I primi passi dell'ombra

Narrazione privata

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    Haiiro Kugatsu
    Scheda personaggio

    Quel giorno, dopo essersi svegliato da un sogno che non ricordava e aver acquisito una seconda anormalità, Haiiro andò a scuola come tutti gli altri giorni. Nulla del suo comportamento differiva dal normale, mentre seguiva – o tentava di seguire – le lezioni, né mentre mangiava durante la pausa il suo pranzo portato da casa. Come sempre la sua mente vagava e toccava diversi argomenti: tra questi anche il formarsi del suo Shadow Yourself.
    Ripensandoci a ore di distanza dall'avvenimento, si rese conto di una cosa: non era normale che ci si svegliasse con una nuova anormalità sbucata dal nulla. Non lo era affatto. Eppure lui, per tutta la mattina fino a quella parte, l'aveva considerato qualcosa di naturale.

    «Ehi Kugatsu, che hai? Ti sei imbambolato mentre mangiavi...»
    Si girò verso il compagno che l'aveva chiamato – “com'è che si chiamava... ah, giusto” – seduto a qualche banco di distanza, anche lui intento a mangiare il pranzo al sacco.
    «Più o meno, Koda. Mi sono accorto di una cosa importante. Ma... anche se me ne sono accorto, non posso farci molto, adesso.»
    «Cosa intendi? Hai lasciato qualcosa a casa? … Ah, forse ho capito! Hai dimenticato i compiti per oggi, vero?! Eeh, questo sì che è un problema!»
    «Non è proprio così, ma... sì, diciamo che è una cosa simile.»
    Il ragazzo lo guardò interrogativo per un attimo, poi, deciso che non valesse la pena insistere di più, si girò con un'alzata di spalle verso altri compagni più propensi a chiacchierare.
    Haiiro intanto aveva tirato fuori il cellulare e scritto un messaggio. Poi si rimise a mangiare con calma. Più tardi, finito di mangiare, sarebbe andato a bersi un caffè al Maid. Come faceva tutti i giorni.

    ***



    Finita la scuola, bevuto il suo caffè al Maid e, insomma, fatto tutto quello che la scuola gli riservava quel giorno (per fortuna per quel dì fu esonerato da incontri anormali, battaglie furiose o avventure interdimensionali), Haiiro si diresse all'unico locale che frequentava più spesso del Maid. Il “Caffè ai pupazzi”, gestito dal suo senpai e dalla sua fidanzata (fidanzata di Haiiro – ancora faceva fatica a crederci – non del suo senpai, che tra le altre cose era il fratello di lei).
    Come sempre l'atmosfera in quel locale, in cui pupazzi e giocattoli si muovevano insieme agli umani, era tanto calorosa quanto particolare. Ma Haiiro non era lì per fermarsi.

    «Ehilà Haiiro – lo salutò Hiroshi, il suo senpai, da dietro il bancone – sei venuto anche oggi a berti un caffè?»
    «No, oggi niente caffè, io...»
    «Cosa?! Niente caffè? Stai male? Sta per finire il mondo?»
    «Dovevo immaginarmi una risposta del genere» mormorò sottovoce tra sé Haiiro.
    «Dai Hiroshi, non prenderlo in giro a quel modo – disse la persona che più al mondo si divertiva a prendere in giro Haiiro: la sua fidanzata, Kasumi, che tornava da un tavolo con un vassoio vuoto – Di sicuro c'è un motivo valido se non vuole un caffè, vero Haiiro?»
    C'era qualcosa di languido e insieme affilato nel modo in cui Kasumi modulava il tono di quel “vero?” Come se lo stesse mettendo alla prova e godesse un sacco nel farlo, ma in modo sotterraneo. Haiiro adorava e odiava quel suo modo di esprimersi, ma in quel particolare frangente andò dritto al sodo.
    «Devo parlarti un attimo Kasumi. In privato.»
    Kasumi lo guardò, tutt'altro che contenta di quella richiesta a giudicare dall'espressione. Haiiro non si aspettava che facesse i salti dalla gioia, ma una simile freddezza nei suoi occhi lo sorprese e lo irritò, anche se cercò di non darlo a vedere. Ma la ragazza non rifiutò la sua richiesta.
    «Hiroshi, non è un problema se mi assento un attimo?»
    «Per cinque minuti non ci saranno problemi...»

    Kasumi annuì e, con espressione ora impassibile, guidò Haiiro per le scale fino al piano di sopra, dove lei e Hiroshi tenevano l'appartamento. Il ragazzo la seguì in silenzio.

    «Allora, di cosa mi devi parlare?» Con sorpresa di Haiiro, Kasumi l'aveva condotto alla sua camera e si era seduta sul letto. Haiiro rimase in piedi.
    «È una cosa importante. Lo è sul serio, altrimenti non ti avrei disturbato» aggiunse ripensando all'espressione seccata di Kasumi poco prima.
    «Uff... non mi piace essere interrotta così mentre lavoro. Hai visto le facce delle persone al locale? Guardavano tutte verso di noi. Gli adulti, almeno.» I bambini avevano cose più importanti da fare, come giocare.
    «Non me ne sono accorto – ed era vero – guardavo te.»
    «Sarà... A me non importa del giudizio delle persone, lo sai, ma al locale è diverso, col lavoro e tutto...»
    «Sì, sì, lo so... Ma adesso devo dirti qualcosa di importante...»
    Kasumi stavolta lo guardò con interesse, forse incuriosita da cosa, per lui, potesse significare “una cosa importante”.
    «Spara.»
    «Ho un'altra anormalità. Non so come, ma stamattina mi sono svegliato e ce l'avevo. Devo andare da una persona e chiedergli informazioni. Ma prima volevo passare da te. Ecco tutto.»
    Parlò tutto d'un fiato, per non lasciare tempo a Kasumi di fare domanda. Preoccupazione inutile: si era aspettato che la ragazza fosse confusa e lo bersagliasse di domande, invece lei sedeva calma. Terrea in volto da far paura, ma calma.
    «Che anormalità?» Chiese solo.
    «Shadow Yourself, l'imperfetta copia dell'imperfetto. Mi permette di concretizzare un me d'ombra.»
    Le diede un esempio, concretizzando l'ombra al suo fianco per due secondi, per poi farla sparire.
    «Lo chiamo Shero» aggiunse.
    Kasumi rimase immobile per diversi secondi, il volto ancora pallido, poi si alzò e uscì dalla camera, verso le scale.

    «Ma... Kasumi...» Fece Haiiro mentre l'inseguiva.
    «I cinque minuti stanno per scadere e tu devi andare a incontrare una persona, no?»
    «Tuttavia –
    e qui si girò a guardare fisso Haiiro, che quasi le finì addosso – mi devi un appuntamento fuori e un gelato. Il gelato per scusarti di avermi disturbato mentre lavoravo, l'appuntamento per spiegarmi tutto con calma. Non voglio una spiegazione da cinque minuti, un contentino tanto per. Voglio che ti siedi con me e che mi parli di tutto quello che è successo, dedicandomi tutto il tempo necessario. Ok?»
    «...Ok...»
    Kasumi riprese a scendere le scale. Si fermò solo quand'era all'ultimo gradino per rivolgergli un'ultima domanda.
    «Tanto per sapere, chi sarebbe la persona che devi incontrare?»
    «È il mio farmacista.»
     
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    Shoichi Kusuri
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    Shoichi Kusuri, appoggiato a fumare sul muro della cucina, rileggeva una relazione che conosceva già a memoria. In fondo, era stato lui a scriverla in larga parte. Trattava uno dei primi casi di cui si era occupato in modo autonomo: il ragazzo dei sogno, Haiiro Kugatsu. L'organizzazione di cui faceva parte, intenta allo studio e alla ricerca di anormali, lo aveva individuato all'incirca due anni prima.
    A quell'epoca il ragazzo non aveva modo di controllare il suo potere, se non evitando di dormire. Inoltre a causa di quel potere era scappato di casa (una casa di cui, tra parentesi, aveva provocato l'incendio) e poi di nuovo era scappato da una specie di coabitazione con altri due giovani anormali. In pratica quando l'avevano trovato era sull'orlo di una crisi sia fisica che psicologica (sembrava ci fosse un ulteriore fattore per il suo crollo psicologico, che tuttavia Haiiro non aveva mai esplicitato). Per queste sue condizioni e per l'ingovernabilità della sua anormalità, avevano temuto di non poter ottenere molto da lui. Invece le sperimentazioni effettuate sul ragazzo erano state un successo: erano riusciti a studiare l'effetto dei farmaci su una tale anormalità, valutare l'incidenza degli stati alterati di coscienza sul suo potere e la correlazione tra salute psicofisica e funzionamento dell'anormalità. Per di più il soggetto dell'esperimento era anche sopravvissuto. Come detto, era stato un successo.

    Formulata così, la frase poteva dare adito a dubbi, quindi Shoichi la riformulò mentalmente: grazie ai loro esperimenti il soggetto era sopravvissuto. Se non l'avessero rintracciato e sottoposto all'assunzione di vari farmaci, Haiiro sarebbe con ogni probabilità morto a causa dell'enorme stress psico-fisico a cui era sottoposto. Shoichi gli aveva fornito – e continuava a fornirgli – sonniferi realizzati appositamente per lui, che gli regalassero un sonno senza sogni. Aveva supervisionato la sua salute, dandogli – e continuava a dargli – farmaci e integratori che permettessero al suo corpo di sostenere la prolungata assenza di sonno (non poteva assumere i sonniferi troppo spesso, per evitare di assuefarsi a essi). E gli studi sugli stati alterati di coscienza realizzati attraverso l'assunzione di determinati farmaci avevano portato a un risultato imprevisto e di grande valore per Haiiro.
    Dire che Haiiro si era salvato grazie ai suoi esperimenti non era però per Shoichi una giustificazione: che fosse sopravvissuto o fosse morto le sperimentazioni ci sarebbero state ugualmente. Non era dunque una giustificazione, ma un semplice dato di fatto: Haiiro era sopravvissuto grazie a Shoichi e ai suoi esperimenti.
    E ora quello stesso Haiiro gli aveva mandato un messaggio in cui chiedeva assistenza riguardo – per usare le sue stesse parole – “sviluppo imprevisto anormalità”. Shoichi non poteva neppure immaginare cosa, per un'anormalità tanto caotica eppure dotata di una sua logica, potesse costituire uno “sviluppo imprevisto”. Da una tale evenienza era insieme disturbato e eccitato. Disturbato perché ancora una volta un'anormalità aveva ecceduto i suoi calcoli, aveva dimostrato tutta l'impotenza dei suoi rimedi. Eccitato perché una nuova battaglia aveva inizio, una battaglia fatta di calcoli e studi invece di pugni e calci, una battaglia disperata e chimerica contro ciò che sfuggiva al controllo razionale dell'uomo, le anormalità. Voleva scoprire tutto di questo sviluppo di Haiiro, qualsiasi esso fosse, voleva racchiuderne le caratteristiche e schiuderne le potenzialità. Non aspettava altro. Chiuse gli occhi, assaporando la speranza e la disperazione che quell'incontro gli prometteva, allo stesso modo in cui assaporava il fumo di una sigaretta. A occhi chiusi le sue percezioni uditive si facevano più fini, ogni rumore giungeva chiaro a lui. L'anziana signora che risistemava la stanza nell'appartamento di sotto, le poche auto che passavano per la strada, l'uomo che camminava con il cane per il viale, la porta che si chiudeva pesante, la donna che mormorava dolci parole al cellulare, i passi... sì, finalmente quei passi! Passi esitanti di chi non è sicuro, passi strascinati di chi cammina come se portasse su di sé la stanchezza del mondo! Conosceva quei passi. Si avvicinavano, riluttanti ma senza fermarsi, salivano le scale, percorrevano il pianerottolo esterno e già erano lì...

    Shoichi aprì gli occhi e giù dalla cucina si fiondò all'ingresso con ampie falcate. Aprì la porta: davanti a lui una faccia giovane e confusa, le occhiaie pesanti. Il ragazzo si guardò stupito la mano che ancora doveva premere il campanello e poi guardò Shoichi con sospetto negli occhi. E parlò, la voce che usciva lenta, strascinata come i suoi passi.

    «Prima o poi dovrai dirmi come fai ad aprirmi senza che io abbia suonato...»
    «Ascolto. Solo questo.»
    «E ora basta sprecare tempo: entra. Non aspettavo che te, Haiiro Kugatsu.»

     
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    Haiiro Kugatsu
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    Shoichi lo fece entrare nel suo appartamento e lo scortò fino al suo studio. Haiiro lo seguì docile, pur conoscendo ormai la strada. Si era già recato lì più volte, ma sempre su richiesta di Shoichi e per prendere qualche farmaco. Invece, stavolta era in quell'appartamento perché lui l'aveva richiesto.
    Lo studio del farmacista era proprio come se lo ricordava: un disastro. Fogli, libri, appunti e chissà quali altri scritti giacevano sopra una grande scrivania frammisti con alambicchi, microscopi, provette e farmaci. Haiiro prima di sedersi controllò che non ci fosse nulla sopra la sua sedia, del resto libri e carte varie tappezzavano anche il pavimento. E non si voleva trovare certo una siringa infilzato sul didietro.

    «AHI!!»
    Non era la siringa, ma l'esclamazione di dolore era stata provocata da Shoichi che, afferrato con una rapida mossa il braccio di Haiiro e girato in posizione rigida, gli aveva infilato sulla vena un ago.
    «Cosa...?!»
    «Esame del sangue.»
    Rispose Shoichi senza la minima traccia di pentimento estraendo l'ago e gettando al ragazzo del cotone per tamponarsi la ferita.
    «E non potevi avvertirmi prima?! O usare dei metodi meno brutali?»
    «L'avrei fatto, se tu fossi venuto due settimane fa a sottoporti all'esame che ti avevo prescritto.»
    In effetti, ora che l'aveva detto, Haiiro si era ricordato di un simile impegno.
    «Ero occupato. Stavo salvando il mondo da un Demone che incarnava il male del mondo e che aveva preso possesso di una mia amica.»
    Shoichi non obiettò a parole, ma lo guardò con fare scettico negli occhi finché Haiiro non abbassò lo sguardo, per poi decretare la sua.
    «Scommetto che invece te lo eri solo dimenticato.»
    E aveva ragione: lo scontro con il Demone era avvenuto uno o due giorni prima della data per l'esame. Ma, dopo un avvenimento di tale portata, Haiiro si era semplicemente dimenticato di una piccolezza come un esame del sangue. E poi cribbio, uno che salva l'universo avrà diritto a uno o due giorni di riposo, no?
    “Forse avrei fatto meglio a rivolgermi a Goro, dubito ci sia molto che Shoichi può fare e Goro no...”
    Ci aveva pensato già prima, ma alla fine era andato da Shoichi. L'aveva fatto per semplice abitudine, perché nel bene e nel male era legato a Shoichi da due anni, oppure...
    Intanto Shoichi, dopo aver portato il flacone con il suo sangue a un tavolo relativamente meno disordinato del resto della stanza, si era seduto di fronte a lui, sulla sedia dietro la scrivania. Aveva spento la sua sigaretta sul posacenere, gesto che come Haiiro ormai sapeva significava che era pronto a parlare.

    «Bene, se abbiamo finito i convenevoli...»
    “Quelli erano convenevoli?!”
    «Passiamo al motivo per cui mi hai chiamato. Cosa devi dirmi, Haiiro Kugatsu?»
    Shoichi lo guardava mortalmente serio, tanto che il ragazzo si mosse a disagio sulla sedia, intimorito, ma anche infastidito da quella morbosa attenzione.
    “Ma che ha? Credevo di essere io quello con problemi, qua dentro!”
    «Bene. È semplice: stanotte, nonostante avessi preso i tuoi sonniferi – e qua il suo tono si fece accusatorio – ho sognato. Di più, quando mi sono svegliato avevo un'altra anormalità, completamente diversa dal mio Dream Teller. È lo Shadow Yourself, che mi permette di evocare accanto a me la mia ombra, resa solida. Non ha poteri soprannaturali, però può muoversi, può combattere. Può proteggermi mentre uso il mio Dream Teller.»
    Disse tutto di un fiato, come aveva fatto con Kasumi, e anche in questo caso si apprestò a evocare l'ombra per darne una prova a Shoichi, ma quelli non lo stava guardando più.

    Il farmacista era passato da uno sguardo rapace a inizio della sua spiegazione a uno stralunato. Infine si era messo a dondolare sulla sedia, inclinandola di così tanto che Haiiro riteneva impossibile che non cadesse. Invece Shoichi manteneva un equilibrio perfetto, il volto rivolto all'insù e lo sguardo celato verso il soffitto – o forse la parete opposta, tanto era inclinato.
    «Il caso più frequente e maggioritario di anormale – la sua voce era piatta e inespressiva, più diretta a sé che a Haiiro – è quello in cui possiede una sola anormalità. In casi eccezionali, anzi più che eccezionali, può possederne due o anche tre. Ma le possiede dall'inizio. Il caso di un anormale che, partito con un'anormalità, ne ottiene un'altra, è ancora più raro, le possibilità non sono molto di più di quelle di trovarsi un diamante in giardino. Per rendertene conto, tu sei il primo caso che constato di persona, Haiiro.»
    «Oh...» sul mentre non riuscì a dire altro. Si era reso conto che sviluppare una seconda anormalità così era... anomalo, ma non pensava a quel livello. Anche perché all'Hakoniwa aveva già incontrato persone che avevano sviluppato una seconda anormalità.
    «Ma la tua scuola è speciale: è un luogo in cui l'eccezionale è la norma.»
    Haiiro sobbalzò sulla sedia, chiedendosi se per caso non avesse pronunciato a voce alta quello che credeva di aver solo pensato. Ma il volto di Shoichi, che smesso di dondolarsi aveva ripreso la sua posizione eretta sulla sedia, non lasciava trapelare nulla.
    «Da quanto mi hai detto l'ipotesi più probabile, anzi l'unica che riesco a formulare, è che tu abbia creato in sogno questo Shadow Yourself e che l'abbia concretizzato col Dream Teller: la potenza della tua anormalità deve aver superato l'effetto del mio farmaco. Ma se è davvero questo il caso, significa che allora il tuo Dream Teller può creare nuove anormalità, e quindi...»
    Si interruppe, scuotendo la testa.
    «Vado a preparare del caffè. Immagino che sia inutile domandartene se ne vuoi...»
    Haiiro annuì, sorpreso, mentre Shoichi già camminava fuori dallo studio. Da che ricordasse, era la prima volta che gli offriva del caffè.
    “Beh tanto di guadagnato per me...”

    Crash!!
    Il suono di qualcosa che si rompeva ruppe la linea di pensieri di Haiiro e, un secondo dopo, lo stesso suono si ripeté. Poi un rumore diverso, come di qualcosa che sbatte con forza contro il muro. Haiiro non ci pensò un attimo di più e corse verso la fonte del suono. La cucina. Dove c'era Shoichi.
    «Shoichi...! Che?!»
    Guardò la scena stupito. Non era quello che si aspettava. Aveva pensato all'attacco di un qualche nemico, a un possibile rapimento... invece non c'era nulla di tutto quello. Shoichi era solo nella cucina, i pezzi di quello che sembrava un piatto in un angolo della stanza, altri pezzi di un altro piatto in un altro angolo, e un buco sul muro a forma di pugno.
    «Scusami, credo di averti allarmato.» Anche se diceva di scusarsi, lo guardava con irritazione e rabbia, come se lo accusasse di essere venuto. «Deve essermi scivolato un piatto o due.»
    Haiiro fece vagare lo sguardo tra i frammenti dei piatti “scivolati”, la moka a scaldare sul fornello, il buco sul muro e Shoichi che si massaggiava le nocche della mano.
    «Ti è scivolato anche il pugno per caso?»
    «Già... incidenti che capitano quando si è agitati. Ma visto che sei qui, che ne diresti di una prima analisi della tua nuova anormalità mentre il caffè si prepara?»
    «Qui? In cucina?! E cosa vorresti fare.»

    In risposta Shoichi si tolse il camice che portava sempre – come facesse a tenerlo su anche in estate Haiiro proprio non lo capiva – e fece scrocchiare minacciosamente le dita delle mani chiuse a pugno.
    «Hai detto che la tua ombra è solida, vero? Che può muoversi, può combattere, può proteggerti. Fammi verificare se è vero.»
    Sul volto di Haiiro uno sguardo dapprima stupefatto lasciò presto il posto a un sorriso feroce e beffardo, mentre a suo fianco si concretizzava l'ombra.
    «Combattere, combattere, combattere... certa gente non sa pensare ad altro. A me non piace combattere... ma guardare la mia ombra che pesta una persona che mi sta sulle scatole... chissà, potrebbe piacermi.»
    «Davvero? Io ho sempre desiderato dare una lezione a un ragazzino imberbe e stralunato, ma in quanto mio paziente ho sempre dovuto limitarmi. Poter picchiare la sua ombra non sarà la stessa cosa, ma... è un buon inizio, dopo tutto.»
     
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    Haiiro Kugatsu
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    «So di ripetermi, ma ti va bene combattere qui? Questa cucina non è proprio spaziosa e non vorrei che si rompesse qualcos'altro.»
    «Un combattimento può avvenire in qualsiasi luogo, dentro e fuori, in spazi ristretti o ampi. Ma soprattutto, questo appartamento non ha luoghi così spaziosi da permettere di combattere con calma.»
    Piuttosto vero. Messi a tacere gli ultimi scrupoli, Haiiro fece avanzare l'Ombra, con un semplice comando mentale: “fallo nero”.

    L'Ombra, Shero, obbedendo al comando si lanciò contro Shoichi, un pugno diretto verso la sua testa. Ma quel pugno non arrivò a colpirlo: abbassatosi, Shoichi aveva schivato il goffo attacco, contrattaccando con un pugno alla pancia che rivolto a un normale umano l'avrebbe lasciato piegato in due dal dolore. L'Ombra però non avvertiva il dolore: il pugno la colpì in pancia facendola sbalzare all'indietro e piccole schegge del materiale scuro che la componeva volarono via. Senza scomporsi, l'Ombra allungò le mani nel tentativo di afferrare Shoichi. Il farmacista però era troppo rapido per farsi afferrare e, fatto un veloce passo in diagonale verso l'Ombra, le sferrò un gancio a palmo aperto, nel punto della testa in cui un umano aveva l'orecchio. Il colpo fu così forte da farla volare via e sbattere contro il frigo. Altri pezzi d'ombra erano volati via a ogni impatto: sia dalla testa sia dal corpo quando aveva sbattuto contro il frigo. Ma l'Ombra si rialzò quasi subito e Haiiro e Shoichi videro come quei pezzi d'ombra stessero già tornando al loro posto. Il momento dopo Shero era intatto.

    «Wow!»
    Non riuscì a evitare di esclamare Haiiro. Era vero che Shoichi aveva schivato tutti i tentativi dell'Ombra di colpirlo, mentre al contrario Shero li aveva incassati tutti, ma anche così non aveva subito nessun danno. Forse Haiiro poteva davvero vincere.
    «Haiiro, come stai?»
    «Eh?»
    «Hai detto che questa è la tua Ombra resa solida. Se è così, non sarebbe assurdo pensare che tu senta i danni che lei subisce.»
    «No, non è così... sento alcune delle sue sensazioni, ma non ricevo danni. Inoltre visto che non prova dolore, neanch'io lo avverto quando la colpisci.»
    «Che sensazioni ricevi?»
    «Ehm... sento che è arrabbiata e vuole colpirti. Non molto di più.»
    Shoichi annuì. Haiiro aveva pensato che le sue parole sull'analizzare l'Ombra fossero solo una scusa per combattere. Invece era davvero intenzionato ad analizzarla e questo mentre stavano combattendo! La cosa lo fece incazzare ancora di più e sentì che l'Ombra rispecchiava quel suo sentimento.

    «Da come avanza, direi che non ha subito alcun danno. Sai, prima quando l'ho colpita alla testa ho mirato all'apparato uditivo: visto che è anche il centro dell'equilibrio, un uomo colpito a quel modo barcolla vistosamente dopo un simile attacco. Ma la tua Ombra non ha problemi, quindi...»
    Senza aspettare che finisse la sua disquisizione, Shero sferrò un calcio circolare a Shoichi, che lo evitò semplicemente arretrando. Ma quando fu il momento di rimettere il piede a terra, Shero rischiò di perdere l'equilibrio. A causa del suo stesso attacco. E no, non dipendeva dal precedente colpo di Shoichi all'orecchio, ma dal fatto che l'Ombra possedeva la stessa preparazione atletica e lo stesso equilibrio di Haiiro. Ossia molto basso.
    Shoichi, come se fosse un gioco da bambini, la mandò a terra con una spazzata.

    «Vedo che ha le tue stesse capacità fisiche, se non più basse...»
    Haiiro serrò i denti dalla rabbia, senza poter replicare. Nello stesso momento, Shoichi conficcò il suo dito in una delle cavità che l'Ombra aveva al posto dell'occhio.

    «Allora Haiiro, l'Ombra continua a vedere come prima o no?»
    «Non... non lo so. Non riesco a percepirlo bene, ma sento della confusione... credo che l'attacco abbia avuto effetto.»
    Era la prima volta che Haiiro si concentrava nel percepire cosa provava la sua Ombra. O meglio, l'aveva fatto anche in precedenza, ma in modo quasi inconsapevole. Ora no.
    Era una sensazione difficile da descrivere: come se avesse aperto una piccola porzione della propria mente a un altro mondo, o a un altro essere. Haiiro continuava a vedere e percepire cosa aveva davanti, ma allo stesso tempo recepiva altro, disordinate sensazioni che sapeva non appartenergli, ma giungere dall'Ombra. Era un sottofondo confuso che si aggiungeva alle informazioni che arrivavano al suo cervello dagli altri sensi, ma si distingueva da esse. Non poteva percepire quello che l'Ombra percepiva con i suoi organi di senso – qualsiasi fossero gli organi di senso che essa possedeva – ma era come se ne sentisse le emozioni e, talvolta, i pensieri. Era strano e lo lasciava confuso, ma c'era e lo sentiva.
    Nel frattempo la lotta continuava. Shoichi aveva tolto il dito dall'occhio dell'Ombra – si era già rigenerato – e ne studiava la mobilità e le capacità schivandone i vari attacchi e talvolta contrattaccando, ma senza metterci forza. Finalmente, uno dei pugni dell'Ombra andò a segno, colpendo Shoichi dritto in faccia.
    Haiiro esultò. Shoichi, invece, sospirò.

    «Non è che avessi troppe aspettative, eppure... possibile che la tua Ombra sia così debole?»
    L'entusiasmo di Haiiro svanì, trasmutandosi in sudore freddo. Si era fatto colpire apposta, Shoichi, per analizzare la forza dell'Ombra. E l'aveva trovata ridicola. L'Ombra però non ci stava e sferrò un altro pugno a Shoichi. O meglio tentò. Haiiro non era sicuro di quanto Shoichi avesse fatto. L'Ombra ne era ancora più all'oscuro. Fatto sta che il farmacista afferrò il braccio dell'Ombra con le sue due mani e mosse come dei piccoli passi attorno a lei, facendola ruotare a partire dal braccio. Alla fine di quelle movenze, l'Ombra era a terra, immobilizzata.
    «Che?!»
    «È una semplice leva articolare, Haiiro. Sfrutta i principi fisici delle leve abbinate all'anatomia del corpo. Funziona forzando il corpo umano – composto da ossa, articolazioni e carne – ad assumere certe posizioni e a compire determinate movenze a partire da esse. Ma pensaci, Haiiro, cos'è che compone la tua Ombra e la fa muovere?»
    Haiiro lo guardò confuso, senza sapere cosa rispondere, né cogliere quello che il farmacista voleva suggerirgli. Ma Shero lo capì, o forse si limitò ad agire in conformità al suo essere.
    A causa della presa di Shoichi, l'ombra era immobilizzata con la faccia rivolta verso terra, il braccio afferrato da Shoichi forzato dietro la sua schiena e tenuto fermo a livello del gomito e del polso. Un umano normale non si sarebbe potuto liberare senza slogarsi qualche osso. Ma l'Ombra non era fatta di ossa e non aveva queste limitazioni. Non sentiva neppure il dolore che quelle prese causano. Il suo polso si torse in una posizione innaturale fino ad afferrare il braccio con cui Shoichi la teneva. Nel frattempo l'Ombra si tirò su, con un movimento che – scusate se mi ripeto – un umano non avrebbe mai potuto fare mentre il suo braccio era ancora tenuto immobilizzato, a meno di non volersi lussare o rompere qualche osso. Ma l'Ombra di ossa non ne aveva, né di tendini o di articolazioni.

    «Esatto, è questo! La tua Ombra segue nei movimenti le dinamiche degli esseri umani, come se fosse fatta come loro, ma è solo un modello che imita, per comodità o per costituzione! Se forzata, riesce a eseguire movimenti impossibili per un essere uma...»
    Il discorso appassionato di Shoichi fu interrotto dall'Ombra che era riuscita a posizionarsi nuovamente di fronte a Shoichi e gli aveva sferrato un pugno. Pugno che stavolta fu davvero inatteso, tanto che Shoichi lasciò l'altro braccio dell'Ombra che ancora tratteneva. Libero, Shero si sfogò contro il farmacista, colpendolo con una selva di pugni. Era vero che la potenza di base di quei pugni era bassa. E l'Ombra era talmente fragile che tirando un pugno le si staccavano piccole schegge d'ombra dalle mani. Ma le mani si rigeneravano quasi subito e i pugni, pur deboli singolarmente, messi insieme facevano il loro mestiere. Inoltre la loro potenza non calava mai, poiché l'Ombra era instancabile (diversamente da quanto si può pensare, prendere a pugni una persona è un'attività piuttosto stancante). Solo dopo una trentina (per fare un'approssimazione) di pugni, Shoichi riuscì ad allontanarsi dall'Ombra. Aveva diversi lividi in volto e il labbro tumefatto, il respiro irregolare.

    «Spero ti sia sfogato per bene, Haiiro...»
    Sì, l'aveva fatto. Forse troppo, pensò guardando il volto pesto di Shoichi. Era giunto il momento di smettere e di congedare Shero...
    «... Perché adesso tocca a me divertirmi.» Concluse Shoichi sorridendo selvaggiamente e tirandosi su i capelli umidicci di sudore.
    Da quel momento fu solo lui a colpire: l'Ombra non ebbe neppure la possibilità di contrattaccare. Pugni, calci, gomiti, ginocchia, una volta pure una testata: ogni possibile colpo fu usato da Shoichi al fine di smembrare Shero. L'Ombra era fragile, ma si rigenerava continuamente. Haiiro aveva pensato che sarebbe bastato, almeno contro un non-anormale. Ma si era sbagliato. L'Ombra guariva da ogni colpo di Shoichi in una manciata di secondi. Ma in quel lasso di tempo Shoichi aveva già colpito altre tre volte. Pian piano il ritardo nella guarigione si assommava e l'Ombra riusciva sempre meno a ricomporsi, le sue ferite si moltiplicavano e si ampliavano.
    Alla fine, quando si fermò, Shoichi aveva il fiato pesante. Shero invece giaceva in ginocchio. Aveva un buco al posto della tempia destra, la mandibola era inesistente, il braccio sinistro finiva col gomito, vari buchi coprivano la pancia, uno addirittura arrivava fino alla schiena e faceva scorgere il muro dietro. Metà della caviglia sinistra era stata portata via da un calcio basso: anche l'Ombra non poteva stare in piedi su una gamba sola ed era stata costretta a cadere in ginocchio.

    «Beh... è stato divertente.»
    Disse Shoichi, prima di sferrare l'ultimo colpo: ruotò su se stesso usando come perno la gamba destra, mentre con l'altra sferrò un calcio caricato che portò via l'intera testa dell'Ombra.
    Anche dopo quel colpo, l'Ombra non si disfò, ma continuò invece a rigenerarsi: già il buco in pancia si era coperto abbastanza da non far scorgere più il muro, una punta di avambraccio era spuntato dal gomito prima monco e la gamba sinistra era quasi ricomposta. Frammenti di ombra stavano volando a ricomporre la testa, partendo dal collo ora tronco. Ma anche così, era chiaro chi fosse il vincitore.
    La stessa Ombra se n'era resa conto: Haiiro lo sentiva attraverso il loro legame. Priva di testa aveva perso sia la vista che l'udito, ma non era quello a farla arrendere, quanto la consapevolezza che Shoichi era sempre lì, pronto a distruggerla nuovamente per quanto lei si rigenerasse. Haiiro la fece svanire prima che accadesse.

    «Sembra che ci abbia messo più di quanto pensassi. Il caffè è uscito dalla moka, in parte. Ma dovrebbe bastare per noi due, se facciamo economia. Ti va bene, Haiiro?»
    A testa bassa Haiiro annuì. In quel momento del caffè gli importava ben poco. L'Ombra era rientrata in lui, ma ne poteva ancora cogliere le emozioni. Si sentiva terribilmente umiliato.
     
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    “Uff... che giornata pesante...” Pensò Haiiro uscendo dall'appartamento di Shoichi e dirigendosi verso casa.
    Non che di solito le sue giornate fossero leggere, era impossibile con tutto il sonno represso che gli pesava sulle spalle, ma quella in particolare l'aveva estenuato. A livello mentale, più che fisico: dall'altra parte non aveva fatto molto più di guardare Shoichi che sperimentava le capacità dell'ombra e le sue caratteristiche. Dove questi esperimenti consistevano nella gran parte nel danneggiare, ferire e disgregare l'ombra. Shoichi infatti, al fine di analizzarne il corpo, aveva provato a verificare cosa le succedesse nei casi che avrebbero portato alla morte un essere umano.

    Ne aveva aperto il corpo con un bisturi per studiare l'interno e verificare se avesse organi (non ne aveva: l'interno era oscuro quanto l'esterno e della stessa materia). Aveva provato a strozzarlo e poi ad annegarlo nella tinozza del bagno per vedere se soffrisse la mancanza d'aria (non la soffriva: del resto, come affermò Shoichi, sarebbe stato ben strano se un essere che sopravvive senza testa sarebbe morto per l'ostruzione delle vie aeree). Aveva provato a bruciarne la mano sul fornello con cui aveva preparato il caffè (la mano aveva preso fuoco e si era danneggiata, con una velocità di combustione e di diffusione delle fiamme che Shoichi stimò a occhio simile a quella umana. L'ombra continuava lo stesso a ricomporsi una volta bruciata, ma Shoichi giudicava che, se avesse preso fuoco completamente, il bilancio tra parti rigenerate e parti bruciate del corpo sarebbe stato negativo) e si era rammaricato di non aver un inceneritore in cui poter buttare tutta l'ombra, non solo la mano. Ne aveva asportato un pezzo dalla sua spalla e l'aveva chiusa in una boccetta prima che potesse rigenerarsi, per studiare la composizione (il pezzo mancante dell'ombra si era ugualmente ricomposto e dopo neanche un minuto la boccetta era vuota). Aveva provato a somministrarli un veleno attraverso la bocca (sì, l'ombra aveva una bocca e nel caso poteva aprirla, anche se al suo fondo non si vedeva che buio. E no, come si aspettava Shoichi, non aveva avuto alcun effetto) e a infilargli la mano in un acido (la mano si era sciolta e, mentre a contatto con l'acido, non era riuscita a rigenerarsi). Inoltre Shoichi aveva chiesto a Haiiro di verificare al più presto, con l'aiuto di un suo amico anormale, cosa sarebbe successo nel caso l'ombra fosse stata totalmente distrutta e di tenersi un cronometro a portata di mano per verificare quanto ci avrebbe messo a rigenerarsi – sempre che l'avesse fatto una volta distrutta.

    Un'altra parte degli esperimenti era stata composta dal provare sull'ombra diverse di quelle leve articolari, nonché sullo sfuggirne da parte di Shero. Superate quelle che Shoichi denominò “impressioni” dell'ombra, le leve si rivelarono presto inefficaci. Inoltre Shoichi aveva chiesto all'ombra – sempre allo scopo di verificarne la mobilità e le capacità di “disarticolazione” – di colpirlo da posizioni assurde. Come ad esempio porsi di schiena rispetto a Shoichi e tirargli un diretto (cosa che si era rivelata impossibile). Il farmacista aveva concluso che l'ombra si muoveva allo stesso modo di un essere umano, ma che grazie alla mancanza di una struttura rigida (ossa e articolazioni) potesse storcere il suo corpo al pari del più abile contorsionista e anche di più, ma senza arrivare a movimenti impossibili del tiro ruotare la testa di 270° alla maniera dei gufi (se invece era qualcuno a storcerli la testa, questa appena lasciata la presa tornava nella sua posizione originaria). Inoltre non poteva rompersi le ossa (non le aveva) e le mosse di sottomissione erano inutili su di lei (non provava dolore). Aveva provato anche altri esperimenti, tipo verificarne al microscopio la struttura cellulare, ma non dilunghiamoci su di essi.
    L'ombra su comando di Haiiro era stata buona, ma vedere quella che nei fatti era se stesso, o una sua rappresentazione, o una parte di sé, essere sottoposto a tutti quei diversi tentativi di uccisione e in più percepirne le sensazioni, era stato sfiancante per Haiiro.

    Haiiro guardò il sacchetto di plastica che Shoichi gli aveva dato. Dentro c'era un pacchetto di sonniferi (la composizione chimica era diversa dai precedenti, che Shoichi gli aveva detto di buttare via), farmaci e integratori alimentari da assumere per il suo corpo e quello che Shoichi aveva definito “un suo personale omaggio”: una scatola di preservativi. “Per ogni evenienza”, gli aveva detto. Haiiro dubitava che gli sarebbe servito nell'immediato, ma l'aveva preso lo stesso, guardando Shoichi storto. Evidentemente doveva sapere di Kasumi.
    “E quindi il bastardo spia anche la mia vita privata... Dannato.”
    Anche così, le parole che più l'avevano inquietato erano state altre. Quelle che Shoichi gli aveva detto alla fine dell'incontro, quando erano già sulla soglia dell'uscio.

    ***



    «Come ti ho detto, l'unica ipotesi che riesco a formulare sull'origine del tuo Shadow Yourself è che sia nato da un tuo sogno. Ma questo significherebbe che tu hai in te il potere di creare anormalità dai sogni. Sai, se fosse così, a quanti gruppi che studiano e hanno interessi sugli anormali farebbe gola un simile potere? Sai cosa sarebbero disposti a fare per ottenerla?»
    Haiiro aveva sentito un brivido attraversare il suo corpo, ma aveva finto indifferenza, anzi spavalderia.
    «Stai parlando per te? Allora non dovresti stendermi qui e ora e consegnarmi alla tua, di organizzazione?»
    Shoichi aveva scosso la testa e gli aveva regalato un sorriso sprezzante.
    «Il mio è un gruppo piccolo, che si limita a girovagare ai margini del mondo che gravita attorno alle anormalità, svolgendo ruoli secondari di indagine e ricerca. Se cercasse di catturarti, verrebbe fatta a pezzi dai gruppi più grandi, oppure dovrebbe integrarsi all'interno di uno di essi per sopravvivere. Quindi da questo punto di vista una cosa simile sarebbe controproducente.
    Ma il motivo principale è un altro: io credo che tu abbia maggiori possibilità di sviluppo se lasciato libero di agire, piuttosto che se ingabbiato in una rigida struttura di ricerca. Credo che tu abbia le capacità per crescere autonomamente e io desidero assistere a questa tua crescita, senza ostacolarla.»

    «Non mi aspettavo una tale fiducia da parte tua.» Replicò cercando con l'irritazione della voce di nascondere il disagio per quell'inattesa confidenza.
    «Aspetterei a gioire fossi in te. Per far questo devi sopravvivere e non so se ci riuscirai. Non tutti la penseranno come me: ci saranno quelli che tenteranno di averti. E già hai avuto modo di verificare che per quelli come te l'Hakoniwa è tutt'altro che un paradiso. Dovrai diventare più forte per sopravvivere: nell'uso dell'anormalità, ma non solo. Per com'è ora, la tua ombra è poco più di un divertente punchball. Sì, ha dei lati utili, ma da soli non compensano le sue debolezze.»
    Haiiro aveva storto le labbra alla definizione di “divertente punchball” (per quanto avesse modo di vedere, i lividi che l'ombra gli aveva fatto rimanevano ben visibili sul volto di Shoichi), ma non aveva voluto obiettare.
    «E come dovrei fare per crescere allora?»
    «Non te l'ho appena detto? Voglio lasciarti libero di crescere da solo, senza costrizioni. Prova a pensare un po' te cosa fare. Pensa, chiedi aiuto ai tuoi compagni, prova, sbaglia e riesci. È così che si avanza. Ma fai attenzione. È semplice compiere un passo falso, uno da cui non c'è ritorno.»
    E chiuse la porta in faccia a Haiiro, ma non prima che il Sognatore gli potesse vedere in viso un'espressione stanca e sofferta, come mai l'aveva intravista prima...

    ***



    “E quindi per farla breve sono ancora più nei guai di prima e non so ancora nulla di concreto sul mio Shadow Yourself... Che bella vita la mia...”
    Gli aveva detto che doveva diventare più forte, ma non aveva idea di come fare. Continuando a usare l'ombra magari poteva aumentare i suoi poteri e rendere più forte il loro legame, ma sarebbe bastato o c'era altro che poteva fare? Per ora non aveva risposte.

    “Mah, ci penserò dopo, per ora meglio chiamare Kasumi e organizzarsi per l'appuntamento... Anche se non ho idea di cosa chiederle.”
    Tirò fuori il cellulare, fece il suo numero e, cercando di non pensare alla scatola di preservativi dentro il sacchetto, chiamò Kasumi. Il telefono squillava. Ma lei non rispondeva. Alla fine sentì la voce meccanica della segreteria telefonica.

    “Sarà occupata...” pensò mettendo giù e senza dar peso alla cosa, anzi provando un senso di sollievo. Poteva stare sereno ancora per un po'.

    «Non rispondi?»
    Soya le indicò il cellulare che suonava. Non rispose, né a lui né al telefono.
    «Prima di una seduta, è buona norma chiudere il cellulare. Ricordatelo la prossima volta.»
    «Ci sarà una prossima volta?» Gli chiese con un tono forse troppo duro.
    Lo psicologo anormale la guardò con fare freddo.
    «Stando alle statistiche ti dovrei dire di sì, ma la vera risposta è... dipende da te. Da quanto emergerà oggi, da come ti comporterai e, soprattutto, da come riuscirai ad affrontare il mio Renevant Ghost.»
    Intorno a lei nella stanza, o forse solo nella sua mente, immagini sfocate che si facevano via via sempre più chiare e familiari comparvero.
    «Stai pronta, Kasumi Natsui. I fantasmi del passato stanno per tornare. Negarli, affrontarli o accettarli: la scelta sta a te.»


    FINE

     
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