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.Da quando aveva cominciato a far judo, Haiiro non aveva mai saltato una lezione. Non importava se gli dolevano i muscoli, se era stanco oppure se pensava di essere incapace di progredire. Del resto era sempre stanco, come condizione di default, e di partenza non aveva aspettative su di sé, quindi nessuna di queste cose lo aveva mai preoccupato. Haiiro Kugatsu, che non si era mai interessato allo sport né mai aveva pensato di provarne uno, si era sempre recato alle lezioni di judo, con assiduità inconsueta anche per i normali membri. Questo, fino a quel giorno. Per la prima volta da che si era presentato di fronte alla regina dei falli, Nekomi Nabeshima, Haiiro non si era recato al club di judo.
Non si trattava di un’assenza forzata o per causa di forza maggiore, come una qualche battaglia furiosa o simili. Né si trattava di un’esigenza legata alla sua quotidianità, come svolgere un compito di recupero per scuola. No. Haiiro era completamente libero e, invece di essere al club di judo, osservava le nuvole sopra di lui e si beava del venticello che soffiava, lì, sul tetto di un edificio scolastico, uno di quelli che nel pomeriggio non vengono adoperati. Non aveva usato le scale per salirci. Aveva invece preso la rincorsa da fuori, correndo sul muro dello stabile, fino a raggiungere il primo piano. Da lì era saltato ad afferrare i cornicioni delle finestre e, tenendosi aggrappato a quello spazio di pochi centimetri con le sole dita, aveva cominciato a scalare l’edificio, con movimenti non troppo dissimili da quelli di Prince of Persia. Infine aveva raggiunto il tetto. Solo allora aveva aperto gli occhi.
Fighting Sleep. Era quella l’anormalità, la sua anormalità, che gli aveva consentito di compiere tutto ciò. Ed era anche il motivo per cui non si era presentato alla lezione di judo. Quel potere infatti gli permetteva di accrescere le sue capacità fisiche, ma anche di ottenere un equilibrio e una padronanza completa del proprio corpo. L’unico neo era che doveva entrare nel dormiveglia, serrando gli occhi, ma aveva scoperto come fosse meno problematico di quanto pensasse. Nel dormiveglia riusciva a elaborare, sulla base della memoria di quanto visto prima di chiudere gli occhi e delle percezioni extravisive, una mappa mentale dei dintorni. Riusciva perfino ad avvertire i paraggi in modo più chiaro che da sveglio. Per finire in quello stato poteva eseguire i movimenti del judo, che si era sforzato di imparare spendendo tempo e sudore, in modo molto più fluido ed efficace.
“Ora che ha ottenuto una simile anormalità fisica non sente più bisogno di esercitarsi nel judo, quindi ha saltato la lezione” una simile deduzione, perfettamente logica, è anche perfettamente errata. Il motivo per cui non si era recato al club era l’opposto. La prima volta che Haiiro era entrato aveva chiesto di poter allenarsi per sconfiggere, lui che era debole, colore che erano forti. Quella era stata la sua motivazione, la sua ragione per apprendere il judo. Era anche la sua giustificazione per ricorrere a trucchi e stratagemmi, armi a disposizione dei deboli contro i forti. Ma ora non poteva più giustificarsi. Perché quell’anormalità lo rendeva, per la prima volta nella sua vita, “forte”. Non si era mai considerato tale, non per il possesso del Dream Teller, non per l’acquisizione dello Shadow Yourself. In fondo quei poteri non gli davano le caratteristiche che attribuiva ai forti, ai dotati: doti fisiche, intelligenza, talento. Ma per il Fighting Sleep era diverso. Con quello Haiiro sentiva di non appartenere più alla categoria dei deboli. Di non essere degno di rientrarvi. Allo stesso tempo non poteva più prendere parte alle lezioni di judo. E allora, cosa poteva fare…?
Con passo incerto si avvicinò al cornicione dell’edificio. Si issò sopra di esso, si sistemò sul suo bordo. Sotto di lui solo il vuoto di una lunga caduta, poi l’asfalto. Chiuse gli occhi e, senza sapere neppure lui se fosse in dormiveglia o meno, inclinò in avanti il busto. Lentamente, senza fretta né paura. All’inizio riuscì a mantenersi in equilibrio sul cornicione. Poi l’inclinazione del torso aumentò: i talloni, fino a quel momento ben piantati a terra, si alzarono. A tenerlo ancorato erano solo le punta del piede e gli addominali. Ma prestò sentì come mille insetti che si muovevano su e giù, giù e su, dai piedi ai polpacci, alla coscia e il calore di piombo fuso gettato nel suo ventre. Non resse: i suoi addominali e le sue gambe cedettero e lui cadde nel vuoto.
Era una botte sulle cascate del Niagara era il funambolo che cadeva senza rete di protezione era l’aquila nella sua picchiata verso la preda. Cielo e terra si rivoltavano intorno a lui e lui non ne provava vertigini. Con un braccio si afferrò a una delle finestre dell’edificio. Ma la forza della caduta era troppa: sentì il dolore attraversare il suo braccio – ossa nervi e muscoli – e lasciò la presa l’attimo prima che il muscolo si strappasse. Riprese a cader chiuso a palla intorno a sé come un riccio come un Sonic come uno di quei pokemon dorati della prima generazione di cui proprio non si ricordava il nome. A circa un terzo dell’altezza dell’edificio diede un calcio alla parete; disperse la forza prima rivolta solo verso il basso in una componente verticale e una orizzontale. Cadde a terra così com’era caduto nell’aria: raggomitolato su se stesso. Rotolò ruzzolò per distribuire su tutto il suo corpo - braccia gambe torso dorso testa fianco - l’impatto col duro terreno. Si fermò proprio a un metro su per giù da una figura umanoide respirante odorante e si alzò e la salutò ed era ammaccato ma nel complesso illeso più o meno.
«Vuoi fare un giro sulla giostra anche te?»
Solo in quel momento riaprì gli occhi, uscendo dal dormiveglia e dalle sue stranezze, e fissò la persona di fronte a sé. Non aveva la minima idea di cosa potesse dirle o di come si potesse giustificare, quindi disse la prima cosa che gli passò per la testa.
«Uhm… bella giornata per cadere giù da un edificio, non trovi?». -
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Legenda:
Parlato di Mei
Parlato altrui. -
.«M-ma… tu… come…? S-sì bella giornata…»
La risposta della ragazza fu piuttosto incerta… com’era più che normale in una situazione del genere. Ma poco dopo sembrò riprendersi e si preoccupò delle sue ferite, a cui lo stesso Haiiro non aveva ancora prestato attenzione.
«Oh cavolo, ma stai bene?!»
«Bene…? Riesco a muovermi e non ho arti piegati ad angoli inusuali o normalmente non riscontrabili negli esseri umani, quindi direi di sì.»
La ragazza, tuttavia, per qualche motivo non pareva condividere il suo parere.
«Sei pieno di ferite! Chissà da quanti metri di altezza sei caduto…ah! Ma stai sanguinando! Dobbiamo fare qualcosa!»
In effetti, pur avendo attutito la caduta, Haiiro si era comunque ferito. Del resto si era pur sempre lasciato cadere dal tetto di un edificio; considerando questo le sue ferite ammontavano a poca cosa. Erano per lo più lividi vari, oltre a tagli e graffi più o meno estesi che si era fatto rotolando sul terreno. Il più vistoso era sul braccio sinistro. Proprio a quello si indirizzò l’attenzione della ragazza, che esclamando «Oh! Aspetta, fammi provare una cosa...» gli afferrò il braccio con una mano, mentre faceva scorrere l’altra lungo la ferita.
«Uh… certo, perché no? Tutti ci divertiamo a provare a fare cose: io ho appena provato a fare bungee jumping da un edificio senza bungee, quindi perché tu non dovresti provare a fare quel che vuoi provare a fare?»
Mentre così blaterava, qualcosa cominciò a succedere alla sua ferita. Quel qualcosa era la sparizione stessa della ferita. Quando lei finì, del taglio non rimaneva nessuna traccia. Haiiro non riusciva a vedere neppure il segno della cicatrice. Accanto a lui, la ragazza esultava.
«Evvai! Ce l’ho fatta!»
«Ce l’hai fatta…? Significa che era la prima volta che l’usavi su un essere umano e non sapevi se avrebbe avuto effetto e mi hai usato come cavia umana?»
Il suo tono mentre commentava era però divertito, segno che non ce l’aveva certo con la ragazza. Del resto, lei gli aveva guarito la ferita. Questa però si allontanò, lasciandogli il braccio, e arrossì. Haiiro la guardò, stupito per quella reazione.
“Che se la sia presa…?”
Mentre si interrogava su quello, provò a tirare all’aria tre pugni in rapida successione col braccio prima infortunato, ad altezza di naso, gola e plesso solare di un immaginario nemico. Il resto del corpo gli doleva in vari punti, ma il braccio stava bene e non gli dava fastidio.
«Scherzo, grazie a te sto meglio.»
Ma la ragazza pareva ancora preoccuparsi per lui.
«Ah! Ehm… sì, scusa… sicuramente avrai preso una bella botta, forse dovrei accompagnarti da un dottore...»
«No, figurati, questo non è niente. E poi… un dottore?» Haiiro non era abitualmente sarcastico, ma in questo caso non si poteva usare altro aggettivo per definire le sue parole (tranne, ovviamente, quelle che sono sinonime di sarcastico, e neanche tutte).
«E perché un anormale come noi dovrebbe andare da un dottore? In pochi secondi mi hai appena guarito un taglio. Un dottore potrebbe farlo? No, che poi… se io fossi un dottore e mi si presentasse un anormale di fronte, mi arrabbierei con lui. “Voi avete i vostri poteri per guarirvi, perché venite da me? Lasciatemi curare i pazienti normali che ne hanno veramente bisogno e non fatemi perdere tempo”. Sì, direi qualcosa del genere.»
Per sottolineare la sua convinzione, annuì tra sé. Nel frattempo si era messo a camminare in cerchio attorno alla ragazza, come se bruciasse di un’energia – era forse frustrazione? – che le parole non bastavano a dissipare. Anche dopo aver finito di parlare, fece un altro giro prima di fermarsi, accorgendosi seppure in ritardo di quanto strano dovesse sembrare.
«Scusami – disse sincero – ma oggi sono di umore un po’… altalenante. Del resto ti confesso che non è mia abitudine lasciarmi cadere giù dagli edifici. Anzi, oggi era la prima volta.»
Distolse lo sguardo da lei e lo portò all’edificio da cui era caduto, ricordando un simile evento di non troppo tempo prima.
«Seconda, ora che mi viene in mente. Ma la prima volta è stato un incidente.»
Si schiarì la gola, imbarazzato, e provò a cambiare discorso.
«Comunque io sono Haiiro Kugatsu. Primo anno, seconda classe. Club di judo. Amante del caffè. Gruppo sanguigno… beh, sul momento il gruppo sanguigno non me lo ricordo. Ma tanto non è così importante. Piacere di conoscerti» concluse facendo un leggero inchino.. -
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Legenda:
Pensato
Parlato di Mei
Parlato altrui. -
.«Oh, hai ragione… vedi, io sono nuova di qui, non sono ancora abituata al concetto di “Anormali”. in effetti, quella parola non mi piace per niente. Fino a poco tempo fa ero convinta di essere l’unica con qualcosa di… diverso.»
Haiiro annuì a quelle parole, ma non si accorse del farsi più serio della ragazza.
«No no, non sei affatto sola, in realtà siamo in molti. Beh, non proprio in molti, o meglio è solo qui all’Hakoniwa che puoi trovare anorma… persone con poteri speciali in quantità. Ci incontriamo, parliamo, a volte combat… litighiamo. È divertente.»
Infine la ragazza, seguendo il suo esempio, si presentò.
«Io mi chiamo Mei Kitsutsuki. Sono del secondo anno, classe decima. Ancora non sono in nessun club purtroppo… piacere di conoscerti.»
“Amante dei pocky… ho paura che abbia ben poco da spartire con un amante del caffè come me.” Questo pensò, ma si sbagliava come Mei gli dimostrò tirando fuori un volantino. Parlavano di un nuovo prodotto, pocky al gusto di mango, un’accoppiata che giudicò inconsueta. Ma il fatto rilevante era un altro: il volantino era di un cafè non molto distante. Il viso di Haiiro si rasserenò, i muscoli delle spalle, che durante il discorso di prima si erano tese, si rilassarono e un sorriso gli comparve sul volto. Quel sorriso non scomparve per tutto il discorso di Mei, mentre gli pareva che le sue papille gustative già pregustassero l’aroma del caffè.
«Sì, vengo volentieri!» Rispose appena la ragazza ebbe finito di parlare. Non credeva di aver mai rifiutato l’offerta di recarsi a un cafè e non avrebbe certo cominciato quel giorno.
«Altre cose da fare oggi? Ogni cosa può aspettare di fronte a un caffè. E credo di aver incontrato la maggior parte dei miei amici e conoscenti proprio prendendoci un caffè assieme. Se non l’avessi fatto solo perché erano sconosciuti, non li avrei mai conosciuti e sarebbero rimasti tali.» In effetti erano poche le persone che non avesse conosciuto in quel modo o con cui non era finito poco dopo a bersi un caffè.
«La strada per quel cafè è di qua, no?» Disse incamminandosi. Ovviamente conosceva quel locale. Conosceva tutti i cafè nei dintorni, tanto che avrebbe saputo arrivarci a occhi chiusi. E non era una metafora, in quel momento più che mai.. -
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Legenda:
Pensato
Parlato di Mei
Parlato altrui. -
.Mentre si dirigevano verso il cafè, Mei si mise a fargli delle domande sul suo potere. Sembrava piuttosto curiosa, forse perché non aveva ancora incontrato molti anormali, o forse perché quella del lasciarsi cadere giù dal palazzo era stata una scena davvero strano (e qui Haiiro non poteva darle torto).
«Quindi… hai detto di essere un anormale anche tu, no? E’ per questo che ti sei buttato da quel palazzo...? Fa parte del tuo potere?»
«Non proprio… cioè, ho utilizzato il mio potere per, diciamo, non sfracellarmi al suolo, ma non è che ne faccia parte. Era più un modo per mettermi alla prova…» cominciò a rispondere in modo evasivo, ma la nuova affermazione di Mei lo prese di sorpresa.
«O forse ti sei buttato perché qualcosa non va...?»
Avrebbe voluto mantenere la sua compostezza e non mostrare che era stato colto sul vivo, ma appena sentì quella domanda si incespicò sui suoi stessi piedi, rischiò di cadere per terra e si salvò solo sbandierando le braccia per aria e trovando un equilibrio instabile.
«Qualcosa del genere…» rispose rivolto a Mei, come se nulla fosse successo. La ragazza dovette intuire la sua ritrosia… beh, non che fosse difficile.
«Ovviamente non sei costretto a rispondere, se non ti va...»
«No, no, non ti preoccupare, è solo che… neanch’io so bene cosa pensare.»
E poi si mise a parlare a tutto spiano.
«Io ho questo potere, di concretizzare nella realtà quello che sogno – alcune persone potrebbero pensare che rilevare la propria anormalità alla prima incontrata non sia una grande idea, ma Haiiro aveva sempre fatto così e non pensava di cambiare. – Magari uno lo sente e pensa che sia una figata o altro. Invece no. Perché significa che non si può dormire, non senza il rischio di provocare disastri. E anche se in parte lo posso controllare e ho trovato dei modi per poter dormire, rimane un supplizio.»
Non era la prima volta che faceva quel discorso, ma adesso veniva la parte nuova.
«Ma non è questo potere il problema. Ho un'altra anormalità, ora: questa non mi dà nessun tipo di problemi, non mi rende la vita un inferno, non mi impedisce di dormire. Al contrario mi rende più forte, più agile, più abile di quanto sia mai stato in vita mia.»
Fece una pausa. Aveva difficoltà a spiegare a parole come si sentiva. Perché a spiegarlo sembrava ridicolo. Ma per lui non lo era.
«Già, posso essere più abile di quanto sia mai stato nella mia vita. Posso buttarmi giù da un edificio e uscirne vivo. Senza alcuno sforzo o impegno. Mi basta chiudere gli occhi. È questo il problema.»
Chiuse gli occhi e, benché non ci vedesse, tutto intorno a lui divenne più nitido. Poteva individuare la posizione delle persone dai loro passi e dal loro chiacchierio, quella degli uccelli dal loro cinguettio. L’odore era altrettanto ricco di informazioni: avvertiva la resina degli alberi, il diverso profumo dei vari fiori, il vicino aroma di caffè, persino il sudore delle persone. Il vento che soffiava e l’umidità che avvertiva sulla pelle gli davano indicazioni sul tempo atmosferico. Allo stesso tempo tutte queste sensazioni, così vivide, erano filtrate e attraversate da altre fittizie rappresentazioni della sua mente, che nel dormiveglia si mischiavano alla realtà. Senza badare alle altre persone se non come ostacoli da evitare corse verso il tronco più vicino a lui. Balzò come scoiattolo tra le sue fronde le mani che afferravano traevano sospingevano i piedi che si appoggiavano issavano scalavano. Il suo equilibrio era perfetto il tatto così acuto da individuare le scanalature sul legno e i rami più adeguati a sostenerlo. E lui era l’eroe che scalava l’albero del mondo assurgeva alle sue vette. Rumori di uccelli che si disperdevano al vento spaventati dalla sua scalata. Haiiro comprese qual era la sua prova si lanciò verso l’esterno e guidato dallo spostamento d’aria catturò un uccello. Cadde da sopra l’albero con il passero in mano stretto la testa del volatile tra indice e pollice ché non potesse beccare. Aveva imparato come cadere e l’altezza stavolta era minore e non si fece male. E poi raggiunge la sua bella a cui rendere omaggio e le prese la mano per baciarla e stese l’altra per porgerle l’uccello.
Aprì gli occhi – il passero volò via pigolando miseramente e sbattendo le ali alla massima velocità – e distolse lo sguardo imbarazzato.
«Scusa – biascicò – quando uso questo potere divento incapace di distinguere sonno e veglia e finisco per… fare cose strane. Comunque questo è l’anormalità che mi ha un po’ “buttato giù”. Il Fighting Sleep.»
Parlando e scalando, erano ormai di fronte al cafè.
«Beh, ormai che siamo arrivati entriamo a parlare. E bere il caffè. E i pocky, certo.»
Entrarono e si sedettero a un tavolino. Haiiro notò che il cameriere li guardava, anzi, guardava lui in tralice. “Mi sa che pure lui ha visto la mia piccola performance là fuori…” Non era sicuro se la cosa lo infastidisse o lo divertisse. Forse entrambe.
«Cameriere – lo chiamò – per me un caffè. Liscio. Non azzardarti a metterci dentro dello zucchero.»
Lo vide sobbalzare e mormorare qualche parola in merito. Sì, c’era decisamente un lato divertente della cosa.. -
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.«Beh mi hai fatto vedere in cosa consiste questo altro potere e me lo hai spiegato, ma non sono sicura di capire perché sia un problema. Dopotutto, un potere così sembra molto utile, ti rende più agile eccetera.»
A quelle parole, certo comprensibili, Haiiro si lasciò andare a un profondo sospiro. La domanda di Mei era normale, ma non era quella normalità che lui voleva. Forse da qualche parte in lui aveva sperato che, essendo pure lei dotata di un potere, lo capisse senza ulteriori spiegazioni?
L’arrivo del caffè gli diede l’occasione per prendere un po’ di tempo e riorganizzare i pensieri – oltre che per bere un sorso dell’eccellente bevanda – ma non dovette essere risolutorio, se subito dopo si buttò all’indietro sulla sedia scompigliandosi i capelli con una mano.
«Aah… come fare a farlo capire…?» Disse a mezza voce, rivolto più a sé stesso che alla ragazza. Ma non rimase così per molto e presto riprese a sedere normalmente.
«Ecco, proviamo a metterla così. Io mi sono sempre considerato debole. Fisicamente, certo, ma anche rispetto a diversi altri anormali che ho incontrato. Non per questo mi sono tirato indietro quando c’era da combattere. Anzi, ero orgoglioso di essere debole ma non mollare.
Poi ho cominciato ad allenarmi. A judo per la precisione. E, con mio stupore, ho scoperto di poter diventare più forte. Di poter cambiare. Non avevo mai veramente creduto di esserne capace. Invece mi sbagliavo. Ho visto che, con duri allenamenti, anch’io potevo migliorare. Ho detto di provare orgoglio verso il mio essere debole, ma ne provavo altrettanto verso il me debole che cercava di diventare più forte.»
Nuovo sorso di caffè e piccola pausa nel discorso.
«E poi acquisto questo nuovo potere. E di colpo non ho più bisogno di allenamenti per diventare forte. Non ho più bisogno di esercitarmi, di sforzarmi, di faticare. Posso avere tutta l’agilità e la prestanza che voglio solo chiudendo gli occhi.
E… così è troppo facile. E non è giusto. Pensa a chi si allena ogni giorno e sputa sangue per diventare più forte. Per lui io non sarei altro che un imbroglione, un cheater che usa i codici per diventare più forte senza meritarselo. E neanch’io penso di meritarselo. Ecco, è questo il problema che mi butta giù, diciamo.
Spero di essermi fatto capire stavolta» aggiunse dopo una nuova pausa (leggesi: un altro sorso di caffè).
Finito quel discorso, fu la volta di Mei di parlare della sua anormalità.
«La mia anormalità mi permette di invertire ogni cosa. Concetto, processo fisico, tutto quello che vuoi. E’ il Deceptive Reverse. E’ così che ti ho curato la ferita prima, ho invertito il processo che ha lacerato la tua pelle e l’ho riportata allo stato originale.»
“Quindi non era una semplice guarigione…”
Non sapeva che pensare del potere di Mei. Gli dava la sensazione di essere forte, ma non riusciva nel concreto a capire esattamente come si potesse adoperare nel concreto, fatta eccezione per la cura di cui era stato soggetto e ‘cavia’. Ma la ragazza, pur esitando, diede un altro esempio di utilizzo per quel potere.
«Allo stesso modo, io posso invertire i sentimenti e le percezioni delle persone. Se ora sei triste, potrei farti sentire felice in un istante.»
«Comodo se stai attraversando un periodo no…» Commentò senza neppure starci a pensare. Ma subito dopo aver detto quelle parole sobbalzò, rendendosi conto dell’implicazione e del perché Mei gliene stesse parlando in quel momento. Era una proposta rivolta a lui, come le sue successive parole confermarono. Ma lei aggiunse anche altro: che ha suo dire quella non era la giusta soluzione al suo problema. Tuttavia…
«La scelta è tua.»
Haiiro prese un sorso di caffè, l’ultimo, poi rispose.
«No, grazie.»
Appoggiò la tazzina ormai vuota sul tavolo e si ripulì la bocca con una tovaglietta di carta.
«Come dici tu, non è una soluzione. Solo una comoda scorciatoia che non fa vedere il problema.»
Picchiettò con l’indice contro la tazzina, un suono minuto ma ripetuto.
«Ecco, il problema è questo. Queste anormalità, sia il tuo Deceptive Reverse che il mio Fighting Sleep, permettono in un attimo di superare le proprie difficoltà. Ma quello che si acquisisce così, senza difficoltà, che valore può avere?»
Lasciò che la domanda si librasse nell’aria, mentre si portava la tazza alle labbra. Solo per ricordarsi che il caffè era finito, cosa di cui prese atto con uno schioccò di disappunto della lingua.. -
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Legenda:
Pensato
Parlato di Mei
Parlato altrui. -
.«Io invece non la penso così.»
Questo affermò Mei in risposta alla domanda, pure in odore di retorica, di Haiiro. Vorrei dire che l’affermazione catturò immediata l’attenzione del ragazzo e che lui, con occhi pieni di interesse, sospetto e forse la segreta speranza di venire smentito, rivolse la propria concentrazione alla ragazza. Invece in quel momento Haiiro si stava chiedendo se, con il potere di Mei, si potesse riportare il caffè dentro la tazza vuota, se ciò avesse pure cancellato la sensazione di piacere causata dal caffè e replicò solo con un borbottio di cortesia che poteva essere interpretato come un “vai avanti”.
«Vedi, tu hai questo potere che ti permette di essere agile e forte senza sforzo e, per quanto ti sembri ingiusto, secondo me ti stai concentrando sulla cosa sbagliata.»
Ecco: se dire che i suoi occhi erano pieni di interesse, sospetto e quell'altra roba là sarebbe eccessivo, quantomeno in quel momento aveva riportato la sua attenzione su Mei e la ascoltava sul serio, restituendole lo sguardo.
«Hai provato a considerare l'idea che potresti fare ancora di più? Se ci pensi, con del duro allenamento, una persona normale potrebbe raggiungere un livello simile di agilità, anche se non proprio lo stesso.»
«Certo che ci ho pensato. Ma non vedo cosa cambi.»
La vide esitare un attimo prima di continuare. Ma poi prese a parlare come un torrente. Quando l’aveva incontrata non aveva pensato fosse il tipo di persona che faceva discorsi simili. Del resto incontrarsi in seguito al volo dal tetto di un edificio rischia di falsare la prima impressione. Non si è soliti agire in modo normale di fronte a circostanze anormali.
«Ed è qui che vorrei correggerti. Come hai detto tu prima, noi siamo Anormali, il che significa che abbiamo delle capacità che vanno oltre il normale. Ma se questo potere ti rende agile quanto basta per essere appena oltre la normalità, vuol dire che forse c'è di più. Quello che sto cercando di dire è che puoi puntare più in alto.
Hai appena acquisito questo potere, ma non significa che sia completo, dovrai ancora imparare a padroneggiarlo. Io credo che ci sia sempre spazio per migliorare e il tuo caso non fa eccezione.
Non dovresti smettere di impegnarti e provare, non dovresti metterti dei limiti, non dovresti pensare di aver raggiunto il massimo delle tue potenzialità.»
Era un discorso abbastanza lungo, ma scontato nella sua sostanza. Di nuovo, avrebbe voluto chiedere cosa cambiasse. Sapeva di poter allenarsi. Sapeva di poter migliorare ancora di più se voleva. Ma non capiva come questo rendesse giusto qualcosa che di base era sbagliato. Grazie a quell’anormalità lui era di base più agile delle persone normali. Allenarsi e diventare ancora più agile di quanto già fosse, accrescere ancora di più il divario, come poteva renderlo moralmente giusto?
Poi arrivò. Di recente Haiiro aveva accumulato una certa esperienza in risse, quindi ne conosceva gli effetti. Il colpo inaspettato, quello che non vedi arrivare. Stai lottando, sei in vantaggio o credi di esserlo e poi tutto il mondo comincia a girare intorno a te. Sei stato colpito e non ti sei neppure reso conto del pugno che ti ha atterrato.
«Se ti senti così in colpa per aver raggiunto questi risultati così facilmente, allora devi dimostrare di meritartelo, sfruttandoli al meglio.»
Sdeng. Eccolo lì, il colpo. Quello che ti prende alla sprovvista e cambia tutte le carte in tavola. In quel caso era una semplice affermazione, eppure ribaltò il modo in cui Haiiro vedeva la questione. Anche il discorso appena precedente di Mei, che aveva bollato in fretta come ‘scontato’, acquisiva tutto un nuovo significato. La sua bocca si aprì in una O, ma il suono ne uscì un secondo dopo. «Oh.» Appunto. E, a proposito di suoni, lo sdeng di prima non era solo metaforico del colpo ricevuto, ma il rumore della tazzina di caffè che Haiiro aveva preso a far dondolare da un lato all’altro durante il discorso di Mei, per lasciare cadere al momento della fatidica frase (sottolineo che la tazzina non si era rotta né scheggiata – non è un qualche escamotage per far riusare il suo potere a Mei – ma ci tenevo a inserire pure questo piccolo dettaglio).
Se Haiiro era meditabondo, Mei continuava nel suo discorso, che a quel punto aveva sì catturato appieno la sempre fluttuante attenzione del Sognatore.
«Prima, hai detto che se fossi un dottore non vorresti curare degli Anormali. Hai detto che un Anormale dovrebbe sapersela cavare da solo, visto che ha delle abilità speciali, e che dovrebbe lasciare spazio alle persone normali affinché vengano curate loro. Io non capisco perché la pensi così. Certo, abbiamo delle anormalità che ci consentono di fare cose assurde, ma non siamo imbattibili. Ci procuriamo delle ferite anche noi e abbiamo delle difficoltà anche noi. Siamo Anormali, ma siamo pur sempre persone. Anche noi abbiamo il diritto di essere curati. Allo stesso modo, abbiamo anche il diritto di esercitarci e migliorare.»
Haiiro si dimenò sulla sedia, a disagio e un po’ in imbarazzo.
«Beh, no… Quella parte sul dottore magari ho esagerato. Sai com’è, l’adrenalina per la caduta e una certa confusione… Credo di avere pure sbattuto la testa cadendo (Nota dell’Autore: falso) quindi non ero proprio in me. Meno del solito voglio dire.»
Cominciava a confondersi e impappinarsi da solo.
«Comunque mi riferivo a quelli anormali che si possono curare da soli. Voglio dire, se mi fossi rotto un braccio cadendo e tu non fossi stata presente, sarei andata in infermeria o al pronto soccorso.»
Ma Mei non aveva ancora finito il suo discorso. Haiiro, fin troppo preso dalla sua metafora, si chiese se lei fosse il tipo di persona che, dopo aver atterrato l’avversario, continuava a picchiarlo impietosamente.
«Le abilità che abbiamo ci permettono di essere un gradino più in alto, ma non significa che siamo in cima alla scalinata. C’è sempre della strada da fare. E quando saremo sempre più in alto su questa scalinata, la domanda da farsi non dovrà più essere “me lo merito?” ma “lo sto usando nel modo giusto?”.»
Haiiro si mise una mano tra i capelli, poi si alzò, mosse qualche passo, si ricordò che era in un cafè pubblico con altre persone e si risiedette.
«Scusa, a volte per riflettere mi viene da camminare, ma direi che ora non è il caso. È che mi hai detto anche troppe cose… ah, non che te ne voglia fare una colpa.»
Non potendo camminare e non avendo un altro caffè sottomano (il fatto che non se ne approfittasse per ordinarle un altro dimostrava quanto fosse sovrappensiero), si mise a dondolare sulla sedia. Dondolò, dondolò e quasi cadde. Il suo primo istinto fu di chiudere gli occhi e adoperare il Fighting Sleep. La sedia si fermò, come sospesa a mezz’aria, in un equilibrio tanto perfetto da parere impossibile.
“Sul serio? Sono diventato tanto debole, tanto dipendente da questa anormalità da usarla per una cosa del genere? È questo il “modo giusto” di adoperarla?”
Aprì gli occhi. Il fragile equilibrio si ruppe e lui si sentì cadere all’indietro. Per evitarlo buttò il suo peso in avanti: la sedia colpì il pavimento con forza e un tonfo secco risuonò per tutto il locale, facendo girare verso di lui più di un paio d’occhi. Il volto di Haiiro era soddisfatto.
«Ho capito Mei. Credo. Comunque ho preso una decisione.
Non adopererò il Fighting Sleep contro i normali. Né per fare cose che riuscirei a fare anche senza. Non importa cosa mi dici, ma non lo trovo giusto. Invece lo userò contro altri anormali o in quelle situazioni che non potrei risolvere senza.»
Si sentiva sollevato. Se quell’anormalità gli dava un vantaggio ingiusto verso le persone normali, bastava non usarlo contro i normali. L’avrebbe invece adoperato solo contro i forti, i dotati, gli anormali: coloro insomma che godeva del suo stesso ingiusto vantaggio.
«Se c'è qualcosa che posso fare per aiutarti, fammelo sapere.»
«Uh? No, direi di no… anzi, credo che hai già fatto abbastanza. Mi sento… come dire… più leggero. Sì, è quella la sensazione.» Per dare maggiore enfasi alla sua affermazione annuì tra sé.
«Anzi. Se tu hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedermelo. Ti aiuterò. Se posso farlo. Ma prima… cameriere, mi puoi portare un altro caffè?»
Si girò verso Mei.
«Tu vuoi altro? Magari un altro pacchetto di pocky?».