoni più dolci che avessero mai sentito: da dietro quel suo riparo improvvisato, Alice si era messa a ridere. Per qualche motivo, il modo in cui interagivano, come si parlavano, la divertiva e tanto.
    Quei due, al suono della sua risata, praticamente si sciolsero lì sul posto.
    « Riesci ad alzarti? » - le disse la ragazza mentre le faceva un’altra carezza sui capelli - « Mi si iniziano ad intorpidire le gambe… »
    In quel momento Alice si rese conto di non essersi ancora mossa dalla posizione nella quale si era svegliata, distesa con le testa poggiata sulle gambe di quella ragazza. Come azionata da una molla scattò in piedi, tesa come una corda di violino ed imbarazzata come qualcuno colto a crogiolarsi in una fantasia inconfessabile.
    « S-s-scu… »
    Voleva scusarsi, ma da dietro il cappello che le nascondeva il volto ebbe l’impressione che quella parola le stesse uscendo come uno strano sibilo. Probabilmente sarebbe scappata in quello stesso momento, incapace di sopportare oltre la crescente vergogna, ma la presa della dea le impedì di mettere in atto la sua fuga strategica.
    « Quanto sei carina! » - le fece e, senza incontrare resistenza, tirò dolcemente a sé la nostra Alice e la fece accomodare sulla panchina di fianco a lei. Alice si irrigidì ancora di più, non aveva in alcun modo considerato uno sviluppo simile, con la dea che, con gli occhi di chi sta guardando il più tenero dei cuccioli, l’aveva stretta al proprio petto. Ma oltre all’improvviso abbraccio, forse ancora più di questo, ad imbarazzarla era l’impressione che la stesse fissando, la sensazione sulla pelle dello sguardo penetrante del ragazzo-dio. Cercò di spostare il cappello quel tanto che bastava perché uno dei suoi begli occhi facesse capolino e vide che lui la stava davvero osservando con insistenza, genuinamente incuriosito da lei. Il panico aumentò quando lo vide avvicinarsi, serrò gli occhi e quasi rimpianse di non poter sprofondare nel petto della dea per nascondersi. Lui però si limitò a sedersi di fianco a lei.
    « Guarda che così mi ingelosisco. »
    La sorella ridacchiò e lasciò andare la presa. Finalmente libera, Alice si ritrovò così seduta tra i due ed ancora nascosta dietro il suo cappello, incerta su come comportarsi, senza alcuna idea su come uscire da una situazione che la agitava, insicura sul perché sentisse nel proprio petto tutto quel calore, la felicità che premeva per uscire e che la timidezza continuava a ricacciare nel profondo.
    « Anche se siamo un po’ invadenti non siamo cattivi. Non preoccuparti, con noi sei al sicuro. »
    Alice ebbe un fremito: le parole che aveva pronunciato sembravano aver intercettato alcuni suoi pensieri, quella voce sembrava familiare, come se l'avesse già sentita. Provò una improvvisa emozione, una forte commozione per quel suono che sembrava sempre esserci per lei, che la faceva sentire protetta, che le ricordava il suo angelo.
    Vincendo la timidezza, abbassò il cappello ed incrociò il suo sguardo curioso; si volse verso la ragazza e vide lo stesso sguardo, l'attenzione verso i suoi occhi distolta solo dal muoversi delle labbra.
    « Ci stavi seguendo, vero? »
    Alice, incantata da tanta bellezza, annuì incerta, sentiva di non poterle nascondere la verità.
    « Siete due gocce d’acqua. »
    Il commento dell’altro la fece trasalire. Si voltò immediatamente resistendo alla tentazione di nascondersi di nuovo.
    « Io sono Te..Tatsuya. La mia incantevole gemellina si chiama Bianca. Posso conoscere il tuo nome? »
    « A-A-Alice… »
    Tatsuya sgranò gli occhi.
    « Alice. Alice… Claradei? »
    Lei, sorpresa, annuì.
    « Ma come, la conosci? »
    « Non hai capito? È Alice! La nostra cugina. »
    Con un certo smarrimento, Bianca guardò attentamente la ragazza, quasi la studiò mentre con il labiale ripeteva quelle parole, poi le si illuminarono gli occhi.
    « Alice! »
    Quest’ultima fu sbalordita dalla felicità con cui avevano reagito, la gioia che stavano mostrando mentre le facevano le normali domande che si pongono a chi si desidera conoscere dopo averlo incontrato per la prima volta. Per tutta la mattinata li aveva attesi, li aveva seguiti, senza mai smettere di domandarsi come fare a conoscerli, senza smettere di preoccuparsi di come l’avrebbero accolta, senza smettere di temere di venire respinta, spaventata dalla possibilità, molto reale, di non riuscire a trovare il coraggio di avvicinarsi. Invece era successo così, senza che dovesse fare nulla, li aveva conosciuti senza neanche rendersene conto, la avevano accettata senza esitazioni e non la finivano più di inondarla d’amore.
    “Forse”, si ritrovò a pensare, “sarebbe stato bello conoscerli prima”.
     
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    Quella dei Claradei è una famiglia molto ampia, sia come numero che come diffusione. Se consideriamo solo genitori e zii di Bianca e Tatsuya, possiamo trovarli tra Italia, Francia, Russia, Giappone e Stati Uniti. Data la sua posizione rispetto agli altri, non stupisce che la famiglia dei nostri gemelli sia quella più isolata e con meno rapporti con gli altri parenti. Se poi aggiungiamo al conto gli impegni di lavoro dei genitori e l’età dei ragazzi si spiega perché non abbiano mai conosciuto Alice nemmeno nel periodo in cui lei aveva vissuto in Giappone prima di trasferirsi, prima in Italia e poi in Russia. Si spiega anche perché per loro, che erano in buoni rapporti solo con quelli che riuscivano ad andare in Giappone, conoscere una nuova cugina era una festa.
    Nel mezzo di tali celebrazioni il telefono di Tatsuya squillò.
    « Mica risponderai? » - gli fece Bianca in segno di rimprovero per quella che sarebbe stata una grave scortesia verso la festeggiata.
    « È Cheria… »
    « Allora sbrigati a rispondere che quella ci mena! »
    Alice non capiva perché sembrassero tanto agitati dalla chiamata: aveva riconosciuto il nome, stando a ciò che suo padre le aveva detto doveva trattarsi di una delle loro sorelle minori, quella reazione sembrava eccessiva. Nella famiglia dei suoi cugini c’erano delle dinamiche che non avrebbe potuto capire fintanto che non li avesse conosciuti tutti.
    Tatsuya si allontanò di qualche passo per rispondere.
    « Cheriaaa! Che bello sent… si… si, stiamo bene… si, colazione, pranzo e cena più merenda senza mai saltare un pasto proprio come vuoi tu… lo so, è già con me e Bianca, l’abbiamo incontrata durante la solita passeggiata… è carinissima, è come una Bianca in miniatura quindi puoi immaginare quanto è bella… cosa intendi con quanto sono distante?… Si, mi può sentire… ma no… Alice, sono stato scortese?… Che significa che è scortese chiedere se sono stato scortese?… Va bene… »
    Con ancora il telefono poggiato all'orecchio, guardò nella direzione di Alice, sembrava preoccupato per qualcosa. Con un sospiro di rassegnazione, le si avvicinò e le porse il telefono.
    « Vuole… parlare con te… »
    « Io risponderei… »
    La strana concitazione che sentiva nella voce di Bianca mise Alice in allarme più di quanto già non fosse. “Vuole parlare con me?”, era praticamente nel panico, sia perché non aveva idea di che cosa mai potesse volere da lei, sia, soprattutto, perché per lei era molto difficile prendere il telefono per parlare con qualcuno, in special modo con qualcuno che non conosceva e che non aveva mai visto prima. Sul momento non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva fatto con successo una chiamata ad uno sconosciuto – quelle dove aveva effettivamente chiamato senza riuscire poi a parlare non contavano – erano anni che non succedeva e poco cambiava che in quel momento lei dovesse solo parlare con qualcuno che le stavano passando.
    « Basterà solo ascoltare, dirà tutto lei. » – Accompagnò quelle parole con un occhiolino per incoraggiarla e per la seconda volta Alice ebbe una strana sensazione: era come se Tatsuya avesse parlato non a lei ma alla sua mente, intercettando i suoi pensieri e provando quasi a rassicurarli.
    “Perché mi capisce così bene? Come fa a sapere sempre cosa dirmi?”
    Persa in queste considerazioni, prese il cellulare e lo portò all'orecchio temendo, per quelli che erano stati i toni degli scambi tra i gemelli, quel che avrebbe sentito, ma…
    « Ciao Alice! Io sono Cheria, è una gioia conoscerti. Scusa se non sono lì di persona e per averti lasciata con quei due screanzati, quando tornerò mi farò perdonare. »
    … era la voce più dolce che avesse mai udito. Una voce calma, rasserenante, le faceva sentire un calore come se la stesse abbracciando. Era come essere avvolti da peluche per quanto era morbida e ad ogni parola si faceva sempre più soffice. Come incantata, Alice non riusciva a pensare ad altro, la mente completamente dedicata a quella voce ed incapace di formulare una frase da dirle. Si limitò ad ascoltare, come le era stato suggerito, e Cheria continuò a parlare, a darle le indicazioni basilari sulla città, sulla scuola, a farle tutte le raccomandazioni che farebbe una madre al proprio figlio prima di lasciarlo uscire per la prima volta da solo.
    Poi una domanda: « Hai fatto colazione? »
    « N-no… »
    « Così è questa la tua voce. Bene, ripassami Tatsuya che gli do due istruzioni. »
    Dopo i saluti, restituì il telefono al ragazzo che continuò la chiamata per pochi altri secondi prima di riagganciare e lasciarsi scappare un altro sospiro, questa volta di sollievo: le cose erano andate meglio di quanto potesse sperare, non c’erano state reprimende, lamentele, particolari domande scomode e, soprattutto, nulla che potesse portarlo a parlare di Nora, se Cheria lo avesse saputo in quel modo gli effetti sarebbero potuti essere molto pericolosi. Se Alice avesse saputo cosa stava passando per la testa sia sua che di Bianca, il suo sguardo sfuggente sarebbe stato meno confuso, dopotutto ai suoi occhi Cheria non poteva che sembrare la più angelica delle ragazze e le loro reazioni quantomeno esagerate. Il pensiero che le potessero sembrare un po’ stupidi lo rallegrò.
    « Volevo portarti un po’ in giro per la città, ma visto che me l’ha chiesto Cheria, prima di tutto dobbiamo mangiare qualcosa e conosco il posticino ideale. Quindi… »
    Piegando leggermente la testa di lato, le tese una mano con un sorriso docile e rassicurante.
    «… andiamo. »
    Con delicatezza, alzandosi poi con eleganza, la mano gliela prese Bianca, lasciando il fratello nello sconcerto, disorientato per quel gesto. Negli sguardi che si scambiarono era condensato un breve dialogo muto, “la mano era per Alice”, “non davanti a me”, “quindi alle tue spalle va bene?”, “non so cos'altro stai pensando, io non leggo la mente”, “almeno dalle te la mano”, “questo lo posso intuire”, dialogo che portò all'impeto con cui Bianca prese la mano di Alice per poi tirarla su di forza vincendo ogni tentativo di resistenza della ragazza, quasi facendole volare via il cappello da poco riconquistato.
    « Troppo brusca! Così la rompi! »
    « Abbiamo troppa fame per perderci nelle formalità, dico bene? »
    Alice avrebbe voluto protestare che per poco non le staccava un braccio ma non poteva riuscirci, non dopo il sorriso che le aveva fatto tenendole la mano, non dopo essersi smarrita nei suoi occhi.
    Così non poté far altro che seguirli in quella imbarazzante formazione che vedeva Tatsuya fare strada, Bianca aggrappata al suo braccio ed Alice tenuta per mano da questa.
    Si sarebbe potuta distaccare da loro in qualsiasi istante ma in quel momento semplicemente non voleva: per come l’avevano accolta, per quel che le comunicavano, per quanto sembravano divertirsi, si sentiva felice.
     
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