[CONCLUSA]Dreamers' Meeting

Narrazione privata [Tabris, Sasori]

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    Narrazione tra Tabris_17 e SasoRi

    Haiiro Kugatsu
    Scheda personaggio

    Alle otto della sera precedente era andato a letto, prendendo un farmaco per dormire all’incirca sei ore, sei ore libere dai sogni. Si era svegliato poco dopo le due; vestitosi era uscito a camminare, in direzione della stazione. Aveva bevuto più caffè di quanti ne potesse o volesse contare e aveva acquistato un panino da mangiare presso uno di quei negozi aperti 24 ore su 24. Il tempo restante l’aveva passato a gironzolare.
    Quando, alle 5.02, arrivò il primo treno del mattino, lui era in stazione da un pezzo. Salì a bordo, sedendosi sul primo sedile trovato libero. Il che, vista l’ora, significava sedersi sul primo sedile a vista. Oltre a qualche pendolare ancora mezzo addormentato, non vi erano altre persone sul mezzo. Haiiro, abbandonatosi sul pericolosamente comodo sedile del treno, si lasciò andare ai suoi pensieri, che presto divennero fantasticherie. Immaginò che nel treno vi fosse anche un manipolo di rissosi che la notte prima si erano lasciati andare ai bagordi e che, ancora in preda ai fumi dell’alcool, avrebbero iniziato ad attaccare rissa. Immagino di doversi confrontare con loro. Non sarebbe stato un problema.
    Lui era forte. Aveva sopportato anni di privazione di sonno che avrebbero distrutto la maggioranza delle persone. Aveva affrontato scontri e battaglia anormali potenzialmente letali. Si era allenato a judo con la regina delle scorrettezze e, nei vicoli cittadini una volta calato il sole, aveva affrontato teppisti e altri utilizzando solo il suo debole corpo. Era forte, non della forza eccezionale degli speciali, né quella sovrumana degli anormali. E neppure della forza distruttiva dei minus, che pure possedeva. Era forte della capacità di sopportazione, di affrontare situazioni pericolose senza tremare. Non avrebbe avuto alcun timore, alcuna paura, ad incontrare e affrontare certi tipi. Non c’era nulla in quel treno o nella sua destinazione che lo potesse preoccupare. Perché lui era forte.
    … Tutte balle.
    Sapeva perché si era alzato così presto la mattina. Sapeva perché aveva camminato così a lungo nei pressi della stazione, guardando l’ora come se aspettasse impaziente la partenza, ma in realtà sperando che quell’ora non giungesse mai, che il tempo si potesse fermare senza più avanzare oppure saltasse nel futuro evitando quel giorno e tutto quello che comportava. Sapeva che se la sua mente continuava a divagare non era solo per la consueta mancanza di sonno, ma per il desiderio di distrarsi dal pensiero dell’incontro di quel giorno e dall’ansia che lo rodeva dentro. Ma era inutile perché, per quanto cercasse di pensare ad altro, la sua mente tornava sempre a quello.
    “È assurdo. Ho affrontato anormali, minus, demoni e cyborg. Non senza paura o esitazioni, ma l’ho fatto. Come posso sentirmi in ansia per una cosa del genere, che non può danneggiarmi in nessun modo?”
    Era assurdo, razionalmente lo capiva. Ma quella consapevolezza non lo aiutava in nessun modo. Non diminuiva la sua ansia, non l’aiutava a placare i sussulti di stomaco che avvertiva o quel nodo alla gola che, per quanti caffè ingerisce, non se ne andava. Né diminuiva la sua agitazione, che si manifestava nel ripetere identici e inutili movimenti, dall’affacciarsi al finestrino per osservare lo stesso grigio paesaggio al tirare fuori il cellulare ogni minuto per controllare l’ora.
    “Eppure si tratta solo di una visita ai miei genitori.”
    Di quello si trattava, di nient’altro che quello. Incontrare i suoi genitori. Quei genitori che, a dispetto della natura dei due figli – un anormale e un minus, ossia lo stesso Haiiro – erano semplici normali. Due normali, due genitori normali. Genitori normali che avevano cresciuto normalmente i loro figli, all’inizio inconsapevoli della loro natura eccezionale. Genitori normali che si erano normalmente spaventati quando avevano, pur in modo oscuro, intuito i poteri di Haiiro. Genitori normali che normalmente avevano scelto di non ricercare il loro figlio, una volta che questi, dopo aver provocato l’incendio in cui la loro casa era bruciata, era scappato.
    “Normale? È davvero normale abbandonare il proprio figlio, per quanto pericoloso posso essere?” Si chiese Haiiro, stringendo i pugni così tanto da sentire il dolore delle unghie contro i palmi delle mani. “Se anche lo fosse, devo accettarlo solo perché è ‘normale’? Solo perché è normale, devo passarci sopra con un sorriso e un ‘ma sì, è andata così’ ?”
    Si agitò sul sedile del treno, che non gli sembrava più così comodo come prima, ma pieno di fastidiose gibbosità.
    “Allora avrei voluto che non fossero stati normali, ma avessero trovato la forza per stare insieme a quel loro figlio… no.”
    Un nuovo sguardo oltre il finestrino. Il treno si era lasciato alle spalle la città e ora procedeva per la campagna, costeggiando campi coltivati appena visibili alla fioca luce.
    “Se non mi fossi allontanato da loro, se loro mi avessero cercato e trovato, non avrei mai incontrato Hiroshi e Kasumi, né sarei venuto all’Hakoniwa. Non sarei la persona che sono ora. Inoltre, la colpa è mia per prima, per possedere questo minus, il Dream Teller. Loro non hanno colpe.
    Già, il Dream Teller. Se non lo avessi avuto, neanche in quel caso sarei chi sono adesso. Chissà, chissà come sarei…”

    Il movimento del treno sulle rotaie conciliava sonno. Chiuse gli occhi e li riaprì un istante, un lungo e pericoloso istante, dopo. Cambiò di nuovo posizione, ma fu inutile perché di nuovo sentì le palpebre calare, di nuovo con uno sforzo di volontà le riaprì. Capì che non poteva più continuare a rimanere sveglio. Meglio allora entrare in un sonno controllato, un dormiveglia in cui aveva il margine per controllare il suo potere, piuttosto di scatenare un sogno senza controllo.
    Evocò la sua ombra, Shero, e con uno dei suoi poteri la fece entrare in lui. Nel caso peggiore, in cui avesse perso il controllo, l’ombra poteva manipolare il suo corpo e darsi uno schiaffo per svegliarsi. Poi chiuse gli occhi, senza più cercare di mantenerli aperti.
    Sognò.


    CITAZIONE
    Era un sogno incredibilmente pacifico, sereno. Era il sogno di una famiglia unita, quella che non aveva avuto. Era il sogno di un sé che non possedeva il Dream Teller, di suo fratello Kazuhiro che non lasciava la famiglia per affari lontani, dei suoi genitori che rimanevano accanto a loro. E di un terzo fratello, di circa sei anni, che non era mai esistito.
    Sulla riva di un fiume, Haiiro, Kazuhiro e il terzo fratello sedevano assieme. Poco più in là, i loro genitori avevano steso un telo sull’erba e stavano tirando fuori degli onigiri da mangiare e due thermos con tè e caffè. Haiiro era intento a leggere una light novel mentre Kazuhiro, accanto a lui, gli raccontava qualche aneddoto. Il terzo fratello, dai capelli neri ma gli occhi celesti, giocava con l’ombra di Haiiro, che faceva sbucare dal suolo un arto o la testa, per poi ritrarlo prima che il bambino potesse afferrarlo.
    Sembrava che anche in quel mondo irreale e quieto, egli avesse sviluppato un potere simile allo Shadow’s Yourself, la sua seconda anormalità. Ma, a parte quello, nulla del minus che egli era affiorava in quell’Haiiro. Il suo colorito era quello fresco e roseo di un giovane che rispettava le dovute ore di sonno. I suoi occhi, fissi sul libro con un’attenzione profonda, non erano cerchiati di un nero ormai indelebile. Nulla delle fatiche e delle privazioni che aveva dovuto affrontare nella sua vera vita affiorava in lui.
    “Anche se è un sogno, non voglio svegliarmi, non ancora.”
    E senza pensare a quello che poteva accadere nella realtà, Haiiro si lasciò calare in quel sogno, dolce come lo zucchero e il miele che, cosparsi su una carta adesiva, catturano le incaute mosche.

     
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    Anche se adesso potevo finalmente muovermi e comportarmi normalmente nella realtà, non avevo per nulla perso il desiderio di viaggiare nei sogni altrui per vivere esperienze magnifiche che oramai erano diventate la mia vita. Già, vivere all'ombra degli altri, essere felice per la felicità altrui. Tutti sentimenti familiari. Tutte emozioni condivise che avevano permesse a una come me di vivere. Quella mattina, sapendo che Kuro non si sarebbe recato a scuola, come spesso succedeva ultimamente, avevo deciso di saltare anche io e rimanere a casa per dormire e vivere.
    Così, ancora in pigiama, mi lasciai andare a peso morto sul morbido materasso della stanza singola del dormitorio dell'accademia e, grazie alla mia abilità, mi addormentai e iniziai a sognare all'istante.

    Mi trovavo, come al solito, in uno spazio completamente bianco e privo di profondità dalla forma circolare; le pareti erano interamente ricoperte di porte di legno nero e con il pomello dorato. Sopra di esse vi era una targhetta che riportava il nome della persona che stava sognando e il titolo del sogno. In mezzo a tutto quel nero però vi era una porta verde con sopra scritto il mio nome. Raramente utilizzavo quella porta, visto che era noioso stare da soli. Preferivo esplorare, variare, anche perché le porte cambiavano ogni dieci secondi in maniera casuale. Iniziai così a curiosare in qualche porta, aprendola per qualche secondo per dare un'occhiatina: trovai gente che sognava di fare gare di abbuffate di hamburger, gente che sognava di dormire tutta la vita, gente che sognava incontri erotici ma niente. Non riuscivo a trovare il sogno di Kuro, quindi probabilmente era già sveglio. Fu soltanto allora che venni attirata dal titolo di un sogno: "The end of Dream Teller" by Haiiro Kugatsu. Non so bene il motivo ma decisi di entrare per dare una sbirciatina: non appena aprii la porta mi ritrovai in una di quelle tipiche scenette sui prati dove una famiglia felice, composta da madre, padre e tre figli maschi, che facevano un pic nic. Sorrisi. Era una delle cose che non ero mai riuscita a fare, purtroppo. Inoltre la loro felicità invase il mio cuore e mi stampò un enorme sorriso di gioia sul volto. Iniziai a gironzolare attorno al gruppo: il figlio più grande stava raccontando aneddoti, quello di mezzo stava leggendo una novel...
    Oddio adoro quella novel! strillai, facendo un salto sul posto senza nemmeno accorgermene. Oh beh, poco male, tanto non mi sente mai nessuno...
    Continuai poi ad osservare e vidi che il più piccolo, invece, stava giocando con... L'ombra del fratello di mezzo? Era in grado di manipolare la sua ombra? Ma questo significa che... Anche lui è una persona speciale come me e Kuro? C'era soltanto un modo per scoprirlo. Così mi avvicinai a lui, mi accovacciai e feci spuntare la mia faccia da sopra al volume della novel che stava leggendo, sussurrandogli a bassa voce.
    Ehi, tu... Per caso riesci a vedermi, ragazzo speciale di nome Haiiro Kugatsu?


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    Seduto sull’erba soffice, cullato dal placido suono dello scorrere del fiume e dalle parole di suo fratello maggiore, la mente di Haiiro scorreva sulle pagine del libro senza realmente leggere, il suo animo tutto preso dall’assaporare quel sentimento di serenità. Così prestò scarsa attenzione a uno strillo che udì poco lontano e non si accorse della nuova presenza finché questa non si frappose tra le pagine della novel e i suoi occhi.
    Alla vista di quella faccia femminile spuntata dal nulla, la sua prima reazione fu di fastidio.
    «Non sono un ragazzo speciale. Lo ero, lo sono, ma non qua – rispose distendendosi per terra e allontanandosi dal viso della ragazza – qui sono solo un normale ragazzo, con la modica capacità di far muovere un po’ l’ombra fuori dai propri limiti.»
    Reagendo a quelle parole il braccio dell’ombra uscì da terra e provò ad afferrare e tirare una delle gambe della ragazza per farla inciampare, prima di rifugiarsi a terra.
    «Ehm… con chi esattamente stai parlando, Haiiro?» Al suo fianco Kazuhiro sembrava preoccupato e incerto.
    «Con una ragazza che solo io posso vedere.»
    «Aah… capisco. Devi davvero trovarti una ragazza, Haiiro. Una vera, dico, non immaginaria.»
    “Quindi qua non sono fidanzato… Era prevedibile.”
    «Io la vedo!» esclamò orgoglioso il fratello minore, gonfiandosi il petto. Haiiro determinò che al 90% stava mentendo, ma per scrupolo lo volle mettere alla prova.
    «Hai davvero dei bei capelli rossi – disse rivolto alla ragazza – Tu che dici, fratellino?»
    «È vero! Sono proprio belli e rossi come… come… come il vino!»
    Haiiro guardò i capelli della tipa. A meno che non avesse problemi alla vista in quel mondo, i capelli della ragazza erano decisamente verdi.
    «Bene, Haiiro va a parlare con la sua amica immaginaria da qualche parte lontano dai fratelli. Faccende private.»
    Si incamminò poco più in là, stando attento a che il sole allungasse la sua ombra quanto bastava perché arrivasse fino al suo terzo fratello.
    «Allora, adesso mi dici chi sei e cosa ci fai qua? Ti faccio presente che stavo facendo davvero un bel sogno.»
    Poco più in alto rispetto a loro, i suoi genitori continuavano ad osservarli. Haiiro non riusciva a scorgerne il volto.
     
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    In fin dei conti, quel giovane ragazzo di nome Haiiro non sembrava così contento di vedermi, probabilmente perché avevo distolto la sua attenzione da quel sogno che sembrava così gioioso e spensierato.
    Una ulteriore conferma mi arrivò quando, con la sua ombra estensibile provò ad afferrarmi la gamba per farmi cadere; tuttavia, non appena avvertii la mano incorporea vicino alla mia gamba, la spostai nello spazio, facendo in modo che finisse sul libro che teneva in mano, chiudendoglielo. Gli rivolsi un sorriso un po' dispettoso. Ora aveva perso il segno, così si viene ripagati facendo i dispetti alle altre persone!
    Inoltre, quando il bambino disse che avevo dei bei capelli rossi, lo realizzai, cambiando il mio colore verde in rosso porpora.
    Per caso hai un fetish per le ragazze con i capelli rossi? gli chiesi, dubbiosa.
    In ogni caso, sembrava che Haiiro volesse allontanarsi dalla famiglia per parlare con me, visto che agli occhi degli altri sarebbe sembrato un pazzo, cosa che stava già accadendo, in effetti...
    ******
    Una volta rimasti soli, decisi di fermare il tempo all'interno del sogno: tutto ciò che si trovava al suo interno, ad eccezione di me e di Haiiro, ora era immobile; in questo modo non avrei fatto perdere del tempo prezioso a questo povero ragazzo.
    Ecco, ho fermato il tempo, almeno non te ne farò perdere altro! dissi, sorridendo.
    Sì, ho notato che era davvero un bel sogno, ma sembra quasi che tu ne sia consapevole... Forse è per questo che riesci a vedermi... In ogni caso io mi chiamo Chisato, piacere!
    Dopo pochi istanti di pausa, tornai a rivolgere la parola al ragazzo.
    Credo che tu abbia un potere davvero pericoloso, nel mondo reale, che però qui non esiste. Questo ti ha permesso di avere una vita felice, forse quella che hai sempre desiderato ma non hai mai potuto ottenere a causa del tuo fardello, non è forse così?
    Detto ciò, senza nemmeno aspettare una risposta, utilizzai i suoi stessi ricordi che probabilmente avevo appena fatto riaffiorare per creare una copia del vero Haiiro: erano due persone del tutto diverse, anche se ad un primo sguardo l'unica differenza potrebbe essere rappresentata dalla assenza delle occhiaie così profonde nella versione onirica.
    Così, questo sei tu... Oddio, scusa la mia avventatezza, è soltanto che avverto il bisogno di aiutarti e dato che questa è la sola cosa utile che possa fare nella mia vita, beh...
    Rimasi in silenzio, con lo sguardo basso, in attesa di risposte, ma mantenendo comunque "attiva" la copia di Haiiro nel mondo reale.

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    Haiiro Kugatsu
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    Come la ragazza si era accorto che Haiiro non era normale dal fatto che la vedeva, così il Sognatore aveva capito che lei stessa doveva avere capacità particolari per essere entrata nel suo sogno. Eppure la sua facoltà di manipolare il sogno, dallo spostare l’ombra, al cambiare colori dei suoi capelli, fino al fermare il tempo, lo lasciò stupefatto.
    “Che non ci sia limiti a quello che può fare in sogno?”
    Effettivamente anche Tatsuya aveva la capacità di entrare nei sogni, ma, per quanto Haiiro sapeva, non di manipolarli fino a quel punto.
    «Non intendevo proprio quello – con un gesto svogliato della mano indicò i capelli, ora rossi, della ragazza – mah, va bene lo stesso. Comunque sì, sono consapevole di stare sognando. Anche se, in realtà, me lo stavo dimenticando prima che arrivassi tu. Per questo, in effetti… ti dovrei ringraziare.»
    Era ancora infastidito dall’improvvisa apparizione della ragazza, Chisato, però non sembrava avere cattive intenzioni. Inoltre, se non fosse stato per lei, avrebbe rischiato di farsi trasportare dal sogno, con conseguenze sulla realtà a cui preferiva evitare di pensare.
    «Credo che tu abbia un potere davvero pericoloso, nel mondo reale, che però qui non esiste. Questo ti ha permesso di avere una vita felice, forse quella che hai sempre desiderato ma non hai mai potuto ottenere a causa del tuo fardello, non è forse così?»
    «Cos’è, siete tutti una manica di indovini? Già Goro aveva capito tutto del mio potere solo girandomi attorno, ora arrivi tu che…»
    A interromperlo fu la visione della copia di sé che Chisato aveva creato. Una copia perfetta, se non per un piccolo particolare: era la copia di lui com’era nella realtà, non lì nel sogno. Come aveva fatto a crearla la ragazza se, a giudicare dalle sue stesse parole, non aveva idea che quello fosse il suo vero aspetto?
    Per il momento non esternò i suoi dubbi, ma si limitò a osservare la propria copia con occhio critico. La differenza maggiore erano certamente le occhiaie, ma ve n’erano parecchie altre, tutte riconducibili al poco sonno. Il viso del sé reale era più smunto, il corpo più magro e un poco più basso. Inoltre aveva botte violacee sparse qua e là sulla pelle e sul volto. Alcune se le era procurate sbattendo per disattenzione (e, neanche a dirlo, poco sonno) contro oggetti, altre derivavano dall’allenamento di judo e altre ancora dal suo secondo “allenamento” notturno contro bulli e teppisti vari sparsi nella città. Il bello era che quelle botte erano solo una minima parte di quelle totali che si procurava quotidianamente. La maggior parte era però stata guarita dal Breath-Taker di Kasumi.
    «Carino.» Affermò di sé stesso Haiiro. Non ci credeva minimamente. Però, a riguardare così la propria copia, provava una strana sensazione. Una sensazione simile a quando si osserva il viso di una persona che pare famigliare, ma di cui proprio non ci si ricorda il nome o le circostanze di incontro. Oppure simile a quando si ha una parola sulla punta della lingua, si sa di saperla, ma proprio non viene. In quel momento Haiiro sapeva che la visione della propria copia gli portava qualcosa alla memoria. Sapeva di averla già vista da qualche parte (e non intendeva sullo specchio del suo appartamento). Sapeva che avrebbe dovuto ricordare qualcosa. Ma quel qualcosa proprio non gli veniva, nonostante i suoi sforzi.
    «Così, questo sei tu... Oddio, scusa la mia avventatezza, è soltanto che avverto il bisogno di aiutarti e dato che questa è la sola cosa utile che possa fare nella mia vita, beh...»
    «Aiutarmi? Guarda che, a dispetto del mio aspetto non esattamente… – esitò cercando l’aggettivo esatto. Attraente poteva essere equivocato, sano sembrava eccessivo, mica era malato, piacevole non gli piaceva. Alla fine si arrese. – A dispetto del mio aspetto, non sto così male. Certo, il sonno e la stanchezza mi divorano come formiche che morsicano un tipo legato e abbandonato nel deserto con del miele spalmato sulla pelle, ma ci ho fatto l’abitudine. Dove vivo ora ho degli amici, una fidanzata e delle belle avventure. E mi piace come vita. A parte per le avventure. Alle avventure rinuncerei volentieri, visto che a ogni tre per due rischio di lasciarci le penne.»
    Fece una pausa. Fece una pausa e commise un errore: girò la testa a osservare il quadretto famigliare in cui poco prima era immerso. E gli tornò alla mente il calore, la serenità, di poco prima.
    «Certo, nella mia vita non ho più una famiglia – aggiunse con voce soffocata – Ho bruciato la casa dove vivevano circa tre anni fa, sono scappato dai miei genitori e da mio fratello maggiore, che pure ha lasciato per suo conto la famiglia. E ora che tornerò a rincontrarli non so neppure che faccia fare.»
    Non parlò di suo fratello minore. La ragione era semplice: nel suo mondo, nella realtà, non c’era alcun fratello minore. Era solo la creazione di un suo sogno, di un suo desiderio recondito.
    Si voltò a guardare la ragazza. Teneva la testa bassa e stava in silenzio. Quella visione di Chisato stonava con la sfacciataggine dimstrava poco prima, quando si era intrufolata nel suo sogno, e lo mise a disagio.
    «Ehi, alza quello sguardo.» Mise, delicatamente, due dita sotto il suo mento per farle tirar su la faccia. Sperando di non trovarsi catapultato indietro da chissà quale forza, cosa che, a quanto aveva intuito, Chisato avrebbe potuto fare tranquillamente.
    «Cosa intendevi dicendo che è l’unica cosa utile che puoi fare nella vita?»
     
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    Haiiro, a discapito del suo aspetto fragile, era una persona molto forte. Già prima, dopo le prime chiacchiere che ci siamo scambiati lo avevo intuito ma ora, dopo un discorso del genere non poteva che essere vero. Lui aveva apprezzato o quantomeno capito che tutto quello che gli era successo, le cose brutte e le cose belle, erano quelle che lo avevano reso la persona che era oggi.
    No, non sono una sensitiva, è solo che all'interno del sogno posso percepire i pensieri del sognatore e... Beh, alla fine presumo che questo sia il significato di sensitiva... risposi, appoggiando la mano sulla mia nuca con una espressione imbarazzata. Ma quando lui si avvicinò per tirarmi su gentilmente il viso mi teletrasportai qualche metro più indietro.
    Ah, scusami, non volevo, è soltanto che non sono abituata a... Poter parlare così con le persone. Vedi, io ho passato tutta la mia vita in ospedale a causa di diverse malattie, tra cui la sindrome di Angelman, una malattia incurabile che mi impediva di sviluppare capacità intellettive e di camminare.
    Sospirai, distogliendo lo sguardo.
    Poi, dopo la morte di mia madre, ho iniziato a potermi intrufolare nei sogni altrui, a porte vedere la loro vita. In poco tempo quella divenne la mia unica ragione di vita e anche se adesso sono stata salvata in qualche modo ho conservato questa abitudine, non so se mi capisci eheh continuai, abbozzando una risatina e indicando l'Haiiro reale.
    Sai, io sono in grado di addormentarmi a comando, ma sono sicura che anche tu potresti farlo, guarda che occhiaie ahahahah
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    Quando Haiiro provò ad alzarle il viso, Chisato si teletrasportò qualche metro più in là. Haiiro lo trovò curioso, anche divertente a suo modo. A quanto aveva visto la ragazza poteva agire liberamente nel sogno, eppure si imbarazzava e si ritraeva a un semplice tocco.
    “Forse è simile a Kasumi in questo. Anche lei, dietro un’apparenza di forza, si sente a disagio appena qualcuno supera le distanze abituali.”
    La spiegazione della ragazza lo confermò in quella sua opinione e gli fece capire le ragioni dietro quel suo atteggiamento. Era ovvio che Chisato, fino a poco prima capace di vivere pienamente solo nei sogni altrui, fosse messa a disagio da un confronto “reale” con un’altra persona. Haiiro comunque non commiserò la ragazza. Del resto non aveva modo di sapere se fosse peggio poter vivere solo nei sogni altrui, oppure vivere nel timore dei propri sogni, di quello che avrebbero potuto causare.
    «Capisco… anche per te deve essere stata dura.» Si limitò a osservare.
    «Sai, io sono in grado di addormentarmi a comando, ma sono sicura che anche tu potresti farlo, guarda che occhiaie ahahahah»
    Haiiro si lasciò andare al suo sorriso caratteristico, ossia un sorriso a trentadue denti scoperti così simile a un ghigno da esserne indistinguibile. Era un sorriso che spesso metteva a disagio le persone normali, anche se in quell’occasione, per la mancanza di occhiaie, era meno inquietante del solito.
    «Ehi, con chi credi di aver a che fare? Certo che sono capace di addormentarmi a comando, potrei perfino definirla la mia abilità speciale, il mio marchio di fabbrica! Anche se, adesso che ci sei tu, dovremmo spartircelo come tratto caratterizzante.»
    Fece qualche passo nel sogno, avvicinandosi al fiume. Persino l’acqua era immobile, il suo scorrere come congelato. Con un dito Haiiro provò a sondarne la superficie. L’acqua rimase fissa, se non per quel tanto necessario a far passare il suo dito. Se Chisato poteva comandare a quel modo i sogni, combinando quel potere con il Dream Teller… non avrebbero avuto limiti? Haiiro ritrasse il dito, bagnato. Sentiva un fremito dentro di sé, un’agitazione che cercava di calmare. Era simile alla sensazione di stare in equilibrio sull’orlo di una montagna, inebriati dallo splendido panorama sotto di sé, atterriti dalla possibilità di cadere. Le possibilità di quello che avrebbero potuto fare lo entusiasmavano e, insieme, lo spaventavano. Non espose subito il suo pensiero, ma scelse una via indiretta per arrivarci.
    «Non ho capito bene una cosa, quella tua capacità di percepire i pensieri di chi sogna… come funziona esattamente e quanto è forte? Sai, ad esempio, qual è il potere di cui dispongo nella realtà e che in questo sogno non ho? E di cosa è capace?»
     
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    Dopo qualche attimo di ilarità, notai che qualcosa stava combattendo all'interno della mente di Haiiro. Era come se stesse cercando in tutti i modi di trattenersi per non scoprire qualcosa, probabilmente riguardante me. Lo vidi poi avvicinarsi al fiume ed immergerci un dito. Io seguivo i suoi movimenti con lo sguardo, ma senza seguirlo né avvicinarmi al fiume, dopotutto avevo già invaso il suo spazio più di una volta e, visto che sembrava essere in un momento di riflessione molto importante, avevo preferito concedergli un po' di tempo e spazio.
    Alla fine parlò e ciò che mi chiese non mi stupì: mi sarei aspettata una domanda di questo tipo ad un certo punto della conversazione.
    Beh, visto che ora ci stai pensando intensamente posso percepirlo molto chiaramente. Il "Dream Teller", un potere che ti permette di portare nella realtà i tuoi sogni. Soltanto che non si limita ai sogni belli ma anche agli incubi, rischiando di farti provocare un disastro dietro l'altro. Ora capisco anche le occhiaie del tuo vero io e il perché tu sia in grado di vedermi, dopotutto sei un sognatore anche tu... dissi, sorridendo e inclinando leggermente la testa.
    Ma perché mi stai chiedendo tutto questo?
    La risposta era probabilmente facile da intuire: potere illimitato? No, non era questo che Haiiro stava cercando. Forse voleva soltanto porre fine a quella sofferenza che lo aveva accompagnato lungo così tanti anni. Forse avrebbe potuto smetterla e finalmente riposarsi. Sleep well, my friend, o qualcosa del genere. Tuttavia era un cambiamento così grande, così importante che sarebbe stato meglio se fosse stato lui a suggerirlo e anche a concepirlo. Non volevo assolutamente forzare l'argomento né dare suggerimenti, visto che avrebbe potuto cambiare radicalmente tutta la sua vita e la sua intera esistenza. Perciò rimasi in attesa di una sua risposta, curiosa di sapere che cosa avrebbe deciso il sognatore Haiiro Kugatsu.
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    Haiiro Kugatsu
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    Beh, che dire… Chisato aveva individuato alla perfezione le caratteristiche del suo potere. E se era in grado di “sbirciare” così perfettamente in ciò che pensava, allora era facile che sapesse anche il motivo per cui le aveva posto quella domanda. Ma se lo sapeva, allora perché gli aveva domandato «perché mi stai chiedendo tutto questo?» Di certo quella domanda nascondeva qualcosa, un intento… Forse voleva che fosse lui a esporsi per primo, a dichiarare ad alta voce cosa desiderava?
    “Uh, che bello essere senza sonno. Posso mettermi a fare riflessioni tanto profonde sulle intenzioni e piani altrui… mi sembra quasi di essere un personaggio di Hunter x Hunter.”
    Pensò tra sé, dimenticandosi per un secondo che Chisato gli aveva posto una domanda. Forse la mancanza di sonno aveva reso Haiiro capace di maggiori elucubrazioni, ma sembrava non averlo liberato dalla tendenza, propria degli assonnati, di far vagare il pensiero.
    «Ehm sì, dunque, allora…»
    Fece di nuovo vagare lo sguardo per quel panorama. Una famiglia unita, un fratello che non esisteva, una serenità che non possedeva. Niente avventure spericolate, niente poteri distruttivi tanto per lui quanto per chi gli stava vicino. Chisato avrebbe voluto concederli tutto questo? Chissà. In ogni caso, se non diceva nulla, non avrebbe ottenuto nulla.
    «… il motivo per cui te l’ho chiesto…»
    Sennonché, lui aveva già una famiglia. Forse famiglia non era il termine adeguato, ma aveva una persona che lo trattava come un fratello e un’altra che lo amava, ricambiata. E dietro di loro aveva tutti i compagni incontrati all’Hakoniwa. Esistenze uniche, com’era un’esistenza unica la sua. Capaci di azioni uniche.
    «…è perché…»
    Poteri unici. Avventure uniche. Compagni unici. Esistenze uniche. Pensandoci, lui non aveva mai chiesto per nessuna di queste cose. Tutto quello che voleva era là. Era quella serenità, quella pace, che sollevava e curava il suo animo martoriato.
    «…vorrei che con il tuo potere, congiunto al mio, trasformasti quest’esistenza serena, questo sogno, in realtà. Io da solo non posso riscrivere il mondo fino a questo punto, ma col tuo aiuto forse…»

    Fu in quel momento che accadde. Come i suoi sogni, anche l’Ombra era parte di lui. Come i suoi sogni, essa rispondeva solo in parte ai suoi comandi. In quel momento, senza un suo ordine o pensiero, l’ombra che si stendeva sotto i suoi piedi si protese verso l’Haiiro creato da Chisato, fino allora niente più che un’immota bambola di carne e sogni, ed entrò in lui.
    Shadow’s Puppet, il potere di manovrare i corpi altrui. Era una delle abilità della sua Ombra, ma non si immaginava che potesse adoperarla anche in quel caso.
    L’Haiiro dell’Ombra, quello dall’aspetto uguale al sé della realtà, fece alcuni piccoli movimenti, il girare la testa attorno, stendere le braccia, muovere qualche passo. Erano i movimenti abituali di chi si sveglia da un sogno, quasi un riabituarsi alla realtà.
    Quel Haiiro si girò verso Chisato, la sua espressione abituale – un misto tra il rabbuiato, l’indolente e il sogghignante – sul viso.
    «Non lo ascoltare. Non voglio farti battute banali come “io sono quello vero, quest’altro è un impostore”. Sarebbe una frase tanto vera quanto falsa. Non ascoltarlo perché è la parte di me che si rifugia nei sogni per scappare dalla realtà. Mentre io… Io sono la parte che adopera i sogni per affrontare la realtà.»
     
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    La domanda, o meglio, l'idea che mi propose Haiiro era più o meno come me l'ero immaginata: usare il suo potere congiunto con il mio per rendere questa esistenza reale e potersi liberare finalmente del pesante fardello che gravava sulle sue spalle forse sin dalla nascita. Ma proprio mentre stavo per rispondergli, accadde qualcosa di inaspettato.
    La sua ombra, che fino a poco tempo fa era soltanto in grado di allungarsi di qualche centimetro, ora si era allungata a dismisura, arrivando addirittura a separarsi dal suo copro di origine e andando a prendere il controllo dell'Haiiro che avevo creato io, quello basato sulla versione reale di lui.
    Lanciai una occhiata sbalordita alla copia, ora in grado di muoversi e parlare.
    Ma come diavolo... Certo che non si finisce mai di imparare! esclamai, passando da un iniziale tono stupito ad uno eccitato. Ma spiegatemi un po'... Lui sarebbe la versione originale di te, quella che ha accettato il potere e la sua vita e tu invece, intrappolato in questo sogno, saresti una versione che sta cercando di fuggire da una realtà crudele per trovare conforto nella serenità e nella pace?
    Passai rapidamente lo sguardo tra le due figure, quasi del tutto identiche. Dopo qualche istante di silenzio e di riflessione, presi di nuovo la parola.
    Beh, come dire... Che cosa proponete di fare ora? Sì, insomma, io potrei aiutarti senza alcun problema a rendere reale questo sogno e farti trovare il meritato riposo, ma un nuovo arrivato è apparso per provare a fermarti. Io sono imparziale, perciò non sceglierò di mia iniziativa, è una cosa che dovete decidere voi due dissi, indicando i due Haiiro.
    Io aspetterò qui e ascolterò tutto ma interverrò soltanto quando mi sarà chiesto esplicitamente.
    Detto questo, mi sedetti, gambe incrociate sul prato, mentre il vento fresco si sollevava e il silenzio sovrastava tutto, come per sottolineare un importante momento di riflessione personale sotto forma di vera a propria discussione con l'altra parte della tua personalità, le due facce diverse della stessa medaglia.
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    Haiiro Kugatsu
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    L’intervento del secondo Haiiro aveva sorpreso pure Chisato, che, senza nascondere il proprio stupore, cercò di capire come stessero le cose tra i due e chiese maggiori spiegazioni. Ma questa richiesta provocò la replica stizzita del primo Haiiro.
    «No! Non farti ingannare, Chisato! Io sono quello vero, l’originale, quello che desidera la propria serenità! Questo è solo una copia che tu stessa hai creato, come puoi pensare possa essere il vero Haiiro!»
    «Ancora non l’hai capito? – rispose di rimando il secondo – Copia, ombra, sogno, realtà, originale, falso. Qua tutto si mescola e si combina. Distinguere è inutile. Io sono vero quanto lo sei tu. Ma il mio desiderio è diverso dal tuo.»
    Chisato sembrò riflettere su quelle parole e su quella a dir poco singolare circostanza. Alla fine rimise la decisione ai due Haiiro. Ma quella strada era a dir poco impervia. Infatti aveva appena finito di parlare che i due si misero a bisticciare tra loro.
    «L’hai sentita? Può rendere reale questo sogno di serenità! Liberarci dal dolore e dalle disgrazie del Dream Teller!»
    «Andiamo, non è la prima volta che sentiamo una simile proposta. Ho rifiutato in passato, perché dovrei accettare ora?»
    «È diverso dal caso del Cacciatore di anormali. Non si tratta del solo Dream Teller. Tutte le sciagure del passato, l’incendio, la distruzione della nostra famiglia, il nostro vagare durato tre anni. Tutto cancellato.»
    «Esatto: tutto. Anche ciò di bello che abbiamo vissuto.»
    «Bello? Qualche mese qui all’Hakoniwa. Nient’altro. E tu rifiuteresti per questa ragione la serenità che ci viene offerta?»
    «Questa serenità è solo un sogno. Un dolce sogno, ma sempre sogno irreale.»

    «Cosa?» L’Haiiro senza occhiaie sorrise malizioso. «Sei stato tu ad affermare che sogno e realtà si mescolano. Questo è un sogno, ma può diventare realtà. Chisato stessa l’ha confermato. Quindi non puoi rifiutarlo per questo motivo.»
    L’Haiiro sonnolente, quello in cui l’Ombra si era insinuato, tacque senza riuscire a replicare. L’altro aveva colto nel segno. Dopo aver affermato la sua esistenza, non poteva rifiutare quel sogno solo perché era un sogno.
    «…Allora che mi dici di questo. Kasumi. L’abbandoneresti per questo sogno felice?»
    Stavolta toccò all’Haiiro sonnolente rimanere in silenzio, titubante. Ma poi rispose.
    «…Amo Kasumi, ma… per ottenere qualcosa bisogna dare qualcos’altro in cambio. E poi non è detto che non la possa rincontrare.»
    «Cosa?! Non mentire a te stesso! Anche se la incontrassi sarebbe tutto diverso. O pensi di poter replicare i baci e le notti passate insieme a lei?»
    «No, ma… Pensi di poter andare avanti a lungo con questa vita? Una vita in cui chiudere gli occhi ti è proibito? E non pensi alle altre persone? Potresti ferirle o uccidere a causa di un solo attimo di sonnolenza?»
    «Oh, smettila. Di questo ne sono consapevole da tempo. Chiamami pure egocentrico, ma ho deciso di accettare questo rischio.»
    «E tuo fratello? Non Kazuhiro, ma l’altro che nella realtà non esiste. Lo abbandoneresti così?»
    «Fratello? È solo una creazione della mia mente. Non ha vita propria.»
    «Potrebbe averla, se accettiamo l’offerta di Chisato.»
    «…Già, potrebbe. Ma per ora è solo un sogno, con solo la parvenza di un carattere reale. Invece Kasumi, Hiroshi, Tatsuya, Goro, Kuro, Galatea e tutte le persone che abbiamo incontrato sono reali. Accettare questo sogno significa cancellare tutto ciò che abbiamo vissuto insieme a loro. Nel caso di Galatea, potrebbe pure comportare la sua morte e la vittoria di Akane o del Demone.»
    «Come hai detto tu stesso, io sono un egoista. Accetterò il rischio.»

    Il dibattito andò avanti a lungo, inutilmente. Ognuno di loro conosceva alla perfezione l’altro, ognuno di loro, essendo a sua volta l’altro, non poteva prevalere su di lui a parole. Condividevano lo stesso carattere, gli stessi dubbi, ma cambiava il peso che davano alle cose più importanti. Una valutava maggiormente la serenità di una vita normale, l’altro le esperienze che avevano vissuto nella loro vita anormale. Non potevano mettersi d’accordo, né potevano prevalere sull’altro. Potevano solo contestarsi e odiarsi l’un l’altro. Haiiro (entrambi) cominciò a capire perché si diceva che incontrare un doppenlagger porta male: non si può che detestare il se stesso che si ha di fronte e desiderarne, quasi, la morte.
    La loro disputa andò avanti a lungo, ma alla fine era come un disco che girava a vuoto: gli argomenti proposti e le loro repliche erano sempre gli stessi. Volendo sintetizzare, si potrebbe dire così: l’Haiiro senza occhiaie rivendicava “una vita serena e una famiglia unita”, l’altro “una vita emozionante e una ragazza”. Finiti gli argomenti, o, per la precisione, stanchi di ripetere sempre gli stessi argomenti, arrivarono a strattonarsi e spintonarsi, mettendosi le mani in faccia.
    «…Basta, così non finiremo mai e annoieremo solo Chisato. Se non possiamo finire questa disputa a parole, facciamolo con una sfida.»
    «Una sfida…? Tipo morra cinese?»
    «Cosa? Chi sarebbe così scemo da decidere il proprio destino con un gioco di fortuna?»
    «Morra cinese è un gioco che mischia statistica e psicologia! Non sottovalutarla!»
    «Rimane un modo stupido per decidere. Io pensavo uno scontro di forze per decidere chi tra noi fosse il re che comanda e chi il cavallo che esegue gli ordini.»
    «Quindi ci battiamo qui, così? Oppure chiediamo a Chisato di creare un ring a lastroni, da torneo classico per decidere il più forte maestro di arti marziali o il re dei demoni?»
    «Ma no, se possiamo creare un luogo per combattere a nostro piacere, approfittiamone per avere una classica sfida atipica da shonen jump. Del tipo combattere sopra le lingue di due statue demoniache, con sotto un mare di acido solforico.»
    «Ma se uno cade…»
    «Si scioglie e ritorna ombra. Quello che volevamo.»
    «Giusto. Ma non riciclerei un’idea già adoperata. Piuttosto si potrebbe fare che…»

    E si misero a confabulare, stavolta più complici che avversari, almeno in quel frangente.
    «Chisato! Abbiamo deciso. Ci sfideremo in uno scontro fisico, niente anormalità – anche perché sigillato il Dream Teller, impiegato lo Shadow Yourself per concretizzare il secondo Haiiro, non ne avevano altre – per l’arena puoi crearci un’area circolare di pietra, lunga qualche metro e sospesa sopra un grande specchio? Chi cade all’interno dello specchio accetta di essere il perdente, la copia, chi resta in piedi vince e decide.»
     
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    Chisato Chiba
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    Dopo una lunga e argomentata discussione, il dinamico duo mi chiese di creare un'area circolare di qualche metro e sospesa sopra ad uno specchio: il primo che sarebbe caduto dall'arena avrebbe perso. Un tipico torneo di arti marziali, dunque, visto che entrambi avevano anche deciso di non usare alcun potere durante questo scontro che avrebbe deciso il futuro di una (o forse due) persone.
    Siete veramente sicuri di tutto questo? chiesi, con fare turbato. Insomma, stiamo parlando del vostro destino e volete deciderlo con una prova basata sulla semplice forza? Mi sembra un po' riduttivo, ma data la mia natura imparziale non posso che accondiscendere alle vostre richieste.
    Detto ciò, poco più a destra rispetto alla nostra posizione comparve una enorme pietra circolare di circa 3 metri di diametro e sospesa a circa 1 metro dal suolo. Sotto di essa apparve poi un grande specchio, anch'esso di forma circolare ma con un diametro leggermente più grande di quello dell'arena. Tutti e due gli Haiiro vennero teletrasportati sopra all'arena e io li seguii, apparendo al centro ma semi trasparente.
    Io vi osserverò e starò qui in maniera incorporea, non preoccupatevi di me e fate finta che io non ci sia.
    Forse non era il modo migliore, ma era altrettanto vero che la discussione non aveva comunque portato da nessuna parte. Non restava che attendere e scoprire l'esito di questo scontro per il futuro.
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    Haiiro Kugatsu
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    Chisato pareva piuttosto scettica sul loro metodo di scelta. I due Haiiro potevano capire la ragione di quel suo atteggiamento: aveva letto troppi pochi shonen. Altrimenti avrebbe saputo che un duello in cui i due personaggi si affrontano gettandosi addosso tutti i pugni e le parole è il modo migliore e più risolutivo per qualsiasi situazione. Comunque decise di assecondare la loro richiesta e così entrambi i due Haiiro si trovarono solo pochi istanti dopo sopra un’arena sospesa, con sotto lo specchio richiesto.
    Il combattimento cominciò tra i due che si osservavano mantenendo la distanza e camminando in cerchio intorno al ring. La più grande difficoltà di quel combattimento non stava nel riuscire a mettere ko l’avversario, ma nel non cadere fuori dalla piccola arena. Tre metri era uno spazio ristretto e sarebbe bastato poco, anche solo una disattenzione, per uscirne.

    Fu l’Haiiro che chiedeva di tornare alla realtà – da ora RHaiiro, Real Haiiro – a partire all’attacco per primo, portandosi al centro dell’arena e sferrando un pugno al naso del suo avversario. L’Haiiro che desiderava la concretizzazione del sogno – da ora DHaiiro, Dream Haiiro – invece di schivare scattò in avanti, peccandosi il pugno, ma riuscendo ad afferrare RHaiiro. Cercò di proiettarlo sul duro suolo, ma i due possedevano le stesse competenze e RHaiiro riuscì, abbassando il baricentro, a non farsi proiettare e l’afferrò a sua volta.
    «Desideri un sogno che cancelli tutto quanto abbiamo vissuto, eppure usi le tecniche di judo imparate da Nabeshima? Anche quelle verranno cancellate.»
    «Non mi importa. Per vedere realizzato il mio sogno, utilizzerò ogni strumento a mia disposizione.»
    Mentre parlavano i due continuavano a stare attaccati, ruotando su di loro, cercando uno sbilanciamento dell’avversario, scambiandosi brevi pugni che, tuttavia, parevano non produrre effetti apprezzabili. Alla fine DHaiiro, con una spazzata, riuscì a sbilanciare RHaiiro e a proiettarlo al suolo. Un attimo prima dell’impatto RHaiiro chiuse gli occhi, come ad aspettare l’impatto imminente. Senza pensarci, senza neppure accorgersene di averlo fatto, senza una ragione, entrò nel dormiveglia.
    L’impatto non ci fu: RHaiiro era riuscito, quando già si trovava sul punto di colpire il suolo, a svincolarsi a mezz’aria, attutire la caduta con una capriola e allontanarsi. L’attimo dopo colpì DHaiiro con un gancio al volto, seguito da una ginocchiata allo stomaco. Entrambi gli attacchi erano stati sferrati con una velocità e una forza superiori a quelle che Haiiro possedeva. Ma, particolare ancora più insolito, gli occhi di RHaiiro erano chiusi mentre attaccava.

    Lo stesso RHaiiro non capiva pienamente quello che accadeva. Si sentiva leggero, libero, capace di ogni movimento. I suoi occhi erano chiusi, ma lui percepiva l’ambiente intorno a sé molto più chiaramente di quando erano aperti. Il respiro dell’altro Haiiro, i suoi leggeri movimenti sopra l’arena, la posizione del suo stesso corpo. La sua coscienza aveva la leggerezza di chi fluttua tra sogno e realtà, l’attimo prima di svegliarsi o di addormentarsi.
    «Ma sì certo è come ha detto quella volta è il risultato degli allenamenti degli scontri dei pomeriggi passati con Kasumi di quel giorno che sono uscito ho incontrato Shoichi e siamo andati a pescare in montagna dall’alto di quella torre tre anni fa o giù di lì fino alla pianura e ai banditi che abbiamo combattuto non ricordo c’eri anche tu con noi?»
    Questo e altre frasi senza senso farfugliava RHaiiro. Il suo stato era chiaramente quello tipico del dormiveglia, ma non era il Dream Teller. In quel sogno, dove la sua prima anormalità era bandita, Haiiro aveva avuto modo di raggiungere un altro potere, accessibile tranne il Dream Teller
    «Ehi, che diavolo ti sta succedendo…?»
    RHaiiro attaccò. Attaccò e colpì. DHaiiro non riusciva a stargli dietro, a parare o contrattaccare i suoi colpi. RHaiiro riusciva sempre ad anticiparlo, a reagire prima di lui. I suoi riflessi avevano raggiunto il reame degli speciali e un normale come DHaiiro non poteva contrastarli.
    «Debole debole posso colpire quando voglio dove voglio dov’è la tua forza così è pure troppo facile»
    Già, era facile, troppo facile. Quando era riuscito a colpire, RHaiiro aveva provato un enorme senso di liberazione. Quello che prima poteva solo sognare di fare, ora riusciva a farlo senza difficoltà. Era la libertà, era la realizzazione. Ma poi qualcos’altro si aggiunse e andò a guastare quella sensazione.
    «Maledetto!»
    Il suo avversario, quel sé che non era sé, era ora più debole di lui. Impotente. Incapace di reagire. Ma resisteva. Anche se lui lo colpiva con tutte le forze, lui resisteva. Era debole, ma resisteva. Rimaneva in piedi, provava comunque a colpirlo, si sfogava con imprecazioni. Tutto inutile, eppure resisteva. E RHaiiro diminuì la forza dei suoi colpi, la loro velocità, rallentò le sue reazioni. Infine, riaprì gli occhi e uscì da quello stato.

    «…Perché?»
    «Perché… immagino sia perché so cosa significa essere deboli. Perché il debole che resiste di contro ai forti sono sempre stato io. Perché proprio non riesco a utilizzare questo potere che mi rende più forte, contro un debole che, nonostante tutto, resiste.
    In pratica, perché ti voglio battere con la mia, di forza, non con quella che mi viene da chissà quale altro strano potere.»
    «Ah…»

    Di fronte a quell’affermazione DHaiiro rispose con quella semplice esclamazione, scuotendo solo la testa. Con gli occhi chiusi.
    Il primo attacco colpì RHaiiro alla gola, il secondo, quasi simultaneo, al plesso solare. In quel momento comprese la propria stupiditù. DHaiiro era sé stesso, aveva le sue stesse capacità. Perché non avrebbe dovuto avere il suo stesso potere?
    «Che stupido scemo si usa qualsiasi mezzo per vincere io posso fare tutto quello che puoi fare meglio di più posso saltare fino alla luna e tu ora cadi giù»
    DHaiiro, dopo quei colpi, lo afferrò per proiettarlo a terra, a pochi centimetri dal bordo del ring. RHaiiro non poteva fare nulla per opporsi a quell’attacco. Poteva solo cadere. E sfruttare quella caduta. Sutemi-waza, tecniche di sacrificio. Sacrificando il proprio equilibrio, lasciandosi cadere, è possibile rovesciare l’avversario. Haiiro non era ancora arrivato con Nabeshima al punto di poterle adoperate, ma, in quel sogno, fu possibile. Ignorando il duro impatto col suolo, sfruttando la stessa forza di DHaiiro e la propria rotazione, RHaiiro catapultò il suo avversario, l’altro sé, fuori dal ring.

    Cadde senza fare rumore: né un grido, né l’impatto con uno specchio che si rompe. Alzandosi con fatica sul bordo del ring, RHaiiro guardò sotto di sé, nello specchio ancora itatto. L’altro sé era dentro, immerso in esso come fosse un lago, in una posizione identica alle sue, ma col corpo che si tingeva di nero, si decomponeva, diventava ombra. RHaiiro si girò verso Chisato che aveva osservato tutto lo scontro.
    «Torno subito» le disse prima di gettarsi nello specchio. Attraversò la sua superficie come se fosse stata della gelatina e si trovò nel freddo mondo dentro lo specchio. Si trovò a sprofondare verso un cielo speculare a quello che spendeva nel sogno, mentre le sue membra si coprivano di una nera membrana. Sapeva che, se non avesse fatto in fretta, quella membrana avrebbe sostituito la sua carne. Ma non era un problema: colui che era venuto a trovare era già di fronte a lui, ormai ridotto a ombra.
    «Dunque è questa la tua… no, la nostra vera natura. Non è mai esistito l’essere che chiamo “Shero”. L’Ombra che io posso evocare non è altro che me stesso.»
    «Esatto… te stesso, ma il te che è il tuo opposto. Ogni emozione, atteggiamento, desiderio ignorato, represso, negato vive in me.»

    Haiiro annuì. Gli pareva di averlo sempre saputo, ma di non essere riuscito, chissà perché, ad afferrare quella semplice verità. Gli veniva in mente quando si era confrontato con Enma. Haiiro aveva detto di volersi solo allenare, mentre Shero intendeva vincere a tutti i costi. In realtà il desiderio di vincere dell’Ombra era il suo stesso desiderio, che non aveva espresso a voce alta. Anche con Chisato il suo doppio aveva assunto la posizione opposta – ma ugualmente desiderata – alla sua.
    «…Bene, tempo di andare.»
    Allungò la mano verso la sua ombra, l’altro sé. Con riluttanza (con quella che era la sua stessa riluttanza) l’ombra fece altrettanto. Tutto il nero che li aveva ricoperti scomparve. Haiiro si trovò in piedi sopra lo specchio circolare. Proiettata sotto di sé nello specchio vi era la sua ombra, il suo riflesso, il suo doppio. Sé stesso.
    «Scusa se ti ho fatto aspettare, Chisato. Possiamo tornare al luogo di prima?»
     
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    Chisato Chiba
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    Assistetti a tutto lo scontro i silenzio, fluttuando quasi incorporea attorno al campo per non disturbare Haiiro, visto che in quel momento stava decidendo delle proprie sorti future in un vero e proprio contro contro se stesso. Avevo già capito che entrambi gli Haiiro erano reali ed era questa la cosa più interessante e sconcertante, ovvero le emozioni represse dall'Haiiro di base si erano materializzate all'interno della propria ombra, suo doppio con personalità opposta ma che in realtà era sempre e comunque l'Haiiro base. Lo scontro fu interessante soprattutto per le riflessioni che pian piano emergevano ma anche a livello scenografico non fu affatto male. Il finale, certamente, fu inaspettato ma al tempo stesso familiare.
    Certo, vedo che hai raggiunto una decisione. dissi, mentre con uno schiocco di dita ritornavamo sulla riva del fiume immerso nel verde vicino al luogo dove la irreale famiglia di Haiiro stava tenendo un pic nic.
    Dunque, qual è la tua decisione definitiva? chiesi, osservandolo con interesse.
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    Haiiro Kugatsu
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    Con uno sciocco di dita tornarono al precedente luogo. Chisato gli chiese quale fosse la sua decisione definitiva.
    “Giusto, è arrivato il momento di mettere le cose in chiaro.” Era strano: aveva combattuto con tutte le sue forze per quella scelta, credendo che fosse quella più giusta. Per farlo aveva affrontato nessun’altro che sé stesso. Ma ora che quel suo doppio se n’era andato – no, che era tornato in lui – e doveva esporre la sua decisione, esitava. Forse quell’esitazione non era altro che il desiderio di prolungare il sogno da cui presto si sarebbe dovuto svegliare.
    Haiiro prese un’ultima boccata d’aria, assaporando l’erba fresca sotto i suoi piedi, la vista del fiume di fronte a sé e l’atmosfera di una serena giornata famigliare.
    «Chisato. Ho scelto di tornare. Tornare al mondo, lasciando che questo non sia altro, se non uno dei miei molti sogni.»
    Disse così e fu come se il suo corpo si fosse fatto all’improvviso più leggero. Non sapeva se la sua scelta era giusta e, in ogni caso, non tutte le sue indecisioni erano state sciolte: se le portava ancora dietro con sé, celate nella sua ombra. Ma aveva deciso, una volta per tutte.
    Gettò un’ultima occhiata alla famiglia dietro di sé e le sorrise. Di rimando il suo fratello più piccolo, quel fratello che nella realtà neppure esisteva, gli sorrise a sua volta e con le labbra mimò la pronuncia di poche parole: ci vediamo più tardi.
     
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