One Day at Enma's III

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    Salve, sono Koumori Emna. Forse vi ricorderete di me per film di successo come "L'Urlo di Munch Terrorizza anche l'Occidente", oppure "Colpo Grosso al Pesce Rosso". O forse non vi ricordate di me per questo ma per storielle stupide sul fatto che sono talmente sfortunato che se passo sotto una scala questa mi crolla addosso insieme al vaso con cactus che qualcuno aveva sbadatamente appoggiato lì sopra mentre si allacciava le scarpe.
    Ha senso? Probabilmente no, ma è per questo che fa ridere -voi-, e comunque immagino che avreste dovuto essere lì per verificarne la realtà.
    Ma vi starete chiedendo: perché questa presentazione? Beh, diciamo che ogni tanto fa bene rivangare nel doloroso passato fatto di scale di legno e aghi vegetali – e non è affatto perché è da circa un anno che non mi mostro e ho paura di essere dimenticato.
    Dopo questo preambolo decisamente inutile, direi che possiamo cominciare.


    * * *




    "Che stai facendo?". Una voce familiare mi chiamava dall'altro capo della stanza: era Fuuta, che appena svegliata stava appoggiata sullo stipite della porta, osservando, tra uno sbadiglio e l'altro, suo fratello mentre armeggiava con il computer.
    "Sto cancellando commenti di flame sotto al video che ho appena pubblicato. Hater, hater, hater, spam, hater, flamer, hater...", l'elenco continuava insieme alla raffica di click su "seleziona commento" ed "elimina". "Sembrava divertente vedere un piccolo beagle che suona la batteria, capisco che ad alcuni possa non piacere ma molti di questi commenti sono contro il riscaldamento globale, contro quelli che vanno contro il riscaldamento globale, contro i vaccini, contro chi va contro i vaccini, contro chi crede che la terra sia piatta e contro chi va contro chi crede che la terra sia piatta, e infine contro i vegani. Uh, strano come nessuno vada contro di questi."
    Fuuta pareva più confusa di prima. Si strofinò gli occhi con la manica della camicia da notte, un pigiama rosa a righe fucsia che le regalai qualche anno fa e che le va ancora bene, anche se ora deve allentare un bottone all'altezza del petto... "... e devi farlo proprio alle sette del mattino?".
    "Non è mai troppo presto per dispensare giustizia. E poi o mi sveglio presto per questo oppure aspetto te che mi svegli con il solito secchio di acqua gelida", lei rise tentando di nasconderlo, ma in fondo so che deve avere una vena sadica da qualche parte e che le piace svegliarmi in quel modo.
    "Mi riferivo al fatto che oggi è il giorno in cui dobbiamo andare a trovare la mamma a Shibuya. Credevo che fossi sveglio e vestito per il treno".
    A sentire quelle parole mi si gelò il sangue nelle vene. Sollevai lentamente le mani tremanti dalla tastiera per poi portarmele alla nuca abbassando il capo, mentre con gli occhi sbarrati ed un'espressione di terrore fissavo lo spazio vuoto fra la scrivania e il monitor.
    "Io... io mi sono dimenticato dove ho messo il biglietto... ieri... e poi mi sono dimenticato di ricomprarlo...".
    Lei rimase interdetta per qualche secondo, e dopo che il sonno le permise di processare quanto le avevo appena detto roteò gli occhi e si mise una mano sul – fece un facepalm, ecco. Non esiste una traduzione nella nostra lingua che non sia un'orribile perifrasi.
    "Non ho parole. Sei sicuro che non ci sia nella giacca? O nella tasca dei pantaloni?". Feci cenno di sì col capo. "Io adesso mi vesto, il mio treno è alle dodici, credo ce ne sia solo un altro nel pomeriggio dopo di questo, ma potrebbe anche essere l'unico, quindi è meglio se ti sbrighi a comprare il nuovo biglietto."
    Annuii, e lei si diresse verso il bagno.
    Lo avrei comprato volentieri online, se solo avessi avuto una carta di credito. Sarei voluto uscire immediatamente di casa, correre fino alla stazione, comprare il biglietto e tenermelo stretto finché non fosse arrivato il controllore. Purtroppo però per arrivare velocemente in stazione bisogna prendere un autobus, che passa solo una volta ogni ora dalle nove.
    Rimasi così per due ore in casa, in preda all'angoscia e all'impazienza. Vi risparmio le due ore di agonia perché sarebbe solo una catena di lamentele da parte mia.
    Invece, due ore dopo uscimmo entrambi di casa, diretti proprio alla fermata dell'autobus.
    "Almeno questo biglietto ce l'hai?". Annuii in silenzio,osservando il pezzo di carta che tenevo in mano. "Ancora non capisco come tu abbia fatto a dimenticare il biglietto del treno".
    "Beh, vedi... non è che l'ho proprio dimenticato...", risposi io, ora rosso dall'imbarazzo. "È solo successo che me lo ha mangiato il cane...".
    "Noi non abbiamo un cane", rispose lei immediatamente. "Intendevo dire UN cane... stavo tornando a casa col biglietto in mano, quando sono scivolato su una buccia di banana e una folata di vento lo ha fatto arrivare in un giardino, proprio nella scodella di cibo di un dobermann, e... L'importante è che adesso arriviamo in stazione dove potrò prenderne un altro, no?".
    Lei si mise a ridere, sicuramente per l'assurdità della situazione, e ciò risollevò un po' l'imbarazzo di quel momento. "Sto per dire una cosa molto banale visto da quanto ci conosciamo, ma certo che con te non ci si annoia proprio mai". Era una cosa tanto banale quanto vera... per chi la vede da fuori. Non credo che nessuno si sia mai chiesto come potesse essere me invece che quanto fosse divertente vedere uno scivolare su una buccia di banana fuori da un teatro.
    Rimanemmo ad aspettare per una ventina di minuti, ma dell'autobus nessuna traccia. Si erano fatte ormai le dieci prima che notassi che la fermata era chiusa per sciopero. "Dannati sindacalisti! Fuuta, siamo in ritardo!". La presi per il polso e cominciai a correre per l'unica strada che sapevo ci avrebbe portato lì, che però avrebbe allungato la strada di un'ora o poco più.
    Prendemmo la prima a sinistra, dritti per un po', poi a destra, a sinistra, di nuovo a destra, su, giù , su, giù, A, B, A, B, START. No, mi sono sbagliato, questo non c'entrava. "Argh siamo in ritardo! Non perdere tempo con queste stupidaggini che non capirà nessuno!", ma ormai ero troppo preso per darle ascolto.
    Arrivati ad un incrocio dove dovevamo girare a destra notai da un gatto nero che attraversava la strada. Subito mi fermai di colpo e Fuuta mi chiese il perché. "Non possiamo rischiare di andare per di là. Già siamo in ritardo, io sono sfortunato, e ci mancava solo quel gatto nero! Non voglio perdere il treno per colpa sua". Lei replicò "Conoscendoti penso che conoscendoti sarebbe lui a dover avere più paura di perdere il treno a causa tua". Ignorando questo suo commento presi a correre in direzione opposta, allungando ulteriormente la strada.
    Ma un'altra volta qualcosa ci bloccò la strada: una parata. Un corteo di trombe, tamburi e altri strumenti per festeggiare chissà che cosa, bloccò interamente la via principale e se non volevamo essere presi dalla folla dovevamo ancora una volta cambiare strada.
    "E adesso dove siamo!?", chiesi, non riconoscendo il posto. "Non lo so, ma se per questo perdo il treno sappi che ti converrà dormire con un occhio aperto", rispose lei, glaciale. "Ma già lo faccio...". "Allora con due".
    Mancava mezz'ora alla partenza ormai, ed eravamo entrambi stanchi per la lunga camminata che ci eravamo fatti.
    "Senti, perché non chiamiamo la mamma, le spieghiamo la situazione e ci facciamo posticipare la partenza?". Non aveva tutti i torti, non ci avevo proprio pensato... ma in quel momento la priorità era trovare la stazione. Certo, avremmo potuto chiedere a qualche passante, ma un vero uomo non ha bisogno dell'aiuto degli altri!
    "Mi scusi, dove possiamo trovare la stazione?".
    "Ma cosa fai?! Proprio quando avevo finito di spiegare che un uomo non chiede mai aiuto!".
    "Se seguissimo il tuo orgoglio come abbiamo seguito il tuo intuito fino ad ora la mamma la vedremmo l'anno prossimo. Adesso so dove dobbiamo andare, non è nemmeno così distante da qui. Forza!", e prese a camminare saltellando verso la strada di fianco.
    Dopo appena cinque minuti avevamo la stazione davanti, ed eravamo persino in anticipo.
    Il posto era molo affollato, ma riuscii a comprare il biglietto giusto - a caro prezzo, perché all'ultimo momento - e aspettammo che arrivasse il treno.
    "Visto? È stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. Avremo posti separati ma non importa". I treni dei due binari arrivarono contemporaneamente, le persone cominciarono a spingere chi da una parte e chi dall'altra, ma seguendo una cascata di capelli viola ero sicuro di non perdermi.
    Salito sul treno controllai la carrozza e il posto: come previsto li avevamo separati, ma non era un problema, dopotutto era un viaggio lungo solo un'ora.
    Poco dopo arrivarono due uomini a controllare che avessimo tutti i biglietti, solo che [by Edo: storia vera] uno dei due si posizionò di fronte all'altro e gli chiese se lui avesse il biglietto timbrato. Rimasi piuttosto interdetto dopo aver visto una simile scena, e preferisco non commentarla ulteriormente.
    Quando fu il mio turno io gli mostrai orgoglioso il mio biglietto, contento di essere riuscito finalmente a prenderlo.
    "Mi dispiace, signore, ma il suo biglietto è invalido".
    Altro momento di gelo. "Ma... cosa vuol dire che è invalido? L'ho comprato poco fa e l'ho anche timbrato...".
    "Lo vedo. Purtroppo però questo biglietto è valido per il treno che porta a Shibuya, mentre questo
    treno porta nella direzione opposta. Forse ha fatto confusione all'ultima fermata?
    ".
    E in quel momento penso di aver perso 20 anni della mia vita.

    * * *



    Da qualche parte in città, quella sera, per le buie e disabitate vie della città, solo il miagolio di un gatto rompeva quell'innaturale silenzio.
    Un miagolio sconsolato e continuo, davanti ad uno strano piccolo dispositivo, come se qualcosa lo turbasse.

    "Nya nya nyaaan nya, nya nyaa. Nyan nya nya. Nya... nyan nyaa, nya nya".
    ("Ciao tesoro, sono io. Volevo dirti che purtroppo oggi un Enma ha attraversato la strada davanti a me, e per questo non ce l'ho fatta: ho perso il treno. Mi dispiace, non riuscirò ad esserci per la nascita di nostro figlio. Purtroppo era l'unico giorno libero che mi aveva concesso il capo... sì, sì, capisco. Allora ci vediamo il mese prossimo, ti amo...")

    FINE! (again: forse...)




    Legenda:
    Narrato, Parlato, Parlato Gatto, Parlato altrui, Parlato Fuuta

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    Non so nemmeno dove sono ora, figuriamoci se posso ricordare da dove provengo

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    Anzitutto accolgo con gioia il ritorno dell'appuntamento con la sfortuna di Enma, già diventato un classico dell'All Fiction con anche un certo seguito (non scherzo e lo sai che è così, ne hai avuto la dimostrazione anche tramite stampa).
    Ora passiamo alla one shot: al solito molto divertente e piacevole. Il Konami code mi ha steso, lo ammetto e ribadisco XD
    Nota sul finale: trionfo per meriti dell'assurdo.
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